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Il diritto all’oblio.

La protezione della vittima “nel” e “dal” processo: le linee guida

5. Il diritto all’oblio.

Nel concetto più ampio di vittimizzazione secondaria, cui il legislatore europeo ricollega le esigenze di protezione di cui ci stiamo occupando, vi è il diritto dell’offeso alla sua riservatezza.

501 BELLUTA, Eppur si muove: la tutela delle vittime particolarmente nel processo penale italiano,

in AA.VV., Lo statuto europeo della vittima di reato. Modelli di tutela tra diritto dell’Unione e

buone pratiche nazionali, cit., 260.

502 Nella relazione illustrativa del d.lgs. n. 24/14 trasmessa alle commissioni parlamentari il 3

dicembre 2013 si legge infatti che l'intenzione della novella è quella di estendere la protezione a «tutte le vittime maggiorenni in condizione di particolare vulnerabilità».

503 CANZIO, La tutela della vittima nel sistema delle garanzie processuali: le misure cautelari e la

testimonianza “vulnerabile”, cit., 985 ss.

504 Conclude in questo senso BELLUTA, Eppur si muove: la tutela delle vittime particolarmente nel

processo penale italiano, in AA.VV., Lo statuto europeo della vittima di reato. Modelli di tutela

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Non solo, dunque, il rafforzamento della pretesa punitiva statale e delle misure endoprocessuali di tutela, anche la privacy del soggetto che ha subito un danno viene preso in considerazione dalla direttiva 29 del 2012, ulteriore riprova della tutela a tutto tondo di cui gode la vittima nella prospettiva del legislatore UE. Si stabilisce, infatti, che tutti i dati sensibili della vittima debbano essere protetti e, ove possibile, non divulgati, specie se la vittima è minorenne (art. 21). Gli organi di informazione sono sollecitati ad adottare misure di autoregolamentazione in tal senso.

Con riferimento alla protezione della sfera privata e dell’immagine fotografica della vittima, una disposizione espressamente riferita al processo penale è prevista solo per i minori d’età505, mentre sono ricollegabili alla tutela della riservatezza e dell’immagine della persona offesa le norme che consentono la celebrazione del dibattimento a porte chiuse506.

Vi è, poi, il divieto di pubblicare notizie, immagini e quant’altro possa condurre all’identificazione di minorenni testimoni, danneggiati o persone offese ex art. 114, comma 6, c.p.p., che cessa col raggiungimento della maggiore età, a seguito del consenso prestato dal minore che abbia compiuto i sedici anni, oppure in forza di provvedimento del giudice 507.

Verrebbe da chiedersi: tutto qui?

La tutela apprestata, oltre che ictu oculi scarna, appare estremamente circoscritta: si riferisce a singoli atti e non copre certi fatti508; o si preoccupa solamente della

505 Art. 13. Divieto di pubblicazione e di divulgazione

Sono vietate la pubblicazione e la divulgazione, con qualsiasi mezzo, di notizie o immagini idonee a consentire l'identificazione del minorenne comunque coinvolto nel procedimento.

La disposizione del comma 1 non si applica dopo l'inizio del dibattimento se il tribunale procede in udienza pubblica.

506 Art 472, comma 3-bis, c.p.p.: Il dibattimento relativo ai delitti previsti dagli articoli 600, 600

bis, 600 ter, 600 quinquies, 601, 602, 609-bis, 609-ter e 609-octies del codice penale si svolge a

porte aperte; tuttavia la persona offesa può chiedere che si proceda a porte chiuse anche solo per una parte di esso. Si procede sempre a porte chiuse quando la parte offesa è minorenne. In tali procedimenti non sono ammesse domande sulla vita privata o sulla sessualità della persona offesa se non sono necessarie alla ricostruzione del fatto. Il presente comma, prima aggiunto dall' art. 15, l. 15 febbraio 1996, n. 66 è stato poi così modificato dall' art. 13 l. 3 agosto 1998, n. 269 e dall'art. 15, comma 9, l. 11 agosto 2003, n. 228.

