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Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze. 1992, Anno 51, giugno, n.2

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Spedizione in abbonam ento posta le - G ruppo IV - 70%

RIVISTA DI DIRITTO FINANZIARIO

E S C I E N Z A D E L L E F I N A N Z E

Fondata da BENVENUTO GRIZIOTTI

(e R IV IS T A ITA LIA N A DI D IR IT T O FIN A N ZIA R IO )

D I R E Z I O N E

ENRICO AI,I,OR IO - EMILIO GERELLI

C O M IT A T O S C IE N T IF IC O

ENRICO DE MITA - ANDREA FEDELE - FRANCESCO FORTE FRANCO GALLO - SALVATORE LA ROSA - IGNAZIO MANZONI GIANNINO P ARRA VICINI - ANTONIO PEDONE - ALDO SCOTTO

SERGIO STEVE

C O M IT A T O D IR E T T IV O

ROBERTO ARTONI - FILIPPO CAVAZZUTI - AUGUSTO FANTOZZI

G. FRANCO GAFFURI - DINO PIERO GIARDA - EZIO LANCELLOTTI

ITALO MAGNANI - GILBERTO MURARO - LEONARDO PERRONE

ENRICO PO TITO - PASQUALE RUSSO - GIULIANO TABET

FRANCESCO TESAURO - GIULIO TREMONTI - ROLANDO VALI ANI

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territoriale d ell9U niversità, della Cam era di Com m ercio di Pavia e dell Istituto di diritto pubblico della Facoltà di G iurisprudenza dell U niversità di Rom a. Q uesta R ivista viene pubblicata con il contribu to fin an ziario del Consiglio N azionale delle R icerche.

Dir e zio n e e Re d a z io n e: D ipartim ento di Econom ia pubblica e territoriale del- V U niversità, Strada Nuova 6 5, 27100 P avia; tei. 0 3 8 2/387.406, (Fax) 387.402. A d essa d e b b o n o essere inviati b ozze co rre tte , ca m b i, lib ri p er recen sione in du plice cop ia.

R edattori: Silvia Cip o l l in a, An g ela Fr a s c h in i, Giu s e ppe Gh e s s i. Segretaria d i R eda- zion e: Clau d ia Ba n c h ie r i.

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n. 00023 voi. I foglio 177 del 2.7 .19 8 2 D irettore respon sabile: Em ilio Ger elli

Rivista associata all'Unione della Stampa Periodica Italiana

Pubblicità inferiore al 70%

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P A R T E P R I M A

Gianfranco Cerea - Una stima « prudenziale » dell’evasione dell’Iva nel

settore del commercio ... 157

Clara Busana Banterle - Il ruolo della previdenza integrativa negli Usa: interpretazioni teoriche ... 185

Luca Mora - Il teorema dell’elettore mediano: il caso dell’Italia ... 228

Mario Polano - Impresa nel diritto tributario ... 266

Klaus Tipke - Lo sviluppo della ricerca e dell’insegnamento nel diritto tri­ butario tedesco... .— ITI h j r ? ; . APPUNTI E RASSEGNE , (rÌN ' Maria Luisa Bassi - Le classificazioni nel bilancio dello Stato Italiano dd^’uAO nità al 1923: divisioni tecniche formali ...\ 357

Silvestro Russo - Aree metropolitane: crisi fiscale e metodi di finanziamé^r O, ... RECENSIONI Bassi M .L. - La gestione del debito pubblico (A. Tramontana) ... 388

Fanzini G.C. - Il tributo locale sulle costruzioni (M .C. Fregni) ... 391

NUOVI LIBRI ... 395

RASSEGNA D I PUBBLICAZIONI RECENTI ... 399

P A R T E S E C O N D A

Giu s e p p e Piz z o n ia - Sull’estensibilità del giudicato più favorevole ai coobbli

goti in solido ... Ma r ia Ce c il ia Fr e g n i - Sulla prescrizione del diritto al rimborso del « ere

dito d’imposta » nella disciplina deU’Iva ... SENTENZE ANNOTATE

Imposta di registro - Responsabilità solidale - Artt. 55, 1° comma, D .p.r. n. 634/1972 e 1306, 2° comma, cod. civ. - Avviso di accertamento -

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coobbligato - Effetti favorevoli - Estensibilità (Cass., Sez. Un., 22 giu­ gno 1991, n. 7053) (con nota di G. Pizzonia) ... 23 Iva - Credito d ’imposta - Rimborso - Prescrizione - Art. 2946 cod. civ. -

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UNA STIMA « PRUDENZIALE » DELL’EVASIONE DELL1VA NEL SETTORE DEL COMMERCIO

di Gi a n f r a n c o Ce r e a

Dipartimento di economia - Università degli studi di Trento

Sommario: 1. Considerazioni introduttive. — 2. Convivere con l’evasione? — 3. Un’ipotesi di stima prudenziale dell’evasione Iva per il settore della distri­ buzione. — 4. L ’interpretazione dei risultati ottenuti. - 4.1. Le considerazio­ ni di carattere territoriale. - 4.2. Le considerazioni sui settori. — 5. Quali in­ dicazioni per la politica tributaria? — Appendice: Metodologia e i dati. — Bibliografia.

