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In primo luogo, gli obiettivi dell’Agmi non sono più materia di risoluzioni congressuali da affidare alle autorità ministeriali, ai notabili politici o alle

ge-rarchie più illuminate della magistratura, ma diventano concreto oggetto del contendere in una logica sindacale che, in quanto tale, tende a contrapporsi all’interlocutore governativo. Il sindacalismo della magistratura, tipico della conduzione De Notaristefani-Cirillo-Brigante costituisce una delle basi su cui si articola la coscienza autonoma della magistratura di quegli anni. Tale sindacalismo, oltre alla difesa del trattamento economico, si concentra su due o tre punti focali: in primo luogo l’elezione del Csm da parte di tutto l’ordine giudiziario e la drastica riduzione della scala gerarchica. Ambedue questi obiettivi, almeno parzialmente, furono ottenuti alla vigilia del fasci-smo attraverso l’estensione alla magistratura del sistema dei ruoli aperti che unificò, dal punto di vista economico, i gradi di giudice e consigliere di Ap-pello e attraverso il decretò Rodinò che stabilì l’eleggibilità di secondo grado del Csm.

Inoltre, nel processo di istituzionalizzazione l’Associazione cerca altri in-terlocutori rispetto al Governo. Li cerca nelle aule parlamentari tra il 1919 e il 1922 (è tramite un emendamento parlamentare, in Commissione giustizia, che si approva l’eleggibilità del Csm anche se tale riforma sarà poi varata dal

42 Per la magistratura nell’immediato secondo dopoguerra si veda soprattutto: G. Neppi Modona, La magistratura dalla Liberazione agli anni cinquanta: il difficile cammino verso l’indipendenza, in Storia dell’Italia repubblicana, vol. 3:, L’Italia nella crisi mondiale. L’ultimo ventennio, 2. Istituzioni, politiche, culture, Torino, Ei-naudi, 1997, pp. 81-137.

guardasigilli Rodinò). Li cerca, con minore fortuna, nel mondo delle orga-nizzazioni sindacali del pubblico impiego e dei “lavoratori intellettuali”.

2. In secondo luogo, possiamo dire che gli orientamenti politici entrano nell’Associazione. E vi entrano in modo tale che si dovrà aspettare gli anni Sessanta, credo, per trovare qualcosa di simile, ovviamente in un contesto e con modalità molto diverse. Allentati o recisi i legami con le autorità mini-steriali e con l’alta magistratura romana, la magistratura associata si rivolge alla società civile, guarda al pluralismo politico e, in qualche modo, ne subi-sce il riflesso. Gli effetti sono due.

Da un lato l’Associazione si espone politicamente. In qualche modo, la sua classe dirigente ritiene di poter prendere la parola sull’evoluzione drammatica della società italiana di quegli anni, interpretandola come un ri-volgimento sociale destinato a far emergere le classi lavoratrici. Difficile va-lutare il reale consenso intorno alle posizioni di Cirillo e Brigante. Si ha l’impressione che molti associati le ritenessero solo un utile strumento di lotta sindacale e di tutela corporativa e, comunque, non è un caso che si ab-bia in questo periodo un tentativo di scissione. Si tenga presente comunque che l’Agmi non ha sponde politiche in questo periodo. Il partito socialista continuò a teorizzare il giudice elettivo e a considerare la magistratura tutt’uno con il blocco di potere borghese. Più attenzione, se si vuole, venne dal primo guardasigilli popolare, cioè quel Giulio Rodinò che concesse l’elezione del Csm, certamente contro il parere di Lodovico Mortara e dell’alta magistratura.

Dall’altro lato, di fronte alla radicalizzazione e alla degenerazione della lotta politica, la magistratura si autorappresenta come baluardo dell’ordine giuridico e della convivenza. È interessante notare come l’estensione al pubblico ministero delle guarentigie della magistratura giudicante non sia più un obiettivo di generica equiparazione delle guarentigie, ma assuma con-torni inediti concreti tra il 1919 e il 1922. Affermava il Procuratore generale e senatore Raffaele Garofalo nel discorso inaugurale dell’anno giudiziario 1919: «Non si può escludere l’ipotesi che, nelle vicende parlamentari, per-vengano al potere i rappresentanti di tendenze inconciliabili con i principi giuridici che sono per noi una religione. Siamo noi sicuri che quegli uomini non vorrebbero indirizzare ai propri fini l’opera della magistratura? E non sarebbe loro di ausilio prezioso un pubblico ministero dipendente?»43.

43 Discorso del Procuratore generale del Re Raffaele Garofalo senatore del Regno all’assemblea generale del 7 gen-naio 1919, Roma, 1919.

