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L’offeso al cospetto delle corti sovranazional

Nel processo di osmosi multilivello fra gli i vari ordinamenti, un importante contributo viene offerto dalla giurisprudenza delle corti sovranazionali, ormai irrinunciabile parametro di riferimento per il legislatore ordinario.

Da un lato, le pronunce della Corte di giustizia hanno contribuito a definire la nozione di vittima, delineando altresì i suoi diritti all’interno del procedimento; dall’altro, le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo si sono fatte carico dell’arduo compito di bilanciare i diritti dell’offeso con quelli dell’imputato. Queste traiettorie giurisprudenziali, benché abbiano percorso binari paralleli, si sono incrociate «sul terreno del rispetto dei canoni del fair trial», ricevendo consacrazione legislativa proprio nella direttiva 2012/29/UE, che in molte sue disposizioni recepisce tali conquiste giurisprudenziali62.

La Corte di Giustizia ha da sempre mostrato una certa sensibilità nei confronti dell’offeso ed infatti nel decennio trascorso tra l’adozione della decisione quadro n. 220 del 2001 e il suo superamento, è intervenuta più volte e in più direzioni. Anzitutto, i giudici di Lussemburgo hanno puntualizzato il significato della locuzione “vittima di reato”. Il riferimento al pregiudizio mentale e alle sofferenze psichiche causati direttamente da atti od omissioni che costituiscono una violazione del diritto penale – contenuto nell’art. 1 della decisione quadro – avrebbe dovuto indurre a escludere le persone giuridiche dal concetto di vittima. Ciò nonostante, la Corte di giustizia è stata più volte chiamata a pronunciarsi sul punto e ha sempre escluso che la protezione accordata potesse estendersi alle persone giuridiche «che hanno subito un pregiudizio causato direttamente da atti o omissioni che costituiscono una violazione del diritto penale di uno Stato membro»63.

62 GIALUZ, La protezione della vittima fra Corte edu e Corte di Giustizia, in AA.VV., Lo statuto

europeo della vittima di reato. Modelli di tutela tra diritto dell’Unione e buone pratiche nazionali,

cit., 19 ss.

63 CdGUE, 21 ottobre 2010, Eredics, C-205/09; CdGUE, 28 giugno 2007, Dell’Orto, C-467/05, §

60. Sulla sentenza citata da ultimo, BALSAMO, La persona giuridica non riveste la qualità di

vittima, in Cass. pen., 2008, 778 ss. Cfr., inoltre, MANES, I rapporti tra diritto comunitario e

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Assai significativo è stato poi il contributo fornito dalla giurisprudenza alla definizione di vittima vulnerabile. La decisione quadro del 2001 aveva, infatti, presupposto l’esistenza della categoria (artt. 2, 3 e 8, par. 4), senza fornire alcuna nozione e senza indicare nemmeno i criteri per delimitare la stessa: è spettato dunque alla Corte valorizzare degli elementi definitori quali l’età della vittima, la natura, la gravità e le conseguenze delle infrazioni subite64.

La Corte di Lussemburgo, però, non si è fermata alle sole “questioni definitorie”, ma ha delineato un vero e proprio «statuto della vittima che ruota fondamentalmente intorno a tre garanzie sostanziali e a due garanzie strumentali»65.

Innanzitutto, ha riconosciuto il diritto alla compensazione monetaria, comprendente il diritto al risarcimento (art. 9 decisione quadro 220 del 2001) e quello all’indennizzo (art. 1 direttiva 2004/80/CE, del Consiglio, del 29 aprile 2004 relativa all’indennizzo delle vittime di reato)66.

nuovi orizzonti, in Ius17@unibo.it, 2007, n. 1, 66 ss.; QUATTROCOLO,La Corte europea fa il punto

sullo status della vittima, in Leg. pen., 2008, 158 ss. In tema, v. amplius, par. 5

64 CdGUE, 16 giugno 2005, Pupino, C-105/03, § 53, in Cass. pen., 2005, 3167; nonché, da ultimo,

CdGUE, 21 dicembre 2011, X, C-507/10, § 26. Sull’argomento si rinvia a Cap. I, par. 6.