1. Considerazioni introduttive.

In questi ultimi anni il problema dell’evasione fiscale ha sem­ pre più attratto l’attenzione degli studiosi di economia, stimolando riflessioni e risultati di sicuro significato (1). Dalla consultazione della letteratura emergono infatti contributi teorici che, alla luce di ipotesi e modelli progressivamente più complessi e articolati, con­ sentono ormai di inquadrare con sufficiente completezza l’ampio spettro dei determinanti che sono alla base del fenomeno. Altret­ tanto interessanti ed incisivi appaiono gli sviluppi degli studi di ca­ rattere empirico-sperimentale, tendenti a ricostruire le dinamiche dell’evasione traendo spunto da game simulations e da interviste ai contribuenti (2). Il quadro delle analisi è poi completato da contri­ buti che mirano alla quantificazione del fenomeno e alla sua

collo-(1) Tra i lavori teorici deve essere certamente citato il pionieristico articolo di Allingham-Sandmo [1972]. I contributi successivi rappresentano una sostanziale rielaborazione di questo primo studio, con l’aggiunta di ipotesi più precise e arti­ colate per quanto concerne la struttura delle imposte e il comportamento di eva­ sori e amministrazione finanziaria. Tra questi vanno ricordati almeno i più impor­ tanti: Yitzhaki [1974 e 1987], Koskela [1983], Reingaum-Wilde [1985]; per quanto attiene il fenomeno dell’evasione delle imposte indirette si vedano i contributi di Marrelli [1984 e 1988]. Una rassegna in italiano può essere trovata nei più re­ centi manuali di Economia pubblica, oppure nel lavoro di Cassone-Cogno [1987],

(2) Tra gli studi di carattere empirico sperimentale si vedano in particolare i lavori di Baldry [1987], Spicer-Thomas [1982], Lewis [1982], Dornstein [1987].

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cazione nel più ampio spazio dei comportamenti che il contribuente assume per ridurre il carico fiscale.

Per quanto attiene la realtà del nostro Paese possiamo ormai contare su almeno sei analisi recenti, delle quali quattro riguardan­ ti l’Irpef e due U va (3). Si tratta in generale di stime condotte uti­ lizzando come base informativa i dati della contabilità nazionale e una serie di ipotesi sul valore medio delle aliquote, delle esenzioni e delle detrazioni.

Da esse emerge una visione complessiva dell’entità del feno­ meno che non può essere sminuita dalle cautele imposte dalla me­ todologia e dalla base informativa. Le valutazioni più prudenziali indicano per l’Irpef un livello di evasione pari a circa il 30% del­ l’imponibile, con punte del 55% per il settore dei redditi da lavoro autonomo e d ’impresa. Per l’iva gli studi indicano invece un livello di evasione pari in media al 20%, con punte del 30% per il compar­ to del commercio.

Un tale quadro appare tanto più negativo e sconfortante alla luce di alcune osservazioni di metodo e di contenuto.

La tipologia dell’evasione italiana è infatti simile a quella che si riscontra in altri Paesi ma il livello appare incomparabilmente mag­ giore. In altri termini, ovunque esistono redditi hard to be taxed, ma è indubbio che nel nostro Paese vi è qualcosa in più che incide nel determinare esiti che sembrano essere altrove sconosciuti.

A tale riguardo possiamo osservare che valori così elevati del­ l’evasione dipendono forse da atteggiamenti esasperati del contri­ buente italiano. Ma limiti emergono certamente anche per quanto riguarda l’azione di accertamento e di repressione da parte del­ l’amministrazione finanziaria.

Per quanto difficile sia operare una verifica empirica dei de­ terminanti, molti elementi soccorrono nel sostenere un tale giudi­ zio: disorganizzazione degli uffici, povertà degli strumenti a dispo­ sizione del personale, normative inutilmente complesse ed eccessi­ vamente garantiste, giustiza amministrativa del tutto inefficiente (4).