3. In terzo luogo, all’interno dell’Agmi il peso dell’alta magistratura si allenta progressivamente e nel dopoguerra è fortemente ridotto. Concorreva a que-sto esito la bassa rappresentatività dell’Agmi che, se da un lato era un ele-mento di debolezza, dall’altro rendeva più compatta l’Associazione e ridu-ceva la distanza tra il vertice e i soci. Concorreva anche la politica sindacale dei dirigenti di quegli anni e l’insistenza nel disegnare una figura sociale di magistrato “democratico”. Il magistrato in giacchetta sembrava fatta appo-sta per allontanare le gerarchie. Da questo punto di viappo-sta si possono misura-re le diffemisura-renze rispetto alla situazione dei primi anni del secondo dopoguer-ra quando l’Associazione si presenta più coesa e compatta, senza divisioni apprezzabili tra bassa e alta magistratura.

4. Infine, nasce una dialettica di tipo nuovo tra la cultura giuridica e l’associazionismo della magistratura. Il passaggio da Mortara a Calamandrei è il passaggio da un rapporto unilaterale di guida e patrocinio, svolto, tra l’altro, da una giurista-giudice, ad un rapporto di reciproco sostegno. Il giu-rista sistematizza e dà senso comune ad alcune posizioni della magistratura associata44. La magistratura associata riprende gli argomenti dei giuristi e li utilizza per rinforzare le proprie tesi. È da notare che questa interazione si svolge, in quegli anni, su di un terreno di impietosa critica alle classi dirigenti liberali, all’inerzia e alla corruzione derivanti dal parlamentarismo e nella convinzione che sia necessaria una vera e propria rifondazione dello stato.

La mia ricostruzione si ferma ai primi mesi del 1922. Nei mesi successivi il quadro sarebbe rapidamente cambiato. Il fascismo intervenne sull’ordi-namento e intervenne sugli uomini. Già nel 1923, il Csm tornò ad essere di nomina regia, la carriera fu riorganizzata secondo principi gerarchici piutto-sto rigidi, rafforzato dalla riforma De Stefani che dava vita ad un nuovo sta-to giuridico degli impiegati civili modellasta-to sulla carriera militare. Tutsta-to il cammino percorso dalla magistratura e dall’Agmi per ottenere un trattamen-to economico e normativo sempre più differenziatrattamen-to da quello delle altre ca-tegorie del pubblico impiego era perduto.

La Cassazione romana fu decapitata con il collocamento a riposo del Presidente Lodovico Mortara e del Procuratore generale Raffaele De

44 Calamandrei concludeva il suo discorso del 1921: «Lessi un giorno le malinconiche parole di un magistrato, il quale si lagnava che alla coscienza di un problema morale qual è quello della giustizia l’Università restasse estranea: ebbene, io ho voluto dire oggi ai magistrati italiani che l’Università è con loro; e ad essi ho voluto mandare a nome vostro, o giovani, la parola fraterna della vostra volontà e della vostra fede», Governo e magistratura, op. cit., p. 221.

ristefani45. Roberto Cirillo fu trasferito e dovette abbandonare la direzione de La magistratura. Lo stesso Mussolini intervenne per ottenere una diffida dei dirigenti dell’Agmi46. E il guardasigilli Oviglio si adoperò perché fosse revocata all’Agmi la concessione dei locali utilizzati all’interno del Palazzo di Giustizia per la segreteria e per le assemblee. Anche da ciò che avvenne dopo è possibile percepire il cammino percorso dai magistrati italiani negli anni del cosiddetto “biennio rosso”.

45 L’“azzeramento” della Corte di Cassazione fu operato con r.d. 3 maggio 1923, n. 1028, poche settimane dopo il r.d. che aveva soppresso le Cassazioni regionali e istituito la Cassazione del Regno, riforma più volte auspicata da Mortara. Il carattere politico del provvedimento è stato sottolineato da F. Cipriani in Lodovico Mortara nel 150° anniversario della nascita, in: Id., Scritti in onore dei patres, op. cit., pp. 113-114 e in: Il Primo Presidente Mortara e i due “illustri rissanti”, ibidem, pp. 84-88, con argomenti, mi sembra, convincenti. Del resto fu così inteso anche dai contemporanei, come dimostra l’articolo di G.

Amedola, Mortara e la magistratura, in Il Mondo, 21 settembre 1923, ripubblicato in: Id., La democrazia i-taliana contro il fascismo, 1922-1924, Milano-Napoli, 1960, pp. 174-177.

