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Passi avanti e incident

L’ambigua lotta alla “logica dei blocchi”

5. Passi avanti e incident

L’atteggiamento di totale chiusura della Sed non fermò tuttavia l’azione degli italiani. Come richiesto da Segre e Galluzzi nel loro incontro con il segretario del Pcf, alla fine dell’anno Waldeck Rochet venne a Roma per discutere con Longo. Ancora una volta, al centro dei colloqui furono «le questioni della politica di contatti e di intesa con le altre forze progressiste e di sinistra, con un reciproco scambio di informazioni sulla situazione esistente nei rispettivi paesi». Vennero nuovamente discussi gli incontri italiani con Spd e socialisti belgi, e si esaminò la «tendenza, che pare profilarsi, ad una maggiore

165 «Nota sul viaggio dei compagni Galluzzi e Segre», cit., p. 1684. 166 «Vermerk über eine Aussprache des Genossen Axen», cit.

disposizione dei partiti socialdemocratici, o almeno di alcuni di questi, ad avere incontri, sia pure riservati, con i partiti comunisti»167.

Anche i contatti del Pci con la Spd non si esaurirono con lo scambio di novembre. All’inizio di gennaio del 1968, Bauer scriveva a Segre per proporre un nuovo incontro e confermare il giudizio positivo sul precedente168. Qualche giorno più tardi arrivava al Pci “in anteprima” il testo del programma a medio termine della Spd (le Sozialdemokratische Perspektiven im Übergang zu den siebziger Jahre)169. Quanto ai passi della Ostpolitik, alla fine del mese veniva ufficializzato il ripristino delle relazioni diplomatiche tra Repubblica federale e Jugoslavia . Dal canto suo, Segre pubblicava su «Rinascita» un lungo articolo sulle relazioni fra partiti comunisti e socialdemocratici, significativamente intitolato Aprire la porta al dialogo170.

Si arrivava così ad un nuovo incontro, stavolta in Germania. Il 30 gennaio Segre e Galluzzi vedevano a Monaco, assieme a Bauer, lo stratega della Ostpolitik Egon Bahr, la cui presenza ci dice molto dell’importanza attribuita dalla Spd alle conversazioni. Il consigliere di Brandt illustrò diffusamente il disegno socialdemocratico di una politica di distensione continentale all’interno della quale inserire la soluzione del problema tedesco, e insistette ancora una volta sulla necessità di un diverso atteggiamento da parte dei paesi del blocco orientale, tenuto conto delle resistenze degli alleati di governo della Spd: «l’atteggiamento dei paesi socialisti verso la Rft può avere un’influenza determinante (se sarà positivo) anche sulla situazione interna della Cdu». Bahr annunciava inoltre l’avvio di trattative con l’Unione Sovietica per una dichiarazione comune sulla rinuncia all’uso della forza:

Noi riteniamo, ha detto Bahr, che le trattative dureranno molto […], ma se avranno successo allora si potrà andare avanti ed assicurare, attraverso trattati bilaterali, basati sulla rinuncia alla forza, l’integrità di fatto di tutte le frontiere, comprese quelle della Rdt».

167 FIG, APC, Estero- Francia, mf. 545, pp. 1688-89. 168 FIG, APC, Estero- Germania RFT, mf. 552, p. 1410. 169 Ivi, pp. 1436 e ss.

Lo schema su sicurezza europea e questione tedesca illustrato da Bahr si articolava in tre fasi:

1- Mantenere i due blocchi, cercando di realizzare misure parziali di distensione tali da creare un’atmosfera di fiducia fra i due campi contrapposti.

2- Ricerca anche attraverso accordi bilaterali di soluzioni concrete che si muovano in direzione di un sistema di sicurezza collettiva.

3- Esaminare le misure concrete per risolvere il problema tedesco 171.

