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Nel nuovo sistema processuale delineato dal codice di rito, il rafforzamento della posizione della vittima si muove lungo diverse direttrici tracciate dalla legge delega118, in primo luogo attraverso l’estensione soggettiva della nozione di “offeso”.

114 La definizione si deve ad AIMONETTO, voce Persona offesa dal reato, cit., 322. 115 TRANCHINA, La vittima nel processo penale, cit., 4054.

116 Per una panoramica si rinvia a QUAGLIERINI, Le parti private diverse dall’imputato e l’offeso

dal reato, Milano, 2003, passim.

117 TRANCHINA, La vittima nel processo penale, cit., 4055.

118 Legge 16 febbraio 1987, n. 81 (in Suppl. ordinario alla Gazz. Uff., 16 marzo, n. 62) Delega

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Il codice del 1988, in continuità con le precedenti codificazioni119, ripropone il dualismo “persona offesa/parte civile”.

Pur in assenza di una definizione legale, dall’analisi della disciplina sostanziale e processuale, è possibile definire l’offeso come il soggetto titolare dell’interesse protetto dalla norma penale violata; il danneggiato come colui che patisce il danno civile, patrimoniale e/o morale120. Mentre il primo è il solo a poter rimuovere

che all’art. 2, comma 1, n. 3 precisa che nel nuovo processo penale devono essere attuati i principi del sistema accusatorio secondo determinati criteri: partecipazione dell'accusa e della difesa su basi di parità in ogni stato e grado del procedimento; facoltà del pubblico ministero e delle altre parti, dei difensori e della persona offesa di indicare elementi di prova e di presentare memorie in ogni stato e grado del procedimento; obbligo del giudice di provvedere senza ritardo e comunque entro termini prestabiliti sulle richieste formulate in ogni stato e grado del procedimento dal pubblico ministero, dalle altre parti e dai difensori; attribuzione, agli enti e alle associazioni cui sono riconosciute finalità di tutela degli interessi lesi, degli stessi poteri spettanti nel processo all'offeso dal reato non costituito parte civile; previsione di particolari forme di intervento di tali enti ed associazioni nel giudizio; necessità del costante consenso della persona offesa all'esercizio dei suddetti poteri; previsione che il consenso non possa essere prestato a più di uno degli enti o associazioni.

119 La presenza di una parte, diversa da quella pubblica, che faccia valere un’azione civile nel

processo penale, il quale tutela interessi prevalentemente pubblici, risale al codice di istruzione criminale napoleonico, ed è dovuta alla particolare efficacia riconosciuta alla sentenza penale irrevocabile nell’azione civile di risarcimento, dipendente dalla commissione del reato. Nel sistema processuale previsto dal codice Rocco, il soggetto che affermava di essere stato danneggiato in modo diretto ed immediato dal fatto costituente reato era legittimato ad invocare la riparazione nelle forme delle restituzioni e del risarcimento del danno, esercitando l’azione civile nel processo penale, tramite la costituzione di parte civile (facoltà spettante, ex art. 22 c.p.p. 1930, non solo alla persona offesa in senso stretto, bensì a chiunque avesse subito un danno diretto ed immediato a causa del reato stesso), ma la sua posizione rimaneva sempre accessoria, in ossequio al monopolio statuale dell’azione penale. Prescindendo dall’analisi dei poteri riconosciuti nel corso del procedimento, ciò che preme mettere in evidenza è la funzione “accessoria” che il legislatore del 1930 riservava al danneggiato. L’entrata in vigore della Costituzione ed alcuni interventi della Corte Costituzionale (soprattutto le sentenze n. 1 del 1970 e n. 29 del 1972) hanno riconosciuto alla parte civile il potere di ricorrere per Cassazione (non, però, quello di proporre appello) contro il capo penale di una sentenza di assoluzione, garantendo – in caso di accoglimento del ricorso – l’annullamento del capo ai soli fini civili, senza precludere la successiva azione risarcitoria. Sulla posizione della parte civile nel codice di procedura penale del 1930 si rinvia per una trattazione esaustiva a GIARDA, La persona offesa dal reato nel processo penale, cit., passim.