(3) Per la stima dell’evasione Irpef si vedano V isc o [1983], Fossati [1987], Bernardi [1986], Vitaletti [1984]; per la stima dell’evasione Iva si vedano R o-

botti [1984] e Bernardi [1986],

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Un tale giudizio negativo è poi aggravato da due ulteriori con­ siderazioni.

La prima riguarda il fatto che l’amministrazione finanziaria ita­ liana sembra spendere più di altre per raccogliere ed accertare i tributi. Nel Regno Unito e in Germania il rapporto tra costi ammi­ nistrativi e gettito dei tributi è inferiore al 2%, mentre in Italia è vicino al 3% (5).

La seconda riguarda la sostanziale « stabilità » del fenomeno evasivo. Le stime degli esperti confermano infatti che la quota dei tributi evasi è ben lungi dal segnare inversioni significative. Se i primi anni successivi alla riforma potevano in qualche modo legitti­ mare sia una certa disorganizzazione degli uffici che le reazioni « inconsulte » da parte dei contribuenti, non altrettanto può essere ripetuto a quasi vent’anni di distanza.

Tutto ciò sembra in ultima analisi condurre ad alcune valutazioni: — l’evasione fiscale è un fenomeno che in Italia assume di­ mensioni inaccettabili, sia con riferimento ai tradizionali parametri etici di valutazione e sia in rapporto a quanto accade altrove;

— l’evasione appare come una sorta di « male endemico », che l’amministrazione si è dimostrata incapace di combattere, no­ nostante disponesse di risorse superiori a quelle impiegate in altri Paesi di equivalente rilevanza economica.

A nostro avviso, la particolare gravità della situazione italiana non può essere affrontata esclusivamente in termini di strumenti e di valutazione della loro efficacia. Senza voler mettere in secondo piano un tale tipo di questioni, crediamo che dovrebbe assumere netta preminenza una riflessione sia sull’ottica complessiva, con cui si dovrebbe affrontare il fenomeno dell’evasione, e sia su alcuni ri­ svolti non secondari legati alla distribuzione territoriale e settoriale della stessa.

2. Convivere con l’evasione?

L ’osservazione secondo cui l’evasione fiscale rappresenta un fenomeno indesiderabile non può legittimare aspettative e

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tamenti diretti a decretarne la scomparsa totale. Alla base di una tale affermazione vi è la considerazione del fatto che l’evasione è assimilabile a qualsiasi altro evento criminale e come tale può tut- talpiù essere ridotta o contenuta entro limiti « accettabili », ma mai radicalmente debellata.

Tale considerazione di buon senso non dovrebbe essere sotto- valutata. Crediamo infatti che troppo spesso si dimentichi il carat­ tere essenziale del fenomeno evasivo e, con eccessiva leggerezza, si formulino proclami o ipotesi di recupero di gettito del tutto irrea­ listiche.

Concorde con tali valutazioni deve essere considerata la lette­ ratura economica. In particolare si deve ritenere che tutti o quasi gli studi di economia, in materia di evasione, vadano letti come contributi tendenti a ridurre la portata del fenomeno, ovvero come tentativi diretti a fornire suggerimenti affinché l’applicazione delle imposte si associ ad un livello « minimo » di inadempimenti da par­ te dei contribuenti.

Rispetto a tale visione si devono registrare, in tempi recenti, posizioni che tendono a considerare ormai come scontata la presen­ za di una qualche dose di evasione fiscale. A titolo esemplificativo basterà forse citare i lavori che riguardano la definizione di un si­ stema di imposizione ottima in presenza di evasione fiscale (6) op­ pure studi dall’emblematico titolo « La desiderabilità di una perma­ nente amnistia in materia fiscale » (7).

Tra gli studi teorici vorremmo però soprattutto ricordare quelli che, facendo ricorso a rappresentazioni del benessere sociale, di­ mostrano la non ottimalità di una politica che voglia ridurre a zero l’evasione, e ciò anche in presenza della possibilità che ciò possa essere attuato.

Gli argomenti che supportano tale affermazione sono diversi. In parte essi si ricollegano alla struttura stessa del sistema tri­ butario: data la natura distorsiva di quest’ultimo, l’evasione può es­ sere considerata come uno strumento « naturale » utilizzato dai contribuenti per ridurne la portata (8).

(6) Si veda Yamada [1990].

(7) Si veda Andreoni [1991].

