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IL “DIRITTO AD UN CIBO ADEGUATO” DAVANTI AI GIUDIC

2. La disciplina giuridica internazionale: obblighi e responsabilità degli Stat

Sul piano giuridico, il diritto al cibo è stato tradizionalmente derivato dal diritto alla salute. A livello internazionale, la prima affermazione di tale fondamentale prerogativa compare nel 1948 nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, che all’art. 25.1 riconosce il diritto di ciascuno a un livello di vita adeguato per la salute e il benessere proprio e della propria famiglia, attraverso il godimento dei beni essenziali all’esistenza, tra i quali il cibo occupa una posizione primaria. A ben vedere, il concetto di “benessere” indicava già l’attitudine alla tutela di ulteriori dimensioni in termini di qualità e di salubrità: il diritto all’accesso al cibo era infatti ritenuto funzionale alla realizzazione del diritto ad uno standard di vita adeguato. Dopo quasi vent’anni, interviene una

4 Direttiva n. 89/397/CEE del Consiglio, del 14 giugno 1989, relativa al controllo ufficiale dei

prodotti alimentari.

5 Direttiva n. 93/43/CEE del Consiglio, del 14 giugno 1993 sull’igiene dei prodotti alimentari. 6 Considerando 2, direttiva n. 93/43/CEE del Consiglio, del 14 giugno 1993 sull’igiene dei

prodotti alimentari.

7 C. RICCI, Il diritto al cibo sicuro nel diritto internazionale. Spunti di riflessione, Roma,

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nuova elaborazione normativa: l’art. 11.2 lett. a) del Patto sui diritti economici, sociali e culturali del 1966 sancisce il diritto fondamentale di ogni individuo ad essere libero dalla fame8. In questo modo, le due dimensioni della security e

della safety si cristallizzano nel medesimo bene giuridico, il diritto ad un cibo “adeguato”9.

Proprio al fine di specificare questa interrelazione, nel 1999 il Comitato dei diritti economici, sociali e culturali delle Nazioni Unite chiarisce il contenuto normativo dell’art. 11 par. 2 del Patto con il Commento Generale n. 12, intervenendo sulla stessa definizione di “adeguatezza” del cibo. Questa va riferita a tre condizioni fondamentali: la disponibilità, l’accessibilità e l’accettabilità. La fruizione delle risorse alimentari va altresì garantita “in modo sostenibile”, ossia senza compromettere il godimento di altri diritti umani: si tratta della prima volta che viene istituito un collegamento diretto tra sostenibilità e sicurezza alimentare, nella consapevolezza che “la sopravvivenza delle generazioni presenti e future dipende dalla garanzia dello stesso bene”10. Il Comitato chiarisce dunque che tra gli elementi imprescindibili per

un’alimentazione adeguata si annoverano sia la garanzia di cibo appropriato in termini nutrizionali sia la considerazione del valore culturale e sociale del cibo nella realtà di appartenenza del consumatore11.

Chiarito dunque il quadro giuridico internazionale nel quale si iscrive il diritto al cibo, occorre condurre un’indagine più approfondita sugli obblighi giuridici che discendono dal Patto del 1966, al fine di individuare i profili di responsabilità e i rimedi azionabili in caso di violazione. Evidentemente, i destinatari di tali obblighi sono primariamente gli Stati parte del Patto12: il già

richiamato Commento Generale n. 12, in sé peraltro non vincolante, stabilisce tre livelli di responsabilità, ossia il dovere di rispettare (“respect”), di proteggere (“protect”) e di realizzare (“fulfil”) quanto prescritto dal Patto. Il dovere di “rispettare” consiste in un obbligo negativo per lo Stato, ossia nel divieto di interferire nella sfera soggettiva individuale mediante l’attuazione di misure

8 International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights, approvata dall’Assemblea

Generale il 16 dicembre 1966.

9 C. RICCI, cit., 22.

10 Questa stessa consapevolezza anima la recentissima Carta di Milano, approvata il 3

giugno 2015 e considerata la legacy culturale di Expo Milano 2015 “Nutrire il pianeta. Energia per la vita”.

11 C. RICCI, cit., 23.

12 Per maggiore approfondimento, cfr. M.M. SEPÙLVEDA, The Obligation of the States under the International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights, Antwerpen-

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proibizioniste13. Invero, al fine di garantire il fabbisogno nutrizionale della

popolazione, lo Stato è chiamato a porre in essere quelle azioni positive che danno forma al dovere di “realizzare”, ossia l’obbligo di adottare le misure legislative e amministrative necessarie al conseguimento di un duplice obiettivo: agevolare (“facilitate”) l’accesso alle risorse alimentari, nonché provvedervi (“provide”) in modo diretto in alcuni casi speciali. Infine, il Commento Generale n. 12 prevede una responsabilità di secondo livello che impone allo Stato di tutelare (“protect”) categorie protette di persone mediante un intervento specifico e mirato14. Tale obbligo prescrive altresì allo Stato di emanare misure legislative

volte ad impedire a singoli individui, imprese private o enti di violare il diritto all’alimentazione, sia assicurando forme di tutela adeguate, sia intervenendo laddove venga inibito l’accesso alla terra, alle risorse idriche e ai mercati15. Alla

luce di quanto detto, è riscontrabile una violazione del Patto ogniqualvolta uno Stato non riesca a garantire la soddisfazione di un livello minimo di tutela, idoneo a realizzare il diritto ad un cibo adeguato.

In conclusione, si precisa che i soggetti tenuti a garantire il rispetto del diritto al cibo adeguato non sono solamente gli Stati, essendo altrettanto importante il ruolo della società civile, delle ONG e soprattutto del settore privato. Rispetto a quest’ultimo soggetto, ha assunto un rilievo centrale la teoria della corporate social responsability16, la quale postula il trasferimento sulle

società multinazionali di parte dei costi necessari a conformarsi agli standard di qualità propri del comparto agroalimentare: l’adozione di questa prospettiva ha condotto alla elaborazione di codici di autoregolamentazione17 e alla

fissazione di parametri di sicurezza e qualità nei diversi settori merceologici, i quali hanno progressivamente assunto un’efficacia semi-legislativa18.

13 C. RICCI, cit., 31. 14 C. RICCI, cit., 33.

15 S. MOSCATELLI, Il diritto all’alimentazione nel sistema dei diritti umani, Roma, 2014,

70.

16 Per maggiore approfondimento, cfr. tra gli altri A. PERULLI (a cura di), L’impresa responsabile: diritti sociali e corporate social responsability, Matelica, 2007.

17 Si segnala, in particolare, il Codex Alimentarius. Si tratta di un codice di

autoregolamentazione che contiene una serie di standard di sicurezza di carattere generale e specifico, formulati con l’obiettivo di tutelare la salute del consumatore e garantire la correttezza del commercio alimentare.

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3. I limiti delle tutele approntate dal sistema convenzionale

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