120 Le definizioni appaiono ampiamente condivise. Cfr., per tutti, AIMONETTO, voce Persona

offesa dal reato, cit., 319; AMODIO, sub art. 90, in Commentario del nuovo codice di procedura

penale, a cura di Amodio- Dominioni, I, Milano, 1989, 534; BRESCIANI, voce Persona offesa dal

reato, cit., 527; CHILIBERTI, Azione civile e nuovo processo penale, Milano, 1993, 7; FIANDACA- MUSCO, Diritto penale. Parte generale, cit., 174; GHIARA, Persona offesa dal reato, in Commento

al nuovo codice di procedura penale, coord. da Chiavario, I, Torino, 1991, 405; GUALTIERI,

Soggetto passivo, persona offesa e danneggiato: profili differenziali, in Riv. It. Dir. Proc. pen.,

1995, 1071; IASEVOLI, voce Persona offesa dal reato, cit., 1; MANTOVANI, Diritto Penale. Parte

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l’ostacolo all’esercizio dell’azione penale nei reati perseguibili a querela, esclusivamente al secondo spetta l’esercizio dell’azione civile nel processo penale121. Parallelamente, alla persona offesa spettano diritti e facoltà finalizzati ad assicurare una partecipazione al procedimento e all’esercizio di attività di sollecitazione e di impulso probatorio122, al danneggiato dal reato, sono conferiti, invece, tutti i diritti e i poteri di una vera e propria “parte processuale”, ma solo dopo la sua formale costituzione di parte civile123.

Pacificamente si ritiene che l’offesa al bene protetto dalla disposizione penale sia un concetto da un lato più ampio del danno civile, perché comprensivo sia dei danni risarcibili che di quelli non suscettibili di risarcimento, ma al contempo più ristretto, perché il danno civile comprende pregiudizi che non possono dirsi prodotti dal reato in sé, ma che ne sono conseguenze124.

PAGLIARO, La rilevanza della vittima nel diritto penale sostanziale, in La vittima del reato, questa

dimenticata, cit., 29; PANSINI, voce Persona offesa dal reato, in Dig. Pen., Torino, 2011, 411 ss.;

PAULESU, voce Persona offesa dal reato, in Enc. dir., Annali, II, Milano, 2008, 593; PENNISI, voce

Persona offesa dal reato, in Enc. Dir., Milano, 1997, 790; QUAGLIERINI, Le parti private diverse

dall’imputato e l’offeso dal reato, cit., 4; RIVELLO, Riflessioni sul ruolo ricoperto dalla persona

offesa da reato e dagli enti esponenziali, in Riv. it. dir. proc. pen., 1992, 615; SQUARCIA, Persona

offesa dal reato e persona danneggiata dal reato: una distinzione non sempre agevole, in Cass. Pen., 2001, 3119; TRANCHINA, voce Persona offesa dal reato, cit., 1 ss.

121 La differenza fra le due figure è stata tracciata anche all’interno della Relazione al progetto

preliminare, ove i compilatori hanno precisato come l’inserimento dell’offeso in un titolo autonomo rispetto a quello dedicato alle altre parti diverse dall’imputato ha il preciso scopo di differenziarlo dalla parte civile, attribuendogli facoltà e diritti sin dalla fase delle indagini preliminari. Così, Rel. Prog. Prel., in Il nuovo codice di procedura penale, a cura di Lattanzi- Lupo, Milano, 1989, 195.

122 Il diritto alla comunicazione, a norma dell’art. 335 c.p.p., delle iscrizioni delle notizia di reato

nell’apposito registro; il diritto di ricevere l’informazione di garanzia ex art. 369 c.p.p.; il diritto di ricevere l’avviso degli accertamenti tecnici non ripetibili ex art. 360 c.p.p.; la facoltà di presentazione dell’istanza di sequestro ex art. 368 c.p.p. e il generico potere di presentazione di memorie e di indicazione di elementi di prova ex art. 90 c.p.p.; la facoltà di presentazione della richiesta di incidente probatorio ex art. 394 c.p.p.: il diritto di ricevere la notifica della richiesta di proroga del termine per le indagini preliminari ex art. 406 c.p.p.; il diritto di ricevere la notifica della richiesta di archiviazione al fine di presentare opposizione a norma degli artt. 408 e 410 c.p.p.; la facoltà di richiedere l’avocazione delle indagini ex art. 413 c.p.p.; il diritto di ricevere gli avvisi dell’udienza preliminare e le varie forme di citazione al dibattimento.

