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Distinzione dell’esercizio d’impresa dalle attività produttive di redditi diversi

Quanto fin qui considerato contribuisce a chiarire un ulteriore aspetto della problematica relativa all’individuazione dell’esercizio d’impresa nel diritto tributario, concernente la sua distinzione da fattispecie con analogo oggetto, ma produttive di redditi diversi.

La materia è definita nell’art. 81, lett. i) del testo unico, che ri­ guarda i redditi derivanti da attività commerciali non esercitate abitualmente: elemento differenziatore nelle fattispecie in questio­ ne è quindi la mancanza dell’esercizio abituale, cioè del carattere di professionalità che, come si è visto, deve necessariamente ineri­ re alla fattispecie generale dell’esercizio d ’impresa: per cui l’ambito di riferimento di questa categoria è praticamente residuale, rima­ nendo contraddistinto dalle attività che, pur avendo un oggetto analogo a quelle imprenditoriali, mancano appunto del requisito della professionalità.

Da ciò discende, fra l’altro, l’esclusione di queste situazioni dalla sfera di operatività della normativa in tema di adempimenti contabili degli imprenditori, e l’adozione del principio di cassa per la determinazione del reddito (101).

L ’occasionalità è dunque l’elemento distintivo di questa cate­ goria, come condizione reciproca a quella precedentemente de­ scritta con riferimento alla fattispecie prevista dall’art. 51, comma 1: anche se vai la pena ricordare in proposito come in certe ipotesi il legislatore, in considerazione del particolare tipo di attività, sem­ bri in apparenza prescindere — al fine di riconoscere l’esercizio d ’impresa — dall’esercizio abituale: come nei casi, descritti dalla lett. b) del comma 2 dello stesso articolo, di sfruttamento di minie­ re, cave, torbiere, saline, laghi, stagni ed altre acque interne (102).

me detto, il criterio da applicare per l’osservanza di tale condizione). Un principio dunque alquanto particolare, di dubbia correttezza ed applicabilità, che se mai conferma, più che intaccare, la validità della regola generale. La disposizione sembra rifarsi ad una concezione del carattere giuridico della commercialità inter­ pretato in senso economico (su cui v. Nuzzo, Questioni in tema di tassazione di en­ ti non economici, in RT, 1985, I , 122 ss., richiamato da Ma r c h e t t i, La previden­ za privata nel sistema delle imposte sui redditi, Padova, 1989, 163 ss.), che non pare, per le ragioni esposte, convincente.

(101) V. Fa n t o z z i, « Impresa e imprenditore », cit., 6 ss.; Po t i t o, R siste­ ma,cit., 134.

Per quanto concerne gli enti collettivi, occorre altresì tener presente che eventuali attività occasionali svolte da società ed enti commerciali non sono rilevanti come tali perché assorbite dalla qualificazione in senso imprenditoriale dall’intera attività svolta dal soggetto (con conseguente sottoposizione ad un criterio uniforme di determinazione dei redditi); mentre per gli altri enti la sussistenza o meno dell’esercizio d ’impresa, nel caso di svolgimento di attività commerciali, dovrà essere verificata in concreto, anche per il ri­ spetto dei relativi obblighi formali, di documentazione e contabilità.

Data la specifica previsione di legge, e quali che possano es­ serne gli effetti, pare corretto intendere in questi casi per attività, in linea di principio, pur sempre una sequenza o coordinamento di atti preordinati ad uno scopo unificante, per quanto ridotto o sem­ plificato come organizzazione o sviluppo temporale (103).

Il verificarsi della fattispecie in discorso comporterà anche la piena soggezione dei redditi così prodotti all Ilor [a differenza di quelli conseguenti all’esecizio di attività occasionali di lavoro auto­ nomo, di cui alla lett. I) del citato art. 81 t.u.: v. lett. d), art. 115 t.u., comma 2], mentre non sembrano applicabili a queste ipotesi le disposizioni agevolative che fanno riferimento alle imprese, come quelle contenute nell’art. 120 t.u.