46 E per sopprimere il motto presente nell’intestazione del giornale La magistratura (Il potere giu-diziario è in Italia una metafora; ma l’indipendenza della magistratura deve essere una realtà). Sul car-teggio tra Oviglio e Mussolini, cfr. F. Venturini, Un “sindacato” di giudici…, op. cit., p. 254 ss.

Il centenario dell’Associazione magistrati I documenti e la memoria

di Marcello Marinari

«Chiarissimo Collega, Il 13 giugno una schiera di magistrati si dava con-vegno a Milano da più parti d’Italia: Venivano con essi i voti di numerosi al-tri colleghi; e concordemente in quel convegno era deliberata la costituzione dell’Associazione Generale tra i Magistrati d’Italia…».

Così iniziava la circolare che la neonata associazione inviò il successivo 12 luglio 1909 a tutti i magistrati italiani per informarli dell’avvenimento.

In quel lontano 13 giugno 1909, 44 magistrati, provenienti non solo da Milano, ma anche da altre regioni del nord e dal centro (anche a prezzo, ve-rosimilmente, di notevoli sacrifici) come ci informa Fernando Venturini nel suo ormai celebre studio sull’Associazione delle origini1, si ritrovarono, co-me recita il verbale della riunione, che qui si pubblica, per la sua oggettiva importanza storica, modellato sullo schema di un verbale di udienza («…L’anno millenovecentonove, addì tredici giugno, ore 14, nella casa di Corso Buenos Ayres, N 1, in Milano, presenti i signori…») per realizzare un progetto che si stava ormai delineando da alcuni anni, fin dal proclama di Trani del 1904, e che si colloca nel più ampio contesto della nascita dell’associazionismo nel pubblico impiego e nelle professioni durante il pe-riodo giolittiano.

Il c.d. Proclama di Trani, un altro dei documenti significativi che abbia-mo scelto di pubblicare, indirizzato nell’aprile 1904 al Capo del Governo ed al Ministro della Giustizia, era stato sottoscritto, come ci informa E.R. Papa nel suo ugualmente celebre Magistratura e Politica2, da ben 116 magistrati del distretto della Corte di Appello di Trani appartenenti a quella che allora si definiva come la “bassa magistratura”, e, benché tutt’altro che rivoluziona-rio, nei toni, estremamente ossequiosi e rassicuranti («…i sottoscritti, magi-strati del distretto giudiziario di Trani, senza attendere altre spontanee ade-sioni, osano presentare alle EEVV il voto che il problema della magistratura sia risolto senza ulteriore indugio…»), costituì, come nota ancora Papa, an-che per la novità di una simile iniziativa, un fatto clamoroso, ed

1 F. Venturini, Un “sindacato” di giudici da Giolitti a Mussolini. L’Associazione Generale tra i Magistrati i-taliani 1909-1926, Bologna, Il Mulino, 1987.

2 E.R. Papa, Magistratura e politica. Origini dell’associazionismo democratico nella magistratura italiana (1861-1913), Padova, Marsilio, 1973.

mente ritenuto una manifestazione di protesta, tanto è vero che produsse conseguenze disciplinari per i firmatari.

In effetti, come nota molto lucidamente lo stesso Papa, il 1904 fu anche l’anno del primo sciopero generale, che seguì quelli proclamati da singole categorie, e la coincidenza, pur nella particolarità della situazione istituziona-le della magistratura, non può passare inosservata.

La “sindacalizzazione” della magistratura italiana si inserisce infatti in un movimento sociale più ampio che riguardò larghi strati del pubblico impie-go, al quale anche la magistratura non poteva dirsi estranea, anche se con toni ed accenti particolari.

Con il proclama vennero allo scoperto, sia pure riferite ad un’area ben delimitata sul piano territoriale, ma costituente, per così dire, un campione significativo sul piano nazionale, quelle aspirazioni alla «…riforma che assi-curasse alla Magistratura indipendenza prestigio e decoro…» che portarono in seguito alla nascita dell’Associazione, rivelando che i tempi erano ormai maturi per un simile evento, considerato in precedenza irrealizzabile, e for-temente osteggiato anche da altri ambienti della magistratura e dal mondo politico.

Il tono enfatico del documento, nello stile dell’epoca, del quale rappre-senta anzi un’interessante testimonianza, per tutti noi, non ne diminuisce la portata innovativa, che preannunciava e testimoniava la spinta associativa, pur nell’estrema cautela formale, che portava i firmatari a precisare, perché si escludesse qualunque sconfinamento istituzionale, che essi non intende-vano «…formulare proposte…».

Nel giugno 1909, come già detto, questo processo giunse alla sua piena maturazione, con l’assemblea costitutiva.

