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L’esercizio d’impresa da parte di società ed enti

Per quanto riguarda la disciplina che regolamenta la produzio­ ne di redditi d ’impresa da parte di società ed enti, occorre tener presente la sua particolare articolazione, in cui il legislatore ha de­ finito per gradi la rilevanza della materia commerciale, tenendo conto, a seconda dei casi, di elementi diversi ai fini della determi­ nazione della normativa applicabile, in rapporto alle qualificazioni attribuibili nelle ipotesi considerate (90).

Punto di partenza è che il carattere di « commercialità » dei redditi conseguiti può dipendere o dalla natura del soggetto o dal­ l’oggetto previsto in statuto o dall’attività concretamente esercitata, secondo le varie specificazioni contenute nella legge.

In questa prospettiva, elemento comune alla disciplina Irpef e Irpeg è la norma che agli artt. 89 e 95 t.u. prevede, anche per le società ed enti equiparati, il principio secondo cui i relativi redditi, da qualunque fonte provengano, si determinano unitariamente se­ condo le regole stabilite per i redditi d’impresa, già enunciato per le società commerciali di persone (ed enti equiparati) dall’art. 6, comma 3 dello stesso t.u.

Tale normativa, oltre a riguardare le società in nome collettivo e in accomandita semplice in sede Irpef, concerne così, in primo luogo, secondo la lett. a) dell’art. 87 t.u., le società per azioni e in accomandita per azioni, a responsabilità limitata, cooperative e di

mutua assicurazione residenti nel territorio dello Stato, cui devono aggiungersi (per quanto si riferisce ai redditi da considerarsi come prodotti in Italia, ai sensi degli artt. 20 e 112 t.u.) le società similia­ ri non residenti, giusta quanto disposto dall’art. 113 t.u.

Per tutti questi soggetti la forma societaria comporta, agli ef­ fetti fiscali, l’immanenza del carattere della commercialità alle atti­ vità esercitate, secondo una disciplina particolare che mira ad escluderne la verifica pratica, e a riconoscere conseguentemente, in ogni caso, la sussistenza dell’esercizio d’impresa (91); ciò che è stato recentemente ribadito, come detto, anche a proposito dello svolgimento di attività agricole (92).

La prospettiva è tuttavia inversa per quanto concerne gli enti — in genere — diversi dalle società, che si distinguono in commer­

ciali e non commerciali a seconda che abbiano o non abbiano per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali.

La qualifica di ente commerciale a sua volta porta con sé 1 ap­ plicazione all’insieme dei redditi conseguiti delle regole di determi­ nazione proprie dei redditi d ’impresa, con le precisazioni contenute negli artt. 95 ss. del capo II t.u. (concernente infatti le « società ed enti commerciali »), mentre quella di ente non commerciale fa sì che dette regole siano applicate soltanto ai redditi derivanti dall’e­ ventuale svolgimento di attività commerciali, secondo il disposto degli artt. 108 ss. del successivo capo III.

L ’indicazione dei soggetti è piuttosto ampia, comprendendo anche le associazioni non riconosciute, i consorzi, nonché le altre organizzazioni non appartenenti ad altri soggetti passivi nei con­ fronti delle quali il presupposto dell’imposta si verifichi in modo unitario ed autonomo, ed estendendosi, nel caso di non residenti, alle stesse società ed associazioni indicate nell’art. 5 (v. art. 87, comma 2) (93). Il soggetto è così identificato, nei casi limite, attra­ verso la constatazione del verificarsi del presupposto oggettivo del­ l’imposizione, nei modi previsti dalla legge, nei confronti di un

cen-(91) V. Tabellini, L ’imposta sul reddito dello persone giuridiche, cit., 356 ss.; Falsitta, La tassazione delle plusvalenze e sopravvenienze nelle imposte sui

redditi, Padova, 1978, 26 ss.; Cicognani, L ’imposizione del reddito d’impresa,

cit., 47 ss.; Bafile, Pu ò esistere la società senza impresa?, in RDF, 1983, I, 693 ss.; Potito, Il sistema, cit., 283 ss.; Tesauro, Istituzioni, cit., 88.

