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L’analisi di qualità del risultato della biopsia in termini di lunghezza del frustolo ottenuto dimostra risultati eccellenti rispetto ai dati riportati dalla letteratura internazionale, che indicano nei 2 cm di lunghezza un campionamento più che adeguato (92). La lunghezza media del frustolo (2,7 cm) è risultata essere superiore rispetto alla media di 1,5 cm e al range di 1-4 cm dei lavori in letteratura: lo stesso dimostra come le caratteristiche del frustolo varino significativamente in base all’eziologia in relazione alla diversa incidenza di cirrosi epatica.

In ordine decrescente le dimensioni del frustolo sono state: epatite autoimmune (3,23 cm), epatopatia metabolica (3,17 cm), colangite biliare primitiva (3,01 cm), colangiopatie (2,91 cm), miscellanea di altre epatopatie (2,67 cm), epatite cronica B (2,61 cm), epatite cronica C (2,51 cm). In ogni caso, le dimensioni medie del frustolo sono risultate essere tali da garantire il numero minimo di spazi portali completi (11), utili a poter quantificare in modo affidabile lo stadio della fibrosi.

Il decrescere della lunghezza del frustolo è in relazione con la maggior frammentazione dello stesso, associata alla prevalenza della cirrosi che rende il tessuto più friabile e suscettibile di frammentazione durante la manovra di estrazione dell’ago dopo la puntura del fegato. Il frustolo di fegato ottenuto durante la procedura (ago Menghini calibro 1.6-1.4) è risultato comunque integro nella maggior parte dei casi (64%).

Questo risultato che evidenzia l’eccellenza del risultato ottenuto con la procedura bioptica presso l’UO di Epatologia è molto rilevante in quanto la valutazione del grado di infiammazione e stadio di fibrosi sono state e rimangono oggi le ragioni principali per cui viene eseguita una biopsia epatica; essi delineano una parte molto importante del quadro istopatologico con rilevanti implicazioni di carattere diagnostico e prognostico (3).

La percentuale relativa di biopsie effettuate all’anno è diminuita progressivamente nel tempo di circa tre volte: nel 2001 i pazienti sottoposti a biopsia erano il 9,3% del totale contro il 3,7% del 2011. Tuttavia, andando a vedere il tracciato, notiamo che un netto calo è avvenuto nel periodo 2001-2008 (dal 9,3% al 2,3% sul totale dei pazienti rispettivamente) mentre dal 2009 al 2011 il numero delle biopsie è leggermente aumentato per poi stabilizzarsi.

119 Le ragioni di questa progressiva caduta sono da ricercare nel fatto che la diagnosi nelle epatiti croniche virali era inizialmente bioptica. L’introduzione di metodi di valutazione non invasiva, sensibili e specifici per la diagnosi e il monitoraggio nel tempo del danno da eziologia virale (ad esempio: sierologia per epatite B, C e D) e di altra natura (ad esempio: autoanticorpi antimitocondri M2 nella colangite biliare primitiva, screening genetico per l’emocromatosi ereditaria), unito alla riduzione dei nuovi casi di epatiti croniche virali, ha portato ad una diminuzione del numero delle biopsie eseguite (65).

I pazienti maschi sono più rappresentati (62,2%) rispetto alle femmine (37,8%) con la maggior parte della casistica (79%) che ricade tra i 30 e i 59 anni. Tale prevalenza rispecchia quella della patologia epatica in generale che prevale nei maschi rispetto alle femmine (118). Le epatiti croniche di origine virale sono le due più frequenti patologie per cui è stata eseguita la biopsia epatica (49,7% per HCV e 21% per HBV), seguite in ordine dalle colangiopatie (10,7%), altro (5,9%), dalla colangite biliare primitiva (5,3%), dall’eziologia metabolica (4,5%) e dall’AIH (2,9%). Tale frequenza è in linea con i dati di recenti studi (65).