Sebbene il rappresentante tedesco confermasse la necessità di coinvolgere costantemente nel processo gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, la piattaforma sulla quale lavorava aveva caratteri differenti rispetto al mainstream dei socialisti europei. All’indomani dell’approvazione del “Rapporto Harmel”, la tendenza fra questi era piuttosto a valorizzare la Nato come strumento per la distensione172 e a concentrarsi su quella che può essere a grandi linee definita la “democratizzazione” dell’Alleanza atlantica173. Su questa linea si sarebbe orientato il gruppo di lavoro dei partiti socialisti dei paesi membri della Nato, riunitosi ad Amsterdam il 26 febbraio seguente174. Bahr certamente non proponeva una rinuncia all’atlantismo, ma mostrava di guardare a soluzioni differenti per il lungo periodo. Come la sua elaborazione dei mesi successivi avrebbe confermato, tuttavia, quella che agli italiani poteva apparire una posizione relativamente vicina alla loro era legata più al distante obiettivo della riunificazione della Germania che a tendenze neutraliste o considerazioni “benevole” rispetto al blocco orientale, ed era perciò soggetta ad essere rivista e calibrata rispetto a quello scopo essenziale175.

171 Cfr. FIG, APC, Estero, 1968, Germania-RFT, «Incontro dei compagni Galluzzi e Segre con

una delegazione della SPD composta da Egon Bahr, ambasciatore capo dell’Ufficio pianificazione del ministero degli Esteri della RFT (ha condotto le trattative a Bucarest per conto di Brandt) e da Leo Bauer», mf. 0552, pp. 1441-54.

172 H. Tabor, NATO as an instrument of détente, in «Socialist International Information», 20

gennaio 1968.

173 V. Larock, Keep Franco out of NATO, ivi.

174 LHASC, LP, NEC Minutes, 22nd May, G. Morgan, «Socialist Parties in member countries of

NATO».

175 Lo schema illustrato da Bahr anticipava in effetti alcuni tratti del terzo del modelli sulla

Le questioni europee e del rapporto con gli Stati Uniti tendevano, come si vede, a monopolizzare l’attenzione del Pci nel confronto con le socialdemocrazie. Un interesse differente emerge tuttavia da una nota sulla sinistra inglese redatta da Giorgio Napolitano, databile ai primi mesi del 1968. Di ritorno da un viaggio in Gran Bretagna, il dirigente del Pci faceva un quadro dei gruppi non comunisti coi quali riteneva possibile avviare iniziative comuni. Distingueva, dunque, una «sinistra culturale» (raccolta attorno a riviste come «The socialist register», o la «New Left Review»; fra i suoi rappresentanti più noti c’era il già citato Ralph Miliband), «gruppi ed esponenti di sinistra delle Trade Unions» (coi quali, diceva, «abbiamo già o possiamo stabilire dei contatti»), e la «sinistra del partito laburista»:

Le debolezze di questo raggruppamento sono note ed indubbiamente gravi. Non è però inutile lavorare almeno con gli esponenti più avanzati della sinistra laburista, che hanno svolto e svolgono una certa funzione, insieme ad altre forze, nel movimento per la pace nel Vietnam, nella polemica contro la politica dei redditi, ecc. Ho avuto, in occasione del mio viaggio a Londra, un incontro con alcuni di essi (Heffer, Atkinson, Kerr e altri) e li ho trovati molto disponibili per un rapporto con noi comunisti italiani.

La proposta di Napolitano era di organizzare a Roma, prima delle elezioni politiche previste in Italia per maggio, una tavola rotonda con esponenti socialisti e comunisti inglesi, francesi e italiani, «per dibattere alcuni punti dei problemi di una politica di sinistra in Europa. Punti di riferimento per questa discussione potrebbero essere: l’esperienza del centro sinistra in Italia, l’esperienza del governo laburista in Inghilterra, la ricerca unitaria sviluppatasi in Francia». Il tema che proponeva di discutere, per una volta, non era quello della «sicurezza europea», bensì quello «delle difficoltà che una politica di riforme è chiamata a fronteggiare e superare in un quadro nazionale ormai così fortemente caratterizzato […] da un intreccio di rapporti e di condizionamenti

prevedeva la dissoluzione di Nato e PdV in favore di un sistema europeo di sicurezza collettiva garantito dall’esterno dalle superpotenze) suscitò polemiche al momento della sua stesura e ancor più quando, nel 1970, uno scoop della stampa lo rese noto all’opinione pubblica. Cfr. J. Juneau, Egon Bahr, cit., pp. 172-84.

internazionali (mercato Comune, interdipendenza finanziaria tra i paesi dell’Europa occidentale, ecc.)»176.

Ancora diversi erano i toni di Maria Antonietta Macciocchi, inviata in febbraio nei paesi scandinavi per una serie di colloqui «non solo come inviata dell’Unità, ma come rappresentante della Sezione Esteri del Pci, con i maggiori leader della socialdemocrazie, a Stoccolma, a Helsinki, a Copenaghen e ad Oslo». Già nella dichiarazione degli scopi del suo viaggio, traspariva la visione fortemente orientata della giornalista, che, accanto all’esplorazione delle «possibilità di un dialogo tra questi partiti socialdemocratici e il Pci», si riproponeva di «sondare le cause della crisi che avvolge la socialdemocrazia nordica».

Per quanto riguardava il primo punto, Macciocchi riscontrò, nonostante le tradizionali «prudenti riserve» socialdemocratiche, un’accoglienza generalmente positiva nei confronti del Pci, fatto che secondo lei costituiva indubbiamente «un segno nuovo». Così riferiva nel suo rapporto:

Mi è stato fatto notare, da parte di quattro partiti socialdemocratici, che un contatto a livello di partito “è un fatto completamente nuovo”; ed eccettuati i socialdemocratici finlandesi […], mi è stato ripetuto come, incontrandosi con noi, questo sarebbe il primo rapporto che verrebbe allacciato tra socialdemocrazia e comunismo […]. Con diversi pesi e sfumature, le conclusioni sono state più o meno identiche. D’accordo per trovare la strada di un primo incontro – non ufficiale – a livello di una persona che potrà essere scelta da loro o da noi a seconda che ci si veda a Roma o in una capitale scandinava, per discutere sui temi della pace, della cooperazione europea, del superamento dei blocchi, delle prospettive di un’eventuale conferenza di tutta l’Europa […] e, infine, sulla evoluzione dei termini di un dialogo tra socialdemocrazia e comunismo177.

176 FIG, APC, Esteri- Gran Bretagna, mf. 552, pp. 1583-85, G. Napolitano «Nota per il compagno

Longo» [senza data].

177 Non è possibile stabilire, stando alla documentazione che abbiamo potuto raccogliere, se

qualcuno di questi incontri fu effettivamente realizzato nei mesi seguenti. È da notare, comunque, l’accenno che Macciocchi fa nelle sue memorie al proprio ruolo di «ambasciatrice» del Pci fra i socialdemocratici, alludendo ad una rete di contatti più ampia di quanto non risulti dagli archivi. M.A. Macciocchi, Duemila anni di felicita: diario di un'eretica, Mondadori, Milano 1983, pp. 359-60. Citiamo il testo del rapporto da FIG, APC, Estero, mf. 552, pp. 2648-65, M.A. Macciocchi, «Appunti per il compagno Longo e per la Sezione Esteri del PCI sul viaggio compiuto presso le socialdemocrazie scandinave tra l’8 e il 20 febbraio 1968».

