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Se, dunque, questo è il quadro della giustizia italiana, non si può non con- con-venire che la responsabilità di definire le linee politiche generali per il

CODICE ETICO

7. Se, dunque, questo è il quadro della giustizia italiana, non si può non con- con-venire che la responsabilità di definire le linee politiche generali per il

fun-zionamento del servizio, e di darvi in concreto attuazione, appartiene a di-versi soggetti istituzionali, per cui è impropria la ricorrente polemica che fa carico soltanto alla magistratura o al Csm delle disfunzioni complessive del servizio stesso.

Intanto, è ben chiaro che, per garantire che l’attività giudiziaria sia sem-pre esercitata in piena coerenza con i principi costituzionali posti a sem-presidio dei diritti e delle libertà individuali, spettano al Parlamento e al Governo quelle scelte normative e amministrative che siano utili ad accrescere la ca-pacità e potenzialità del sistema giustizia e, insieme, pongano precisi argini contro ogni possibile abuso o deviazione.

Si è detto che la storia del Paese è costellata di tante inadempienze al ri-guardo.

Ma se nemmeno l’alto monito rivolto dal Presidente della Repubblica e dai Presidenti delle Camere con il comunicato del 13 novembre 1996 a por-re all’ordine del giorno del Governo e del Parlamento la questione giustizia

«per rispondere, con l’adozione di appropriate misure, a necessità essenziali»

riuscirà a trovare ascolto tra le forze politiche, allora significa veramente che

in questo Paese non si vuole che il controllo di legalità funzioni in maniera efficace e che la macchina giudiziaria deve, anzi, procedere stancamente senza alcuna accelerazione e senza creare disturbo ai “manovratori” del momento.

Principalmente, va sottolineato che l’articolo 110 della Costituzione at-tribuisce al Ministro di Grazia e giustizia «ferme le competenze del Consi-glio superiore della magistratura… l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia».

E la Corte costituzionale, superando interpretazioni riduttive della nor-ma, ha finito con il riconoscere al Ministro un ruolo concorrente o interfe-rente con quello del Csm di notevole consistenza, essendo egli «l’organo tecnicamente qualificato e politicamente idoneo a presiedere alle relazioni tra il Governo e l’amministrazione della giustizia», rimanendo «l’unico orga-no politicamente responsabile davanti al Parlamento».

La giurisprudenza della Corte ha ormai sancito la necessità di «un rappor-to di collaborazione» tra Ministro e Csm, anche in tema di cosiddetrappor-to “con-certo” per il conferimento di incarichi direttivi, precisando che le compe-tenze ministeriali comprendono «sia l’organizzazione degli uffici giudiziari nella loro efficienza numerica, con l’assegnazione dei magistrati in base alle piante organiche, sia il funzionamento dei medesimi in relazione all’attività e al comportamento dei magistrati che vi sono addetti».

Ha preso vigore negli ultimi tempi quella tesi del policentrismo funziona-le incentrata sul riaggiustamento dei rapporti e degli equilibri «per risistema-re gli assetti delle competenze nel governo della magistratura e per corrisistema-regge- corregge-re certe prassi del Csm», posto che tcorregge-re sono i poli di governo specifico, il primo derivante dal potere diffuso, da correlarsi ai compiti dei dirigenti degli uffici, il secondo, di maggiore ampiezza, che fa capo al Consiglio superiore, e l’altro, minore, ma niente affatto marginale, del Ministro.

Ma, indipendentemente da qualsiasi nuova teorizzazione, è comunque pacifico che proprio la mancanza di una struttura all’altezza del compito impegnativo affidatole e in grado di fornire risposte soddisfacenti alle istan-ze di rinnovamento provenienti da più parti ha lasciato deteriorare la situa-zione sino a livelli di guardia.

Nessun razionale progetto complessivo è stato mai varato per assicurare un’efficiente organizzazione degli uffici e il buon funzionamento dei servizi:

i provvedimenti assunti hanno avuto spesso il connotato dell’improvvisa-zione e dell’occasionalità, privilegiando sovente soltanto chi è riuscito a far sentire forte la propria voce e, magari, a scapito di altre realtà pur aventi maggior diritto a mezzi e strumenti per un minimo di operatività.

Né sul piano normativo e ordinamentale si sono registrati interventi ca-paci di far “volare alto” un’istituzione così importante nella vita del Paese.

Nonostante che siano state insediate, sciolte e rinominate tante commis-sioni di studio, composte da docenti ed esperti di vari settori, sino ad oggi non è venuto alla luce un solo provvedimento articolato di revisione dell’as-setto ordinamentale della magistratura, risalente nel suo impianto al passato regime, e ancora non si vede all’orizzonte la prospettiva di una diversa rego-lamentazione del reclutamento, della selezione e della formazione perma-nente dei magistrati, a cominciare dall’istituzione di una vera e propria

“scuola della magistratura”, richiesta dal Csm e le cui linee portanti sono state in parte trasfuse tempo addietro in una convenzione stipulata dallo stesso Consiglio con il Ministro di Grazia e giustizia.

Ed è superfluo star qui a ricordare come sia indispensabile che si approvi tempestivamente una legge più puntuale e coerente sulla responsabilità di-sciplinare dei magistrati in grado di individuare specifiche figure di illeciti idonee a superare l’attuale vaga ed equivoca formulazione dell’articolo 18 del Regio decreto del 31 maggio 1946 sulle guarentigie della magistratura.

Da ultimo, è il caso di soffermarsi sull’intreccio di attribuzioni consiliari e ministeriali in ordine all’amministrazione degli apparati giudiziari, per rimar-care l’urgenza di misure che attivino un miglior coordinamento tra gestione dei servizi e del personale ausiliario e gestione del personale-magistrati e concorrano a risolvere le difficoltà pratiche relative ai trasferimenti disposti da un organo ed attuati dall’altro senza una puntuale contestualità, con tutte le conseguenze negative che sono facilmente immaginabili.

Ma la peculiare collocazione del Ministro di Grazia e giustizia deve far ri-flettere sulla entità e sui contenuti degli interventi per impedire che siano toccate autonomia ed indipendenza della magistratura e per garantire risulta-ti adeguarisulta-ti nell’adempimento dei doveri indicarisulta-ti dall’arrisulta-ticolo 110 della Cosrisulta-ti- Costi-tuzione.

È da tempo che si va sostenendo che è necessaria una sollecita riforma del ministero che tenga conto della sua fisionomia e delle sue competenze:

proprio perché “ministero di servizi e di funzioni”, esso ha bisogno di con-tributi, di aperture più moderne e di una ordinata ristrutturazione capace di accrescere incisività ed efficienza, con l’innesto di energie professionali qua-lificate ed un intelligente ridimensionamento della presenza dei magistrati, limitandola a quegli uffici la cui attività sia connessa in modo intrinseco con le necessità tipicamente giudiziarie, nonché con un ampio decentramento soprattutto per quanto attiene al reperimento e alla gestione delle risorse e all’impiego del personale ausiliario all’interno delle singole aree distrettuali.

In questo contesto, nella consapevolezza della delicata funzione dello strumento di controllo ispettivo, è altrettanto ineludibile una definizione ri-gorosa dei poteri del Ministro di Grazia e giustizia e dei relativi confini per evitare, coerentemente ai principi enunciati nella Carta costituzionale, anche

e solo il sospetto di inammissibili condizionamenti della giurisdizione e della libertà di determinazione dei giudici.

È ben vero che, a seguito di iniziative clamorose assunte negli ultimi me-si dal Ministro nei confronti dei magistrati della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, il Csm, con circolari e deliberazioni di massi-ma, ha fissato alcuni orientamenti, ponendo, in particolare, attenzione ai li-miti propri del sindacato di inchiesta in rapporto al segreto investigativo e ai profili delle garanzie difensive dell’inquisito.

E tuttavia oggi si impone una revisione seria e costruttiva delle norme concernenti le ispezioni, le inchieste e quella figura “polimorfa e ambigua”

che è l’ispezione mirata, oltre che dello stesso Ispettorato, con una defini-zione chiara dei compiti, poteri e collocadefini-zione degli ispettori conforme al dettato costituzionale e capace di assicurare imparzialità nell’accertamento della verità.

Bisogna ristabilire subito un clima di tranquillità e di trasparenza, anche per porre riparo alla rottura del circuito fiduciario che ha indotto il Csm dapprima a non utilizzare i magistrati dell’Ispettorato di cui, pure, dovrebbe avvalersi, ai sensi dell’articolo 8 della sua legge istitutiva, e poi a farsi promo-tore della creazione di un diverso ufficio ispettivo, direttamente incardinato presso il Consiglio.

Indipendentemente da ogni altra valutazione, questa proposta è certa-mente l’ulteriore spia di una situazione di malessere istituzionale che non può non essere superata, anche per restituire la dovuta legittimazione ai numerosi magistrati dell’Ispettorato dotati di sicura professionalità.

8. Un rilancio del ruolo della giustizia come ruolo di regolazione dei