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av-In parte gli stessi risalgono al problema degli strumenti di ac­ certamento in uso da parte dell’amministrazione finanziaria. A tale riguardo si deve infatti osservare che la lotta all’evasione, ovvero un’inasprimento dell’azione di repressione, passa attraverso tre possibili strumenti: l’accrescimento della probabilità di accertamen­ to, l’affinamento o la maggior precisione dei controlli, l’aumento delle sanzioni previste a carico dei soggetti che evadono.

Per quanto concerne l’accrescimento dei controlli, ovvero l’au­ mento della probabilità di accertamento, si deve osservare che i co­ sti sopportati dall’amministrazione possono, al margine, superare i vantaggi ottenuti in termini di gettito. Tale considerazione appare tanto più rilevante se si riconosce l’esistenza, da un lato, di un regi­ me di rendimenti decrescenti della funzione di produzione pubblica e dall’altro di una crescente difficoltà di identificare i contribuenti più recidivi (9). Inoltre non devono essere trascurate rilevanti im­ plicazioni equitative, associate alle modalità di effettuazione degli stessi. L ’aumento nel numero dei controlli, o anche solo la defini­ zione di una strategia di controllo, debbono infatti tener conto della condizione di salvaguardia delle posizioni ex post ed ex ante dei contribuenti. In altri termini si deve riconoscere la difficile convi­ venza tra controlli « mirati », che sono forse più efficaci di altri ma violano la condizione di eguaglianza ex ante, e controlli causali, che sono forse meno efficaci ma garantiscono il rispetto del principio di eguaglianza (10).

Per quanto riguarda invece la « qualità » dei controlli, ovvero un accrescimento della loro meticolosità e accuratezza a parità di probabilità di accertamento, si devono in parte ripetere le conside­ razioni sui costi marginali prima sviluppate. Ad esse ne vanno però aggiunte altre, riguardanti le implicazioni che soprattutto finiscono per ricadere sui contribuenti.

Migliori accertamenti comportano necessariamente un maggior flusso di informazioni che i cittadini e le imprese devono mettere a disposizione dell’amministrazione finanziaria. Ciò produce evidenti ed indesiderabili costi economici, ben descritti dalle analisi

empiri-versione al rischio dei contribuenti è sufficientemente bassa, l’utilità attesa degli individui in tale contesto può essere superiore a quella ottenibile in un sistema di imposizione certa. A tale riguardo si veda Bordignon [1990].

(9) Sul tem a si ved a Ush er [1986].

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che (11). Gli studi su questo tema evidenziano sia la particolare ri­ levanza degli oneri che ricadono sui contribuenti e sia la loro so­ stanziale regressività.

Ad aggravare tali considerazioni concorre poi una serie di va­ lutazioni di carattere etico che inducono a ritenere come negativa la riduzione di libertà e di riservatezza che inevitabilmente si asso­ cia al maggior flusso informativo che i contribuenti devono fornire al fisco per consentire più accurati controlli.

Per quanto riguarda infine il livello delle sanzioni, si deve os­ servare che la decisione di combattere 1 evasione nei suoi livelli estremi implicherebbe l’applicazione di penalità particolarmente elevate e, probabilmente sproporzionate rispetto a quanto previsto per altri reati.

Anche ammettendo di poter trascurare la rilevanza delle os­ servazioni sinora sviluppate, si dovrebbe comunque osservare che la riduzione dell’evasione, attuata anche solo attraverso un’intensi­ ficazione dei controlli, non necessariamente si traduce in un esclu­ sivo aumento di gettito per l’erario. In particolare un suo conteni­ mento può avere:

— effetti di traslazione sui prezzi da parte dei contribuenti evasori;

— effetti sull’organizzazione dei mercati e sulla struttura dei prezzi relativi;

— effetti sull’offerta di lavoro e sul reddito.

Per quanto concerne la traslazione sui prezzi, condizioni di mercato monopolistico ed oligopolistico inducono a ritenere che in molti casi un maggior prelievo induca effetti sulle decisioni di pro­ duzione, ovvero una contrazione della stessa, con evidenti effetti sui prezzi (12).

Gli effetti sull’organizzazione dei mercati e sulla struttura dei prezzi relativi sono stati studiati ed evidenziati con riferimento al­ l’ipotesi che le imprese possano decidere di entrare in tutto o in parte nel « sommerso », ovvero di cedere i propri beni e servizi in un mercato « lecito » e concorrenziale, oppure in un mercato «

ille-(11) Il riferimento va ai così detti « compliance costs ». Si veda in proposi­ to Vaillancourt [1987]. Va forse osservato a questo riguardo che i compliance co­ sts sono stati utilizzati come argomento per ispirare più di una proposta di sempli­ ficazione dell’ordinamento tributario. Emblematico è il caso della riforma Regan.

