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Distensione e controversia ideologica

Verso un’Europa socialdemocratica?

2. Distensione e controversia ideologica

Contrariamente a quanto paventato all’epoca da alcuni osservatori41, la distensione europea non rappresentava lo spazio per una ricomposizione delle controversie ideologiche in termini favorevoli al campo sovietico, bensì un nuovo e più complesso terreno di confronto. L’elaborazione socialdemocratica-europea proponeva una declinazione particolare dell’appartenenza occidentale, ma non era concepita come alternativa ai principi fondamentali di quest’ultima. Dalla sua posizione di prima linea, la Spd provvide a chiarirlo proprio nel momento dell’apertura all’Est.

39 IISH, SIA, b. 347, «Party Leaders’ Conference, Paris, January 13-14, 1973. Confidential

Summary».

40 B. Marshall, Willy Brandt, cit., pp. 88-91

In concomitanza con i negoziati per il trattato con Mosca, il Präsidium del partito tedesco commissionò a Richard Löwenthal uno studio sui rapporti fra socialdemocrazia e comunismo. Il Löwenthal-Papier – licenziato nell’autunno del 1970, per essere poi consegnato al dibattito del partito e approvato ufficialmente, con alcuni emendamenti, nel febbraio successivo – asseriva che «nessuna politica di pace, nessun rapprochement in politica estera, può abolire [l’]antitesi fra i sistemi, né alcuna politica dovrebbe cercare di ignorarla». Il testo insisteva sul tema – classico nell’Internazionale socialista – della decisiva distanza fra socialdemocrazia e comunismo sul tema della democrazia, ma proponeva un passo ulteriore, che allargava la sfera d’azione del Sozialdemokratismus. Löwenthal prendeva in esame due diverse esperienze politico-economiche: quella dell’economia mista tedesco-occidentale e quella dei riformatori cecoslovacchi, basata sulle strutture comuniste di proprietà pubblica. Ribadito il giudizio positivo sulla seconda («certamente non priva di prospettive di successo, prima di essere colpita a morte da un intervento militare esterno»), Löwenthal osservava:

Così, l’esperienza ha mostrato che la proprietà privata non porta necessariamente al fascismo, e che la proprietà statale non porta necessariamente allo stalinismo. L’antitesi decisiva fra comunismo e socialdemocrazia non risiede nella diversa attitudine nei confronti della proprietà privata, per quanto l’importanza della questione non vada sottovalutata, ma nel contrasto fra lo Stato di diritto e l’arbitrio, fra la libera democrazia e la dittatura di partito, fra l’autodeterminazione e la determinazione imposta dall’esterno.

Il confronto fra questa rigida distinzione e le variegate esperienze di “comunismo riformatore” (nel testo venivano menzionati i casi di Jugoslavia, Cecoslovacchia e Italia) era risolto nella considerazione che «un comunismo umano, libero, rispettoso dello Stato di diritto […] sarebbe più vicino […] ai principî della socialdemocrazia che a quelli di Lenin». Su questa linea di ragionamento, Löwenthal respingeva le tesi sovietiche che giustificavano l’opposizione alla riforma democratica sulla base della tutela delle «conquiste sociali» delle società socialiste: ad essere preservata, per quella via, era solo una forma specifica di dominio politico42.