(92) V. supra, par. 8 e nt. 86.

(93) V. Micheli, Corso, ed. 1979, cit., 404 ss.; Tesauro, Istituzioni, cit., 86 ss.; Potito, Il sistema, cit., 284 ss.

tro di riferimento dotato dell’autonomia conseguente al fatto di non appartenere ad altri soggetti passivi.

Per la qualificazione dell’ente (in senso commerciale o meno), è dunque determinante l’individuazione dell’oggetto. A questo pro­ posito, il comma 4 dell’art. 87 t.u. stabilisce che « l’oggetto esclusi­ vo o principale dell’ente è determinato in base all’atto costitutivo, se esistente in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenti­ cata, e, in mancanza, in base all’attività effettivamente esercitata ». V ’è pertanto un criterio principale, che si richiama — a certe condizioni — al contenuto dell’atto costitutivo, e un criterio sussi­ diario, che tiene conto, nel caso in cui il primo non sia praticabile, dell’attività che l’ente svolge in concreto.

Il che può evidentemente dar luogo a contraddizioni, laddove l’attività effettivamente esercitata non corrisponda a quanto evi­ denziato nell’atto costitutivo: nel qual caso è da ritenersi che, te­ nendo presenti i particolari caratteri e le esigenze del fenomeno tri­ butario, si debba poter prendere in considerazione l’attività svolta in concreto, anche nei casi di esistenza dell’atto costitutivo in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata contenente in ipo­ tesi una diversa previsione, tutte le volte che, conformemente a quanto già acquisito in campo civilistico-commercialistico, si possa individuare nel comportamento dell’ente la concretizzazione di un mutamento di fatto dell’oggetto, in applicazione del cosiddetto prin­ cipio di effettività (94).

Tutto ciò, è ovvio, compatibilmente con la natura e la variata tipologia degli enti stessi e, in particolare, in relazione alla sussi­ stenza, nei loro riguardi, di un adeguato ed effettivo margine di di­ screzionalità ed autonomia nel determinare il contenuto e i modi dell’agire: ché altrimenti la questione potrà, se mai, concernere il corretto adempimento dei doveri incombenti sugli organi di gestio­ ne dell’ente.

Quanto poi alla definizione dei criteri in base ai quali indivi­ duare l’esercizio in concreto di un’attività commerciale in via esclu­ siva o prevalente, per riconoscere la natura commerciale del

sog-(94) Cfr. Ferrara, Società etichetta e società operante, in RD C, 1956, I,

668 ss.; Id., Gli imprenditori, cit., 265; Fe rri, Le società, in Tratt. Vassalli, X , Torino, 1972, 661; Ascarelli, Corso, cit., 155 ss.; Panuccio, Teoria, cit., 102 ss., 117 ss.; La Villa, L ’oggetto sociale, Milano, 1974, 387 ss.; MarasA, Le « società »

getto, essa — a parte l’ipotesi dell’esercizio esclusivo — può pre­ sentarsi di una certa complessità, sia sul piano formale, per even­ tuali problemi interpretativi dell’atto, sia, specificamente, sul piano sostanziale.

Sotto quest’ultimo aspetto, si pone in effetti il problema di identificare il carattere dell’ente sulla base di un’analisi comparata delle varie attività, con rilevanza di elementi diversi e non sempre facilmente controllabili (intensità, frequenza, pubblicità, organizza­ zione specifica, mezzi impiegati): il risultato dovrebbe comunque riflettere il principio che l’ente perderebbe la stessa ragione della sua esistenza se non svolgesse una certa attività, a differenza del caso in cui venisse a mancare l’esercizio di altre.

A questi fini, occorre tener presente come l’art. 51, comma 3, estenda all’intera materia dell’imposizione diretta la portata della definizione di attività commerciali in esso contenuta e come abbia­ no diverso rilievo nel presente discorso alcuni elementi considerati a suo tempo nella definizione dell’impresa individuale.

