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La dislipidemia secondaria a diabete mellito è fortemente correlata allo sviluppo di aterosclerosi nei vasi arteriosi.

Sebbene in molti casi non vi sia un sostanziale incremento della concentrazione di colesterolo LDL nel siero dei pazienti diabetici di tipo 2, l’uso delle statine (farmaci ipolipemizzanti per eccellenza con spiccato effetto sulle particelle LDL) resta un punto fermo terapeutico nella gestione del rischio cardiovascolare in questa tipologia di pazienti. L’uso di tali farmaci si è infatti dimostrato efficace nel ridurre il rischio di complicanze cardiovascolari del 20-50 % nei diabetici di tipo 2 (70), anche se in questi pazienti permane un eccesso di rischio aggiuntivo se confrontati con la popolazione non diabetica a parità di condizioni (62). Una parte di questo eccesso di rischio è stato spiegato ipotizzando la presenza di anomalie nelle particelle lipoproteiche dei diabetici di tipo 2 che evidentemente non possono essere migliorate dalla terapia con statine (62).

La dislipidemia diabetica è caratterizzata dalla presenza di incrementati livelli ematici di lipoproteine ricche di trigliceridi, da ridotti livelli di particelle HDL e dalla anomala dimensione e composizione di LDL e HDL.

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RUOLO DELLE PARTICELLE RICCHE DI TRIGLICERIDI

Le particelle lipoproteiche ricche di trigliceridi, che possono risultare incrementate nel post-prandiale oppure a digiuno, sono le VLDL, i metaboliti delle VLDL ed infine i cosiddetti chilomicroni remnants. Il ruolo di queste particelle nella aterosclerosi diabetica resta controverso. Si è visto infatti che il tasso di trigliceridi nel sangue varia in maniera inversa con la concentrazione di HDL, e questo avendo le HDL un ruolo anti-aterogeno crea un fattore di confondimento nell’attribuire un ruolo ai trigliceridi nella aterogenesi (73). A tale proposito è stato comunque ipotizzato un ruolo della trigliceridemia post-prandiale nel sangue come fattore predittivo di eventi cardiovascolari, indipendentemente dai livelli di HDL (74). Un ruolo proaterogenico a livello della parete dei vasi è stato del resto dimostrato per lipoproteine ricche in trigliceridi da esperimenti in vitro: queste particelle lipoproteiche porterebbero ad un incrementato stato pro infiammatorio di macrofagi e cellule endoteliali, oltre che ad apoptosi di queste ultime (63). Tutto ciò sarebbe riconducibile ad una incrementata espressione di TNF-alfa e di recettori di adesione a livello dei macrofagi, con il risultato di favorire l’adesione endoteliale di monociti e macrofagi derivati dai monociti. Inoltre i chilomicroni remnants e le particelle lipoproteiche ricche in trigliceridi favoriscono l’infarcimento lipidico dei macrofagi a livello della placca aterosclerotica, e l’inattivazione dei recettori VLDL nei macrofagi di modelli animali comporta un arresto nello sviluppo dell’ aterosclerosi (62).

Sebbene nei diabetici di tipo 2 non vi sia un sostanziale aumento della concentrazione ematica di colesterolo LDL, a parità di concentrazione di LDL nel siero di questi pazienti generalmente è osservabile un aumento numerico