65 GIALUZ, La protezione della vittima fra Corte edu e Corte di Giustizia, inAA.VV., Lo statuto

europeo della vittima di reato. Modelli di tutela tra diritto dell’Unione e buone pratiche nazionali,

cit., 22.

66 La prima di tali pronunce è rappresentata dalla c.d. sentenza Cowan, (CdGUE, 2 febbraio 1989,

Cowan c. Le Trésor Public, C-186/87,) con la quale la Corte ha individuato per la prima volta la base giuridica di eventuali testi normativi emanati dalla Comunità europea in materia di tutela della vittima del reato, ed, in particolare, in materia di risarcimento pubblico alle vittime. La pronuncia avviene all’esito di un ricorso pregiudiziale presentato da un cittadino britannico, il quale – rimasto vittima di un’aggressione all’uscita di una stazione della metropolitana durante un soggiorno a Parigi – presenta istanza di indennizzo ex art. 706-3 del codice di procedura penale francese alla Commission d’indemnisation des victimes d’infraction del Tribunal de grande

instance di Parigi, non potendo essere risarcito direttamente dal reo che è rimasto ignoto. Tuttavia,

secondo il procuratore del Tesoro, la vittima non possiede i requisiti richiesti dall’art. 706-15 del codice di procedura penale, secondo cui possono fruire dell’indennizzo in questione solo le persone di cittadinanza francese o quelle di cittadinanza straniera che dimostrano di essere cittadine di uno Stato che ha concluso con la Francia un accordo di reciprocità per l’applicazione di dette norme oppure essere titolari del documento denominato tessera di residente. La Corte di giustizia – chiamata a pronunciarsi in via pregiudiziale, giacché secondo il Cowan la disposizione invocata dal procuratore del Tesoro contrasterebbe con il divieto di discriminazione contenuto nell’art. 7 del Trattato CEE – ha individuato un contrasto tra la succitata disposizione del codice di procedura penale che stabilisce i requisiti per accedere all’indennizzo pubblico e il divieto di discriminazione di cui all’art. 7 del Trattato di Roma, da interpretarsi nel senso che uno Stato membro, per quanto riguarda i soggetti cui il diritto comunitario riconosce la libertà di recarsi in

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In secondo luogo, i giudici sovranazionali hanno individuato nel diritto alla partecipazione alla “giustizia”, il principale mezzo di compensazione simbolica della vittima: esso si traduce, da un lato, nel diritto della vittima di partecipare al processo tradizionale, per contribuire all’accertamento dei fatti e delle responsabilità (art. 3 decisione quadro n. 220 del 2001) e, dall’altro, nel diritto di poter fruire di percorsi alternativi di giustizia riparativa e, in particolare, della mediazione (art. 10 decisione quadro n. 220 del 2001).

Al contempo, è stato chiarito come la valorizzazione della vittima sotto il profilo della partecipazione non arrivi sino al punto di attribuire alla stessa un vero e proprio potere di impulso o a farne necessariamente una parte assimilata all’imputato e all’accusa pubblica67, né tantomeno le attribuisce la capacità di incidere sulle scelte punitive degli Stati membri68. Ciò che risulta essenziale è che