Abbiamo voluto pubblicare integralmente il verbale della prima riunione, curiosamente pubblicato non sul primo, ma sul secondo numero del bollet-tino dell’Agmi («inavvertitamente omesso», come afferma l’autore della no-ta), non solo per l’obbiettiva rilevanza del documento per la storia della ma-gistratura italiana, ma anche per rendere in modo autentico il clima e lo spi-rito dell’epoca, ed il linguaggio, così come qualche sorprendente, ma non troppo, analogia con riunioni associative molto più recenti (si veda la picco-la polemica sulle deleghe).

Ugualmente, ci è sembrato utile affidare alla riflessione del lettore le con-siderazioni espresse dal ministro Orlando nell’intervista riportata nel bollet-tino associativo, per avere un’idea del clima politico dell’epoca e delle opi-nioni di un esponente di primo piano della classe dirigente, che pure aveva contribuito molto all’opera di rinnovamento, con la riforma dell’ordina-mento giudiziario, appena due anni prima, istitutiva, tra l’altro, di un Csm elettivo.

La consapevolezza della necessità di un collegamento con la società, se non con il ceto politico, era del resto già ben presente ad alcuni dei magi-strati, come Saverio Brigante, che si impegnarono per la creazione di una rappresentanza “sindacale” della magistratura, e che auspicavano uno scam-bio fruttuoso di riflessioni e proposte con gli “amici” che guardavano favo-revolmente all’esperienza associativa che stava nascendo.

Come dimostrano gli studi storici sull’argomento, primo tra tutti quello già richiamato di Fernando Venturini, che contribuisce a questo volume con un suo saggio, si trattò di un movimento nel quale confluivano spinte anche eterogenee e talvolta contraddittorie, ma che rappresentava una presa di co-scienza collettiva del ruolo della magistratura, in un Paese in rapida trasfor-mazione.

Lo stesso Venturini, nel suo studio già ricordato, nota come i magistrati romani, l’altra componente fondamentale del nascente movimento associa-tivo, accanto a quella milanese, non intervennero, non condividendo quella che ritenevano la sottovalutazione di alcuni obiettivi ritenuti da loro fonda-mentali, ma furono ugualmente eletti nella Commissione esecutiva, salvo dimettersene in seguito, aprendo un conflitto subito sanato, nella successiva riunione di Milano del 1° agosto.

Certo, la nascita dell’Agmi non può essere isolata dal contesto sociale e politico nella quale avvenne, come ho già notato in riferimento al Proclama di Trani, ed anche, probabilmente, dal più ampio e più lungo processo nel quale maturò, a partire dalle turbolente e complesse vicende del periodo post risorgimentale, dopo l’unità d’Italia, come illustrano in modo estrema-mente efficace gli studi del compianto Pietro Saraceno sul rinnovamento del personale giudiziario negli anni dell’unificazione nazionale.

Saraceno ci permette di gettare uno sguardo documentato, e basato sulla biografia degli interessati, secondo il metodo prosopografico, sulla transi-zione dalle magistrature degli Stati preunitari a quella del nuovo Regno3, molto meno pacifica ed indolore di quanto siamo generalmente portati a pensare, e nella quale si ritrovano sorprendenti spunti di riflessione di gran-de attualità, anche nella materia gran-dei rapporti tra magistratura e politica, oltre a dati di grande importanza sull’estrazione sociale dei magistrati del nuovo Stato.

Se, indubbiamente, la nascita dell’Agmi ha i suoi precedenti immediati nelle vicende del primo Novecento, lo studio del cammino della

3 P. Saraceno ( a cura di), I magistrati italiani dall’Unità al fascismo. Studi biografici e prosopografici, Roma, Caracci editore, 1988.

ra dopo l’Unità d’Italia rappresenta un elemento essenziale per capire l’origine remota di alcune delle tendenze manifestatesi allora, e, forse, anche in anni molto più recenti.

La nascita e le vicende dell’Agmi sono largamente sconosciute anche tra gli stessi magistrati italiani ed il centenario rappresenta un’occasione propi-zia per dedicarvi la dovuta attenzione.

Non si tratta di dare vita a rievocazioni nostalgiche ed oleografiche, di maniera, facendo appello ai buoni sentimenti dei bei tempi che furono, an-che perché non furono bei tempi e, come ci mostrano tutti gli studi già ri-cordati, accanto ad alte idealità si possono ritrovare, nella magistratura di al-lora, anche figure tutt’altro che edificanti, ed esempi di spregiudicato carrie-rismo.