42 IISH, SIA, b. 614, «Sozialdemokratie und Kommunismus». Per le circostanze della

Negli stessi mesi, la sfida ideologica era al centro delle attenzioni del blocco orientale. Ad una settimana dalla firma del trattato fra Urss e Rft, nell’agosto del 1970, i leader dei paesi del Patto di Varsavia vennero radunati a Mosca per una riunione del comitato politico consultivo dell’alleanza. Brežnev centrò la sua esposizione sull’accordo appena firmato, presentandolo come un successo storico, che aveva confermato l’«obiettivo principale» della politica del campo socialista, «il consolidamento dei risultati della lotta di liberazione antifascista compiuta durante la Seconda guerra mondiale». Inaugurando la lettura trionfalista che avrebbe accompagnato il Pcus negli anni della distensione, si individuavano le ragioni del risultato in una nuova «correlazione delle forze, in Europa e nel mondo, fra socialismo e imperialismo»43, che aveva «dimostrato il carattere sterile delle politiche della Rft del dopoguerra verso l’Unione sovietica, la Rdt e gli altri paesi socialisti» (non mancava, peraltro, un accenno all’«effetto moderatore» che la «posizione risoluta dei paesi socialisti fratelli riguardo agli eventi in Cecoslovacchia» avrebbe avuto sui «circoli dirigenti della Rft»). Il trattato andava considerato «una risorsa politica», che poteva «approfondire i conflitti nel blocco della Nato» e creare «nuove opportunità per le forze del socialismo in Europa». L’insieme di questi sviluppi poneva la questione dei rapporti con le forze socialdemocratiche, che con il loro «giudizio più realistico sulla situazione europea» avevano favorito l’avvio delle trattative:

Ovviamente – proseguiva Brežnev – sappiamo tutti che l’ideologia e l’azione politica dei socialdemocratici e dei comunisti non sono solo differenti, sono irreconciliabili. È chiaro che la cooperazione in queste aree non è possibile. Sarebbe tuttavia irragionevole per noi lasciar cadere l’opportunità di collaborare con i socialdemocratici, soprattutto con quelli al potere, su questioni come la lotta per la pace, il consolidamento della sicurezza europea, il disarmo e così via. Lo sviluppo di questa collaborazione potrebbe, secondo noi, incoraggiare processi che rafforzerebbero le componenti di sinistra all’interno dei partiti socialdemocratici europei. Allo stesso tempo, riconosciamo chiaramente che i socialdemocratici tenteranno di influenzare il nostro movimento [...]. Date queste condizioni, una vigilanza ininterrotta nei confronti

dell’ideologia borghese e socialdemocratica è necessaria. La vigilanza da sola, tuttavia, non basta: abbiamo bisogno di intraprendere una vigorosa offensiva in questa lotta ideologica44.

Gli altri leader, mentre confermarono (com’era prevedibile) la lettura generale di Brežnev circa il significato storico dell’accordo di Mosca, mostrarono di guardare ai rapporti con i socialdemocratici con timore piuttosto che con la speranza di riuscire ad avanzare le proprie posizioni. In prima fila, ovviamente, era la Germania orientale, rappresentata dal primo ministro Willi Stoph:

Dobbiamo consolidare l’unità della […] Rdt contro i piani per infiltrare il nostro paese attraverso “relazioni speciali intertedesche” o “relazioni fra persone” […]. Questo richiede una lotta decisa contro il Sozialdemokratismus, che ha assunto un ruolo particolare nella strategia dell’imperialismo. […] Questo sarà un fronte chiaramente delineato nella lotta di classe, rispetto al quale dobbiamo essere adeguatamente preparati e presentare una posizione chiara45.

Sullo stessa linea si collocò Gustáv Husák, il leader della Cecoslovacchia “normalizzata”:

Per quanto riguarda la lotta ideologica, concordiamo con quanto hanno detto i compagni Brežnev e Stoph. L’imperialismo sta conducendo una lotta ideologica con mezzi particolarmente insidiosi. Conosciamo questo fatto dalla nostra esperienza in Cecoslovacchia. Sfruttano anche forme di lotta come scambi artistici e scientifici, tentano di infiltrare teorie piccolo borghesi nel movimento comunista […]. Nel 1967-68, questo ha giocato un ruolo assai negativo in Cecoslovacchia. La socialdemocrazia intendeva fungere da “cavallo di Troia” per la distruzione