(12) In proposito si considerino i lavori di Marrelli [1984a, 1984b] e Ma-

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cito » e monopolistico (13). Per tali contesti si può dimostrare che le diverse e possibili strategie di controllo dell’amministrazione possono talvolta indurre le imprese ad evadere in misura maggiore o a spingere le stesse verso il « sommerso ».

Per quanto riguarda infine il mercato del lavoro gli studi evi­ denziano come maggiori controlli e costi di gestione dei tributi pos­ sono spingere gli individui a ridurre la loro offerta, ovvero indurli a optare per la produzione di minori redditi. Accanto a queste analisi tradizionali, riconducibili a quello che è stato chiamato effetto Laf- fer, altre se ne sono affiancate di recente. Esse tendono a dimostra­

re come un maggiore e più incisivo monitoraggio fiscale può indi­ rizzare i lavoratori verso attività e scelte occupazionali caratteriz­ zate da una produttività bassa ma, dal punto di vista soggettivo, più interessanti ed attrattive perché esenti da imposte (14).

Da questo complesso di osservazioni sembra dunque discende­ re che le scelte di politica fiscale, concernenti gli strumenti e l’at­ teggiamento da assumere nei confronti dell’evasione, non possono essere considerate separatamente dagli altri aspetti di politica tri­ butaria, ovvero vanno situate sullo stesso piano di quelle legate al problema dell’efficienza e dell’equità. In questo senso allora le aspirazioni draconiane di lotta all’evasione dovrebbero essere con­ siderate in misura non dissimile da quelle legate alla realizzazione di un sistema fiscale che rispetti i principi teorici della tassazione ottima, oppure che sia perfettamente in linea con i criteri dell’equi­ tà orizzontale e verticale: così come in pratica si accetta che non esista un sistema « perfetto » di tassazione, e si operi per averne uno « il meno imperfetto possibile », allo stesso modo si deve ac­ cettare comunque una dose di evasione consci dei costi insopporta­ bili che comporterebbe la sua estinzione.

3. Un’ipotesi di stima prudenziale dell’evasione Iva per il settore

della distribuzione.

Il settore della distribuzione finale di beni occupa una posizio­ ne chiave dal punto di vista del prelievo tributario, soprattutto con riferimento al comparto dell’imposizione indiretta e, in particolare, dell’Iva.

(13) Si veda Cowell-Gordon [1989].

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La struttura di quest’imposta è infatti tale da far ricadere sulla fase finale degli scambi, ovvero sul settore della distribuzione, la responsabilità di determinare l’ammontare ultimo del tributo. Non è dunque un caso se oltre l’80% del totale delle riscossioni dell’Iva, accertate dal bilancio dello Stato, va messo in relazione alle opera­ zioni imponibili delle imprese del settore, ovvero al volume delle vendite dalle stesse dichiarato.

Le analisi riguardanti l’evasione fiscale hanno a più riprese sottolineato come questo comparto economico occupi una posizione di particolare rilievo e contribuisca in modo decisivo al fenomeno dell’illecita sottrazione di imponibili.

Le cronache relative alle operazioni di accertamento, condotte dall’amministrazione finanziaria, dimostrano che numerosi sono i meccanismi adottarti dalle imprese per operare l’evasione fiscale. Nel caso del comparto commerciale si può però ritenere che la par­ te più cospicua si realizzi attraverso la quantificazione di corrispet­ tivi inferiori a quelli effettivamente riscossi, ovvero mediante l’oc­ casionale o sistematica:

— omessa registrazione dei corrispettivi, relativi a parte delle operazioni imponibili;

— registrazione di corrispettivi, per singole operazioni, infe­ riori a quelli effettivamente incassati.

Il totale o parziale occultamento può riguardare sia: — beni regolarmente acquistati e contabilizzati;

— beni acquistati in nero, ovvero privi della necessaria docu­ mentazione fiscale e quindi non contabilizzati.

In generale si può considerare che i beni acquistati in nero sia­ no anche ceduti senza la registrazione dei corrispettivi, dando così luogo ad un’evasione integrale. Per gli altri beni la mancata o dif­ forme contabilizzazione di alcuni corrispettivi darà invece luogo ad un’evasione parziale.

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merci uscite, ma regolarmente riportate tra gli acquisti, il valore delle giacenze non può che risultare superiore a quello effettivo.

