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Alla realizzazione e ad un arricchimento dei contenuti esposti si deve concorrere con la formazione di una Giunta unitaria, in un prossimo

CODICE ETICO

6. Alla realizzazione e ad un arricchimento dei contenuti esposti si deve concorrere con la formazione di una Giunta unitaria, in un prossimo

Comi-tato direttivo centrale, da convocare a breve, per una verifica delle modalità di coinvolgimento anche dei Movimenti Riuniti, dichiaratisi disponibili a da-re il loro contributo.

Vasto, 9 giugno 1991

Raffaele Bertoni, Mario Cicala, Edmondo Bruti Liberati, Stefano Racheli, Ettore Ferrara, Luigi Montoro, Nello Rossi, Mario Almerighi, Gioacchino Izzo, Giuseppe Cariti, Livio Pepino.

XXII Congresso nazionale Milano-Como, 10-13 giugno 1993

Giurisdizione e politica

tra presente e futuro delle istituzioni

di Mario Cicala

Questo XXII Congresso nazionale dell’Anm si apre in un momento sto-rico in cui l’opinione pubblica avverte una indefettibile e primaria esigenza di ritorno alla legalità.

Un ritorno alla legalità che dia rinnovato fondamento etico alla vita so-ciale, che ristabilisca la sovranità politica del popolo italiano, che restituisca vitalità ed efficienza al sistema economico, che ci dia la capacità di essere parte attiva nell’Europa unita.

Molti cittadini sono in prima linea per realizzare questo ritorno alla legali-tà e per contrastare questo stesso ritorno alla legalilegali-tà organizzazioni e poteri occulti non esitano a ricorrere ad assassinii ed attentati.

Mediante questo Congresso i magistrati intendono manifestare in piena trasparenza le concezioni ideali che costituiscono il fondamento della attivi-tà professionale, perché vogliono sottoporre a verifica tali concezioni in un dialogo fecondo e aperto a tutta la società civile; intendono domandarsi qua-le assetto normativo del potere giudiziario sia più adeguato per attuare que-ste concezioni ideali.

A fondamento di esse pongono un principio: la magistratura è strumento della sovranità popolare che si esprime attraverso la legge.

Le leggi che puniscono l’abuso del denaro pubblico, che combattono la criminalità organizzata, che impongono trasparenza nel finanziamento ai partiti, scaturiscono dalle convinzioni dei cittadini, così come espresse dal dibattito politico ed attuate dal Parlamento attraverso le leggi. Ed il sempre maggior numero di procedimenti penali, la loro sempre maggiore incisività sono frutto della collaborazione con la giustizia di cittadini, di operatori e-conomici che si ribellano contro l’oppressione del malaffare, frutto della ab-negazione, con cui altri cittadini, appartenenti alle forze di polizia, si impe-gnano nella lotta alla criminalità.

Quando applica le leggi, e le rende effettive ed operanti, la magistratura attua la sovranità politica del popolo italiano. Pertanto non vi è contrappo-sizione fra politica e giurisdizione; non può esserci perché la corruzione non è un fisiologico modo di essere della politica. La corruzione è soltanto la svendita della politica per fini personali: dove vi è corruzione, dove vi è

col-lusione con i poteri criminali non vi è autentica azione politica e neppure sovranità popolare.

Non vi è autentica democrazia quando sotto le sue forme si nascondono rapporti di potere reale basati sul decadimento del costume civico e morale, su intrecci tra criminalità e uomini appartenenti alle istituzioni.

Per queste ragioni le inchieste giudiziarie in corso non costituiscono una sovrapposizione del giudiziario sulla politica, ma piuttosto uno degli stru-menti attraverso cui il popolo prende coscienza della crisi della politica, del suo venir meno; viene quindi messo in grado di riappropriarsi della sovrani-tà che gli compete, operando le scelte che consentano di “uscire - come si suol dire - da tangentopoli”.