detto Stato, in particolare quali destinatari di servizi, non può subordinare la concessione di un indennizzo statale volto alla riparazione del danno subito sul suo territorio al requisito del possesso di una tessera di residente o della cittadinanza di uno Stato che abbia concluso un accordo di reciprocità con questo Stato membro. Orbene, alla luce di quanto affermato dalla Corte di giustizia, eventuali interventi della Comunità europea volti ad armonizzare la tutela delle vittime del reato e, nello specifico i sistemi di risarcimento pubblico alle vittime, trovavano – come ricordato – la propria base giuridica nel divieto di discriminazione sancito all’articolo 7 del Trattato di Roma. In senso analogo alla sentenza Cowan, cfr. CdGUE, 5 giugno 2008, James Wood c. Fonds de garantie des victimes des actes de terrorisme et d’autres infractions, C-164/07, dove si è ricordato che «il principio di non discriminazione impone di non trattare situazioni analoghe in maniera differente e situazioni diverse in maniera eguale” e che “un trattamento del genere potrebbe essere giustificato solo se fondato su considerazioni oggettive, indipendenti dalla cittadinanza delle persone interessate e adeguatamente commisurate allo scopo legittimamente perseguito». Da tali premesse la Corte di Giustizia è arrivata ad affermare che «il diritto comunitario osta alla normativa di uno Stato membro la quale escluda i cittadini degli altri Stati membri, che risiedano e lavorano nel suo territorio, dal beneficio di un indennizzo finalizzato a risarcire i danni derivanti da offese alla persona causate da un illecito commesso fuori del territorio di questo medesimo Stato, esclusivamente a motivo della loro cittadinanza».

67 CdGUE, 21 dicembre 2011, X, C-507/10, § 43.

68CdGUE, 15 settembre 2011, Gueye e Sànchez, C-483/09 e C-1/10, (le cc.dd. sentenze Gueye e

Sànchez), che prende le mosse da due casi, praticamente identici tra loro, di violazione della pena accessoria, prevista dall’ordinamento spagnolo, del divieto di avvicinamento e comunicazione con la persona offesa, inflitta dal giudice a seguito della condanna degli imputati per reati intrafamiliari. Tuttavia, in entrambi i casi le vittime si opponevano all’irrogazione della sanzione accessoria manifestando l’intento sia di riprendere i contatti con i rei sia di accedere alla mediazione penale. Così, per i giudici spagnoli si pone il problema circa la compatibilità della normativa nazionale – che prevede una pena accessoria obbligatoria, di durata predeterminata per legge, ancorché la vittima sia contraria all’irrogazione o al mantenimento della pena accessoria – con gli articoli 2, 3 ed 8 della decisione quadro 2001/220/GAI. In altri termini, viene chiesto alla Corte di Giustizia se l’UE con la decisione quadro 2001/220/GAI riconosca alle vittime il diritto di incidere sulle scelte punitive degli Stati membri, consentendo loro di chiedere allo Stato di non

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alla vittima venga riconosciuto il diritto di essere sentita nel procedimento e il diritto a ché le sue dichiarazioni siano valutate dal giudice: essa deve poter rendere una deposizione nel procedimento penale e tale deposizione deve essere considerata come elemento di prova69.

Peraltro, al fine di garantire che l’offeso possa prendere parte al procedimento penale in modo effettivo e adeguato, la Corte ha precisato che il suo diritto ad essere sentito deve consentirgli, oltre che di descrivere oggettivamente lo svolgimento dei fatti, anche di poter esprimere il proprio punto di vista sulla vicenda70.

Parimenti, per i giudici di Lussemburgo, assume valenza primaria il diritto alla protezione rispetto al pericolo di vittimizzazione secondaria e ripetuta (art. 8, par. 1, decisione quadro 220 del 2001 e art. 10 raccomandazione R(2006)8).

Rispetto a questi diritti fondamentali, assai significativi sono stati gli interventi con cui la Corte ha delineato nella sua esatta portata quel diritto alla protezione dalla violenza del processo che va riconosciuto alla vittima vulnerabile.

Nella nota sentenza Pupino si è chiarito che le norme sovranazionali vanno interpretate nel senso di prescrivere allo Stato membro di prevedere una procedura speciale per assumere la deposizione di bambini in età infantile vittime di maltrattamenti: queste procedure devono garantire alle vittime un livello di tutela