123 Cfr. GUALTIERI, La tutela di interessi lesi dal reato fra intervento e costituzione di parte civile,

in Riv. it. dir. proc. pen., 1996, 101 ss.; GUIDOTTI, Persona offesa e parte civile. La tutela

processuale penale, Torino, 2002, 13 ss.

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Sebbene le due situazioni tendano a sovrapporsi, e vengano spesso confuse nella prassi125, è importante evidenziarne la sostanziale differenza poiché alla sola persona offesa spettano i poteri processuali di cui all’art. 90 c.p.p., così come la legittimazione ad esercitare l’azione risarcitoria nel processo penale (costituzione di parte civile) spetta solo alla persona danneggiata dal reato, indipendentemente dalla titolarità dell’interesse protetto dalla norma penale126.

Nonostante questa distinzione, i poteri, i diritti e le facoltà riconosciute alla persona offesa appaiono preparatori e prodromici alla costituzione di parte civile; ed è altrettanto evidente che, se l’offeso è anche danneggiato, versa in una situazione privilegiata rispetto a chi ha semplicemente subito un danno127.

L’individuazione della persona offesa è compito che spetta, specificamente, al magistrato del pubblico ministero il quale, fin dall’inizio delle indagini preliminari, deve identificare il soggetto passivo del reato ed inviargli l’informazione di garanzia (art. 369 comma 1, c.p.p.). Nella stessa prospettiva, l’indicazione delle generalità della persona offesa costituisce requisito formale della richiesta di rinvio a giudizio (art. 417, lett. a), c.p.p.), del decreto che dispone il giudizio (art. 429, comma 1, lett. b), c.p.p.) e del decreto di citazione diretta a giudizio (art. 552, comma 1, lett. b), c.p.p.)

L’individuazione del soggetto passivo del reato non ha importanza solo da un punto di vista meramente processuale, ma anche pratico. Infatti, la sua identificazione serve ai fine dell’applicazione di non poche norme del codice penale: ad esempio, per stabilire chi è legittimato a prestare il consenso scriminante ai sensi dell’art. 50 c.p., ovvero il consenso previsto come elemento costitutivo della fattispecie (così nell’omicidio del consenziente ex art. 579 c.p.) o come elemento costitutivo in senso negativo della fattispecie (così nella violazione di domicilio ex art. 614 c.p.); per individuare il soggetto legittimato a sporgere querela o per l’applicabilità di talune regole dell’aberratio ictus (art. 82

125 Il riferimento è a quella prassi giudiziaria che ha coniato il termine “parte offesa”, cumulando

con questa espressione offeso e danneggiato in un’unica figura. Si pone critica nei confronti di questa “deriva” giurisprudenziale, CONFALONIERI, La persona offesa dal reato, in AA.VV.,

Trattato di procedura penale, diretto da Spangher, I, Torino, 2009, 634. Ricostruisce le posizioni

dei giudici di legittimità, SQUARCIA, Persona offesa dal reato e persona danneggiata dal reato:

una distinzione non sempre agevole, cit., 3119 ss.

126 BRESCIANI, voce Persona offesa dal reato, cit., 528.

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c.p.) o di alcune circostanze (art. 70, n. 1, c.p.); o, ancora, per decidere in alcuni casi se vi sia unità o pluralità di reati . Inoltre, è rilevante – sul piano economico- patrimoniale – per l’accesso alla restituzione, all’indennizzo, al risarcimento, e ai sevizi di aiuto, assistenza, previsti dall’ordinamento statale e dagli enti pubblici oppure garantiti da associazioni di volontariato128.

Il legislatore italiano non menziona mai la “vittima”129.