Occorre che il Paese si scrolli l’ipoteca morale e l’enorme costo econo-mico della corruzione; ha detto il Governatore della Banca d’Italia: «Forme di corruzione diffusa nei rapporti fra imprese e sfera pubblica hanno gonfia-to la spesa, leso il buon funzionamengonfia-to del mercagonfia-to, ostacolagonfia-to la selezione dei fornitori e dei prodotti migliori. L’entità di questa tassazione impropria, che da ultimo ricade sui cittadini, la conseguente distorsione nell’allocazione delle risorse, si stanno rivelando di una gravità che sgomenta».

Solo un Paese che abbia contenuto e ridotto l’oppressione della crimina-lità può affrontare adeguatamente le proprie esigenze sociali, politiche, eco-nomiche; e quindi “uscire da tangentopoli” attraverso il rinnovamento com-plessivo delle strutture politiche e sociali. In questo quadro, e solo in un ri-sanato contesto, avrà senso porsi il problema di quella “soluzione giudiziaria a tangentopoli” che costituisce un frammento, un profilo di un problema ben più vasto.

La magistratura, cui non compete interloquire sulle scelte politiche del Paese, avverte invece il dovere di prender parte al dibattito relativo agli stru-menti giuridici con cui si vogliono concludere i processi penali in corso;

perché simile dibattito coinvolge direttamente la funzione giudiziaria ed il suo operare.

Perciò pone in guardia contro improvvidi “colpi di spugna” attuati me-diante legge; contro l’adozione di misure di favore che comunque accordino inammissibili privilegi a specifiche categorie di imputati; contro soluzioni che possano in qualsiasi modo avallare la troppo diffusa opinione secondo cui una condotta spregiudicata e disonesta arreca alla fin fine pochi incon-venienti e comunque maggiori vantaggi di una condotta specchiata ed one-sta.

Così come sente il dovere di ricordare i “colpi di spugna” attuati attra-verso rifiuti di autorizzazione a procedere che si sovrappongono all’attività giudiziaria, la limitano e la condizionano.

Addirittura si profilano rifiuti di autorizzazione a procedere che entrano nel merito dell’accusa, ovvero “prosciolgono” l’indagato, ad esempio, af-fermando che un ente, che pur amministra denaro della collettività, non è un ente pubblico ma privato, il cui patrimonio può essere distrutto senza in-correre nel peculato.

Si profilano atti di rigetto dell’autorizzazione a procedere in cui si chiede l’apertura di un procedimento disciplinare contro il giudice. In questo, come in altre prese di posizione di esponenti politici, volti alla disperata ricerca di una qualche colpa dei magistrati, di una critica da rivolgere alla magistratura, aleggia un grave errore di prospettiva. Perché aleggia la convinzione secon-do cui la corruttela sia tema di privato dibattito fra due corporazioni: i giudi-ci e i politigiudi-ci. E quindi sia suffigiudi-ciente reperire errori o colpe, veri o presunte, dei giudici per pareggiare e chiudere la partita. In quest’ottica si colloca la te-si secondo cui ove l’autorizzazione a procedere te-sia richiesta dopo la scaden-za del termine di 30 giorni posto dall’art. 344 del codice di procedura penale il reato è prescritto; il mancato rispetto di un termine da parte del magistrato verrebbe a compensare ed annullare il mancato rispetto della legge penale da parte dell’indagato.

Noi rifiutiamo con forza questa impostazione, che pure giungerebbe a soddisfare le nostre esigenze più miopi e corporative: le colpe dei magistrati appariranno sempre, in un confronto con quelle dei politici, poco rilevanti.

E questa ovvia constatazione ci potrebbe consentire una sbrigativa autoas-soluzione.

Ma la magistratura non è chiamata a contrapporsi né a raffrontarsi con la classe politica; è chiamata a misurarsi con le esigenze di un Paese che vuole liberarsi dal peso della corruzione e dai suoi costi, che vuole e può raggiun-gere efficienza nella legalità. Vi sono tentativi di fuorviare o impedire questa trasformazione; ma vi sono persone, per fortuna in ogni settore dello schie-ramento politico, che vogliono contribuire alla nascita di un’Italia meno cor-rotta, ove le leggi siano rispettate, dunque più giusta. È sul raffronto con queste esigenze, con questi soggetti, che si misura la “questione morale” del-la magistratura.