12. L'esercizio d’impresa nell’Iva. Particolarità. Rinvìi.

In materia d’imposta sul valore aggiunto l’esercizio d ’impresa parimenti costituisce dato di primario riferimento, pur in un’ottica differenziata rispetto a quanto osservato a proposito dell’imposizio­ ne diretta.

V’è da tener presente infatti come, innanzitutto, nella disci­ plina Iva l’esercizio d’imprese concerna insieme lo svolgimento di attività commerciali ed agricole, e come di conseguenza le previ­ sioni specifiche riflettano questa particolare impostazione (104),

de-(103) Da notare, in proposito, la separazione avvenuta, con la formulazio­ ne del t.u. n. 917, tra le ipotesi relative a redditi derivanti da attività commerciali non esercitate abitualmente, di cui all’art. 81, lett. i), e quelle concernenti i reddi­ ti originati dall’affitto, locazione, noleggio o concessione in uso di veicoli, macchi­ ne e altri beni mobili, ora comprese nella lett. h)dello stesso articolo, in prece­ denza previste congiuntamente nell art. 77, comma 2, d.p.r. n. 597 del 1973.

(104) V ., Fantozzi, Imprenditore e impresa, cit., 186; Sammartino-Coppa, « Valore aggiunto (imposta sul) (IVA) », in N N .D .I., App., V II, Torino, 1987, 1057 ss.

lineata nel comma 1 dell’art. 4, d.p.r. n. 633 del 1972, che così dispone:

« Per esercizio di imprese si intende l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività commerciali o agri­ cole di cui agli articoli 2135 e 2195 del codice civile, anche se non organizzate in forma di impresa ».

Si tratta di una norma che, per quanto più vicina a quella adot­ tata in sede d ’imposizione diretta rispetto a precedenti formulazio­ ni, non ne ripete tuttavia alla lettera i riferimenti, richiamando semplicemente gli artt. 2135 e 2195 c.c. per costituire le fattispecie di base dell’esercizio d’impresa, anche a prescindere, pure in que­ sti casi, dai tipi dell’organizzazione imprenditoriale.

D ’altra parte, è da tener presente come nell’Iva l’ottica dell’in­ quadramento generale della materia differisca sensibilmente da quella propria del settore dell’imposizione diretta, essendosi verifi­ cata una perdita graduale di rilievo della differenza tra le attività compiute nell’esercizio d ’impresa e quelle compiute nell’esercizio di arti e professioni, rispetto alla prevalenza inizialmente attribuita alla considerazione dell’impresa ed alle operazioni effettuate nel suo esercizio (105).

In effetti, un allargamento della fattispecie concernente l’eser­ cizio di arti e professioni fino a comprendere le cessioni di beni, e l’eliminazione della restrizione soggettiva che riguardava i destina­ tari delle operazioni poste in essere in tale esercizio (dapprima li­ mitati alle sole imprese) hanno praticamente fatto sì che la norma relativa acquistasse quel carattere di previsione generale proprio delle corrispondenti disposizioni della regolamentazione Irpef, co­ me sopra considerato.

Per quanto riguarda la definizione dell’impresa, può notarsi tuttavia la relativa rilevanza delle differenze rispetto all’imposizio­ ne diretta, se si tiene conto della particolare condizione riservata alle attività agricole, e data l’assenza di riferimenti a fattispecie ri­ conducibili, in ipotesi, alla categoria delle c.d. imprese civili, il che, come detto, può comunque trovare una spiegazione nella particola­ re ratio del tributo.

Ciò discende anche da una certa influenza delle direttive

(1 05) Cfr. Po l a n o, Attività commerciali, cit., 228 ss.; Fa n t o z z i, « Impresa e imprenditore », cit., 2 ss.; sulle sussistenti differenze v. Lu p i, « Imposta sul va­ lore aggiunto (IVA ) », in Enc. giur., X V I, cit., 7.

CEE, formulate in modo da rispondere più ad esigenze sostanziali che formali (106).

Fatte queste precisazioni, occorre tener presente come la struttura fondamentale della nozione d’impresa ai fini Iva non sia significativamente dissimile da quella formulata ai fini dell’applica­ zione delle imposte dirette, onde risultano riferibili alla materia in esame molte delle considerazioni svolte al riguardo in tale sede.

Così, anche nella disciplina Iva si richiede, per la sussistenza dell’esercizio dell’impresa individuale, il requisito della professio­ nalità, implicante quei caratteri di abitualità e costanza indicativi di una partecipazione ordinaria del soggetto ai processi di produzione e di scambio, dei quali si è in precedenza argomentato, con le spe­ cificazioni e le particolarità della casistica a suo tempo esaminate.

Per quel che concerne le attività, come detto queste compren­ dono sia quelle agricole che quelle propriamente commerciali, e possono essere anche svolte, in ipotesi, senza un’organizzazione ad impresa.

L ’attuale disciplina Iva, e la sua articolata evoluzione, sembra­ no altresì confermare quanto argomentato in sede Irpef sulla confi- gurabilità di ipotesi di lavoro autonomo avente ad oggetto la produ­ zione e la cessione di beni, pur nella più limitata rilevanza già rico­ nosciuta nell’ambito della disciplina in esame. Quest’ultima contri­ buisce in effetti a rendere più contenuto il rilievo della questione che si è posta sulla collocazione in sede Iva delle attività di presta­ zioni di servizi non rientranti nell’art. 2195 c.c., variamente risolta in sede dottrinale, considerato che il legislatore ha volutamente omesso ogni riferimento, e che in questi casi l’organizzazione non influenza i dati di riferimento che lo stesso ha tenuto presenti per valutare le manifestazioni concrete di idoneità al prelievo (107).

Per quanto concerne l’esercizio d ’impresa con riferimento alle società e agli enti, può dirsi che nell’Iva sia riproposta, con gli op­ portuni adattamenti, la sistematica delineata ai fini dell’imposizione diretta, basata sulla rilevanza o della natura di tali soggetti o di quella dell’attività che ne costituisce l’oggetto esclusivo o principale.

(1 06) V. Fa n t o z z i, Imprenditore e impresa, c it ., 41; Ma s i, Categorie priva­ tistiche e nuovo regime dell’Iva, in RDC, 1980, I , 437 ss.

(107) V., in diverso senso, Fantozzi, op. ult. cit., 39; Masi, op. ult. cit., 345 ss.; Polano, Attività commerciali, cit., 231 ss.

Il legislatore prevede infatti in materia l’operatività di presun­ zioni assolute, stabilendo innanzitutto che « si considerano in ogni caso effettuate nell’esercizio d ’imprese: 1) le cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte dalla società in nome collettivo e in acco­ mandita semplice, dalle società per azioni e in accomandita per azioni, dalle società a responsabilità limitata, dalle società coopera­ tive, di mutua assicurazione e di armamento, dalle società estere di cui all’art. 2507 del codice civile e dalle società di fatto; 2) le cessio­ ni di beni e le prestazioni di servizi fatte da altri enti pubblici e pri­ vati, compresi i consorzi, le associazioni o altre organizzazioni sen­ za personalità giuridica e le società semplici, che abbiano per og­ getto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali o agricole » (art. 4, comma 2).

Nelle disposizioni su riportate sono in pratica espressi, pur con qualche adattamento, i medesimi criteri seguiti in sede Irpeg, già analizzati ai fini dell’individuazione della categoria degli enti com­ merciali. Sono così indicate in primo luogo le operazioni compiute dalle società commerciali ed assimilate, comprese le società di fat­ to, dalla cui stessa natura si fa discendere la qualificazione come esercizio d'impresa dell’attività svolta: considerandosi quindi allo stesso modo le operazioni effettuate dagli altri soggetti, in dipen­ denza del carattere commerciale del loro oggetto esclusivo o princi­ pale.

Valgono perciò in linea generale le argomentazioni svolte in precedenza a questo riguardo, pur se meritevoli di qualche specifi­ ca puntualizzazione.

Quanto al primo gruppo di soggetti, può infatti notarsi come qui l’indicazione sia più ampia di quella dell’art. 87, lett. a), d.p.r. n. 917 del 1986, risultando in certo modo integrata dall’inclusione delle società di cui all’art. 5 Irpef — a parte le società semplici — e da alcune ulteriori precisazioni.

L ’elenco comprende quindi sia le società commerciali di perso­ ne che quelle di capitali, nonché una serie di altre equiparate, tra cui meritano un cenno particolare le società estere di cui all’art. 2507 c.c. e le società di fatto.

Il riferimento alle prime sembra in verità più che altro raffor­ zativo di quanto attualmente discende dalla stessa configurazione dell’articolo, e dalla sua correlazione con quanto disposto nella cita­ ta norma del codice civile. Disponendo questa infatti che le società costituite all’estero, di tipo diverso da quelle nazionali, siano

assog-/ 1/ \ gettate (a certi fini) alle norme dettate per le società per azioni, ed essendo compresi, come s’è visto, al n. 1 dell’art. 4 i vari tipi di so­ cietà disciplinati dal nostro codice (eccettuata la sola società sem­ plice, di cui al successivo n. 2), il richiamo operato in questa se^£

rivela il precipuo significato di confermare espressamente anche K per i casi considerati la validità della suddetta equiparazione, risol­

vendo in partenza ogni possibile dubbio in proposito.

Quanto al riferimento alle società di fatto, esso appare di una certa opinabilità, dato che, sia per la mancanza di forma precisa, che le caratterizza (108), sia perché, come ammesso in sede I [cfr. art. 5, comma 3, lett. 6) t.u.], esse possono avere come oggetto attività di varia natura, sarebbe stato più corretto, quanto meno in linea di principio, regolarne la disciplina a seconda dell’attività esercitata.

Per gli altri soggetti diversi dalle persone fisiche la sussistenza della commercialità, non soccorrendo qui il criterio riferibile alla « forma » dell’ente, è fatta dipendere dalla connotazione dell’attivi­ tà esercitata in via esclusiva o principale, che deve essere di natura commerciale.

Si riproduce in sostanza il criterio adottato in sede Irpeg per l’individuazione dei cosiddetti enti commerciali, senza che tuttavia si ripeta la formula secondo cui in determinate ipotesi occorre tener conto di quanto stabilito nell’atto costitutivo. Dal che si deduce che nel caso dell’Iva non vi siano ostacoli formali alla diretta assunzio­ ne per i soggetti di cui sopra di un criterio di verifica concreta ri­ volta, in ciascun caso, ad appurare la reale natura dell’attività esercitata, ai fini e secondo le modalità indicate.

L ’avverarsi delle condizioni di cui innanzi fa sì che tutte le ces­ sioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate da tali soggetti in­ tegrino l’esercizio d’impresa, ricadendo perciò nell’ambito di appli­ cazione della disciplina stabilita al riguardo in sede Iva: la partico­ lare connotazione così assunta determina un’analoga qualifica per le medesime operazioni effettuate dagli stessi enti nei confronti dei propri soci, associati o partecipanti (art. 4, comma 3) confermando l’estensione ape legis all’intera attività del carattere dell’attività prevalente, come sopra individuata.

(1 0 8 ) In argomento, v. Fe r r i, Delle società, cit., 636; Ga l g a n o, Il contratto di società. Le società di persone, Bologna, 1980, 137; Co t o n o, Diritto commercia­ le, cit., 373.

Quanto esposto rivela perciò una sostanziale corrispondenza della definizione dell’attività d’impresa data a questi fini nel settore delle imposte dirette e in quello dell’imposta sul valore aggiunto, con indicazioni dotate di carica espansiva e perciò stesso caratteriz­ zate in senso residuale rispetto alle ipotesi espressamente sottratte alla corrispondente qualifica, insieme alla presenza, naturale e ne­ cessaria, dell’elemento della corrispettività da intendersi in senso lato, esteso cioè alla considerazione di tutti gli introiti corrispon­ denti, in varia misura ma in relazione specifica, all’effettuazione delle cessioni di beni e delle prestazioni dei servizi che costituisco­ no l’oggetto dell’attività esercitata (109).

Non sembra che ciò possa revocarsi in dubbio per la presenza, nel sistema dell’Iva, di disposizioni che disciplinano particolari fat­ tispecie in modo apparentemente divergente da quello considerato in precedenza, ché anzi, a ben vedere, tali fattispecie danno con­ ferma dell’analisi compiuta. Possono citarsi a tale riguardo le nor­ me sulle cessioni gratuite e sulla destinazione dei beni a finalità estranee all’esercizio dell’impresa, di cui all’art. 2, nn. 4 e 5; sulla composizione della base imponibile nei casi di cessioni di beni e prestazioni di servizi dipendenti da atto della pubblica autorità, di cui all’art. 13, lett. a); sulle operazioni effettuate successivamente all’apertura del fallimento o all’inizio della liquidazione coatta am­ ministrativa, di cui all’art. 74-òts, comma 2.

In relazione al primo caso, è da ritenersi infatti la sua attinen­ za ad ipotesi coinvolgenti soggetti che in via normale effettuino operazioni verso corrispettivo, che svolgano cioè per attività fonda- mentale la produzione di utilità per lo scambio, e perciò risultano inseriti a pieno titolo nel meccanismo applicativo del tributo, in cui evidentemente non si potrà far conto delle scelte individuali dei singoli operatori se non nei limiti di quanto previsto uniformemente dalla normativa. Ciò pare confermato dalla terminologia legislati­ va, che fa riferimento a beni il cui commercio rientra nell’attività

(109) Il che si accorda, fondamentalmente, con quanto previsto dall’art. 11

della VI direttiva Cee (v. GUCE, n. L 145 del 13 giugno 1977, 1 ss.); nello stesso senso, r.m. 10 ottobre 1979, n. 364733; 15 aprile 1981, n. 330149; per l’inassogget- tabilità dei contributi corrisposti per finalità generali, senza specifica connessione a prestazioni di servizi o a cessioni di beni, v. r.m. 9 febbraio 1982, n. 330028 e 7 ottobre 1983, n. 343253 nonché, di recente, r.m. 2 ottobre 1990, n. 430817 e 4 di­ cembre 1990, n. 431058. Per conferma di tali assunti, v. ancora Comm. trib. I g. Forlì, 13 aprile 1984, in BT, 1984 , 946 ss., nonché, indirettamente, art. 7-ter, leg­ ge 27 febbraio 1984, n. 17.

propria dell’impresa, mentre è la legge stessa a stabilire in relazio­ ne a situazioni determinate regimi particolari (110).

Non così invece sembra doversi argomentare con riguardo a quei soggetti che istituzionalmente avessero il compito di fornire beni e servizi gratuitamente, cioè, come sopra si è detto, senza ri­ ferimento specifico, neanche parziale, con le entrate ottenute, poi­ ché in tal caso, anche a prescindere dal discorso che in linea gene­ rale può farsi circa la sussistenza o meno dell’impresa, verrebbe a mancare l’elemento tipico che contraddistingue l’aderenza delle va­ rie situazioni alla ratio che informa il funzionamento dell’imposta sul valore aggiunto, cioè l’onerosità delle operazioni (evidenziata in sede di definizione generale sia all’art. 2, comma 1, per le cessio­ ni di beni, che al comma 1 dell’art. 3, per le prestazioni di ser­ vizi) (111).

La norma considerata, anziché contrastare, si dimostra quindi compatibile con quanto precedentemente affermato, contribuendo a chiarirne il significato: così come avviene per le cessioni e presta­ zioni dipendenti da atto della pubblica autorità — contemplate al- l’art. 13, lett. a) — che non potranno essere evidentemente riferite che alle ipotesi in cui concretamente provengano da un soggetto Iva nell’esercizio della sua attività, e quindi possano farsi rientra­ re, nonostante le particolari modalità in dipendenza delle quali so­ no effettuate, nell’ambito di concreta operatività dell’imposta me­ desima.

Del pari coerente si rivela la disciplina riscontrabile in materia di vendite fallimentari al di fuori dell’esercizio provvisorio (v. art. 74-òts, comma 2), nonché quella concernente le operazioni effet­ tuate dagli eredi dell’imprenditore (art. 35-bis, comma 2). Nono­ stante comprensibili incertezze sulla reale configurazione della

ma-(110) Come, ad es., nelle ipotesi previste dai nn. 12 e 13 dell’art. 10, ove si dichiarano esenti dall’imposta le predette cessioni « fatte ad enti pubblici, asso­ ciazioni riconosciute o fondazioni aventi esclusivamente finalità di assistenza, be­ neficenza, educazione, istruzione, studio o ricerca scientifica », e quelle « a favo­ re delle popolazioni colpite da calamità naturali o da catastrofi dichiarate tali ai sensi della legge 8 dicembre 1970, n. 996 » (v. r.m. 12 dicembre 1981, n. 360634, nonché, per un caso riguardante cessioni gratuite effettuate da un ente pubblico, r.m. 11 giugno 1984, n. 345270).

(111) Sull’inderogabilità del principio rispetto alle prestazioni di servizi cfr. Sammartino, P r o filo sogg ettivo, cit., 46; Perrone Capano, L 'im p osta su l valore ag­ g iu n to, Napoli, 1977, 309, 407; Filippi, L e cession i d i ben i n ell’im posta su l valore aggiu n to, Padova, 1984, 75, 144.

teria, sembra infatti possa ora ragionevolmente affermarsi che ai fi­ ni dell’applicazione delle norme considerate si tenga essenzialmen­ te conto, più che dei dati apparenti di esistenza del soggetto, degli elementi materiali attinenti alle possibili manifestazioni dell’attività da esso iniziata e inserita nell’insieme dei rapporti formali e sostan­ ziali richiedenti l’applicazione dello specifico regime (112).

Non di nascita o estinzione tout court dovrebbe quindi parlarsi, ma più ampiamente di avvio e di esaurimento delle operazioni atti­ nenti al funzionamento dell’organismo produttivo (113), il che evi­ dentemente allarga la prospettiva, contribuendo a dare coerenza sostanziale alla regolamentazione delle ipotesi considerate e quindi alla soluzione della particolare casistica che le concerne. Si spiega così la tassabilità di operazioni come quelle descritte all’art. 2, n. 5, segnatamente determinate da cessazione dell’attività, nonché di quelle, cui s’è fatto innanzi cenno, effettuate successivamente all’a­ pertura del fallimento o all’inizio della liquidazione coatta ammini­ strativa (114).

Quanto all’elemento organizzativo, esso non ha un ruolo for­ malmente definito in questa materia dove, per le ragioni esposte, non si rivela neanche necessario ipotizzare l’applicabilità di una norma analoga a quella del comma 2, lett. a) dell’art. 51 t.u.: la presenza o meno dell’organizzazione in forma d’impresa non si ri­ vela, in ultima analisi, significativa per la stessa applicazione del tributo. Rilevante è piuttosto la dimensione dell’attività in relazio­ ne al volume di affari, per la previsione di regimi differenti che ne misurano in certo modo la portata in ordine agli obblighi formali ed eventualmente, in via indiretta, alla stessa determinazione dell’im­ posta.

(112) Sulla varia problematica in argomento, anche in rapporto all’evolu­