Si tratta invece, per l’Anm, di riflettere sulle proprie radici, per capire se ed in quale misura i pregi ed i difetti di allora si possano ritrovare nell’attuale associazionismo, se e quali caratteri “originari” possano ritrovarsi ancora, e quale sia il legame che unisce le vicende delle due associazioni, ammesso che un legame esista.

Si tratta, anche, di verificare se ed in quale misura la fisionomia della ma-gistratura di quel lontano periodo associativo, pur in contesti assolutamente diversi, sul piano socio-politico, trovi qualche elemento di continuità nella realtà attuale, e se sia ancora presente quel dato, tante volte messo in luce dai commentatori più recenti, di una magistratura divisa tra burocrazia e po-tere dello Stato, tra impiego pubblico ed istituzione.

Il centenario, però, è anche l’occasione, completando così il percorso di quel primo periodo associativo, per riflettere sulla tragica fine dell’Agmi, che si autosciolse nel dicembre 1925 per non confluire nell’associazionismo fa-scista, e per ricordare ed esaltare adeguatamente l’esempio dei colleghi che allora, in primo luogo il segretario generale Vincenzo Chieppa, che poi ri-troveremo, significativamente, reintegrato nella stessa carica, dopo la caduta del fascismo, affrontarono l’allontanamento dalla magistratura, che arrivò puntuale, per il gruppo dirigente, l’anno successivo, per mantenersi fedeli ai principi che avevano sempre proclamato.

L’Associazione non fu soppressa, ma si sciolse in un’assemblea generale tenuta il 21 dicembre 1925, nell’imminenza della scadenza di legge.

Sul momento non vi furono conseguenze, ma, poco prima che scadesse il termine previsto dalla legge 24 dicembre 1925 sull’epurazione, i principali dirigenti furono dispensati dal servizio (con Decreto 16 dicembre 1926) per essere stati giudicati «in condizioni di incompatibilità con le generali diretti-ve politiche del Godiretti-verno».

La dispensa colpì:

Saverio Brigante, consigliere di Cassazione

Roberto Cirillo, sostituto Procuratore generale di Corte di Appello Filippo Alfredo Occhiuto, giudice

Vincenzo Chieppa, giudice (segretario generale dell’Associazione) Giovanni Macaluso, sostituto procuratore.

Altri dodici giudici furono dispensati con altro decreto della stessa data, per vari motivi, sul piano formale.

Grazie alla cortesia del Presidente Riccardo Chieppa, possiamo pubblica-re il decpubblica-reto del 16 dicembpubblica-re 1926 di dispensa dal servizio di Brigante, Ciril-lo, Occhiuto, Chieppa e Macaluso, che costituisce un perfetto esempio delle conseguenze che ha per una magistratura libera l’instaurazione di un regime totalitario.

La motivazione del provvedimento, che porta le firme del re, di Mussoli-ni e di Rocco, costituisce paradossalmente, almeno rispetto alle sue inten-zioni, la migliore attestazione possibile, proprio perché proveniente da quel-lo che era ormai un regime totalitario, dopo le leggi “fascistissime”, del vaquel-lo- valo-re e della coevalo-renza dei colleghi che non vollero scendevalo-re a compromessi con il potere.

La loro prima colpa era quella di avere fondato l’Associazione, responsa-bile di un indirizzo «antistatale, sovvertitore della disciplina e della dignità dell’Ordine giudiziario», indirizzo sovversivo ed antistatale che, come si chiarisce subito dopo, consisteva sostanzialmente nelle critiche al «Governo Nazionale».

I magistrati “sovversivi”, inoltre, avevano solo simulato lo scioglimento dell’Associazione, continuando invece a mantenere «saldi i vincoli associati-vi» ed a pubblicare un giornale.

In definitiva, «i magistrati suddetti» non offrivano garanzie di un fedele compimento dei loro doveri di ufficio, vale a dire di fedeltà al regime, con la conseguente posizione di incompatibilità con le direttive politiche del Go-verno.

Per questo, e per rendere omaggio alla nobile figura di Vincenzo Chiep-pa, ed insieme a lui, a quella dei suoi e nostri colleghi, troppo a lungo di-menticati, abbiamo voluto pubblicare l’editoriale apparso sull’ultimo nume-ro de La Magistratura, e che, benché anonimo, deve essere attribuito pnume-roprio al Presidente.

Le parole di Vincenzo Chieppa, tanto più solenni proprio perché prive di qualsiasi retorica, benché naturalmente, nello stile dell’epoca, costituiscono

Le parole di Vincenzo Chieppa, tanto più solenni proprio perché prive di qualsiasi retorica, benché naturalmente, nello stile dell’epoca, costituiscono