Nella dottrina criminologica e vittimologica, si parla costantemente di “vittima del reato”, facendo riferimento a «qualsiasi soggetto danneggiato o che abbia subito un torto da altri, che percepisce se stesso come vittima, che condivide l’esperienza con altri cercando aiuto, assistenza e riparazione, che è riconosciuto come vittima e che presumibilmente è assistito da agenzie/strutture pubbliche, private o collettive»130 . Si evince immediatamente come tale concetto abbia una portata molto più estesa rispetto a quella di soggetto passivo o di persona offesa del reato, valorizzandone la dimensione individuale ed esistenziale, non solo la sua posizione all’interno del processo131.

Non solo le scienze criminologiche, ma soprattutto le fonti normative internazionali utilizzano il termine “vittima”, indicando con tale locuzione chi ha «subito un danno, soprattutto un’offesa all’integrità fisica o mentale, una sofferenza morale, una perdita materiale o una violazione grave dei diritti fondamentali, per effetto di azioni od omissioni che violano le leggi penali in vigore in uno Stato membro, ivi comprese quelle che vietano penalmente gli abusi di potere»132.

128 Cfr. PAGLIARO, La rilevanza della vittima nel diritto penale sostanziale, in La vittima del reato,

questa dimenticata, cit., 30.

129 In realtà di recente l’ art. 498, comma 4–ter, c.p.p. utilizza questo termine. In tema, NISCO,

Persona giuridica “vittima” di reato ed interpretazione conforme al diritto comunitario, in Cass. pen., 2008, 784; TONINI, Manuale di procedura penale, XIV ed., Milano, 2014, 149.

130 La definizione si deve a VIANO, IV Congresso Mondiale di vittimologia, Atti della giornata

bolognese, a cura di Balloni, Viano, Bologna, 1989, 126.

131 Vittima è «chi si sente vittima, chi si vuole vittima o il fatto di chi ha la coscienza di fare la

vittima». Così, VERSELE, Appunti di diritto e criminologia con riguardo alle vittime dei delitti, in

Scuola posit., 1962, 593.

132 In particolare sul tema v., tra gli altri, CHIAVARIO, La parte dei privati: alla radice e al di là di

un sistema di garanzie, in Procedure penali d’Europa, a cura di Chiavario, Padova, 2001, 497;

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La definizione formale del soggetto leso dal reato si mostra, a parere del legislatore sovranazionale, prodromica al superamento delle disomogeneità riscontrabili tra i vari ordinamenti nazionali; tuttavia, non può tacersi come anche nelle fonti internazionali il concetto di vittima venga a volte impiegato con sfumature diverse133: nella Convenzione del Consiglio d’Europa sul risarcimento delle vittime dei reati violenti i soggetti beneficiari del risarcimento statale sono identificati in coloro, i quali abbiano riportato serie lesioni fisiche o pregiudizi alla salute, quale conseguenza diretta dei reati dolosi violenti; invece, secondo la Dichiarazione ONU dei principi base della giustizia per vittime di crimini e di abusi di potere 40/43 del 1985, per vittima si intende «chi – individualmente o collettivamente – abbia sofferto un pregiudizio fisico o morale, una perdita economica od una lesione grave dei propri diritti fondamentali, in seguito ad illeciti penali, incluse le leggi che proibiscono l’abuso di potere; sono altresì compresi i prossimi congiunti o le persone comunque a carico della persona offesa in via diretta ed i soggetti i quali abbiano subito un danno, nell’intervenire in soccorso del soggetto passivo del reato». E, ancora, la Decisione quadro dell’Unione europea 220/2001 GAI, del 15 marzo 2001, identifica la vittima nel soggetto che abbia sofferto un pregiudizio (o comunque «sofferenze») di natura fisico-psichica, o danni materiali, quali conseguenza immediata di condotte penalmente rilevanti, alla stregua degli ordinamenti degli Stati membri. Orbene, mentre per la Decisone quadro la nozione di vittima coincide con il concetto penalistico di soggetto passivo del reato, per gli altri succitati testi sovranazionali essa ha una portata più ampia, comprensiva, accanto a chi subisce direttamente il reato, dei prossimi congiunti dei soggetti deceduti a seguito dell’illecito ovvero della vittima dell’abuso di potere, nonché di coloro che abbiano riportato un danno mentre intervenivano in soccorso del soggetto passivo.

europea e internazionale a protezione della vittima, cit., 709 ss.; GULLOTTA, La vittima, Milano,

1976, passim.