507 VOENA, sub art. 114 c.p.p., in Codice di procedura penale commentato, cit., 1172 ss.

508 La garanzia ex art. 472, comma 2, c.p.p., che tutela la riservatezza di testimoni o parti private,

non riguarda le persone offese (non costituitesi parti civili e non chiamate a testimoniare) e patisce un doppio limite: è circoscritta a singoli atti (non si estende all’intera fase) e non copre i fatti che

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vittimizzazione da processo509; o, pur prescindendo dal regime di conoscenza degli atti, cessa con la maggiore età ed è superabile dal giudice510; oppure, infine, pur essendo suscettibile di riferirsi a tutti gli attori del processo511, rischia di essere in balia delle opzioni dell’imputato-indagato512 e, soprattutto, è sprovvista di autonoma sanzione513.

Il diritto penale sostanziale, sostiene taluno514, ha cercato di compensare questo

gap di effettività che patiscono le norme processuali penali poste a tutela

dell’anonimato, introducendo una nuova ipotesi contravvenzionale, l’ art. 734-bis c.p.515, che punisce «chiunque, nei casi di delitti previsti dagli artt. 600-bis, 600-

ter e 600-quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all'art. 600- quater, 600-quinquies, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies e 609-octies,

costituiscono l’oggetto principale dell’imputazione (cd. fatti primari). In argomento, LA REGINA,

Le disposizioni generali sul dibattimento, in Giudizio. Procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, a cura di Spangher, II, Torino, 2009, 65 ss.

509 L’art. 472, comma 3-bis, c.p.p., che stabilisce l’obbligo di procedere a porte chiuse quando la

vittima di reati sessuali o pedofilia è un minorenne, scongiura solo la vittimizzazione “da processo”. Cfr., FIDELBO, Sub art. 472 c.p.p., in Commentario al codice di procedura penale, a

cura di Conso e Grevi, Padova, 2005, 1702 ss.

510 È il caso del sopracitato art. 114 c.p.p., su cui si rinvia nuovamente a VOENA, sub art. 114

c.p.p., cit., 1172.

511 Si fa riferimento all’art. 13 d.P.R. n. 448 del 1988 rivolto a tutelare il diritto

all’anonimato/riservatezza del minore in fasi precedenti a quella dibattimentale. Anche la dottrina che ritiene più corretto riferire la garanzia al solo minore imputato-indagato, infatti, ammette che l’enunciato testuale («minorenne comunque coinvolto nel procedimento») si presta a includere tutte le fasi e tutti i soggetti processuali. Così anche Cass., sez. V, 20 settembre 2001, R. T., in

Guida dir, 2002, 1, 74. Diverso discorso vale per l’art. 33 d.P.R., che si riferisce nitidamente al

solo imputato e alla sola fase dibattimentale.

512 L’art. 13, comma 2, d.P.R. n. 448 del 1988, stabilendo che il divieto di pubblicazione o

divulgazione non opera là dove il tribunale, dopo l’inizio del dibattimento, proceda in udienza pubblica, finisce per attribuire all’imputato il potere di esporre il minore vittima all’assalto dei mezzi di informazione: l’art. 33, comma 2, disp. att. d.P.R. n. 448 del 1988, infatti, prevede che possa procedersi con rito pubblico quando l’imputato che abbia compiuto i sedici anni ne faccia richiesta, per quanto l’accoglimento di tale istanza sia condizionato al positivo apprezzamento del giudice e possa essere inibito dalla presenza di coimputati infra- o ultra-sedicenni che non prestino il consenso alla pubblicità. In tema, BOLOGNA, sub art. 13 D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, in

Leggi complementari al codice di procedura penale, a cura di Canzio e Tranchina, Milano, 2013,

95 ss.