La disponibilità dei dati relativi all’aggregato per regione delle dichiarazioni Iva ha ispirato un approccio quantitativo mirato a de­ finire una stima « prudenziale » di quella parte di evasione che è stata prima definita come « evasione parziale », perché relativa al­ la mancata registrazione di parte dei corrispettivi derivati dalle cessioni di beni regolarmente contabilizzati tra gli acquisti.

La stima è avvenuta su base regionale e per ciascun codice di attività, definendo come fatturato vero l’importo che si ottiene ap­ plicando, agli acquisti dichiarati regionalmente, due parametri standard — ovvero il rapporto fatturato-acquisti e il rapporto rima­ nenze-acquisti — determinati assumendo a riferimento i valori più elevati tra quelli calcolati per le diverse regioni italiane.

L ’adozione di un tale metodo di calcolo presenta diverse impli­ cazioni sia per quanto concerne il significato complessivo dell’eser­ cizio che la natura dei risultati ottenuti.

La metodologia adottata potrebbe essere legittimata anche sol­ tanto sulla base del richiamo alla stretta attinenza che esiste tra es­ sa e 1’impianto previsto per la determinazione degli imponibili nel caso di imprese che operano in regime forfettario. I due metodi so­ no infatti concettualmente simili e, almeno per la prima delle due componenti di possibile evasione, le differenze discendono esclusi­ vamente dal diverso valore del rapporto fatturato-acquisti, da assu­ mere come standard e, in parte, dal criterio di calcolo utilizzato per determinare il valore aggiunto (a forfait per l’ordinamento fiscale, per detrazioni analitiche nel nostro caso).

In realtà crediamo che la similitudine con modelli suggeriti dall’ordinamento tributario non sia sufficiente e che sia invece utile sottolineare, con precisi riferimenti di ordine economico, le impli­ cazioni che discendono dall’uso di una metodologia come quella suggerita.

Nella nostra analisi il confronto sviluppato a livello di grandi aggregati territoriali consente di introdurre semplificazioni certa­ mente non proponibili quando l’esame viene sviluppato tra singole imprese o piccoli raggruppamenti delle stesse.

(14)

prodotti — solo per citarne alcuni, possono essere trascurati, assu­ mendo così implicitamente che la loro distribuzione sia la stessa per tutte le regioni: ovunque vi sono negozi grandi e piccoli, belli e brutti, nel centro e in periferia, nuovi e vecchi, in piccoli e grandi comuni, e così via.

Da tale assunto discende che, in ultima analisi, un identico vo­ lume di acquisti, da parte del complesso delle imprese di un certo settore e di una certa regione, può generare fatturati dichiarati ter­ ritorialmente diversi solo per due ragioni, che non siano legate alla diversa propensione ad « occultare » gli imponibili fiscali:

— politiche di prezzo significativamente diverse da regione a regione (15);

— politiche di organizzazione delle scorte differenti territorial­ mente.

Le oggettive carenze delle rilevazioni statistiche sul valore as­ soluto dei prezzi, nelle diversi parti del Paese, non consente di ope­ rare una verifica delle effettive strategie di prezzo dellè imprese commerciali, e quindi di accogliere o rifiutare, sulla base di eviden­ ze empiriche, la prima ipotesi interpretativa. A nostro parere è pe­ rò da ritenere che elementi quali l’esistenza di « listini » valevoli su scala nazionale, la sistematica presenza sul territorio della grande distribuzione, la sostanziale uniformità dei modelli di organizzazio­ ne e di produzione delle imprese della distribuzione, depongano a favore dell’ipotesi secondo cui il rapporto fatturato-acquisti non possa essere significativamente diverso per le aziende che operano nello stesso comparto, ma in diverse regioni.

Per quanto riguarda la componente legata alle scorte, credia­ mo che l’esistenza di consistenti differenze tra imprese dello stesso settore di attività, ma operanti in regioni diverse, non trovino giu­ stificazione alcuna sul piano organizzativo e che le stesse vadano invece imputate alla mancata registrazione in uscita di merci che sono state invece effettivamente vendute.

Rinviando ad una fase successiva del lavoro il commento dei

(15) Vale forse la pena di sottolineare che l’ipotesi di eguaglianza del rap­

(15)

risultati, vorremmo ora spendere qualche considerazione sulle im­ plicazioni quantitative delle stime.

La decisione di agganciare le stime al volume degli acquisti im­ plica che la mancata registrazione di una parte di questi ultimi ren­ de impossibile ogni conseguente quantificazione dei fatturati. In tal senso la nostra stima è parziale, ovvero descrive solo parte dell’ef­ fettiva intensità del fenomeno, trascurando la componente di eva­ sione che interessa la cessione di beni acquistati ma non contabiliz­ zati tra i costi.