133 Sul punto si veda PITCH, Qualche considerazione sulla nozione di vittima, in Lo sguardo della

vittima. Nuove sfide alla civiltà delle relazioni. Scritti in onore di Carmine Ventimiglia, a cura di

Bosi, Manghi, Milano, 2009, 48; RAFARACI, La tutela della vittima nel sistema penale delle

garanzie, in Criminalia, 2010, 258, osserva che «[i]l termine, di marca criminologica e di

derivazione internazionale, è usato in diversi contesti e non ha contorni di significato nettamente segnati».

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Più ampia la definizione contenuta nella direttiva 2012/29/UE, ove si definisce vittima «una persona fisica che ha subito un danno, anche fisico, mentale o emotivo, o perdite economiche che sono stati causati direttamente da un reato», nonché «un familiare di una persona la cui morte è stata causata direttamente da un reato e che ha subito un danno in conseguenza della morte di tale persona». Vengono, dunque, inclusi rispetto alla precedente decisione quadro i familiari, che lo stesso provvedimento definisce come «il coniuge, la persona che convive la vittima in una relazione intima, nello stesso nucleo familiare e in modo stabile e continuo, i parenti in linea diretta, i fratelli e le sorelle, e le persone a carico della vittima», ma al contempo viene ribadita l’esclusione delle persone giuridiche, tanto con riferimento alla giustizia ordinaria, quanto in relazione alla mediazione134.

Questa posizione risulta conforme alle indicazioni dettate sul punto dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, secondo cui la scelta del legislatore europeo «ha potuto legittimamente introdurre un sistema di tutela a favore delle sole persone fisiche dal momento che queste ultime si trovano in una situazione oggettivamente diversa da quella delle persone giuridiche, data la loro maggiore vulnerabilità e la natura degli interessi che soltanto le violazioni commesse nei confronti delle persone fisiche possono pregiudicare, come ad esempio la vita e l’integrità fisica della vittima»135.

In questa prospettiva, la nozione internazionale di vittima è più ristretta rispetto a quella adottata dal legislatore nazionale, che invece annovera fra le persone offese potenziali anche gli enti immateriali e le associazioni esponenziali di interessi collettivi o diffusi lesi dal reato136.

Ad essi è riconosciuta innanzitutto la possibilità di costituirsi nel processo come parte civile, ove siano legittimati a richiedere un provvedimento risarcitorio o restitutorio; possono, inoltre, esercitare, in particolare nella fase procedimentale

134 Conformemente alla direttiva, l’art. 90 comma 3 c.p.p. include nella nozione di persona offesa,

qualora questa sia deceduta in conseguenza del reato, i suoi prossimi congiunti, estendendo loro i diritti ad essa spettanti. Cfr. NISCO, Persona giuridica “vittima” di reato ed interpretazione

conforme al diritto comunitario, cit., 792.

135 CdGUE, 28 giugno 2007, Dell’Orto, C-467/05, § 55; CdGUE, 21 ottobre 2010, Eredics, C-

205/09, § 30. In dottrina si veda NISCO, Persona giuridica “vittima” di reato ed interpretazione

conforme al diritto comunitario cit., 792.

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anteriore all’esercizio dell’azione penale, quei poteri e quelle facoltà attribuite alla persona offesa.

La ratio sottesa a questa scelta è evidente: favorire la partecipazione di enti collettivi si mostra prodromico all’accertamento di talune condotte criminose che, per proprie particolarità intrinseche, incidono su interessi di portata generale137. In ogni caso l’esercizio dei diritti e delle facoltà spettanti alle associazioni e agli enti rappresentativi di interessi lesi dal reato è subordinato al consenso della persona offesa, che deve risultare da atto pubblico o da scrittura privata autenticata e può essere prestato a non più di uno degli enti o delle associazioni. Bisogna ora ritrovare il bandolo della matassa in questa babele definitoria: l’eterogeneità semantica non è solo un problema terminologico, ma rispecchia dell’assenza di una convergenza sul punto, testimoniando la distanza che separa i diversi ordinamenti domestici; di qui, lo sforzo dell’Unione per giungere ad una definizione condivisa di vittima, che, però, stenta ancora a stabilizzarsi138.