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LA TASSAZIONE NUTRIZIONALE TRA DIRITTO AD UNA SANA ALIMENTAZIONE E CRISI DELLE FINANZE PUBBLICHE

4. Le diverse forme di imposizione sugli alimenti: modelli comparat

I primi Paesi ad introdurre nei propri ordinamenti tributari delle fat tax sono stati quelli scandinavi: la Danimarca già nel 1922 aveva introdotto prelievi fiscali che colpivano prodotti che contenevano elevate quantità di zuccheri. A partire dall’ottobre 2011 la Danimarca è stata il primo Paese nel mondo ad introdurre una fat tax che colpisce il consumo di cibi che contengono più del 2,3% di grassi saturi26. Pertanto i cibi con meno di 2,3 gr per 100 gr di grassi

saturi erano esclusi dalla tassazione, sugli altri si applica una tassazione di 16 corone danesi (pari a circa 2,15€) per kg di grassi saturi. La tassazione colpisce cibi grassi come carne, prodotti caseari e talune tipologie di oli mentre sono esclusi i principali tipi di latte il cui contenuto di grassi saturi è inferiore a quello necessario per essere assoggettati a tassazione27. È stato osservato come

il tributo ha avuto un effetto domino anche sul consumo di altri cibi tra i cui ingredienti figuravano i prodotti tassati generando un ampliamento dell’effetto di tassazione nonché un incremento di acquisti presso i negozi “discount” che talvolta hanno incrementato i prezzi in misura superiore al tributo generando il fenomeno dell’overshifting tipico dei mercati oligopolistici28.

Il tributo, tuttavia, non ha goduto di vita lunga in quanto già nel mese di agosto 2012 è stato abolito dal Parlamento pur avendo raccolto circa 134 mln/€; tale perdita di gettito è stata successivamente compensata da un incremento nell’imposizione personale. Il ritorno economico sulle finanze pubbliche, tuttavia, è stato superiore al gettito raccolto in quanto secondo alcuni studi econometrici il consumo di cibi grassi nel breve termine è diminuito del 10-15%29 generando

risparmi anche sulle spese sanitarie. L’abrogazione della fat tax è stata frutto anche dell’attività di lobbying dei produttori di burro e cibi grassi danneggiati dal generale incremento dei loro prezzi nonché la possibilità di acquistare i medesimi generi alimentari a prezzi ribassati dai Paesi confinanti come la Germania. Il tributo, inoltre, avrebbe causato la perdita di numerosi posti di 26 Cfr. B. BIVONA, Danimarca: una fat tax a misura di linea e portafoglio, disponibile su Fiscooggi.it, 21 ottobre 2011.

27 Per commenti dottrinali sulla fat tax danese si v. S. SMED, Financial penalties on foods: the fat tax in Denmark, in Nutr. Bull., 2012, 37, 142 ss.

28 Cfr. J. JENSEN-S. SMED, Danish Tax on Saturated fat: Short Run Effects on Consumption and Consumer Prices of Fats, in Food Policy, 2013, 42, 18 ss.

29 Cfr. J. JENSEN-S. SMED, Danish Tax on Saturated Fat: Short Run Effects on Consumption and Consumer Prices of Fats, cit., 18 ss. Tributi sui cibi “dannosi” per la salute del cittadino

sono stati imposti anche in altri Paesi dell’Unione europea tra cui la Norvegia che si è dotata di una fat tax sin dal 1981 che colpisce dolci, cioccolate e bevande zuccherate.

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lavoro e la crisi di alcune filiere produttive danesi connesse ai prodotti oggetto di tassazione. Tuttavia tale perdita subita dai produttori può essere compensata dai guadagni derivanti dall’incremento nel consumo di prodotti succedanei consentendo il riassorbimento della forza lavoro nonché dalle misure di stimolo fiscale all’economia finanziate dal gettito del tributo. Nel complesso la fat tax non è stata accolta con favore tantomeno dai consumatori ingenerando non solo l’abrogazione del tributo ma anche l’abbandono del progetto di tributo su bevande ad elevato contenuto di zucchero che sarebbe dovuto partire nell’anno 2013.