applicare al reo la pena accessoria e, semmai, di rinunciare addirittura alla pena in favore di forme di giustizia riparativo-conciliativa. La Corte di Giustizia, sulla falsariga delle conclusioni dell’Avvocato generale, risponde negativamente a questo duplice quesito. Infatti, secondo i giudice di Lussemburgo, in relazione al primo quesito, il diritto della vittima di essere sentita ai sensi dell’art. 3, comma 1, della decisione quadro 2001/220/GAI non le attribuisce alcun diritto nella determinazione della pena da irrogare e dell’entità della pena medesima; quanto invece al secondo quesito, la scelta dei reati per i quali è ammesso il ricorso agli strumenti della giustizia ripartivo-conciliativa (e in particolar modo alle mediazione penale) è rimessa alla completa discrezionalità dei legislatori nazionali. La Corte sottolinea che la succitata decisione quadro riconosce in capo alle vittime unicamente diritti di natura procedurale, non estendendo la tutela della persona offesa al diritto penale sostanziale. Si tratta di una pronuncia con cui la Corte di Giustizia dà atto di una spiccata sensibilità vittimologica, in quanto se avesse affermato il dovere del giudice di non applicare misure di protezione in assenza della volontà della vittima, avrebbe rinunciato a tutelare soggetti deboli, accettando l’eventualità che questi ultimi subiscano episodi di ri-vittimizzazione, e con l’ulteriore rischio che la richiesta della vittima non sia il frutto di una libera scelta ma di un atto di sottomissione agli autori dei fatti. La Corte di Giustizia si era già pronunciata in modo analogo nella summenzionata sentenza Eredics del 2010.

69 CdGUE, 9 ottobre 2008, Katz, C-404/07, § 47.

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adeguato, con l’assunzione della dichiarazione al di fuori dell’udienza e prima della tenuta di quest’ultima. Posto che la fonte europea non specificava le modalità puntuali di tale procedura, la Corte si è limitata a fornire indicazioni di principio con la conseguente delega al giudice nazionale di interpretare il diritto interno in modo da assicurare la tutela alla vittima71.

Dal quadro tracciato emerge, pertanto, come la Corte di Giustizia abbia contribuito in maniera significativa a delineare i confini del diritto europeo delle vittime e, soprattutto per mezzo dell’obbligo di interpretazione conforme esteso agli atti di terzo pilastro, «abbia dato un decisivo impulso ad una generale rilettura del sistema penale nazionale attraverso “gli occhi della vittima”»72.

Su un binario differente si è mossa la Corte di Strasburgo.

Vinta quell’iniziale diffidenza73, anche la Corte edu ha adottato una prospettiva più attenta alle esigenze della vittima, concentrandosi, in particolar modo, sul

71 La sentenza in questione (CdGUE, 16 giugno 2005, Pupino, C-105/03, cit., 3167) riveste un

ruolo particolarmente significativo nell’opera di lettura del sistema processuale penale nazionale dal punto di vista della tutela della vittima, giacché, grazie alla soluzione cui approda, consente – pur in assenza di una trasposizione legislativa – ai giudici nazionali di adeguare il diritto interno alle prescrizione contenute nella decisione quadro, sempreché tale interpretazione non determini o aggravi la responsabilità penale dell’imputato o comunque non si traduca in una interpretatio

contra legem. Conf., CdGUE, 21 dicembre 2011, X, C-507/10, § 33.

Si mostra perplessa rispetto alle conclusioni raggiunte dalla Corte, ALLEGREZZA, Il caso "Pupino":

profili processuali, in L'interpretazione conforme al diritto comunitario in materia penale,

Bologna, 2007, 68.

