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Si è fatta più evidente, negli ultimi anni, l’esigenza che diventi sempre maggiore la capacità professionale dei giudici, e non solo sul versante

CODICE ETICO

3. Si è fatta più evidente, negli ultimi anni, l’esigenza che diventi sempre maggiore la capacità professionale dei giudici, e non solo sul versante

dell’informazione e della cultura giuridica. Tutti pensano, o almeno dicono, che è anzitutto necessario, in conformità delle proposte da tempo avanzate dall’Associazione e dal Csm, un sistema di reclutamento dei magistrati capa-ce di assicurare un accapa-certamento approfondito della preparazione, dell’equi-librio e in genere delle doti complessive dei candidati. Occorre d’altra parte che siano apprestate norme e mezzi che consentano un potenziamento ed una verifica costante della professionalità dei magistrati, non solo all’inizio ma anche nel corso della loro attività, in modo che ciascuno possa dare in ogni momento al suo mestiere di giudice la forma e i contenuti più adeguati alle esigenze, tanto diverse da quelle del passato, che la società esprime.

In questa direzione sono stati elaborati nel corso degli anni molti proget-ti, ma nessuno ha avuto fortuna. Da oltre un anno, la Commissione Giusti-zia della Camera ha approvato un disegno di legge che sostituisce alle attuali promozioni automatiche controlli periodici della laboriosità e delle attività dei singoli e che inoltre subordina il conferimento dei diversi uffici e delle diverse funzioni, in cui si articola la funzione giudiziaria, all’accertamento ri-goroso della capacità professionale degli aspiranti. Purtroppo però quel pro-getto è fermo al palo di partenza, quando invece sarebbe indispensabile ac-celerarne l’approvazione e magari arricchirlo con la previsione di criteri di controllo più rigidi e con l’esclusione di ogni forma di carriera, anche soltan-to economica, per i magistrati che non superino le prescritte valutazioni. Al contrario, stando alle voci che escono da via Arenula, sembra addirittura profilarsi la possibilità di un reclutamento straordinario dei magistrati, rea-lizzato mediante procedure diverse da quelle, già palesemente insufficienti, dell’attuale sistema di concorso. Sarebbe un colpo mortale e definitivo alla credibilità della giustizia. Francamente mi stupisce che il ministro Vassalli e

il Presidente Andreotti non smentiscano una volta per tutte le voci che cir-colano, e ugualmente mi meraviglia che un’ipotesi del genere non susciti, in-sieme alla nostra, l’indignazione di tutti, essendo evidente che l’eliminazione delle prove scritte di concorso farebbe cadere quella barriera dell’anonimato, che costituisce oggi l’unica, effettiva garanzia di imparzialità contro il fiume di raccomandazioni, di privilegi, di discriminazioni e di possibili, pericolose lottizzazioni, che altrimenti scorrerebbe inarrestabile.

4. Non ci può essere vera giustizia, se non sia assicurato l’indipendente eser-cizio della giurisdizione. È convinzione comune perciò che il giudice deve essere soggetto soltanto alla legge, e non solo perché lo prescrive la Costitu-zione, ma perché l’osservanza della legge è l’unico strumento che consente al giudice di sfuggire ad altre soggezioni, di affrancarsi da antiche e nuove servitù, di liberarsi dalle sue stesse passioni. Anche qui però le parole sono diverse dai fatti, perché non si provvede a trovare i meccanismi necessari per spezzare i cordoni impropri che possono legare, e qualche volta effetti-vamente legano, i giudici a centri di potere, perché al contrario si attuano o si propongono riforme capaci di limitare l’indipendenza dei magistrati. Così è anzitutto per quanto riguarda le proposte di revisione della struttura del Csm. L’attuale composizione del Consiglio assicura la sua autonomia rispet-to a schieramenti politici precostituiti e perciò è proprio attraverso questa autonomia e dunque in virtù del peso determinante che vi esercitano i com-ponenti magistrati che il Consiglio può garantire, ovviamente nell’interesse dei cittadini, l’indipendenza esterna dell’ordine giudiziario. Di conseguenza, ogni riforma che tendesse ad aumentare i componenti di estrazione politica rispetto a quelli eletti dai magistrati consegnerebbe il Consiglio nelle mani dei partiti, lo trasformerebbe davvero in un vertice politico della magistratu-ra. E forse non dico troppo se dico che, in un Paese in cui perfino la sanità viene amministrata secondo logiche di partito, è ancora interesse di tutti che almeno la giustizia rimanga libera, nei limiti in cui oggi lo è, dai vincoli letali della partitocrazia. E non si pecca forse di ipocrisia se si fa credere che le di-sfunzioni dei Consiglio dipendono dall’attuale legge elettorale dei compo-nenti magistrati? Questo della modifica della legge elettorale è certamente un problema che l’Associazione è pronta ad affrontate con la massima di-sponibilità: ma deve essere chiaro che non sono riforme di questo tipo che possono garantire il corretto funzionamento del Csm. A questo scopo sa-rebbero necessari interventi di tutt’altro segno, diretti ad evitare che il Con-siglio sia costretto a muoversi e a decidere senza potersi giovare di precise indicazioni legislative sia per ciò che riguarda i limiti dei suoi poteri sia per quanto attiene ai contenuti dei vari provvedimenti che deve prendere rispet-to ai singoli magistrati. Sul punrispet-to però non si fa nulla e nemmeno si riesce

ad approvare la legge sui Consigli giudiziari, che, col potenziamento delle funzioni di questi organi, aiuterebbe il Csm ad esercitare in termini più ade-guati ed efficaci i poteri di propria competenza.

Su un altro versante, è fuori discussione che la gente non tollera il giudice politicizzato, che sia o possa anche soltanto apparire guidato da una precon-cetta parzialità per i vincoli che lo leghino a organizzazioni politiche o per la situazione in cui si trovi di poter subire condizionamenti o pressioni. Per e-vitare inconvenienti del genere, il disegno di legge che vieta l’iscrizione dei magistrati ai partiti è un primo passo avanti, di per sé apprezzabile; ma mol-te altre cose, sulla smol-tessa via, si dovrebbero fare e non si fanno: in primo luogo quella di trovare i mezzi per troncare ogni forma di rapporto dei giu-dici con la politica militante, e ciò con riguardo non solo ai partiti di opposi-zione, ma anche a quelli di governo e poi per vietare ai magistrati tutti quegli incarichi giudiziari, a cominciare dagli arbitrati, che possano appannarne l’imparzialità.

Non si può infine fare a meno di aggiungere che la giusta esigenza di fa-vorire la mobilità dei magistrati sul territorio e tra i diversi uffici non può es-sere soddisfatta con provvedimenti che incidano sul principio di inamovibi-lità, trasformando i giudici in birilli, in venditori ambulanti di giustizia.

5. Collegato al tema dell’indipendenza è quello della responsabilità. Da tem-po l’Associazione chiede una nuova normativa sulla restem-ponsabilità discipli-nare, ma il disegno di legge in materia è fermo a Montecitorio da più di un anno. Eppure, se davvero si vuole, come si dice, punire severamente i magi-strati che sbagliano, evitare zone franche e insieme tutelare l’onore di chi sia ingiustamente denigrato, occorre dar vita ad un preciso codice deontologi-co, così come appunto fa la legge all’esame del Parlamento, mediante la tas-sativa previsione di specifiche fattispecie di illecito disciplinare. Attualmente, l’estrema genericità delle norme vigenti si presta ad applicazioni distorte, in quanto le maglie larghe della legge consentono salvataggi ingiustificati o i-nammissibili persecuzioni oppure determinano l’impossibilità di dimostrare la responsabilità dell’incolpato. L’elenco degli illeciti eliminerebbe questo in-conveniente e d’altra parte la previsione dell’obbligatorietà dell’azione disci-plinare per il Procuratore generale impedirebbe ingiuste discriminazioni.

Tutti coloro che si rendessero colpevoli degli illeciti previsti, non potrebbe-ro sfuggire alla punizione. Sarebbepotrebbe-ro puniti, tra gli altri, i magistrati che par-lano dei processi che fanno: e quando sbagliano, dovrebbero essere puniti anche i magistrati che contano e che talora contano proprio perché stru-mentalizzano la loro funzione e i loro alti seggi, per guadagnarsi facili popo-larità o, peggio, per fini meno confessabili. In più, con un repertorio di norme scritte a disposizione, la Sezione disciplinare del Csm non potrebbe

essere accusata, come tante volte avviene oggi, di decidere i casi portati a sua conoscenza, secondo logiche politiche e non giuridiche; sicché non si comprende perché non si fa la riforma, se non si vuole pensare che, col si-stema vigente, si cerca di mantenere i giudici nel limbo dell’incertezza, per riservarsi altresì l’arma della denigrazione contro la Sezione disciplinare ed il Csm.

6. Sulla questione dell’efficienza, l’Associazione ha avanzato in questi anni e