A decorrere dall’anno 2011 anche la Finlandia si è dotata di un tributo sui prodotti dolciari che colpisce prodotti da pasticceria, cioccolata e gelato pur escludendo prodotti quali biscotti, budini, gelatine, prodotti da forno, ecc. L’individuazione dell’oggetto imponibile è stata, tuttavia, assoggettata a critiche da parte dell’industria dolciaria in quanto avrebbe distorto la concorrenza e creato una ingiusta discriminazione nella tassazione di specifici prodotti escludendo altri.

Il tributo non è nuovo all’ordinamento finlandese: dal 1926 al 1999 vigeva un tributo sui prodotti dolciari e sulle bevande non alcoliche, dal 2000 quello sui dolci è stato abrogato anche a causa dei rilievi della Commissione europea che ha contestato alla Finlandia un trattamento discriminatorio in quanto erano assoggettati a tassazione solo i prodotti contenenti zucchero ma non quelli composti da xilitolo, noto dolcificante alimentare.

Tale tributo sui prodotti dolciari è imposto sotto forma di accisa e pari a 0,95€/ kg, l’accisa sulle bevande non alcoliche è pari a 0,11€/l mentre l’accisa sulle bevande contenenti più dello 0,5% di zucchero è pari a 0,22€/l; l’ammontare di tale accise è stato oggetto di variazioni nel corso degli ultimi anni. Il beneficio per le finanze pubbliche in termini di maggior gettito introdotto dal tributo sui dolci è di circa 100mln/€ nel 2011, 197 mln/€ nel 2012, 204 mln/€ nel 2013 e si stima 250 mln/€ nel 2014.

Tributi sui cibi “dannosi” per la salute del cittadino sono stati imposti anche in Norvegia la quale si è dotata di una fat tax sin dal 1981 che colpisce dolci, cioccolate e bevande zuccherate.

Anche l’Ungheria ha fatto ricorso alla tassazione su cibi e bevande non salutari: a decorrere dal 1° settembre 2011 il tributo30 colpisce bevande

zuccherate, prodotti dolciari, confetture, snack salati, gelati, ecc.31 e, più in

generale, cibi ad elevato contenuto di zuccheri, sale, caffeina e carboidrati in eccesso. Il perimetro della tassazione è, dunque, piuttosto ampio sebbene

30 Noto anche come chips tax o crisp tax.

31 Si v. G. DI MURO, Ungheria: in arrivo la chips tax. Stop a malattie e obesità, disponibile

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negli ultimi anni ha registrato una riduzione in forza dell’esenzione di alcuni prodotti. Le aliquote su tali cibi sono maggiorate in una percentuale che varia dal 5 al 20%; il tributo, inoltre, è equivalente a 1,6 euro ogni 100 litri di bevanda zuccherata con contenuto di frutta inferiore al 25%, 3,35 euro ogni 10 kg di dolciumi preconfezionati e 6,67 euro ogni 10 kg di aromi alimentari e snack salati.

Attraverso tale tributo lo Stato ungherese mira a correggere le cattive abitudini alimentari dei cittadini il cui eccessivo consumo di grassi, zuccheri e sale determina seri problemi alla salute. Solo nell’anno 2013 il gettito raccolto è stato pari a circa 61,5 mln/€ ed è destinato a finanziare il settore sanitario.

In Francia dall’anno 2012 si applica un tributo sulle bevande gassate (taxe

soda32) che colpisce il consumo di bibite zuccherate pari a 7,16€/hl, ovvero di

due centesimi a lattina33. Il tributo colpisce il produttore, l’importatore od il

distributore di tali bevande zuccherate ma, in conseguenza dell’effetto di traslazione economica, finisce per colpire di fatto il consumatore finale. L’obietto del tributo è quello di contrastare il consumo di tali bevande particolarmente diffuse nell’età giovanile al fine di evitare i problemi connessi all’obesità o sovrappeso: primi studi hanno evidenziato un riduzione nelle vendite dei prodotti tassati. Il gettito raccolto ammonta a circa 300 mln/€ annui ed è attualmente destinato interamente a beneficio delle finanze pubbliche francesi nonostante vi siano proposte per la sua destinazione al settore sanitario, alla riduzione del cuneo fiscale nonché allo sviluppo dell’agricoltura. Non è stata invece approvata la cd. tassa sulla Nutella che colpiva l’olio di palma destinato all’alimentazione umana, sostanza molto grassa ed ingrediente importante della nota gianduia italiana34.