Con specifico riguardo alla particolare configurazione dei sog­ getti, può dirsi che la stessa caratterizzazione dell’ente come diret­ to a un certo scopo (attraverso il necessario svolgimento dell’attivi­ tà) valga ad evidenziare una qualità assimilabile alla connotazione in senso professionale, mentre la struttura occorrente al concreto operare assorba in questi casi il senso e il significato della presenza dell’elemento organizzativo (95).

Con riferimento all’oggetto, si può ancora osservare come in proposito le formulazioni di legge si sovrappongano e sostituiscano in buona misura all’enunciazione generale di cui si è detto sopra, dando una definizione delle attività commerciali (su cui è basato l’esercizio di impresa) di tipo essenzialmente normativo, precettivo e formale fondata sul principio della corrispettività.

Ciò è posto segnatamente in rilievo dalla disciplina relativa agli enti non commerciali (capo III), ove si dà una specificata indi­ cazione di quelle che devono intendersi come attività commerciali e di quelle che invece non lo sono, ricorrendo anche ad ipotesi in cui le stesse attività possono integrare ora l’una ed ora l’altra fattispe­ cie, in dipendenza di elementi estranei alla loro intrinseca

rizzazione (96). Il che dimostra come, in sostanza, l’area della com- mercialità e quindi, a questi fini, l’area dell’impresa, siano contrad­ distinte, quanto all’oggetto, essenzialmente dalla sussistenza di una qualsiasi attività di produzione di beni o di servizi destinati allo scambio, in linea generale e salve le (particolari e nominate) diver­ se previsioni di legge (97).

Quanto sopra non è contraddetto né dalla formulazione del- l’art. 88 né da quella, più recente, dell’art. 108 t.u., che anzi ne confermano la validità.

In particolare, l’art. 88 (98) stabilisce: « (Stati ed enti pubblici):

1. Gli organi e le amministrazioni dello Stato, compresi quelli ad ordinamento autonomo anche se dotati di personalità giuridica, i

(96) V. partic. l’art. I l i , t.u. n. 917 del 1986, che così dispone:

(Enti di tipo associativo): 1. Non è considerata commerciale l’attività svolta nei confronti degli associati o partecipanti, in conformità alle finalità istituzionali, dalle associazioni, dai consorzi e dagli altri enti non commerciali di tipo associati­ vo. Le somme versate dagli associati o partecipanti a titolo di quote o contributi associativi non concorrono a formare il reddito complessivo.

2. Si considerano tuttavia effettuate nell’esercizio di attività commerciali, salvo il disposto del secondo periodo del comma 1 dell’art. 108, le cessioni di beni e le prestazioni di servizi agli associati o partecipanti verso pagamento di corri­ spettivi specifici, compresi i contributi e le quote supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto. Detti corri­ spettivi concorrono alla formazione del reddito complessivo come componenti del reddito di impresa o come redditi diversi secondo che le relative operazioni abbia­ no carattere di abitualità o di occasionalità.

3. Per le associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assisten­ ziali, culturali e sportive, non si considerano effettuate nell’esercizio di attività commerciali, in deroga al comma 2, le cessioni di beni e le prestazioni di servizi verso pagamento di corrispettivi specifici effettuate, in conformità alle finalità istituzionali, nei confronti degli associati o partecipanti, di altre associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento o statuto fanno parte di un’unica organizzazione locale o nazionale, dei rispettivi associati o partecipan­ ti e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali, nonché le cessioni anche a terzi di proprie pubblicazioni cedute prevalentemente agli associati.

