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4.5. I modelli empirici di dispersione

4.5.1. La dispersione nelle strade canyon

La complessa struttura dello strato limite urbano (urban canopy layer), può essere scomposta in un insieme limitato di forme strutturali tipiche che si ripetono nello spazio e che determinano caratteristiche atmosferiche peculiari [Kerschegns e Kraus, 1990].

Una di queste è quella costituita da una strada fiancheggiata da due file laterali di edifici, comunemente denominata strada a canyon o canyon urbano.

Diversi studi sperimentali hanno mostrato che la dispersione all’interno di un canyon urbano è influenzata principalmente dalle caratteristiche geometriche del sito e dalle condizioni di flusso atmosferico. Quest’ultimo è fortemente connesso alle condizioni fluidodinamiche locali, come mostrato ad esempio da Nakamura (1988), Hunter et al. (1992), Mills (1993a).

Le caratteristiche geometriche maggiormente interessanti sono la larghezza r del canyon e l’altezza h degli edifici, da cui si ricava il coefficiente di forma • =h/r.

Le caratteristiche del moto dell’aria sono individuate dalla direzione e dalla velocità media vt del vento all’altezza del tetto degli edifici e dalla direzione e dalla velocità

media vsdel vento del suolo.

La caratteristica fondamentale di un canyon urbano è quella di favorire, in determinate condizioni, l’instaurarsi di una circolazione d’aria di tipo fortemente locale, costituita da un vortice elicoidale con asse parallelo all’asse longitudinale del canyon e contenuto all’interno di questo.

Fig. 4.12. Schema della circolazione dell’aria in un modello canyon stradale

Questo tipo di circolazione, parzialmente isolata dall’ambiente circostante, può imitare il trasporto verso l’esterno degli inquinanti influenzando in tal modo il processo di dispersione.

I diversi studi sperimentali eseguiti su canyon stradali hanno mostrato che affinché si instauri il vortice elicoidale è necessario che il coefficiente di forma • sia compreso fra

1 e 1,5, e inoltre che il vento al livello dei tetti formi un angolo compreso fra -45° e 45°

con la normale all’asse del canyon, ed abbia una velocità vtnon minore di 2 m/s.

La concentrazione di inquinante in un punto recettore, ubicato ad un’ altezza z dal suolo all’interno del canyon, è data in genere dalla somma di un contributo locale cc

derivante dalla dispersione dell’inquinante emesso dai veicoli che transitano nel canyon e da un contributo di area ca ,dovuto alla dispersione dell’inquinante emesso dalle

sorgenti nell’area circostante.

Mentre il contributo di area può calcolarsi utilizzando per esempio un modello box, il contributo locale può essere determinato mediante un modello empirico messo a punto da Hoydish e Dabbert sulla base di dati raccolti in diverse città europee e americane.

Il modello permette il calcolo della concentrazione del solo CO, il quale è l’inquinante la cui concentrazione è maggiormente influenzata dalle condizioni locali.

Il contributo locale cc alla concentrazione è uguale al rapporto fra la quantità q(g/ms)

di inquinante emessa nell’unità di tempo e per unità di lunghezza del canyon, ed il volume dell’ambiente di diluizione, il quale si suppone formato da un parallelepipedo di lunghezza unitaria, di larghezza uguale alla velocità vs del vento al suolo, di altezza H,

ed il cui contenuto d’aria viene portato via con continuità sotto l’azione del vento:

(4.95)

La velocità vs (m/s) è assunta proporzionale alla somma della velocità vt (m/s ) del

vento al livello dei tetti e della velocità dello spostamento d’aria indotto dal moto dei veicoli, supposta uguale a 0,5 m/s:

(4.96)

L’altezza H del parallelepipedo di diluizione è ritenuta diversa a seconda dell’esposizione al vento. Sul lato sopravento H è proporzionale alla somma della distanza y ,espressa in metri fra il centro della strada ed il punto recettore (dove si misura la concentrazione) e di una lunghezza uguale alla larghezza media Lvdei veicoli:

(4.97)

** (4.98)

Ponendo Lv=2 m, la costante dimensionale

2 1 1 k k km

= è stata stimata uguale a 7 in diversi studi sperimentali.

Nelle zone sottovento H è ritenuto uguale alla larghezza r della strada, e nell’espressione della concentrazione viene introdotto un coefficiente correttivo dato da

h • z / h per tener conto del fatto che si è osservato sperimentalmente un aumento della

concentrazione all’aumentare della distanza sommità dei tetti. La concentrazione cv

sottovento è quindi:

*** (4.99)

Si è osservato sperimentalmente che la costante kv assume lo stesso valore della

costante kmche compare nella (**).

Si è detto che il modello canyon è valido solo se la direzione del vento forma con la normale all’asse stradale un angolo compreso fra -45° e 45°.

Si consideri pertanto un asse x ortogonale all’asse del canyon e orientato dal centro 0 della strada verso il punto recettore. Si considerino ancora due rette passanti per 0 e formanti un angolo di 45° con l’asse x: esse dividono l’area stradale in quattro settori. Se il vettore direzione del vento all’altezza dei tetti, supposto avente origine in 0, è contenuto nel settore A, il punto recettore è ubicato sotto vento e la concentrazione si calcola mediante la (***); se è contenuto nel settore B, il recettore è sopravento e la concentrazione è data dalla (**) . Se ,invece, la direzione del vento è contenuta nei settori C e D, la concentrazione clè data dalla media dei valori forniti dalla (**) e(***)

(4.100).

4.6. Conclusioni

La scelta del tipo di modello di dispersione da utilizzare deve anche tener conto delle caratteristiche della sostanza inquinante considerata: si noti in particolare la notevole

differenza di impostazione che corre fra i modelli per gli inquinanti inerti e quelli per le sostanze reattive.

Numerosi modelli descrittivi utilizzano come modello di dispersione, in ambito urbano, il modello di tipo canyon. Tale modello si presta maggiormente alle condizioni plano-altimetriche delle aree urbanizzate. Si rimanda al capitolo 8 dove sarà illustrata un metodo descrittivo che utilizza il modello di dispersione di tipo canyon.

5.1. Introduzione

La prima legge italiana riguardante l’inquinamento atmosferico fu la legge n° 615 del 16/07/1966, nota con il nome di “Provvedimenti contro l’inquinamento atmosferico”. Tale normativa riguardava tutte le possibili fonti di emissione di inquinanti sia fissi che mobili. Per i veicoli dotati di motore a combustione interna la legge prevedeva che:

• i veicoli non dovessero produrre emanazioni inquinanti oltre certi limiti;

• doveva essere limitata, nei gas di scarico, l’emanazione di prodotti tossici, comunque nocivi o molesti;

• poteva essere resa obbligatoria l’applicazione di dispositivi ritenuti efficienti per una sensibile riduzione della tossicità dei gas di scarico;

• l’opacità dei fumi emessi dallo scarico di un veicolo con motore diesel non doveva superare certi limiti;

• in sede di revisione doveva essere accertato che i veicoli non producessero emanazioni inquinanti oltre certi limiti;

• la revisione di singoli veicoli poteva essere disposta anche nei casi in cui si fosse avuto motivo di ritenere che le emissioni non fossero nei limiti stabiliti. La legge restò inapplicata in quanto rimandava l’individuazione dei limiti ad un Regolamento di esecuzione che non fu approvato nei sei mesi previsti. Nel 1971 furono emanati il D.P.R. n° 323 del 22/02 e la legge n° 437 del 3/06 che stabilirono rispettivamente:

• i limiti di opacità dei fumi dei veicoli diesel, validi sia per i veicoli nuovi che per quelli in circolazione;

• i limiti per gli autoveicoli alimentati a benzina, validi solo per quelli nuovi di fabbrica e per quelli ai quali fossero state modificate le caratteristiche costruttive essenziali.

Per tali veicoli erano previsti limiti alle emissioni di CO ed HC da misurare in tre diversi tipi di prove.

In realtà le norme tecniche contenute nella legge 437/71 riproducevano fedelmente quanto stabilito nella direttiva europea 70/220/CEE che, all’epoca dell’emanazione

della legge, non poteva essere recepita in Italia per mancanza di uno strumento giuridico idoneo. Bisognerà aspettare fino al 1973 quando, con la Legge del 27/12/1973 n° 942, fu approntato lo strumento legislativo idoneo che permise di recepire tutte le Direttive CEE adottate a partire da tale data.

La direttiva 70/220/CEE, emanata dal Consiglio il 20 marzo 1970 (G.U. n. L 76 del 06.04.1970), può essere considerata la più importante delle direttive in materia di emissioni dei veicoli dotati di motori a combustione interna in quanto, oltre a stabilirne per la prima volta, nei Paesi dell’allora Comunità Europea, i limiti alle emissioni.

Da quella data ad oggi, le numerose direttive emanate, hanno avuto notevolissime conseguenze sia sul livello delle emissioni dai veicoli motorizzati che sullo sviluppo tecnologico dei motori stessi che, proprio in virtù di limiti sempre più stringenti, sono stati riprogettati, tenendo in considerazione non solo le prestazioni motoristiche, ma anche l’impatto ambientale che tale tipo di propulsione comporta.

Un’altra importantissima direttiva è la 70/156/CEE, emanata il 06/02/1970. Tale direttiva, recepita in Italia con il D.M. n° 105 del 23.04.1974, oltre ad essere un puntiglioso elenco di tutte le parti che compongono un veicolo, costituisce il primo atto europeo che stabilisce le norme per l’omologazione, valida in ambito comunitario, di tutti i veicoli a motore ed i loro rimorchi.

Tutte le direttive che riguardano l’omologazione dei veicoli o di parti di essi, compresa la direttiva 70/220, sono direttive particolari della70/156/CEE.

Per comprendere quali siano stati i risultati conseguiti in tema di limitazioni delle emissioni dai veicoli a motore, qui di seguito viene riportata una breve cronistoria delle principali normative del settore, con alcuni commenti limitati agli aspetti più rilevanti che l’applicazione di tali normative ha introdotto.