44 Parallel History Project on Cooperative Security (PHP), <www.php.isn.ethz.ch>, by permission

of the Center for Security Studies at ETH Zurich on behalf of the PHP network (d’ora in poi: PHP), Records of the Warsaw Pact Political Consultative Committee, 1955-1990 (PCC Meetings), XI, Moscow, 20 August 1970, «Speech by the first secretary of the CC of the CPSU (Leonid I. Brezhnev)», <http://www.php.isn.ethz.ch/collections/colltopic.cfm?lng=en&id=18051 &navinfo=14465>. Salvo ove diversamente specificato, si rimanda al sito internet per le informazioni sulla collocazione archivistica originale dei documenti provenienti dal PHP o da altre collezioni e risorse online. Su Mosca e la Ostpolitik cfr. più in generale A. Edemskiy, Dealing with Bonn. Leonid Brezhnev and the Soviet Response to West German Ostpolitik, in C. Fink, B. Schaefer (a cura di), Ostpolitik, cit., pp. 15-38.

45 PHP, PCC, XI, Moscow, 20 August 1970, «Speech by the Chairman of the Council of State of

East Germany (Willi Stoph)»,

delle idee socialiste. Un ruolo speciale, in questo campo, è stato giocato dai socialdemocratici di Austria e Germania occidentale. Kreisky disse all’epoca che la socialdemocrazia è in grado di distruggere il movimento comunista. La lotta contro questa sovversione costituisce la nostra priorità numero uno46.

La diffusione del Löwenthal-Papier non fece che rafforzare queste tendenze. L’ambasciatore sovietico a Bonn, Semën Zarapkin, discusse immediatamente del documento con Dingels e altri rappresentanti della Spd, i quali chiarirono in termini lineari la loro distinzione fra relazioni interstatali e questioni ideologiche («per quanto riguarda i principî fondamentali, anche durante la fase della distensione, i comunisti rimangono comunisti, e i socialdemocratici socialdemocratici»)47. Durante una nuova riunione dei leader del Patto di Varsavia, tenuta in dicembre a Berlino, Brežnev accentuò i toni critici verso il governo tedesco: «la Rft non ha mai effettuato tanta pressione o una propaganda tanto sofisticata verso la Rdt come adesso»; «non dobbiamo ignorare il fatto che il governo di Brandt ha cambiato poco sul terreno militare»; «nessuno degli alleati atlantici ha pronunciato una singola parola di critica rispetto all’atteggiamento di Brandt verso i comunisti». Un richiamo specifico, a questo proposito, era dedicato al documento della Spd, che aveva «confermato nella maniera più definitiva che l’anticomunismo resta l’orientamento essenziale dei socialdemocratici». Il leader sovietico insisteva sulla necessità che i partiti comunisti presentassero un fronte compatto contro la pressione socialdemocratica. Un allusivo riferimento critico era dedicato, in questo contesto, al dialogo che alcuni di questi partiti avevano avviato con la Spd (per quanto non menzionati, si trattava evidentemente dei partiti romeno e italiano, oltre alla Lega dei comunisti jugoslavi – Lcj): «ai socialdemocratici è proibito avere contatti con i comunisti della Germania ovest […] e anche con i membri della Sed, anche se sappiamo che la leadership socialdemocratica non si fa problemi a realizzare contatti con certi partiti comunisti, a sua discrezione. Non c’è bisogno di spiegare gli obiettivi politici di un simile

46 Ivi, «Speech by the General Secretary of the Ksč, Gustáv Husák»,

<http://www.php.isn.ethz.ch/collections/colltopic.cfm?lng=en&id=18042&navinfo=14465>.

47 FES, WBA, A.11.4, b. 59, «Gespräch mit dem sowjetischen Botschafter Zarapkin am

approccio differenziato»48. Brežnev non poté, tuttavia, evitare un richiamo al realismo, invitando a «separare, ove possibile, le discussioni ideologiche con i socialdemocratici dai legami formali col governo Brandt-Scheel»49.