Il riferimento a valori standard, determinati sulla base del va­ lore regionale più elevato, non implica che comunque gli stessi non scontino l’effetto di una componente di evasione. In altri termini se il complesso dei negozi di un certo settore e di una certa regione di­ chiara valori superiori a quelli di tutte le altre, non necessariamen­ te si deve ritenere che essi dichiarino per intero i propri imponibili, ovvero che non evadano.

Sono questi ultimi due richiami che portano a definire il nostro approccio come un tentativo prudenziale di stima dell’evasione, ov­ vero come un modello che, in ultima analisi appare diretto a fornire una risposta ad un interrogativo molto semplice: di quanto si ridur­ rebbe l’evasione se tutte le imprese della distribuzione si compor­ tassero secondo quanto emerge dalle dichiarazioni dei soggetti che sembrano più « onesti » (o meno disonesti)?

4. L’interpretazione dei risultati ottenuti.

La metodologia prima descritta è stata applicata alla base dati costituita dalle dichiarazioni Iva di oltre un milione di imprese nel settore del commercio al minuto, aggregate per regione. I calcoli effettuati ci hanno permesso di quantificare un volume complessivo di evasione Iva pari a oltre 15 mila miliardi di lire. Di questi più di 4 mila miliardi derivano dalla standardizzazione del rapporto fattu­ rato-acquisti e 11 mila dalla standardizzazione del valore delle ri­ manenze, ovvero dall’aver trasformato in vendite il valore delle merci a magazzino che eccede il livello da noi assunto a riferimento.

Sulla base delle premesse metodologiche, questi risultati do­ vrebbero rappresentare l’esito di una stima prudenziale e che, per di più, riguarda una sola parte dell’evasione.

(16)

quantificazione dell’evasione, basate sulle evidenze della contabili­ tà nazionale.

Il fatturato dichiarato dalle imprese del settore distributivo, in sede di denuncia Iva, corrisponde a circa il 70% dei consumi finali delle famiglie definiti dalla contabilità nazionale e virtualmente at­ tribuibili ai comparti di beni gestiti dal commercio (16). A questo importo di vendite non registrate si può stimare che faccia capo un’evasione Iva di almeno 13 mila miliardi (17), ovvero un importo inferiore di circa 2 mila miliardi a quello da noi evidenziato in precedenza (18).

Lo scarto tra le due procedure di calcolo può avere più di una giustificazione. In linea di principio potrebbe essere fatto risalire

(16) Per l’effettuazione del calcolo sono stati considerati i dati di contabilità nazionale dei consumi finali delle famiglie depurati dei servizi non destinabili alla vendita, dei combustibili e dell’energia elettrica per l’abitazione, dei servizi do­ mestici e degli altri servizi per l’abitazione, dei servizi medici e sanitari, dell’ac­ quisto di servizi di trasporto e delle comunicazioni, della spesa per spettacoli, de­ gli alberghi, dei servizi finanziari.

(17) Il valore è stato calcolato applicando, aila differenza esistente tra ven­ dite dichiarate e consumi di contabilità nazionale, l’aliquota media Iva sulle ven­ dite, risultante dalle dichiarazioni del complesso delle imprese del settore.

(17)

sia ad una sottostima dei dati dei consumi effettivi da parte della contabilità nazionale e sia a un eccesso di stima prodotto dalla par­ ticolare metodologia da noi adottata (19).

In ogni caso si deve osservare che anche i nostri calcoli confer­ mano la gravità del fenomeno evasivo. In media, ogni impresa ha infatti occultato al fisco all’incirca 15 milioni di imposta, dei quali 4 legati al minor valore del rapporto fatturato-acquisti e 11 derivati invece dalla « illecita » sopravvalutazione delle scorte. Tali valori corrispondono a circa 3 volte l’ammontare dei versamenti Iva ef­ fettuati nell’anno dalle imprese di questo settore.

La particolare rilevanza assunta dall’evasione legata all’ecce­ denza delle scorte sembra legittimare alcune considerazioni sulla natura di una parte del fenomeno. E implicito nella metodologia adottata che parte di questo valore dell’evasione vada ripartito su una pluralità di anni, in quanto probabile esito di un processo di ac­ cumulazione protratto nel tempo. E però da rimarcare il fatto che la rilevanza di tale componente sembra evidenziare comunque la sostanziale preferenza dei contribuenti per tale forma di evasione.