Le epatiti croniche virali prevalgono nel sesso maschile (77,1% per HBV e 66,1% per HCV) come l’eziologia metabolica (76,5%). Tale frequenza è più elevata della media generale in quanto rispecchia l’epidemiologia prevalentemente maschile di tali patologie (118). L’AIH (95,5%) e la CBP (95%) sono invece più frequentemente associate al sesso femminile (58) (66) che prevale epidemiologicamente per morbilità e mortalità in queste malattie (118). Infine i quadri colangiopatici sono equamente distribuiti tra i due sessi (50%).

Nell’analisi dell’andamento temporale delle biopsie eseguite per eziologia dell’epatopatia notiamo dei trends interessanti. Il numero di biopsie effettuate per infezione da HCV dal 1999 (67%) al 2011 (36%) si è dimezzato, mentre le biopsie per l’infezione cronica d HBV invece sono rimaste complessivamente stabili (19% nel 1999 e 20% nel 2011).

I motivi sono verosimilmente dovuti al fatto che nell’epatite cronica C, dopo la diagnosi e definizione dello stadio iniziale della malattia, non sono più indispensabili controlli bioptici successivi. Ciò è dovuto al netto e progressivo miglioramento di efficacia della terapia antivirale che permette di guarire oggi circa il 98-99% dei casi che non hanno ancora sviluppato la cirrosi istologica e rallentare la progressione di malattia, riducendo l’incidenza di epatocarcinoma nei casi con cirrosi già presente all’inizio del trattamento.

120 Secondo il comitato AISF, la triplice-terapia (Peg-IFN + Ribavirina + inibitore delle proteasi di prima generazione), per il trattamento dei pazienti con epatite cronica da HCV genotipo 1, è indicata nei pazienti con fibrosi almeno moderata (METAVIR ≥F2), con priorità per i pazienti con fibrosi severa (METAVIR F3) e cirrosi compensata (METAVIR F4) in classe Child-Pugh A. Nei pazienti con fibrosi assente o lieve (METAVIR F0-F1), essa deve essere valutata caso per caso. I pazienti non sottoposti a trattamento devono essere monitorati periodicamente, con frequenza variabile in funzione dello stadio di fibrosi, per evidenziare un’eventuale tendenza evolutiva della malattia epatica. Inoltre nei pazienti sottoposti al trattamento è possibile controllare l’andamento di malattia con metodi non invasivi per valutare indirettamente la fibrosi epatica come l’elastografia transitoria ad ultrasuoni (Fibroscan®) (119).

Per l’infezione cronica da HBV, la biopsia epatica non è eseguita in tutti i pazienti affetti da epatite B al momento della diagnosi, per le possibilità date dall’uso appropriato dei marcatori sierologici virali (22), che permettono di caratterizzare con adeguata accuratezza diagnostica le diverse fasi dell’infezione cronica (immunotolleranza, immunoattivazione HBeAg positiva o negativa, infezione non attiva). Tuttavia, la valutazione bioptica fornisce ancora importanti e più precise informazioni sulla: fase di infezione (mediante la colorazione immunoistochimica degli antigeni virali nel tessuto epatico e determinazione degli acidi nucleici virali con tecniche di ibridizzazione in situ (14), natura quali- quantitativa dell’infiltrato infiammatorio, gravità e stadio della malattia epatica e presenza di importanti co-fattori di danno epatico (accumulo di grasso e ferro) (14).

È interessante notare che il numero dei prelievi bioptici in cui si riscontra la presenza di quadri di colangiopatia è in aumento (4% nel 1999 contro il 17% del 2011). La CBP, nello specifico, è passata dal 2% (1999) all’8% (2011) del numero di biopsie. Le ragioni sono associate con l’aumento di incidenza epidemiologica di tali epatopatie (120) e al fatto che la biopsia in questo caso può essere utile non solo nella stadiazione del danno epatico ma anche alla scelta e monitoraggio di diversi schemi terapeutici in quanto in questi casi la terapia non è mirata all’agente eziologico che non è noto, ma all’attenuazione del processo patogenetico (es. immunosoppressione e/o protezione del danno biliare con sali biliari).

La diagnosi di epatite autoimmune richiede la biopsia epatica per evidenziare la presenza degli aspetti caratteristici escludendo altre condizioni simili all’AIH e soprattutto nei casi senza o con bassi livelli di autoanticorpi circolanti. Inoltre nelle forme di epatopatie autoimmuni con scarsa risposta al trattamento

121 può essere molto utile la biopsia epatica di controllo per escludere altre malattie concomitanti (60). L’esame istologico è essenziale quindi per valutare sia la gravità della malattia che definire lo schema di trattamento (58).

Il riscontro di epatite autoimmune nelle biopsie effettuate è stato infatti complessivamente stabile: 4% nel 1999 e 5% nel 2011. Nel 1999 l’eziologia metabolica era assente mentre nel 2011 rappresenta l’8% nelle biopsie. Le ragioni stanno nell’aumento esponenziale in questi anni dell’incidenza della NAFLD associata allo stile di vita sedentario e alla dieta ricca di grassi (59).

L’alterazione architetturale epatica, segno di epatopatia in stadio evolutivo avanzato (cirrosi epatica) è risultata assente nella maggior parte dei casi (88,9%). Il dato conferma la qualità dell’appropriatezza nelle indicazioni alla biopsia epatica in quanto, la corretta gestione dei pazienti con danno epatico più avanzato, indirizza oggi all’uso di tecniche di imaging non invasivo per il monitoraggio della cirrosi epatica e lo screening personalizzato per la diagnosi precoce di epatocarcinoma (63). L’alterazione istopatologica suggestiva di cirrosi è stata riscontrata più frequentemente in corso di CBP (12,5%), epatite cronica C (12,4%) e B (11,5%).

Il superamento della lamina limitante da parte dell’infiltrato infiammatorio è significativamente presente nella casistica esaminata, in particolare è focale nel 61,3% dei casi per HCV, nel 54,8% per HBV e nel 45,5% per l’AIH. L’epatite periportale è infatti una lesione distintiva di epatite cronica virale (50) (51). L’infiltrato è invece confinato nello spazio portale in corso di quadri colangiopatici e metabolici. In corso di NASH la lesione necro-infiammatoria parte dall’area centrolobulare dove risiedono gli epatociti deputati ai processi metabolici e detossificatori, mentre nei quadri colangiopatici l’interessamento epatocellulare si verifica, solitamente, soltanto negli stadi avanzati essendo la noxa patogena localizzata primariamente nei piccoli e/o grandi canalicoli e dotti biliari. In corso di ostruzione biliare e colestasi, rilievi istologici associati comprendono infiltrati periduttulari di neutrofili (59), riscontrati in un 35% dei casi di colangiopatia.

In corso di epatite cronica l’infiltrato infiammatorio è costituito prevalentemente da linfociti (50) (51), in questo studio sono presenti complessivamente nel 79,6% dei casi. I casi di AIH mostrano l’infiltrato caratterizzato della specifica elevata presenza di plasmacellule (77,3%, P <5×10-24) tipico della malattia (58). La CBP è associata ad un infiltrato costituito prevalentemente da linfociti (95%), plasmacellule (55%), eosinofili (72,7%) e in alcuni casi dai patognomonici granulomi epitelioidi (42,5%), coerentemente con la letteratura (60).

122 Linfociti (77,4%) in aggregazione follicolare (43,5%) si ritrovano e caratterizzano l’epatite cronica C; i follicoli linfoidi portali sono peculiari della patologia (52). Significativo e coerente con la letteratura (52) è il rilievo istologico dell’organizzazione follicolare dell’infiltrato in corso di HCV rispetto ad HBV. Essa è dovuta alla glicoproteina E2 dell’envelope di HCV che si lega al CD81 presente sui linfociti B. Questa interazione porta all’attivazione, all’aggregazione e all’aumentata sopravvivenza delle cellule B. L’innesco della mutazione del gene VH, anch’essa prodotta da questa interazione, può risultare nella crioglobulinemia mista e in un linfoma non-Hodgkin (121). La presenza di follicoli è associata ad HCV nel 95,9% dei casi.

I granulomi, quando presenti, lo sono per un 75% in corso di epatite HBV-correlata nel confronto con HCV. In letteratura è riportata la presenza temporanea di granulomi, prevalentemente composti da macrofagi CD 68-positivi (dimostrati all’immunoistochimica tramite anticorpi monoclonali murini anti- CD 68), in pazienti affetti da infezione cronica da virus dell’epatite B. Linfociti sono stati osservati perifericamente ai granulomi. La risposta infiammatoria proliferativa potrebbe essere dovuta ad una reazione immunologica nei confronti di HBV o di antigeni HBV-correlati (122). Nell’epatite cronica B si evidenzia un grado variabile di infiammazione portale prevalentemente linfocitaria (14), presenti, in questo studio, nell’80,3% dei casi.

La necrosi a ponte, segno di danno epatico progressivo ed esteso, si è manifestata con ponti porto- centrali in quasi la metà dei casi di epatite autoimmune (45,5%) e nelle epatiti croniche virali (25,5% per HCV e 23,6% per HBV). I ponti porto-portali sono anch’essi distribuiti con una buona percentuale nelle epatiti virali croniche (25,3% per HCV e 22,9% per HBV) anche se sul totale delle biopsie sono infrequenti.

La fibrosi perivenosa è risultata assente nel 73,3% delle biopsie. È però frequente in forma lieve (47,1%) in corso di epatopatia metabolica in cui il danno parenchimale si sviluppa a partire dalla zona centrolobulare. La forma lieve si associa anche all’AIH per un 40,9%. La forma severa è stata riscontrata in un numero esiguo di casi.

La steatosi epatica prevale naturalmente nelle epatopatie associate ai quadri clinici dismetabolici. La forma microvescicolare è stata lieve nel 38,2% e severa nel 23,5% rispettivamente. La steatosi macrovescicolare mostra un’associazione ancora più spiccata (lieve nel 55,9% e severa nel 41,2% dei casi). I dati sono in linea con il fatto che l’accumulo lipidico è la caratteristica patognomonica dell’eziologia metabolica del danno epatico.

123 La steatosi macrovescicolare in forma lieve è rappresentata in particolar modo anche nelle epatiti da HCV (57,3%). Anche questo è un dato coerente e tipico dell’epatite cronica C (52) infatti la steatosi, macrovescicolare o mista è una caratteristica specifica dell’epatite cronica C (52) . La presenza della variante micro (71,7%) e macrovescicolare (74,7%) è risultata infatti essere prevalente nell’infezione da HCV rispetto a quella da HBV. Il deposito di ferro che si verifica a livello epatocitario e delle cellule di Kupffer (49) è un’altra peculiarità dell’infezione da HCV, associato per un 70,6%, nel nostro caso, rispetto ad HBV.

Quadri avanzati di steatosi, con progressiva confluenza dei vacuoli lipidici e creazione di strutture intracellulari voluminose, possono determinare una sub-ischemia del parenchima epatico. È interessante però notare che la steatosi epatica non è comunque significativamente meno prevalente nell’epatite cronica B (vedi risultati analisi multivariata) in cui costituisce un co-fattore importante di malattia più evolutiva. Tale dimostrazione è in linea con le evidenze di uno studio in cui è stato rilevato che la steatosi sia più frequente nell’epatite cronica B che nella popolazione generale, ipotizzando che questo possa essere dovuto a fattori metabolici o alla capacità di HBV di facilitarne indirettamente lo sviluppo (21).

I nuclei iperglicogenati sono molto presenti nel danno di tipo metabolico (76,5%) e in misura variabile ma minore anche nelle altre eziologie. Nella NASH la loro presenza in zona periportale può essere segno di progressione della malattia verso la cirrosi epatica (123). Sono frequentemente associati alla sindrome metabolica (in forte aumento nei paesi occidentali per lo stile di vita sedentario e la dieta ricca di grassi), al deficit di α1-antitripsina, alla malattia di Wilson (che presenta vacuoli intranucleari contenenti glicogeno o acqua) (59).