4. La disposizione del comma 3 non si applica per le cessioni di beni nuovi prodotti per la vendita, per le somministrazioni di pasti, per le erogazioni di ac­ qua, gas, energia elettrica e vapore, per le prestazioni alberghiere, di alloggio, di trasporto e di deposito e per le prestazioni di servizi portuali e aeroportuali né per le prestazioni effettuate nell’esercizio delle seguenti attività: a) gestione di spacci aziendali e di mense; b) organizzazione di viaggi e soggiorni turistici; c) gestione di fiere ed esposizioni a carattere commerciale; d) pubblicità commerciale; e) tele­ comunicazioni e radiodiffusioni circolari.

(97) Cfr. nt. prec.: v. pure par. 1.

(98) Così come risulta a seguito della sostituzione operata dall’art. 4, com­ ma 3-bis,d.l. 31 ottobre 1990, n. 310, conv. nella legge 22 dicembre 1990, n. 403.

Sull’argomento, con riguardo alla precedente formulazione, cfr. Ga l l o, La soggettività ai fin i Irpeg,in Aa. Vv., Il reddito d’impresa, cit., 671 ss.

comuni, le comunità montane, le province e le regioni non sono soggetti all’imposta.

2. Non costituiscono esercizio di attività commerciali: a) l’esercizio di funzioni statali da parte di enti pubblici;

b) l’esercizio di attività previdenziali, assistenziali e sanitarie da parte di enti pubblici istituiti esclusivamente a tal fine, compre­ se le Unità sanitarie locali ».

Può dirsi infatti in merito che, anzitutto, la norma contenuta nel comma 1, stabilendo un’esclusione di carattere soggettivo di portata assolutamente generale nella complessiva regolamentazio­ ne dell’imposta, resi ininfluente ai fini in discorso; mentre le indica­ zioni contenute nel comma 2 non fanno che chiarire e risolvere ipo­ tesi particolari, già segnalate in dottrina per la loro peculiarità (99).

Per quel che riguarda quindi l’art. 108 del testo unico, esso, dopo aver enunciato la norma relativa alla formazione del reddito complessivo degli enti non commerciali, con formulazione innovati­ va precisa che: « per i medesimi enti non si considerano attività commerciali le prestazioni di servizi non rientranti nell’art. 2195 del codice civile rese in conformità alle finalità istituzionali dell en­ te senza specifica organizzazione e verso pagamento di corrispettivi che non eccedono i costi di diretta imputazione ».

È stata così introdotta nell’ordinamento una disposizione di dubbia valenza giuridica, essenzialmente caratterizzata da riferi­ menti e dati propri della scienza economica — e rispondente ai re­ lativi principi — mentre desta perplessità sul piano del diritto il far dipendere la qualificazione di una fattispecie dall’esistenza (non si sa bene a che livello) di un equilibrio tra corrispettivi e costi di di­ retta imputazione: che non vale comunque ad escluderne, anzi con­ ferma, lo stesso generale carattere di economicità dell’esercizio.

In ogni modo, la disposizione appare più significativa per la sua anomalia che per la sua complessiva rilevanza, riguardando ipotesi presumibilmente marginali, anche per le varie condizioni poste dalla legge per la loro effettiva realizzazione (100).

(99) V . Po l a n o, Attività commerciali, cit., 2 1 0 ss.

(100) L a p r e v is io n e r ig u a r d a infatti, in p r im o lu o g o , le sole p re sta z io n i d i s e r v iz i c h e n o n r ie n trin o n e ll’art. 2 1 9 5 c.c.; q u e ste d e v o n o e sse re « rese in c o n fo r­ m ità alle fin a lità istitu z io n a li d e ll’e n te » (p e r c u i q u e lle n o n c o n fo rm i s o n o c o m ­ m e rc ia li); d e v e p o i m a n c a re u n ’o rg a n iz z a z io n e sp e c ific a (re q u isito d i d iffic ile s u s ­ sistenza , è d a s u p p o rre , risp e tto al p e r se g u im e n to d i fin a lità istitu zion a li); i c o rri­ s p e ttiv i n o n d e v o n o e cc e d e re i costi d i d ire tta im p u t a z io n e (n o n s e m b r a certo,

co-11. Distinzione dell’esercizio d’impresa dalle attività produttive di