Infatti, per rispetto alla sovranità popolare di cui siamo strumento, af-fermiamo che ogni indizio, ogni sospetto su di un magistrato deve essere esplorato ed esaminato fino in fondo nelle sedi competenti, per restituire al cittadino la piena fiducia in ciascuno dei suoi giudici, e per colpire e rimuo-vere errori, colpe, cadute di professionalità; indizi labili, sospetti inverosimili possono essere accantonati senza risposta quando riguardino un privato cit-tadino, non quando riguardino i giudici della Repubblica.

Del pari, la battaglia dell’Anm per l’abolizione di gran parte degli incari-chi extragiudiziari ancor oggi previsti per legge, sarebbe angusta e masoincari-chi-

masochi-stica, se non assumesse significato e spessore quale risposta di adesione al-l’interesse collettivo di rescindere i legami che possono coinvolgere control-lori e controllati. Di tale istanza sono portatrici l’Anm, insieme alle associa-zioni dei magistrati militari, della Corte dei Conti, del Tar e degli Avvocati dello Stato; concordi nell’affermare che l’Italia di “mani pulite” non può tol-lerare giudici collegati in rapporti, talvolta di rilievo economico, con coloro che si sono sottoposti al loro controllo.

Il dibattito circa la concezione ideale e la disciplina normativa della magi-stratura, e sul dover essere dell’Associazione nazionale magistrati, assume autentico significato se rapportato alle esigenze dell’Italia d’oggi. È facile ri-spondere a chi ci domanda «perché solo ora le inchieste di mani pulite?». Ri-spondere ricordando ed elencando le numerose inchieste del passato soffo-cate sia mediante il rifiuto di autorizzazioni a procedere, sia con l’elezione al Parlamento dei principali imputati, sia con amnistie mirate “ad personam”, sia con attacchi ai magistrati che avevano aperto inchieste su potenti, più o me-no me-noti. È troppo facile, ma me-non esauriente.

È più proficuo domandarsi quale ordinamento giudiziario può sorreggere lo spirito di indipendenza, e favorire la spinta ideale dei magistrati: a questa istanza, l’Associazione nazionale magistrati ha risposto chiedendo leggi ispi-rate ai principi della pari dignità delle funzioni, della responsabilità indivi-duale, al rifiuto di gerarchie e di carrierismi.

I “porti delle nebbie” del passato sono stati nutriti e favoriti dal collatera-lismo, dal carrierismo, da protezioni politiche che hanno paralizzato i mec-canismi della responsabilità; sono stati alimentati dall’arbitrario esercizio di poteri gerarchici, al di fuori della trasparenza.

La fine di ogni forma di carriera nasce dalla pari dignità, dal pari rilievo sociale di ciascuna funzione giudiziaria. Trae fondamento dalla convinzione che la giustizia non è un bene scindibile o suddivisibile in settori: alcuni più importanti ed altri meno. Una società, pur più tutelata dalla violenza della mafia, dalla corruzione e dagli inquinamenti degli affari, non è più giusta se non viene, nel contempo, garantito ai cittadini tutto quello che hanno diritto ad ottenere attraverso la giurisdizione civile, amministrativa, tributaria.

In coerenza ad una concezione del magistrato, come soggetto che avver-te ed esercita una diretta responsabilità nella gestione della giustizia, l’Anm deve sviluppare e valorizzare quei momenti, come questo Congresso nazio-nale, in cui ogni singolo è chiamato ad esprimere in prima persona, senza deleghe o rappresentanze, le idealità cui l’Associazione deve ispirarsi.