72 VENTUROLI, La tutela della vittima nelle fonti europee, cit., 110.

73 Se si guarda all’atteggiamento del Consiglio d’Europa – in particolar modo quello della Corte di

Strasburgo – e a quello dell’Unione non potrà non notarsi come i due organismi, almeno in una fase iniziale, abbiano mostrato un atteggiamento diverso rispetto al tema della vittima. Mentre la corte di Lussemburgo, attraverso le pronunce poc’anzi richiamate, ha da subito mostrato grande interesse per la tutela dell’offeso; al contrario, la Corte edu ha inizialmente manifestato un certo disinteresse. L’assenza di un formale riconoscimento dei diritti del soggetto leso dal reato di ricorrere alla Corte di Strasbrugo all’interno della Convenzione europea per i diritti dell’uomo ha costituito il principale ostacolo ad un pieno riconoscimento. Ai sensi degli artt. 5 § 5 e 6 C.e.d.u., infatti, la vittima è colui che ha subito un processo ingiusto; nessun riferimento al soggetto che ha subito il reato, privato, quindi, di qualsiasi diritto procedurale nell’ambito del fair trial. Per questa considerazione, ALLEGREZZA, La riscoperta della vittima nella giustizia penale europea, in AA.VV., Lo scudo e la spada. Esigenze di protezione e poteri delle vittime nel processo penale tra

Europa e Italia, cit., 5.. In tema anche AMALFITANO, L’azione dell’Unione europea per la tutela

delle vittime di reati, in Dir. Un. eur., 2011, 643, che evidenzia, stupito, come nella Carta dei

diritti fondamentali firmata a Nizza nel 2000 (e parificata ai trattati in forza dell’art. 6 TFUE) manchi un riferimento alla vittima.

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bilanciamento tra i suoi diritti e le prerogative dell’imputato. Non v’è dubbio, infatti, che i dispositivi di protezione processuale prescritti dalle fonti eurounitarie possono entrare in conflitto con i diritti del reo74, ma è stata proprio la giurisprudenza di Strasburgo a sciogliere questi dubbi, ammettendo in termini espliciti un bilanciamento tra i diritti della vittima e le prerogative dell’imputato75. Nella notissima sentenza Doorson c. Paesi Bassi, la Corte ha infatti sostenuto che i principi del fair trial postulano che, nei casi appropriati, gli interessi della difesa siano bilanciati con quelli dei testimoni o delle vittime chiamate a testimoniare76. Nonostante la Convenzione di Roma non faccia cenno alla vittima del reato, la Corte ha ripetutamente riconosciuto la necessità «to safeguard victims’ rights and

their proper place in criminal proceedings»77, purché, a fronte del ridimensionamento del diritto al confronto con l’accusatore, si registrino forme di compensazione (counterbalancing factors).

In effetti, questo approccio messo a punto dalla giurisprudenza di Strasburgo sembra essere stato poi accolto dalla direttiva n. 29 del 2012, che, per un verso, disciplina puntualmente alcuni dispositivi di protezione valorizzati dalla Corte europea (artt. 23 e 24); per altro verso, fa salvi i diritti della difesa (e, in particolare, il diritto a confrontarsi con l’accusatore di cui all’art. 6, par. 3, lett. d CEDU) (art. 23, cons. n. 58), che non possono essere irragionevolmente sacrificati per ragioni di tutela della vittima78.

La Corte di Strasburgo non si è fermata peraltro al solo bilanciamento fra interessi della vittima e reo, ma è ormai da tempo impegnata nel definire i principi fondamentali di una tutela della vittima attraverso il sistema penale. Nella più

74 LUPARIA, Reflexiones sobre el estatuto de la victima en el proceso penal italiano, in

Constitucion, ley y proceso, a cura di Gonzalez Alvarez, Lima, 2013, 377.

75 Da ultimo, la fondamentale Corte eur. Dir. uomo, 15 dicembre 2011, Al-Khawaja e Tahery c.

Regno Unito, § 146.

76 Corte eur. Dir. uomo, 26 marzo 1996, Doorson c. Paesi Bassi, § 70. Sull’importanza di questa

affermazione di principio, v., per tutti, CHIAVARIO, La vittima del reato e la Convenzione europea

dei diritti umani, in La vittima del reato, questa dimenticata, Roma, 2001, 111.

77 Corte eur. Dir. uomo, 24 febbraio 2005, Sottani c. Italia; Corte eur. Dir. uomo, 12 febbraio 2004,

Perez c. Francia, §72.

78 GIALUZ, La protezione della vittima fra Corte edu e Corte di Giustizia, in AA.VV., Lo statuto

europeo della vittima di reato. Modelli di tutela tra diritto dell’Unione e buone pratiche nazionali,

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recente pronuncia della Grande Camera sul caso Soderman c. Svezia79, la Corte ha ribadito in maniera molto decisa la sussistenza di un obbligo positivo di predisporre misure effettive di tutela, che si traducono nel ricorso allo strumento della penalizzazione80.

In casi meno gravi di violazioni dei beni protetti dalla Convenzione, l’obbligo di protezione dello Stato può invece essere assolto con la predisposizione di strumenti di natura civile81.

All’obbligo di criminalizzazione, si accompagna, a parere dei giudici di Strasburgo, la necessità che l’ordinamento garantisca una risposta efficace all’illecito con lo svolgimento di indagini effettive e complete82, che conducano prontamente all’accertamento dei fatti e alla punizione del colpevole, e che si giovino del contributo della vittima83.

In conclusione, anche la Corte di Strasburgo ha registrato una notevole evoluzione rispetto ai tempi in cui la tutela della vittima del reato era subordinata all’esercizio dell’azione civile e alle ripercussioni della vicenda penale sulle pretese civili. Oggi questo approccio è stato superato e la Corte riconosce una tutela a prescindere dalla pretesa civilistica84.

Certo, nell’ottica della Corte di Strasburgo, siamo lontani dall’ammettere un vero e proprio “diritto alle indagini”, ed ancor più dal diritto di vedere adottata una procedura che contempli la partecipazione effettiva della vittima nella dinamica

79 Corte eur. Dir. uomo, 12 novembre 2013, Soderman c. Svezia, §§ 78-85

80 La Corte ha già riconosciuto tali obblighi di penalizzazione con riferimento alla violenza

sessuale (Corte eur. Dir. uomo, 4 marzo 2003, M.C. v. Bulgaria, § 166); al lavoro forzato (Corte eur. Dir. uomo, 11 gennaio 2013, C.N. e V. c. France, §§105-108; Corte eur. Dir. uomo, 26 ottobre 2010, Siliadin c. France, § 112); alla lesione intenzionale all’integrità fisica della persona (Corte eur. Dir. uomo, 14 settembre 2009, Sandra Jankovic c. Croatia, § 36.); alla tratta di esseri umani (Corte eur. Dir. uomo, 10 maggio 2010, Rantsev c. Cipro e Russia, §§ 284, 288.); alla rivelazione di notizie segrete (Corte eur. Dir. uomo, 10 dicembre 2007, Stoll c. Svizzera, § 155.). Per quel che riguarda i bambini, ha stabilito che qualsiasi atto intenzionale diretto contro il benessere fisico o morale deve essere criminalizzato e punito con una sanzione dotata di efficacia deterrente (Corte eur. Dir. uomo, 2 marzo 2009, K.U. c. Finland, § 46; nonché, Corte eur. Dir. uomo C. edu, 4 febbraio 2011, Darraj c. Francia, § 49).

81 Corte eur. Dir. uomo C. edu, 17 gennaio 2002, Calvelli e Ciglio c. Italia, § 51. 82 Corte eur. Dir. uomo, 24 settembre 2012, C.A.S. e C.S. c. Romania, § 72.

83 Corte eur. Dir. uomo, 28 gennaio 2014, O’Keeffe c. Irlanda, § 172; Corte eur. Dir. uomo, 24

settembre 2012, C.A.S. e C.S. c. Romania, §§ 68-70.

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del processo, ma, su questo versante, pur con le cautele del caso, sembra che la direttiva n. 29 del 2012 abbia fatto significativi passi avanti nel riconoscere le garanzie partecipative alla vittima.

Nei prossimi anni, spetterà dunque alla Corte del Lussemburgo precisarne ulteriormente la portata e vegliare sull’attuazione della direttiva da parte degli Stati membri.

Si assisterà, così, a un’altra puntata di quel dialogo tra le Corti che, nell’ultimo decennio, ha portato a rafforzare sensibilmente la posizione della vittima nel procedimento penale.

4. La lunga marcia della vittima per l’emancipazione nel processo penale