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di particelle LDL, riconducibile alla presenza di lipoproteine più piccole, più dense e più povere in contenuto lipidico se paragonate alle lipoproteine dei pazienti non diabetici. Poiché ogni particella LDL contiene una singola molecola di apolipoproteina B, ne consegue che nei diabetici di tipo 2 vi sarà un parallelo aumento sierico della concentrazione di apolipoproteina B, che rappresenta quindi una misura indiretta delle anomalie delle LDL nel diabetico. Una questione ancora aperta è se queste particelle LDL piccole e dense tipiche del DM2 siano o meno maggiormente aterogene rispetto alle LDL normali dei non diabetici. Relativamente a questo quesito una incrementata aterogenicità di LDL piccole e dense è supportata dalle evidenze di studi in vitro, che hanno dimostrato come queste possano penetrare più facilmente la parete vasale e come possano avere effetti maggiormente tossici rispetto a quelle normali, causando il rilascio di maggiori quantità di mediatori pro coagulanti; inoltre è stato dimostrato che sono più facilmente ossidabili e più facilmente intrappolabili nella placca aterosclerotica ad opera dei proteoglicani (75). Sembra poi che particelle LDL piccole e dense leghino meno facilmente ai recettori LDL espressi a livello epatico e questo potrebbe portare ad una loro difettosa clereance (76). Resta ancora molto da capire su come trasporre questi interessanti risultati in vitro su modelli in vivo, in quanto ancora non è a disposizione dei ricercatori un modello vivente su cui testare gli effetti proaterogeni di LDL piccole e dense. Negli studi effettuati sull’uomo, pur essendo stata osservata chiaramente la presenza di LDL alterate, ancora non è stato dimostrato un maggiore effetto proaterogeno di queste rispetto alle LDL normali (62).

Individui affetti da DM2 hanno una ridotta concentrazione ematica di colesterolo HDL e di Apolipoproteina AI circolante, la quale è la principale

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particella apoproteica espressa dalle HDL. Inoltre nei diabetici sono state rinvenute anomalie di dimensioni e composizione anche per le HDL. La funzione di HDL e Apolipoproteina AI è quella di rimuovere l’eccesso di colesterolo dalle placche aterosclerotiche. Le cellule di maggior interesse in questo ambito sono i macrofagi di derivazione monocitaria, i quali nelle placche aterosclerotiche risultano ripieni di esteri di colesterolo assumendo un aspetto “schiumoso” al microscopio elettronico (foam cells). La rimozione di colesterolo in eccesso dai macrofagi delle placche è un importante meccanismo di protezione dallo sviluppo di aterosclerosi e quindi da eventi cardiovascolari clinicamente significativi, e le particelle di colesterolo HDL assieme all’apolipoproteina AI hanno un ruolo fondamentale in questo meccanismo. Sembra che le HDL agiscano su trasportatori G1 ATP dipendenti espressi sulla membrana dei macrofagi, la cui attivazione favorirebbe l’efflusso di esteri di colesterolo all’esterno della cellula. Nel diabetico l’espressione di questo recettore G1 potrebbe essere inibita a causa della presenza di elevate concentrazioni di proteine glicosilata. Inoltre la glicosilazione non enzimatica della apoproteina AI potrebbe ostacolare l’azione di HDL a livello delle placche (76). L’osservazione che in pazienti diabetici con bassi livelli ematici di HDL siano isolabili macrofagi di derivazione monocitaria con un fenotipo pro infiammatorio porta ad ipotizzare un plausibile effetto antiossidante ed antinfiammatorio delle HDL

(62).

In aggiunta a tutto questo, in pazienti diabetici di tipo 2 sono state isolate HDL con una alterata composizione. L’insieme di tutte queste osservazioni depongono per un ruolo cruciale delle HDL nel proteggere dall’insorgenza di placche di tipo aterosclerotico nella parete dei vasi arteriosi e quindi nel proteggere il paziente da malattia cardiovascolare, facendo ipotizzare che le modificazioni delle HDL possano essere il meccanismo più importante nella genesi delle temute complicanze vascolari e cardiache nella popolazione

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diabetica (62). In esperimenti in vitro è stata infatti dimostrata una ridotta azione antiaterogena delle particelle HDL del paziente diabetico, dimostrando una difettosa rimozione di colesterolo dalle cellule per particelle HDL piccole. Sempre in vitro una alterata composizione delle HDL con ridotta espressione di paroxonasi (azione antiossidante) potrebbe modificare questa azione anti-aterosclerotica.

Da studi su modelli animali è stato visto che topi privi di apoproteina AI e con bassi livelli di HDL presentano maggiore insorgenza di placche aterosclerotiche nei vasi arteriosi, a causa di una difettosa rimozione di esteri di colesterolo e di un incremento dello stato infiammatorio. Viceversa in modelli murini Apolipoproteina E-/- (modello di accelerata aterosclerosi in vivo), l’incrementata espressione di apoproteina AI associata ad alti livelli di colesterolo HDL riduce l’insorgenza di placche (62).

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