Questo elemento di ambiguità della posizione sovietica doveva emergere sempre più chiaramente negli anni successivi. La fase critica della ratifica dei «Trattati orientali» da parte del Bundestag, nella primavera del 1972, affrontata dal leader del Cremlino in un clima di partecipazione finanche personale, avrebbe mostrato come il rapporto con il governo di Brandt, per quanto questo rappresentasse una spina nel fianco, fosse ormai un asset decisivo per la politica estera sovietica. Si trattava, del resto, di una contraddizione comune nell’approccio sovietico alla distensione, che nel caso in questione rifletteva in pieno la pluralità degli obiettivi della Ostpolitik50. A Berlino, in ogni caso, Brežnev rinnovò il suo richiamo alla lotta ideologica:

È chiaro che la lotta ideologica con i socialdemocratici richiederà una costante attenzione da parte dei nostri partiti. […] Dobbiamo dare risposte chiare e convincenti alle questioni sulle quali i socialdemocratici vorrebbero imporre il loro punto di vista. Di nuovo, è importante mantenersi sull’offensiva e guadagnare alla nostra parte nuovi settori sociali nella lotta ideologica51.

Al di là della produzione teorica destinata all’orientamento dei paesi del blocco orientale52, la lotta ideologica disponeva di uno strumento operativo privilegiato: il movimento comunista internazionale. Gli archivi del Pci restituiscono tracce dell’azione svolta in questo contesto. Alla fine di ottobre era stato convocato a Mosca un «incontro

48 PHP, PCC Meetings, XII, Berlin, 2 December 1970, «Speech by the first secretary of the CC of

the CPSU (Leonid I. Brezhnev)». <http://www.php.isn.ethz.ch/collections/colltopic.cfm? lng=en&id=18071&navinfo=14465>.

49 Walter Scheel, liberale, era il ministro degli esteri del governo Brandt. 50 Cfr. A. Edemskiy, Dealing with Bonn, cit., pp. 26-9.

51 PHP, PCC Meetings, XII, Berlin, 2 December 1970, «Speech by the first secretary of the CC of

the CPSU (Leonid I. Brezhnev)», cit.

52 Cfr. ad esempio Ideologie des Sozialdemokratismus in der Gegenwart, Staatsverlag der

Deutschen Demokratischen Republik, Berlin 1971. Il volume (edito nel 1970 nella versione sovietica) presentava una silloge di interventi di ideologi sovietici sul tema di socialdemocrazia e Sozialdemokratismus, con una prefazione che ne segnalava la rilevanza particolare nella fase politica attuale e nel quadro tedesco.

dei partiti comunisti e operai d’Europa sulla Sicurezza Europea»53. L’intervento del rappresentante del Pcus, Boris Ponomarëv, si era concentrato sui rischi insiti nell’azione sempre più intensa che altri gruppi, socialdemocratici in testa, stavano dedicando all’argomento:

[…] determinati circoli dei partiti socialdemocratici e altre forze politiche cercano ora di prendere nelle proprie mani l’iniziativa nelle azioni pubbliche intorno al problema della sicurezza europea, di estraniare le organizzazioni progressive e soprattutto i partiti comunisti, e di sottomettere questo movimento ai propri interessi che nulla hanno a che fare con la sicurezza europea. Se tali tentativi fossero coronati da successo, ciò frenerebbe, senza dubbio, lo sviluppo del movimento per la pace e la sicurezza in Europa e danneggerebbe al tempo stesso le posizioni dei partiti comunisti, particolarmente negli Stati capitalistici.

Al movimento si indicava, come forma di contrasto di questa tendenza, il vecchio obiettivo della convocazione di un «Congresso dei popoli» a sostegno della Csce. Quella che a suo tempo Leo Bauer aveva definito una «conferenza dei compagni di strada»54, poteva, secondo Ponomarëv, «elevare ad un nuovo livello i rapporti dei comunisti con i diversi ambienti politici interessati alla soluzione dei problemi della sicurezza europea, e […] conferire a questi rapporti un carattere efficiente. […] Tenendo presente il ruolo dei partiti socialdemocratici nella vita dell’Europa occidentale, ci si dovrebbe adoperare per ottenere la partecipazione alla preparazione e all’attuazione del Congresso dei rappresentanti dei partiti socialdemocratici»55.