Non esistono elementi precisi per consentire la ricostruzione delle motivazioni che sono alla base di tale evidenza. Crediamo pe­ rò che una tale tipologia evasiva discenda sia dal mancato obbligo di tenuta dei registri di magazzino per le piccole imprese che da una certa trascuratezza dimostrata dal legislatore nell’assumere le scorte a riferimento per possibili accertamenti.

4.1. Le considerazioni di carattere territoriale.

I dati relativi all’evasione fiscale, calcolati per le diverse parti del territorio nazionale, rappresentano probabilmente uno degli aspetti più interessanti dell’analisi.

La prima serie di tabelle, collocata in appendice al lavoro, ri­ porta le quantità relative all’aggregazione delle imprese che ope­ rano negli oltre sessanta settori di attività considerati. Dalla sua lettura si ricava che il fenomeno dell’evasione appare ovunque

pre-(19) Una possibile sopravvalutazione può derivare dalla standardizzazione

(18)

sente e che, da questo punto di vista, non sembrano esistere re­ gioni in assoluto più oneste di altre.

In particolare, poco meno del 50% del totale assoluto delle im­ poste sottratte al fisco si concentra nell’Italia settentrionale, il 20% in quella centrale e il 30% in quella meridionale. Le due compo­ nenti da noi individuate, quella relativa al rapporto fatturato-acqui­ sti e quella relativa alle scorte, sembrano seguire la stessa distribu­ zione territoriale, ovvero sembrano implicitamente suggerire che i due comportamenti evasivi vadano di pari passo.

Informazioni più interessanti sulla distribuzione territoriale possono essere ricavate mettendo a confronto i dati assoluti con al­ tri valori rappresentativi del carico tributario e della materia impo­ nibile.

Il rapporto tra fatturato dichiarato e fatturato « vero » indica che al nord e al centro le imprese occultano al fisco circa il 23% dei propri ricavi. Al sud tale percentuale sale invece al 32%. '

Ancor maggiore appare il divario se si effettua il rapporto tra imposta evasa ed imposta netta, corrispondente al fatturato com­ plessivo (20). In tal caso, a fronte di un dato pari al 46% per il set­ tentrione e del 48% per il centro, il mezzogiorno evidenzia una quota pari al 70%.

Il fatto che al sud l’evasione risulti proporzionalmente maggio­ re che altrove non implica necessariamente che i valori medi se­ guano un identico andamento, e ciò a causa del diverso importo che registrano i fatturati medi per azienda: maggiori al nord e minori al sud.

Il valore medio dell’evasione per dichiarazione si attesta infatti intorno ai 13 milioni di lire, con modesti scostamenti tra le diverse parti del Paese. Praticamente identici sono infatti gli importi relati­ vi all’evasione legata al rapporto fatturato-acquisti, mentre per quanto riguarda l’effetto legato alle scorte sembra emergere una prevalenza del fenomeno a livello di Italia settentrionale.

Sulla scorta di questi primi risultati sembra possibile formulare una prima conclusione di un certo rilievo: l’evasione del settore commerciale è proporzionalmente maggiore al sud rispetto al resto

(20) Sulla definizione di imposta netta, come delle altre grandezze citate si

(19)

del Paese, ma l’importo medio evaso per singola azienda è pra­ ticamente ovunque identico.

Le considerazioni ora sviluppate con riferimento agli aggregati territoriali possono essere agevolmente estese alle singole regioni, anche se, è il caso di notare, l’uniformità risulta in questo caso me­ no accentuata.

Per quanto attiene la quantificazione della quota di imponibile sottratta al fisco gli estremi della distribuzione sono rappresentati, per i più « onesti », dalla regione Trentino-Alto Adige e per i meno « onesti » dalla regione Calabria: le imprese della prima zona oc­ cultano infatti meno del 15% dei fatturati, mentre quelle della se­ conda raggiungono il 37%.

Gli estremi della distribuzione del dato dell’evasione media per dichiarazione vedono collocate sui valori minimi le aziende del Piemonte, mentre quelle dell’Emilia occupano la posizione massi­ ma. Ciò sembra dover essere messo in relazione, oltre che con i comportamenti regionali, anche con la diversa dimensione media delle aziende. In altri termini, poiché la quota di fatturato evasa cambia di poco da regione a regione, l’evasione media per dichia­ razione finisce per risultare quasi sempre più elevata nelle aree in cui il fatturato per azienda appare maggiore.

4.2. Le considerazioni sui settori.

I risultati ottenuti sull’evasione fiscale dei diversi settori di at­ tività possono essere interpretati con una certa dose di prudenza e con talune cautele di metodo. