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La lenta chiusura di una fase

L’ambigua lotta alla “logica dei blocchi”

7. La lenta chiusura di una fase

All’indomani dell’invasione della Cecoslovacchia e della formulazione della cosiddetta “dottrina Brežnev” sulla sovranità limitata degli Stati socialisti234, il Pci aveva compreso la minaccia che dalla visione sovietica – tesa evidentemente a congelare, in

231 Cfr. FIG, APC, Estero, Germania-RFT, 1968, mf. 0552, pp. 1488-1495. 232 Ivi, p. 1506, «Nota sulla costituzione del nuovo partito comunista tedesco». 233 Ivi, (documento senza titolo), pp. 1514-1527.

234 M.J. Ouimet, The Rise and Fall of the Brezhnev Doctrine in Soviet Foreign Policy, The

Europa, le «frontiere della rivoluzione» – arrivava alla sua stessa posizione di partito comunista collocato nel campo occidentale235. Indicazioni in questo senso arrivavano anche da altri interlocutori, come i comunisti jugoslavi. Incontrando in settembre una delegazione del Pci, il montenegrino Veljko Vlahović individuava come cardini della politica internazionale sovietica

- l’accordo con gli USA, sulla base della spartizione del mondo in sfere di influenza; - la lotta contro ogni tendenza democratica negli Stati socialisti, che è in contraddizione aperta con l’egemonia da grande potenza. Per i sovietici il socialismo è il campo socialista. Per il resto tutto deve restare come stabilito a Yalta. [...] Il XX congresso non esiste più, non lo si nomina neppure236.

Coerentemente con le posizioni sostenute negli ultimi anni, Carlo Galluzzi interveniva su «Rinascita» per ribadire il sostegno alla concezione “dinamica” della politica di distensione, e la necessità di associare più concretamente l’azione italiana a quella della sinistra europea, nel contesto di un rinnovamento politico del continente:

Sostenendo il nuovo corso cecoslovacco noi non abbiamo solo posto un problema interno al mondo socialista o al movimento comunista internazionale [...] abbiamo posto un problema europeo e nazionale, quello di un nuovo assetto del nostro continente, del superamento della guerra fredda, dello scioglimento, seppur graduale, dei blocchi. C’è qui una base reale di incontro fra tutte le forze di sinistra. Bisogna avere la forza e la volontà di abbattere gli steccati e di sostituire alle vuote declamazioni un confronto ed un dibattito aperto e leale237.

La ricerca degli italiani si arrestava però sulle soglie della messa in discussione della tradizionale collocazione internazionale del partito. Era lo stesso Longo a fissare i confini, parlando alla Direzione del Pci:

235 L. Pavolini, Le frontiere della rivoluzione, «Rinascita», 20 settembre 1968. 236 FIG, APC, Estero, Jugoslavia, mf. 0552, pp. 1948-1949.

Siamo nel campo socialista, contro l’imperialismo. Senza cambiare la nostra posizione del dissenso e della critica, stare attenti a non lasciarci respingere fuori dal campo dove vogliamo restare238.

Diversi elementi, politici e identitari, pesavano in questo senso: la convinzione di poter esercitare una funzione attiva solo dall’interno del movimento comunista; il timore di una divisione del partito (anche sostenuta da forze esterne239); il peso della dipendenza economica dall’Urss (che emergeva nei dibattiti della Direzione in modo insolitamente trasparente)240; il legame ideologico col campo socialista; l’antiamericanismo che si intrecciava con l’antimperialismo. Nella vitalità del comunismo internazionale, nonostante tutto, il Pci continuava a confidare241.

L’autunno trascorse dunque con il partito italiano impegnato in una complessa dialettica di critica e tentativo di ricucitura con il campo socialista242. Nella Spd, Bauer seguiva questo sviluppo dalle colonne di «Die Neue Gesellschaft», rivista teorica del partito della quale era divenuto direttore. In un lungo articolo dedicato alla «crisi del comunismo mondiale», il giornalista proponeva l’immagine di un Pci al bivio tra capitolazione e inasprimento decisivo delle tensioni con i “partiti fratelli”243. In realtà, il partito si sottraeva a una simile alternativa e, nelle dichiarazioni pubbliche come nelle discussioni con i sovietici244, manteneva ferme le proprie posizioni evitando tuttavia atteggiamenti che potessero portare ad una rottura.

238 FIG, APC, Direzione, 18 settembre 1968, mf. 020, pp. 959-960.

239 Questo timore fu espresso con grande chiarezza da Berlinguer: «Il problema […] è quello del

rapporto col PCUS. Ci sono state avvisaglie dell’attacco che ci possono condurre. Nelle scorse settimane si è stati ai limiti di questo attacco. [Zagladin] ha anche detto che vi sono minoranze agguerrite in Francia e in Italia che non condividono la linea del partito. Dobbiamo essere consapevoli e preparati ad una eventualità di questo genere senza fare niente per provocarla. Prepararci ideologicamente, politicamente, organizzativamente e propagandisticamente». FIG, APC, Direzione, 4 ottobre 1968, mf 020, pp. 1073-1074.

240 Cfr. A. Höbel, Il PCI, il ’68 cecoslovacco e il rapporto con il PCUS, cit., pp. 1165-1166. 241 Cfr. S. Pons, Berlinguer e la fine del comunismo, passim.

242 Rimandiamo ai lavori citati in n. 207 per un esame approfondito dei vari passaggi di questa

fase.

243 Cfr. Die Krise des Weltkommunismus, «Die Neue Gesellschaft», Novembre-Dicembre 1968. 244 Una missione a Mosca era stata guidata in novembre da Berlinguer. Cfr. il suo resoconto in

Assestato, nonostante le pressioni provenienti dal Pcus245, sulla linea dell’”unità nella diversità” con il movimento comunista, il Pci si avviava verso il proprio XII Congresso (previsto per febbraio a Bologna), dove sarebbe stata tra l’altro sancita la designazione di Berlinguer, nominato vicesegretario, a sostituire Longo, indebolito da un ictus che lo aveva colpito in autunno246. Fu ancora una volta Bauer a rispondere, inviato dal Präsidium in qualità di giornalista (e dunque in forma non ufficiale), all’invito a partecipare all’assise inoltrato alla Spd dalla Direzione comunista247. La sua presenza fu occasione di nuove tensioni tra il Pci e la Sed, dopo le polemiche sulla Cecoslovacchia dell’autunno precedente. «Siamo oltremodo stupiti dei rapporti che il Pci intrattiene con la Spd e in particolare con il rinnegato Leo Bauer», attaccava il membro del Politbüro Albert Norden rivolgendosi a Galluzzi248. Alle accuse, il dirigente italiano rispondeva sottolineando l’utilità dei contatti, che il Pci non poteva rifiutare in linea di principio data la tradizione comune che condivideva con la Spd249. Con la Sed, che insisteva sugli «errori di valutazione» del Pci (mancato inserimento delle singole vicende nel quadro di uno scontro con le forze imperialiste; insufficiente uso delle categorie marxiste di analisi) emergeva sempre più chiaramente la divergenza di prospettive. Una visione come quella di Norden, per il quale la funzione dell’iniziativa politica internazionale del Pci sembrava ridursi all’agitazione antimperialista, avrebbe messo all’angolo nel paese i comunisti italiani, in piena consonanza con l’idea conservatrice degli equilibri europei delineata dalla dottrina Brežnev. Al contrario, il rapporto con la Spd – come il Pci, un partito che rappresentava la classe operaia in un paese dell’Europa occidentale che aderiva alla Cee – si inseriva in un processo di uscita dall’isolamento: appena un mese più tardi, superando

245 Nel corso di colloqui svolti a Mosca in gennaio, la dirigenza sovietica aveva duramente

attaccato il PCI, fino a ventilare l’ipotesi di boicottare il congresso. Cfr. FIG, APC, Note a Segreteria, 1969, «Note sul viaggio a Mosca (20-22 gennaio 1969)», mf. 058, pp. 843-845.

246 Cfr. F. Barbagallo, Enrico Berlinguer, Carocci, Roma 2006, p. 103.

247 Copie della lettera d’invito – inoltrata da Cossutta – sono in FES, WBA, A11.4, 50 e AdsD,

SPD-PV, 10512.

248 SAPMO, ZK SED, Büro Albert Norden 1955-1971 DY 30/IV A 2/2.028/138, «Vermerk über

ein Gespräch des Genossen Norden mit Genossen Galluzzi am 14.2.1969 in Bologna».

249 Ibid. Il resoconto tedesco recita: «Man muss berücksichtigen, dass die westdeutsche

Sozialdemokratie eine Realität darstellt, dass sie existiert und wir können auf der Grundlage unserer gesamten Tradition aus prinzipiellen Gründen einen Kontakt mit ihr nicht ablehnen».

un veto di lunga data, gli italiani sarebbero stati i primi tra i comunisti europei ad inviare una delegazione al parlamento di Strasburgo250.

Proprio l’esperienza europea, tuttavia, confermava la difficoltà per Pci di articolare i propri orientamenti in una strategia coerente. La prima conferenza stampa del capodelegazione comunista al Parlamento europeo, Giorgio Amendola, aveva suscitato una grande attenzione internazionale251. Riferendone alla Segreteria, il dirigente napoletano non riusciva però a tacere alcune perplessità:

Nel corso della conferenza stampa ho avvertito l’esigenza di una maggiore concretezza della nostra linea di politica estera. La linea generale è chiara: superamento dei blocchi, unità dell’Europa senza divisione tra stati a diverso regime sociale, rispetto dell’autonomia nazionale, e quindi cooperazione economica, culturale, politica; costruzione dal basso, con la partecipazione dei popoli e della classe operaia, unità delle forze di sinistra per una lotta antimonopolistica e per spezzare la subordinazione economica e politica verso gli Stati Uniti. Ma è un disegno a maglie molto larghe. Superamento dei blocchi, per tappe successive, attraverso misure concordate e graduali: ma quali misure, quali tappe? Come si colloca in questo quadro la nostra richiesta di uscita dell’Italia dalla Nato? Credo che la nostra partecipazione a Strasburgo ed a Bruxelles ci obbligherà ad essere più concreti252.

La questione della Nato, per limitarsi ad un aspetto, era stata posta dal Pci con rinnovato fervore all’indomani del Congresso. Si trattava, in parte, di una risposta alle pressioni da sinistra che si facevano sentire anche all’interno del partito (nel giro di pochi mesi, ad esempio, sarebbe emerso, per essere poi rapidamente radiato, il gruppo del «Manifesto»). Più in generale, era una linea che permetteva di ribadire la contestazione all’ordine della guerra fredda mettendo in secondo piano il nodo dei rapporti col campo socialista253. Non si faceva fatica a riconoscere, tuttavia, la scarsa corrispondenza di questa impostazione con gli effettivi sviluppi della situazione internazionale. Nel

250 Cfr. M. Maggiorani, L’Europa degli altri, cit., pp. 277-285.

251 Si veda ad esempio la nota dedicatagli dal gruppo socialdemocratico tedesco: FES, AdsD,

SPD- Arbeitsgruppe Europäische Union, 1305, «SPD- Pressendienst 20.03.1969. Kommunisten zum ersten Mal im europäischen Parlament. Propagandaplattform oder Mitarbeit?».

252 FIG, APC, Esteri-Europa, mf. 308, p. 2307, «Nota per la Segreteria», (Giorgio Amendola, 20

marzo 1969).

momento stesso in cui elaborava un nuovo «piano di lavoro sulla Nato», la Sezione esteri del Pci ammetteva una

diminuita credibilità o incidenza reale di alcune nostre denunce e proposte: ad esempio, pericolo unilaterale di tensione internazionale da parte della Nato, Nato e indipendenza nazionale, ecc. Ma è nel problema centrale della prospettiva che è venuta la maggiore difficoltà: quello concernente lo scioglimento dei blocchi. Gli ultimi episodi concreti sul piano internazionale sembrano andare verso un rilancio dei blocchi. Esso non avviene nei termini propri alla guerra fredda, come contrapposizione aspra e tesa di due mondi. Al contrario: i blocchi vengono oggi rilanciati come la base di una trattativa generale e della distensione254.