Può valere la pena, a questo punto, di appesantire un poco la narrazione con un elenco parziale degli interlocutori della giornalista italiana. Se si eccettuano alcuni dirigenti di lungo corso, infatti, questi erano spesso esponenti di quella giovane generazione della socialdemocrazia nordica segnata dal clima della contestazione alla guerra in Vietnam – critica verso la politica estera statunitense, attenta alle relazioni col Terzo mondo e ai temi della diffusione della democrazia politica ed economica –, che avrebbe ottenuto una decisiva influenza nel decennio successivo178. Annotare il loro contatto relativamente precoce con il Pci appare utile, perciò, per verificare in seguito eventuali influenze reciproche. In Svezia la Macciocchi incontrava dunque Pierre Schori e Sten Andersson; in Finlandia Ekki Raatikainen; in Norvegia Halvar Lange, Trygve Bratteli e Reiulf Steen; in Danimarca Per Hækkerup e Niels Matthiasen.

La giornalista italiana insisteva, nel suo rapporto, su questa frattura generazionale. Parlava di un «travaglio» determinato dalla vicenda vietnamita, che avrebbe

fatto […] saltare, soprattutto sul piano del legame ideale, il rapporto di amicizia e di fedeltà alla “democratica” America contrapposto, per quasi venti anni, agli Stati “dittatoriali” dell’Est. Inquietudine e malessere, delusione e amarezza, sono anche in quei leader che furono più fedelmente atlantici. […] A questo profondo travaglio serve da ininterrotta pressione e da stimolo la rivolta della gioventù socialdemocratica contro la guerra vietnamita, la sua repulsione per gli Usa, aggressori.

La visione della Macciocchi, sebbene non pienamente coincidente con gli orientamenti del Pci (già nel 1969 la giornalista avrebbe pubblicato un polemico volume sul proprio partito – Lettere dall'interno del Pci a Louis Althusser –, e sarebbe stata espulsa alcuni anni dopo)179, estremizzava tendenze largamente presenti fra i comunisti italiani. Il suo giudizio sulla “crisi” socialdemocratica univa accenti vagamente francoforteschi di critica

178 Uno degli esponenti di questa generazione, lo svedese Bernt Carlsson (futuro segretario

generale dell’IS), parlava a questo proposito di una vera e propria «nuova scuola» rispetto alla generazione socialdemocratica cresciuta all’ombra della guerra fredda. Cfr. G. Devin, L’Internationale socialiste, cit., pp. 171-72.

179 Cfr. l’autobiografia Duemila anni di felicità, cit.; e E. Selvi, Maria Antonietta Macciocchi:

profilo di un’intellettuale nomade nel secolo delle ideologie, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Roma Tre, 2009.

alla “società opulenta” con la tradizionale svalutazione comunista delle esperienze di riformismo welfarista:

Lo “stato del benessere” creato da un socialismo fittizio finisce per partorire l’alienazione: le forze di produzione e i rapporti di produzione creati nella società si presentano come una forza estranea, e gli individui si sentono come rotelle di un ingranaggio controllato dal capitalismo e gestito da burocrati senza volto. I partiti borghesi […] si rifanno avanti sulla scena politica. Essi affermano: la socialdemocrazia è sclerotica, burocratizzata, incapace di far fronte ai nuovi problemi, noi vi garantiamo di salvaguardare tutte le riforme compiute, di migliorarne qualcuna […] e infine di risanare l’economia del paese. […] la colpa dei socialdemocratici, secondo una felice espressione del compagno Saarinen [dirigente comunista finlandese, NdA], è stata quella di essere stati “ottimi gestori della società capitalistica”180.

Tornando al versante tedesco dell’iniziativa del Pci, arrivava in Italia il 14 febbraio la delegazione della Sed. La nota sulle conversazioni realizzate nel corso del soggiorno, preparata dai tedeschi per l’ufficio di Ulbricht, descrive «un dibattito lungo e talvolta assai aspro» fra i due partiti comunisti, nel quale «le questioni relative al giudizio della politica e degli obiettivi dei dirigenti socialdemocratici della Germania occidentale […] hanno occupato un posto centrale». Gli italiani avevano dettagliatamente riferito circa l’incontro con Bahr, insistendo sulla necessità di fornire un appoggio alle iniziative della Spd per far prevalere all’interno della coalizione le sue posizioni su quelle della Cdu. Le impressioni degli uomini di Berlino Est furono nuovamente negative:

È risultato evidente che la direzione della Spd vuole usare il Pci per esercitare una pressione su di noi; allo stesso modo, le dettagliate spiegazioni dei compagni italiani (Longo, Ingrao, Galluzzi e Segre) hanno fatto capire che loro non solo si fanno illusioni sulla politica dei leader della Spd, ma anche sulla possibilità di ottenere nella Spd alcune posizioni181.

180 FIG, APC, Estero-Svezia, mf. 552, pp. 2648-2665, M.A. Macciocchi, «Appunti per il

compagno Longo e per la Sezione Esteri del PCI sul viaggio compiuto presso le socialdemocrazie scandinave tra l’8 e il 20 febbraio 1968». Si vedano anche i suoi reportage per l’«Unità»: Svezia: la fine di un mito (24 marzo 1968); Come ritrovare l’anima socialista? (30 marzo 1968); Il test finlandese (3 aprile 1968).

181 SAPMO, Büro Walter Ulbricht, DY 30/3563, «Kurzinformation über einige Probleme aus den

Beratungen zwischen den Delegationen des ZK der Sozialistischen Einheitspartei Deutschlands und des ZK der Italienischen Kommunistischen Partei (IKP) in Rom».

Nonostante questo, grazie al vantaggio di “giocare in casa”, il Pci riuscì in questa occasione a strappare ai rappresentanti della Sed un comunicato senza precedenti: nessun attacco alla Germania occidentale, nessun riferimento al “revanscismo” o all’”imperialismo” di Bonn, nessuna critica alla politica socialdemocratica, ma, al contrario, accordo, «nello spirito […] di Karlovy Vary […], sul fatto che la realizzazione di una politica di sicurezza europea richiede l’intesa delle forze comuniste, socialiste, socialdemocratiche e cattoliche». Da parte sua, il Pci confermava l’impegno a favorire il riconoscimento della Repubblica democratica da parte dell’Italia182. Il partito italiano riusciva dunque a fare arrivare un segnale a Bonn: il riferimento, fra le condizioni necessarie per un’Europa pacifica e libera dai blocchi, alla «conclusione di accordi sulla rinuncia alla violenza tra le Repubblica federale e gli Stati socialisti, in particolar modo con la Rdt» , rappresentava un chiaro richiamo alla strategia enunciata da Bahr, il quale riceveva così un’importante incentivo a proseguire sulla linea esposta a Monaco. Segre spedì subito a Bauer il testo del comunicato, corredato di un breve commento in francese: «Je pense que Vous y verrez certaines choses intéressantes, en ce qui concerne tant le ton que la substance»183.

Questa fase attiva del rapporto Pci-Spd era tuttavia destinata a conoscere un’interruzione a causa della comparsa sulla stampa tedesca, fra la fine di marzo e l’inizio di aprile, di rivelazioni sugli incontri184, il carattere riservato dei quali diede adito alle speculazioni più ardite, con l’esito di forti tensioni all’interno della stessa Große Koalition185. La gestione della crisi da parte della Spd fu particolarmente goffa: per testimoniare la serietà della propria iniziativa e l’affidabilità della controparte, l’Ufficio stampa uscì infatti con un comunicato nel quale si affermava tra l’altro che, dato il carattere del Pci, «forza politica importante, che nessuno può ignorare o negare», non era

182 Visita e colloqui in Italia di una delegazione della SED – Comunicato sulle conversazioni con

una delegazione del CC del PCI, in «l’Unità», 27 febbraio 1968.

183 FIG, APC, Estero- Germania RFT, mf 0552, p. 1455. 184 Cfr. ad esempio «Die Welt», 1 e 6 aprile 1968.

185 Cfr. le memorie dell’allora capo dell’Ufficio di cancelleria, l’esponente della Cdu Karl

da escludersi la possibilità di un futuro governo democristiano-comunista186. Scontate erano le repliche piccate di DC e socialisti italiani (subito i tedeschi inviarono a Nenni un telegramma di presa di distanza dal comunicato187, che venne infine smentito ufficialmente nel corso della seduta del Präsidium del 4 aprile188), ma addirittura furiosa fu, all’interno della Spd, la reazione degli uomini della Sezione esteri, completamente scavalcati nella gestione del rapporto col Pci e ora in grave imbarazzo con i loro interlocutori del Psu. Una volta scoppiato il caso, Kohn-Brandenburg spediva al responsabile dell’Internationale Abteilung socialdemocratico, Hans-Eberhard Dingels, una lettera di fuoco nella quale criticava duramente la gestione dei colloqui («sebbene noi – tu ed io – fossimo a conoscenza della lettera di Markscheffel […] siamo stati in seguito sistematicamente messi da parte»), e lamentava le conseguenze estremamente negative che la vicenda aveva avuto sui rapporti con i socialisti italiani, proprio alla vigilia delle elezioni («la maniera goffa in cui sono stati gestiti questi “colloqui informativi” ha fatto sì che la Spd perdesse molte simpatie presso il Psu»). Le sue conclusioni erano assai negative: «Cosa ci resta da fare adesso: fare silenzio, non parlare più della cosa e cercare di rimettere insieme i cocci»189. Dingels non rimaneva insensibile alle osservazioni del suo collaboratore, e pochi giorni più tardi scriveva al tesoriere del partito Alfred Nau affermando la necessità di inviare con urgenza Kohn-Brandenburg in Italia per ricucire i rapporti coi socialisti190.

L’intera vicenda mostra come nella Repubblica federale il rapporto con un partito comunista rappresentasse ancora un tabù pericoloso da infrangere: il dialogo non era osteggiato solo dalla stampa conservatrice o dai partiti dell’Unione, ma lasciava fredda quando non contraria anche una parte della stessa Spd. Il solco che le vicende del Novecento avevano scavato tra le due principali componenti del movimento operaio risultava ancora nel 1968 assai profondo. Non pare tuttavia condivisibile la lettura di

186 Cfr. FIG, APC, Estero, 1968, Germania-RFT, mf. 0552, p. 1465, «SPD-Pressendienst,

2.4.1968».

187 Cfr. FES, AdsD, SPD-PV, 10512, «Telegramm an Pietro Nenni 3. April 1968».

188 Cfr. FES, AdsD, Nachlaß Leo Bauer, 1/LBAA09, «Kommunique über die Sitzung des

Präsidiums der SPD am 4. April 1968 in Bonn – Auszug».

189 FES, AdsD, SPD-PV, 10512, A. Kohn Brandenburg, «Vermerk für Gen. H.E. Dingels» (9

aprile 1968).

190 Cfr. FES, WBA, A11.4. 31. «18.4.1968, Hans-Eberhard Dingels an Alfred Nau. Betr.: Italien

quanti – fra loro Johannes Lill , autore di una ricostruzione per altri versi assai puntuale191 – sostengono che la crisi dell’aprile 1968 abbia rappresentato uno spartiacque decisivo nei rapporti tra Pci e Spd, che avrebbero avuto in seguito e per lungo tempo un carattere meramente residuale. A testimonianza di un immutato interesse di Brandt, il 7 aprile, nel pieno di quella che fu definita la «Italien-Panne», Bauer, di passaggio a Roma, incontrava Segre confermandogli l’intenzione della Spd di proseguire i contatti dopo le elezioni italiane e riferendogli delle opzioni tattiche che la direzione socialdemocratica stava vagliando per dare una scossa all’azione di governo192.

Höbel ha recentemente documentato come i colloqui romani di novembre fossero stati registrati dalla Polizia italiana, e i nastri avessero raggiunto il socialdemocratico Antonio Cariglia, il quale aveva a sua volta provveduto ad informare dell’incontro fra Pci e Spd l’Ambasciata statunitense193. (Il fatto, lo si nota incidentalmente, contribuì ad accrescere