Anche oltreoceano è diffuso l’utilizzo di tributi sui junk food: negli Stati Uniti ad esempio si applica in numerosi Stati una prelievo sulle bevande zuccherate pari a circa il 3-5% del prezzo del prodotto al fine di contrastare il problema dell’obesità35. In Messico l’incremento delle spese sanitarie legate ai

32 Noto anche come Coca Cola tax a fronte delle resistenze al tributo da parte della nota

multinazionale americana.

33 Per un’analisi sull’introduzione di una fat tax in Francia si v. V. HESPEL-M. BERTHOD-

WURMSER, Rapport sur la pertinence et la faisabilité d’une taxation nutritionnelle, Parigi, 2008, disponibile su http://fulltext.bdsp.ehesp.fr, passim. Sulla soda tax si v. N. BERARDI-P. SEVESTRE-M. TEPAUT-A. VIGNERON, The Impact of a “soda tax” on Prices. Evidence

from French Micro Data, in Banque de France working paper n. 415/2012, 1 ss.

34 Si v. E. FAZZINO, Tassa sulla Nutella in Francia, per ora nulla di fatto, in Il Sole 24 Ore,

15 novembre 2012, 16; M. MOUSSANET, La Francia vota la tassa-Nutella, in Il Sole 24 Ore, 15 novembre 2012, 47.

35 Si v. F. BROCCERI, Usa: San Francisco al voto per dire sì o no alla “soda tax”, disponibile

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disturbi alimentari, ha portato il governo a lanciare un piano di emergenza che comprende l’aspetto educativo, la pubblicità e anche un regime di tassazione applicato al cibo ad alto contenuto calorico ed alle bevande aromatizzate36.

Anche in Italia è stata recentemente proposta l’istituzione di un tributo sulle bevande dolci: nella proposta ministeriale del Patto per la Salute 2013- 2015, infatti, era prevista l’istituzione di un simile prelievo di scopo il cui gettito sarebbe dovuto essere destinato al finanziamento dell’edilizia sanitaria. L’istituzione di una fat tax è stata formalizzata in uno schema di decreto legge che prevedeva per il triennio 2013-2015 “un contributo straordinario a carico dei produttori di bevande analcoliche con zuccheri aggiunti e con edulcoranti, in ragione di 7,16 euro per ogni 100 litri immessi sul mercato, nonché a carico di produttori di superalcolici in ragione di 50 euro per ogni 100 litri immessi sul mercato”. Tale proposta è stata stralciata in quanto bisognosa di maggiori approfondimenti ed il tributo non ha mai visto la luce nell’ordinamento italiano.

5. Conclusioni

Lo strumento che sta trovando ampia diffusione per contrastare le malattie connesse ad una dieta poco equilibrata è quello tributario, attraverso il quale è possibile conseguire nuove entrate per il bilancio statale e contenere le spese sanitarie. La leva tributaria può condizionare il consumo ed i modelli di acquisto dei consumatori spingendoli verso prodotti più salutari facendo registrare, laddove correttamente applicata, significativi impatti sulle diete e, quindi, sulla salute dell’individuo. Accanto all’utilizzo dello strumento fiscale è necessario indirizzare gli sforzi sulla lotta al sovrappeso ricorrendo a strumenti di educazione e informazione, a beneficio specie dei ragazzi in età scolare. L’intensificazione delle attività di promozione di stili di vita e modelli alimentari salutari tramite campagne di comunicazione, informazione, sensibilizzazione ed educazione può trovare una valida copertura finanziaria proprio nella tassazione alimentare. Occorre, dunque, avviare un progetto che coinvolga tutti gli Stati più sviluppati volto da un lato a diffondere la cultura dell’alimentazione e dall’altro ad assoggettare a tassazione i cibi grassi o le bevande zuccherate, sulla base delle specificità territoriali.

36 Cfr. G. BOMBACE, Messico: bollicine e zucchero fanno bene alle casse dell’Erario,

SICUREZZA ALIMENTARE

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