Il tentativo doveva tuttavia risolversi un fallimento, ennesima prova della sostanziale incapacità del movimento comunista di esercitare un ruolo egemonico nella politica dell’Europa occidentale56. Una prima assemblea che coinvolgeva rappresentanti di paesi socialisti e capitalisti fu convocata nel giugno del 1971 a Bruxelles. L’inviato italiano riferiva di una situazione di «squilibrio, sia geografico che politico: una totale

53 FIG, APC, Estero- Incontri internazionali, mf. 71, p. 1329, «Nota sull’incontro dei Partiti

Comunisti ed operai di Europa sulla Sicurezza Europea – Mosca 20-21 ottobre 1970».

54 Cfr. supra, p. 156.

55 FIG, APC, Estero- Incontri internazionali, mf. 71, pp. 1337-50, «Intervento del segretario del

CC del PCUS, compagno B.N. Ponomariov all’incontro dei rappresentanti dei comitati centrali dei Partiti comunisti europei il 20 ottobre 1970».

partecipazione dei paesi socialisti ed assenze significative di paesi e di forze politiche dell’Europa occidentale, in particolare di socialdemocratici tedeschi e scandinavi»57. Gli sforzi per allargare il quadro non produssero grandi risultati, e una nuova riunione in ottobre testimoniò una partecipazione giudicata ancora «insufficientemente rappresentativa»58. Solo parzialmente diversa era la situazione delle organizzazioni giovanili, anch’esse coinvolte nel progetto. Una «Conferenza internazionale dei giovani per la sicurezza europea» era stata effettivamente tenuta alla fine del 1971 a Firenze, e le adesioni ufficiali erano state ampie (avevano partecipato, fra le altre, l’associazione giovanile dell’Internazionale socialista, Iusy, e le corrispondenti liberali e cristiano- democratiche): quanto alla reale mobilitazione e all’eco sulla stampa, tuttavia, il giudizio degli organizzatori non era positivo59.

Le iniziative di Mosca, al di fuori del terreno diplomatico, rischiavano spesso di cadere nel vuoto. Alla vigilia del Council di Helsinki, nel maggio del 1971, Brežnev aveva pronunciato a Tbilisi un discorso nel quale chiamava l’Internazionale socialista a sviluppare un impegno comune con il movimento comunista per «la pace in Europa». Alcuni mesi dopo, il tema venne ripreso in un lungo editoriale della «Pravda». L’autore, Y. Žilin, recuperava l’argomento – già utilizzato nel decennio precedente, in tutt’altro contesto politico60 – della presenza di «pressioni da sinistra» che orientavano positivamente le leadership socialdemocratiche. In conclusione, considerata anche la mutata «correlazione di forze» e la rilevanza ormai assunta dal movimento comunista, veniva lanciato un nuovo appello unitario61. In entrambe le occasioni, però, L’IS rispose respingendo le proposte sovietiche come mosse tattiche prive di credibilità, e ribadì le distanze insuperabili sulla questione ideologica62.

57 FIG, APC, Sezione Esteri, mf. 159, pp. 1513-15, «Promemoria sulla preparazione della

conferenza europea (sicurezza e cooperazione)» (Michele Rossi, 19 luglio 1971).

58 Ivi, mf. 163, p. 958 «Informazione sulla riunione del gruppo di lavoro “Sicurezza e

Cooperazione europee” – Bruxelles 19 ottobre 1971» (Michele Rossi).

59 Ivi, mf. 58, pp. 304-7, «Nota sulla “Conferenza internazionale dei giovani per la sicurezza

europea” di Firenze presentata da Angelo Oliva», 13 dicembre 1971.

60 Cfr. supra, pp. 79-80. L’articolo, di A. Veber, era intitolato, nella traduzione italiana proposta

da «Rinascita» il 13 febbraio 1965, Comunisti e socialdemocratici.

61 Y. Zhilin, «The Socialist International Faced With World Problems (Tass translation from

“Pravda”, 18.08.1971)», in IISH, SIA, b. 290.