Il pigmento lipofuscinico rappresenta un prodotto della perossidazione lipidica e un indicatore del danno ossidativo (59). Si osserva nelle cellule che subiscono lenti cambiamenti regressivi, ed è particolarmente evidente nel fegato dei pazienti anziani, di quelli con malnutrizione grave o cachessia neoplastica (59). Può essere espressione di senescenza epatica o di assunzione di farmaci (tipicamente nel giovane). Per le suddette ragioni costituisce un criterio importante per la valutazione dell'idoneità alla donazione dell'organo. Nella casistica esaminata è di raro riscontro sul numero totale di biopsie (9,1%); più frequentemente associato all’epatite di origine autoimmune e alle colangiopatie, 22,7% e 20% rispettivamente.

124 La maggior parte dei lipogranulomi sono legati alla steatosi epatica (124); infatti in più della metà dei casi (58,8%) i quadri metabolici hanno registrato la loro presenza. Nella restante casistica sono di raro riscontro e totalmente assenti in corso di danno epatico autoimmune. È importante sottolineare che reperti di normali biopsie epatiche, contenenti lipogranulomi con o senza lieve, sottostante steato- fibrosi possono essere un indicatore di una pregressa lesione grassa del fegato (124).

Il deposito di ferro a livello epatico è abbastanza frequente e può essere trovato negli epatociti e nelle cellule di Kupffer in malattie di varia eziologia (3). Nella casistica attuale lo riscontriamo in forma lieve e severa nel danno metabolico (29,4% e 11,8% rispettivamente) e lievemente nei quadri aspecifici di colangiopatia (26,3%). Nell’epatite cronica C, generalmente, lievi depositi di ferro possono essere presenti sia all’interno degli epatociti che nelle cellule reticolo-endoteliali (125): il ferro era presente in forma lieve nel 25,5% dei casi e severa nel 12,6%. Per quanto riguarda l’epatite cronica B i depositi di ferro sono stati trovati nel 24,8% e nel 12,7% dei casi, in forma lieve e severa rispettivamente. Complessivamente il danno colangiocellulare infiammatorio non è molto frequente (17,5%). Il danno a carico dei dotti biliari è sempre presente in corso di CBP ed è diviso equamente tra la forma lieve e quella severa, coerentemente con l'alto grado di specificità di coinvolgimento dei canalicoli e piccoli dotti biliari intraepatici (60). Un’altra porzione importante si ritrova nei quadri colangiopatici aspecifici (26,3%) anche se in forma lieve. Anche nell’AIH si evidenzia un danno complessivo dei dotti nel 27,2% dei casi, indice di sindromi patologiche da overlap, forme intermedie a cavallo tra epatiti autoimmuni e patologie a carattere colangitico (61). Il riscontro di danno colangiocellulare nell’eziologia metabolica è raro (5,9%).

La reazione duttulare (non infiammatoria) volta al ripristino dell’escrezione biliare è piuttosto frequente nelle colangiopatie aspecifiche dove si ritrova in un 72,5% di casi in forma lieve e in un 21,3% di casi in forma severa. Anche nella colangite biliare primitiva la troviamo in un 52,5% e in un 12,5% dei casi, in forma lieve e severa rispettivamente. Tutti i quadri colangiopatici condividono la proliferazione e la differenziazione dei colangiociti ovvero la neoduttulogenesi (120). È da notare l’associazione piuttosto frequente, soprattutto della forma lieve, in corso di epatite autoimmune (40,9%). Ciò deriva soprattutto dal fatto che la proliferazione duttulare fa parte e rappresenta una risposta integrata al processo necrotico.

Il danno vascolare è stato riscontrato nel 40% in forma lieve e in forma severa nell’11,3% dei casi di colangiopatia. Un’associazione della forma lieve con l’eziologia metabolica si è vista nel 17,6%. Si

125 potrebbe ipotizzare un ruolo della steatosi in stadio avanzato nel comprimere il parenchima epatico unito alla fibrosi perisinusoidale. Sul numero totale delle nostre biopsie è raramente presente.

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