Nel rispetto di queste idealità abbiamo il dovere di respingere il consiglio codardo che ci giunge da taluni: «attenti magistrati! oggi vi sorreggono il fa-vore popolare e l’indignazione contro la corruzione emersa da tante inchie-ste, ma domani quando l’opinione pubblica sarà dimentica o distratta da

qualche altro evento, pagherete caro, pagherete tutto; sarete posti alle di-pendenze di un potere politico rinnovato e più forte».

Sono convinto che questa velata minaccia risulterà vana, perché la storia di questi anni ha reso ancor più evidente ai cittadini italiani che solo una magistratura indipendente ed autonoma, che comprende in sé il pubblico ministero, può garantire quel rispetto della legge indispensabile per la cresci-ta civile e lo sviluppo economico.

Ma dovremmo respingere questo monito, questa obliqua minaccia quan-d’anche fossimo convinti che essa rispondesse al vero.

Indipendenza, autonomia, autogoverno hanno un significato ed un valo-re solo fin quando la magistratura saprà trarvalo-re dalla propria coscienza civile la forza di affermare sempre e comunque lo spicchio di verità che affiorava sempre dai processi. Queste parole diverrebbero una contraffazione, un in-ganno, se attribuite ad una magistratura acquiescente nei confronti del pote-re. Meglio una magistratura asservita per legge che una magistratura servile nello spirito, cieca di fronte a crimini e sopraffazioni che oggi minano il no-stro Paese.

Consci della portata, ma anche dei limiti che la Costituzione pone alla funzione giudiziaria, i magistrati continueranno a svolgere il loro compito di garanti della legalità, nel pieno rispetto delle scelte politiche operate dalla legge.

Coloro che operano nel mondo della giustizia, uomini delle forze di poli-zia, avvocati, funzionari, magistrati, ciascuno nel rispetto del proprio ruolo, sono tutti chiamati a contribuire, per la parte che loro compete, al progresso civile della società.

Consapevole della gravità dei problemi che il Paese ha di fronte, ma an-che della motivazione civile, del desiderio di pulizia an-che anima i cittadini, della domanda di giustizia che essi esprimono, la magistratura adempirà con spirito di servizio alle funzioni che le sono affidate.

XXIII Congresso nazionale Taormina, 25-28 gennaio 1996

Governo della giustizia e autogoverno dei giudici

di Antonio Germano Abbate

Dopo decenni l’Associazione nazionale magistrati organizza di nuovo un suo Congresso in Sicilia, in una terra che non è, non può essere, solo mafia, ma dove ancora esiste - ne siamo certi - rispetto della legge, voglia di Stato e di convivenza civile.

E il nostro vuole essere anche un atto di omaggio alla memoria di tanti servitori dello Stato, di tanti indimenticabili colleghi uccisi dalla bestiale, cie-ca violenza di un’organizzazione criminale pronta a tutto.

Lo sappiamo bene: perché la mafia non vinca la sua guerra non bastano solo interventi repressivi, per quanto incisivi, ma serve ben altro, servono ben altre iniziative, più complesse ed articolate. E occorre anche sperare nei giovani, nella società civile, nella cultura, nella reazione di coloro ai quali, appunto, i nostri colleghi si rivolgevano e ai quali intendevano comunicare la loro passione per la giustizia, e la ricerca della verità, il loro bisogno di vi-vere in libertà.

Anche per tutti loro, persone dotate di carisma, di idee, di coraggio, ab-biamo l’obbligo di dare impulso ad un progetto per costruire una società a misura d’uomo, più onesta e più giusta, tracciando le linee essenziali per rea-lizzare quel sogno di libertà, di pulizia, di democrazia vera per cui non in-tendiamo rassegnarci a subire il potere della mafia.

E noi siamo qui a testimoniare che non abbiamo dimenticato nulla e, in nome dello Stato, di cui siamo parte essenziale, intendiamo continuare ad esercitare un controllo di legalità capace di restituire serenità e sicurezza ad una collettività martoriata.

1. Questo Congresso si apre in una stagione delicata della vita della nostra