L’Urss, effettivamente, chiariti con l’intervento in Cecoslovacchia i limiti che la détente non doveva valicare, tornava a guardare ad Occidente per una sistemazione delle questioni pendenti. Un segnale in questo senso era arrivato con l’«Appello di Budapest» dei paesi del Patto di Varsavia (del 17 marzo 1969): la proposta di una conferenza su sicurezza e cooperazione in Europa veniva rilanciata con toni insolitamente concilianti verso i paesi dell’Ovest, Germania compresa255. Spingeva in questa direzione anche l’evento, sconcertante per le categorie d’analisi comuniste, dello scontro armato fra i due maggiori Stati socialisti, gli incidenti di frontiera fra Urss e Cina sul fiume Ussuri avvenuti all’inizio di marzo256.

Negli stessi, convulsi, mesi, entrava nel vivo l’organizzazione della conferenza mondiale dei partiti comunisti: rinviata infinite volte, questa si sarebbe finalmente tenuta a Mosca nel mese di giugno. Il gruppo dirigente del Pci si mostrava diviso nell’approccio all’appuntamento. Due le tendenze che emersero in questo frangente. Da un lato si collocava un fronte “innovatore”, guidato dal nuovo vicesegretario Berlinguer, che collegava gli sviluppi della distensione internazionale alla necessità di passi verso la democratizzazione all’interno degli stati socialisti e nei rapporti fra di essi. Di qui veniva l’auspicio di una partecipazione critica del Pci alla conferenza (che si concretizzava nel

254 FIG, APC, Sezioni di lavoro- Esteri, busta 66, fasc. 1310/20, «Note sulla impostazione del

piano di lavoro per la NATO» (5 aprile 1969).

255 Cfr. C. Békés, The Warsaw Pact and the CSCE process, cit., pp. 205-13.

256 Per l’approccio sovietico alla distensione dopo la Cecoslovacchia cfr. V. Zubok, A Failed

rifiuto di tre dei quattro paragrafi del documento finale che era in via di preparazione) e di un’iniziativa più concreta verso forze che andassero oltre il movimento comunista. A contrapporsi a questo era un eterogeneo raggruppamento “realista” (da Amendola, a Pajetta, al filosovietico Colombi) che privilegiava l’unità col movimento, letta in chiave storicista e come risorsa per la coesione del partito257.

Durante tutta la complessa fase avviata con il dopo-Praga, la Spd rimase un importante, per quanto isolato, interlocutore del Pci nel campo della socialdemocrazia europea. Brandt si era trovato, nel mese di dicembre, a difendere le ragioni del dialogo con i comunisti italiani in uno scambio epistolare con Bruno Kreisky. Dopo l’invasione della Cecoslovacchia, il leader della Spö aveva recuperato una visione assai critica della situazione del movimento comunista258. Al ministro degli Esteri tedesco era giunta la notizia di una sua valutazione particolarmente negativa del Pci, finanziariamente dipendente dall’Urss e perciò poco credibile nelle sue posizioni indipendenti, che Kreisky giudicava destinate a rientrare «al massimo nel giro di sei mesi». A questa visione, Brandt opponeva quella di un Reformkommunismus (categoria unitaria con la quale, nel lessico politico tedesco, venivano definite diverse varietà di comunismo “non dogmatico”)259 i cui sviluppi, importanti per la situazione europea, andavano seguiti con attenzione. Dal punto di vista tedesco, era interessante la misura in cui la penetrazione in questo gruppo del Sozialdemokratismus diventava oggetto di discussioni nel mondo comunista: pareva significativa, a questo riguardo, la polemica del Pci con la Sed, che accusava gli italiani di stare abbandonando i criteri di giudizio propri del «marxismo- leninismo». Ricordando inoltre i colloqui dell’anno precedente, Brandt menzionava il giudizio positivo di Egon Franke, e il suo richiamo all’opportunità di «iniziare a distinguere fra comunisti e comunisti»260.

257 Cfr. i dibattiti in FIG, APC, Direzione, 16 aprile 1969, mf. 006, pp. 1394 e ss; Ivi, 7-8 maggio

1969, pp. 1529 e ss.; Ivi, 29 maggio 1969, pp. 1695 e ss.

258 Cfr. «Sozialistische Korrespondenz», 29 agosto 1968: «B. Kreisky: Unterwürfigkeit und

Nachgiebigkeit machen sie nicht bezahlt. Die Lehren aus den Ereignissen in der CSSR» (in IISH, SIA, b. 569).

259 Cfr. A. Langner, Neomarxismus, Reformkommunismus und Demokratie. Eine Einführung,

Bachem, Köln 1972, pp. 13-17 e passim.

260 FES, WBA, A.11.15, b. 10, Willy Brandt a Bruno Kreisky, 3 dicembre 1968. La bozza della

lettera, dai toni più decisi rispetto alla versione poi spedita, era stata preparata da Bauer (cfr. supra, p. 125n).

Dopo un allentamento del dialogo italo-tedesco in autunno, i contatti riprendevano quota attorno alla preparazione di un intervista a Brandt sul filo-comunista «Paese Sera», lungamente preparata e infine uscita il 6 febbraio 1969261. In questo contesto, Segre avvertiva Bauer di essere stato incaricato da Longo di recarsi a Bonn per discutere con lui addirittura della relazione che il segretario avrebbe presentato al XII congresso262. Il rappresentante tedesco, come si accennava, partecipò poi all’assise, della quale scrisse su «Die Neue Gesellschaft»263 e riferì personalmente a Brandt264.

Con l’avvio di una nuova fase della politica sovietica, all’indomani dell’«Appello di Budapest» (che Brandt aveva accolto positivamente, a differenza degli alleati della Cdu)265, gli italiani tornarono a farsi vivi a Bonn con la proposta di un incontro ad alto livello. Alla fine di marzo Segre telefonò a Bauer annunciando «interessanti novità da Mosca», emerse nel corso di una delle riunioni preparatorie della conferenza mondiale266. Dal canto suo, il direttore di «Die Neue Gesellschaft» aveva pochi giorni prima suggerito a Brandt di approfondire il tema del Reformkommunismus in sede di Internazionale socialista (dove invece un «Gruppo di lavoro sui paesi e partiti comunisti» stava preparando, in vista del congresso dell’IS previsto per giugno, un documento piuttosto tradizionale di presa di distanza ideologica)267. Bauer si recò a Roma il 29 dello stesso mese. Fra i suoi interlocutori, che già conosceva, uno era nel frattempo diventato un personaggio di assoluto rilievo: «poiché Longo è ancora malato, è lui il vero capo del Pci», scriveva il tedesco di Berlinguer.

La sensazione degli italiani era che a Mosca fosse prossima una svolta: se i tedeschi avessero mantenuto le loro posizioni, un’apertura appariva prevedibile a breve. Galluzzi

261 Non v’è alternativa sensata alla politica di distensione (intervista di G. Signorini), «Paese

sera», 6 febbraio 1969. Ampia documentazione sulla preparazione dell’intervista in FES, AdsD, Nachlass Leo Bauer, b. 10.

262 Ivi, «Aktennotiz an Willy Brandt» (L. Bauer, 5 gennaio 1969). Non ci sono però testimonianze

circa l’effettivo svolgimento del colloquio.

263 L.B. [Leo Bauer], Als Beobachter in Bologna und Belgrad, in «Die Neue Gesellschaft», 5,

1969.

264 FES, AdsD, Nachlaß Leo Bauer, b. 9, «11 Februar 1969, Herrn Willy Brandt»; Ivi, b. 10,

«Betrifft: Bologna und Belgrad».

265 Cfr. G. Bernardini, «Nessuna preferenza»: l’amministrazione Nixon, la «Grande coalizione»

tedesca e le elezioni tedesche del 1969, «Ventunesimo Secolo», no. 9, 2006, pp. 159-163.

266 Ivi, «25. März 1969, Herrn Minister Willy Brandt».

267 Ivi, «21. März 1969, Herrn Minister Willy Brandt». Sulle attività del gruppo di lavoro cfr. la

aggiungeva di avere avuto l’incarico di sondare la Spd circa la possibilità di mettere su, accanto alla conferenza per la sicurezza europea, una sorta di movimento di supporto, una «conferenza dei popoli europei». Bauer espresse il suo scetticismo sull’ultimo punto: quella proposta da Galluzzi sembrava piuttosto una «conferenza dei compagni di strada», che la Spd non poteva accettare. Riferendo al partito dei colloqui, in ogni caso, giudicò opportuno dar seguito al dialogo col Pci con l’incontro fra delegazioni qualificate che gli italiani chiedevano:

Poiché ritengo un simile colloquio preliminare assai utile in vista della conferenza mondiale, sono dell’opinione che dovremmo soddisfare le richieste degli italiani. […] Raccomando anche di tenere il colloquio da noi nella Repubblica Federale, poiché sono dell’opinione che sarebbe buono che Herbert [Wehner] partecipasse ad almeno uno dei colloqui. Per sottolineare l’importanza di un tale colloquio preliminare, vorrei segnalare che la delegazione italiana alla conferenza mondiale [dei partiti comunisti] sarà guidata da Berlinguer e Galluzzi268.

L’incontro fu realizzato il mese successivo a Bonn, dove Berlinguer, Galluzzi e Segre poterono discutere, oltre allo stesso Bauer, con Franke e Herbert Wehner, ministro per le questioni pantedesche e “numero due” del partito. I tre giorni di incontri ebbero come esito pratico l’avvio di una discussione parallela sui temi della distensione europea su «Rinascita» e «Die Neue Gesellschaft» e la proposta di Wehner di una conferenza su «Distensione e sicurezza europea» che Pci e Spd avrebbero dovuto organizzare congiuntamente per l’autunno269.

A parte una breve nota redatta da Bauer per Brandt, la fonte principale per la ricostruzione dei temi trattati nei colloqui è costituita dagli appunti presi nell’occasione da Berlinguer, piuttosto frammentari e di non facile lettura. Oltre alle questioni della sicurezza europea, i rappresentanti dei due partiti discussero tra l’altro di politica interna (politiche sociali; situazione tedesca alla vigilia delle elezioni), e della percezione del campo socialista in Europa occidentale. Significative su questo punto le note di Berlinguer sull’intervento di Franke: il rappresentante della Spd avrebbe parlato

268 FES, AdsD, Nachlaß Leo Bauer, b. 10, «Bericht über die Begegnungen mit der KPI am 29.

Und 30. März 1969 in Rom».

dell’invasione della Cecoslovacchia come di un «danno, ma non come [quella dell’]Ungheria», e avrebbe sostenuto che oramai il punto di vista tedesco verso i paesi socialisti «non [era] più in bianco e nero». Dato che esisteva per questo un «merito [della] Spd» sarebbe stato «meglio se non [avesse avuto] bastoni tra le gambe da U[nione ] S[ovietica] e Ddr». Poiché la Cdu «utilizza[va] ogni scacco, ogni no», un atteggiamento di chiusura da parte di sovietici e tedeschi orientali avrebbe rischiato di «spingere a destra la situaz[ione] in G[ermania] e [in] Europa». Dal canto suo, Berlinguer ribadì nel proprio intervento l’azione «attiva ma autonoma» del Pci nel movimento comunista internazionale, oltre all’«interesse [alla] distensione anche per [la] politica interna e la dem[ocrazia] in It[alia]»270.

Si era in ogni caso trattato dell’incontro più importante – per il numero e la rilevanza degli interlocutori271 – fra quelli realizzati in questa fase: il rapporto era dunque ben vivo anche un anno dopo quella primavera 1968 indicata in alcuni studi come momento di chiusura della collaborazione fra Pci e Spd. L’appuntamento successivo fu a Roma, all’indomani della conferenza di Mosca. Gli italiani vi arrivavano soddisfatti: confermato il rifiuto di buona parte del documento conclusivo, il discorso del capodelegazione