513 Residuando la sola responsabilità disciplinare. Così, Cass., sez. III, 22 gennaio 2014, M.C. e

B.A., in Arch. Pen. online, 2014, 1, 1 ss. con nota critica di VALENTINI, Appunti in tema di vittime

vulnerabili e tutela penale della riservatezza.

514 Cfr., VALENTINI, Appunti in tema di vittime vulnerabili e tutela penale della riservatezza, cit.,

3.

515 Aggiunto dalla l. 15 febbraio 1996, n. 66, art. 12 (e modificato prima dalla l. 3 agosto 1998, n.

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divulghi, anche attraverso mezzi di comunicazione di massa, le generalità o l'immagine della persona offesa senza il suo consenso». In assenza di consenso della persona offesa, dunque, l'illiceità della condotta s'incentra sull'attività di "divulgazione", consistente nel portare a conoscenza di un numero indeterminato di persone notizie riservate (nel caso che ci occupa le generalità o l'immagine di "qualsiasi" persona offesa di quegli specifici reati), con ogni modalità, prevedendosi espressamente che ciò possa avvenire "anche attraverso mezzi di comunicazione di massa", tra cui rientrano, evidentemente, non soltanto i mass media tradizionali (stampa, televisione, radio), ma anche quelli diffusisi con le nuove tecnologie (siti web, blog, social network, mailing

list).

Intervenuta più volte a precisarne ratio e finalità, la giurisprudenza di legittimità ha precisato come la tutela offerta dalla contravvenzione de qua “copra” tutti i casi in cui, non solo attraverso il volto, ma in qualunque altro modo (da un profilo, da un'immagine dal di dietro, da un vestito indossato) si possa risalire alla persona offesa dei reati indicati dalla norma516.

La disposizione è stata per anni sottovalutata: scarsa la sua applicazione pratica517, poco convincente la scelta sanzionatoria518.

Eppure la ratio di tutela è avanguardistica: la disposizione ex art. 734-bis c.p., si propone di evitare che soggetti deboli patiscano una catena di processi di vittimizzazione; che, cioè, alla vittimizzazione “da reato” ed a quella “da

516 Da ultimo, Cass., sez. III, 22 gennaio 2014, M. e altro, in CED Cass., n. 258753, con nota

critica di PERINI, Divulgazione delle immagini di persona offesa da atti di violenza sessuale: lo scoop giornalistico non legittima la violazione della riservatezza, in Famiglia e dir., 2014, 8-9, 797 ss.

517 La disposizione è collocata “in solitudine” in un titolo autonomo (II-bis, libro III, Codice

penale, intitolato «Delle contravvenzioni concernenti la tutela della riservatezza».

Considera «anomala» la suddetta posizione sistematica, fra gli altri, MANNA, Sub art. 734-bis, in

Comm. violenza sessuale, a cura di Cadoppi, Padova, 2006, 843 ss., osservando che meglio

sarebbe stato inserire il titolo in coda a quello dedicato alla contravvenzioni concernenti la tutela preventiva dei segreti (par. 1, sez. III, titolo I, libro III c.p.). In generale la norma non ha mai goduto di grande considerazione; i pochi studi che se ne sono occupati, infatti, l’hanno tacciata all’unisono di “simbolismo penale” , considerandola una delle tante pseudo-risposte securitarie destinate a restare sulla carta.

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processo” se ne aggiunga una terza “da mass media”, allineandosi perfettamente all’attuale trend europeo519.

Benché la norma in commento espanda al massimo la tutela della riservatezza della vittima520, non le si può di certo chiedere di compensare i deficit di tutela processuale.

Solo il legislatore può farlo e l’occasione è propizia: la scadenza per il recepimento potrebbe essere l’occasione per stimolare nuove strategie e nuovi approcci al tema della protezione della privacy dell’offeso, percorrendo due binari essenziali: potenziare ulteriormente la tutela specifica rivolta alle vittime vulnerabili, ma dettando al contempo misure più generiche, finalisticamente orientate a proteggere tutte le vittime.