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Il discorso che ho fatto mi sembra che dimostri come i problemi della giustizia siano divenuti la trama di una vera e propria commedia degli

CODICE ETICO

7. Il discorso che ho fatto mi sembra che dimostri come i problemi della giustizia siano divenuti la trama di una vera e propria commedia degli

equi-voci. Accanto a chi dice più o meno esplicitamente che quella giudiziaria non può più essere una funzione del tutto indipendente ed eccentrica rispet-ta al potere di governo, ci sono invece altri a cui appare utile mantenere fermo l’attuale assetto istituzionale della giurisdizione. Tra costoro, però, appare evidente da quanto ho detto, c’è chi dice una cosa e ne pensa un’al-tra, chi non fa quello che promette o chi addirittura fa il contrario di ciò che dice.

È venuta l’ora che questa commedia finisca, che su di essa cali il sipario, che gli equivoci si sciolgano, anche a costo che a chiuderla non sia un lieto fine. Le forze politiche e sociali che sono dalla parte di una giustizia come noi la intendiamo, debbono dirlo con chiarezza e debbono assumersi l’ob-bligo di attuare nei fatti le soluzioni conseguenti. Nel Paese ci sono ancora molte emergenze, da quelle della droga a quelle dell’Adriatico e dell’Aids;

ma anche quella della giustizia è divenuta un’emergenza non meno preoccu-pante delle altre, perché il suo dissesto provoca danni incalcolabili alle

per-sone e ai beni di tutti e mette in crisi i valori primari della stessa convivenza civile e delle istituzioni democratiche; sicché ogni sforzo dovrebbe essere fatto per impedire che la giustizia muoia anch’essa per questa specie di Aids che l’ha colpita.

Perciò, chi è consapevole di questa verità (e dovrebbero essere tutti) ha l’obbligo civile, ma prima ancora morale, di farsi carico dell’emergenza giu-stizia, affinché vengano adottati al più presto tutti quei provvedimenti, am-ministrativi e legislativi, che favoriscano l’uscita dalla crisi.

Il significato di questo Congresso, a me pare, sta proprio qui, nella vo-lontà di scandagliare le possibilità che ancora restano alla giustizia. La magi-stratura ha cercato e cerca di liberarsi dalle sue colpe e dai suoi errori ed è pronta a fare tutt’intera la sua parte. Le forze politiche e sociali debbono ora rispondere con la stessa sincerità alla domanda che ho posto e che sta alla base del Congresso e debbono farlo, senza creare speranze inutili ma con impegni che possano essere mantenuti e che non vadano delusi come sem-pre. Intanto, è utile, sempre per evitare equivoci, elencare i punti di fondo su cui oggi la magistratura è attestata, credo unitariamente. I giudici debbo-no essere apolitici e imparziali e debbodebbo-no dunque esercitare la loro funzione senza appiattirsi su logiche di partito, di opposizione o di governo: debbono essere silenziosi e guidati da un pluralismo ideale e culturale che non si e-sprima in conflittualità interne, perché la giustizia si nutre di silenzio e del ri-spetto della legge; vogliono essere scelti ed utilizzati, soprattutto per le loro capacità professionali; vogliono restare indipendenti ed insieme responsabili, e quindi pretendono che continui a governarli il Csm e i Consigli giudiziari, così come oggi sono composti; chiedono infine di poter lavorare, senza in-terventismi arroganti, ma senza abdicare al loro ruolo, in condizioni capaci di assicurare l’esercizio di una giustizia efficiente, eguale per gli umili ed i potenti, perché l’eguaglianza è il cuore stesso della giustizia.

Una magistratura, così concepita e strutturata, è di per sé scomoda per il potere politico, non diversamente da quanto lo è la stampa, così come di-mostrano vicende recenti. Per di più, contrariamente a ciò che spesso si vuol far credere, quelli dei giornalisti e dei giudici sono poteri deboli, esposti alla volontà e alle insidie del potere politico ed economico. Ma in un Paese come il nostro in cui tutte le forze politiche sono una minoranza, più o me-no cospicua, me-non conviene forse a nessume-no mettere in discussione i valori del pluralismo che caratterizzano oggi la democrazia italiana.

In momenti difficili, i piccoli giudici della Repubblica hanno reso grandi servizi al Paese e potranno farlo ancora, se sapranno riguadagnarsi la fiducia dei cittadini, correggendo tanti loro atteggiamenti, e se gli altri vorranno aiu-tarli. E deve essere chiaro inoltre che possono essere certo molti gli incon-venienti che derivano ai cittadini dall’indipendente esercizio della

giurisdi-zione; ma che essi in ogni caso sono di gran lunga più tollerabili degli intol-lerabili danni che provocherebbe a tutti, politici compresi, l’esercizio di una giustizia di parte.

In questo momento però il problema principale rimane quello di dare un minimo di funzionalità ad una giustizia che muore. Ogni uomo si porta da sempre nel cuore il sentimento profondo della giustizia e nessun Paese può rinunziare alla giustizia umana, nell’attesa di quella divina.

Al termine del mio discorso, sono ben consapevole che, in una situazio-ne come quella che abbiamo di fronte, le parole possono ridursi a una se-quela di suoni ripetitivi e senza significato: non sono nemmeno pietre, per-ché possono scorrere, come acqua, sulle cattive coscienze. Forse occorrono gesti, gesti collettivi o anche soltanto personali, non dettati dalla rassegna-zione o dalla rabbia, ma imposti dalla ragione e insieme dai sentimenti di chi ha creduto e continua a credere negli ideali della giustizia.

XXI Congresso nazionale* Vasto, 7-9 giugno 1991

Mozione conclusiva

1. A fronte della crisi della giustizia si confrontano oggi nel Paese due linee di tendenza: l’una finalizzata alla completa. attuazione del disegno costitu-zionale, l’altra diretta alla riduzione dei poteri di controllo.

Espressione di questa seconda tendenza sono le ricorrenti prospettazioni di una revisione del principio di obbligatorietà dell’azione penale e di limita-zione dell’indipendenza del pubblico ministero.

In questo contesto l’Anm riafferma che la piena attuazione dei principi di eguaglianza di tutti i cittadini e di legalità nell’azione dei pubblici poteri esige la completa realizzazione del progetto costituzionale ed in particolare il mantenimento dell’indipendenza della magistratura edell’imparzialità dell’e-sercizio dell’azione penale.

È vero che oggi la giustizia non risponde ai bisogni e alle aspettative dei cittadini. Ma ciò è dovuto non certo ai principi costituzionali, bensì all’ina-deguatezza degli interventi normativi strutturali e gestionali e alla spropor-zione tra gli innumerevoli compiti di cui viene gravata la giurisdispropor-zione e le risorse che vengono destinate alla giustizia.

È su questo terreno che l’Anm intende fare la sua parte, indicando solu-zioni e proposte ai problemi della giustizia penale e civile e dell’ordinamento del giudice, anche al fine di recuperare funzionalità al sistema e valorizzare la professionalità dei magistrati.

2. Nella società italiana è forte l’allarme per la crescita della criminalità