62 Cfr. B. Pittermann, A Reply to Zhilin’s Pravda Article; A. Alsterdal, Little in Common, in

È pur vero che, a partire grossomodo dal 1972, la quantità e la rilevanza dei rapporti fra i partiti dell’IS e l’Unione Sovietica si fecero più consistenti – sempre più di frequente delegazioni europeo-occidentali visitavano i paesi del Patto di Varsavia63. Era tuttavia la dimensione diplomatica a dare il tono agli incontri, mentre, salvo rare eccezioni64, non vi era traccia di rapprochement ideologico (al di là del superamento dei toni da guerra fredda, condiviso del resto anche dalla maggior parte delle cancellerie europee). Si prenda come esempio la visita a Mosca di una delegazione del Labour Party guidata da James Callaghan, nell’agosto del 1972. I resoconti di parte britannica dei colloqui con la dirigenza sovietica registrano una laconica e significativa risposta del capodelegazione all’appello del suo interlocutore (Boris Ponomarëv) all’azione congiunta fra socialisti e comunisti: «Mr. Callaghan ha sottolineato che, in Gran Bretagna in misura minima, e in altri paesi d’Europa in misura assai più consistente, i partiti comunisti e socialisti sono rivali elettorali»65. Spazio assai più ampio assunsero invece le discussioni sulla Csce (i britannici insistevano per collegarla con i negoziati per il disarmo), sull’interscambio commerciale anglo-sovietico o sulla cooperazione scientifico-tecnologica. Il rapporto con l’Urss aveva senz’altro acquisito una rilevanza decisiva, corrispondente alla posizione preminente del paese, ormai riconosciuta e “istituzionalizzata”, ma ciò non implicava un’affermazione sovietica nella lotta ideologica.

Le cautele delle leadership socialdemocratiche erano rafforzate anche dalla preoccupazione di contenere le tendenze radicali presenti all’interno dei partiti, dove “vecchie sinistre” ed elementi giovanili di recente reclutamento risentivano della spinta

Affairs» era il nuovo nome assunto dal bollettino dell’IS «Socialist International Information» a partire dal 1972).

63 Cfr. M. van Oudenaren, Détente in Europe, cit., pp. 137-40.

64 Il partito socialista belga, ad esempio, aveva assunto un atteggiamento estremamente aperto

verso il mondo comunista, ed ambiva a svolgere un ruolo di ponte fra questo e la socialdemocrazia occidentale. Non casuale, a questo proposito, era la convocazione a Bruxelles dell’Assemblea sulla sicurezza europea che doveva preludere alla «Conferenza dei popoli». Cfr. supra, pp. 184-85.

65 LHASC, LP, NEC Minutes, 29th September, «Note of discussions between the Rt. Hon. J.

Callaghan, MP, and Mr. Boris Ponomarev – Secretary of the Central Committee of the Cpsu – Friday, 11 August 1972». Cfr. anche, ibid., «Report to the National executive committee of the visit to the Soviet Union by the Shadow Foreign Secretary and Party Treasurer, Rt. Hon. J. Callaghan, MP, and the International secretary, Tom McNally, 7-13 August ‘72».

all’ideologizzazione del post-196866. Un caso tipico era quello degli Jusos, i giovani socialisti della Spd. Nel 1970, dopo una svolta a sinistra legata anche all’adesione di studenti ed esponenti dei movimenti di nuova sinistra, l’organizzazione aveva assunto una posizione nettamente critica nei confronti della politica del partito. Contro il percorso simboleggiato dal congresso di Bad Godesberg, gli Jusos proponevano un ritorno alle radici classiste, e si assegnavano il compito di avanzare una «doppia strategia»: di mobilitazione sociale per un programma di riforma radicale, e di attività nel partito per guadagnarne il controllo67. La leadership della Spd, in particolare nelle sue componenti più moderate, prese sul serio la minaccia che dall’organizzazione giovanile proveniva all’identità del partito, tanto più che a livello internazionale (e, in alcuni casi, anche in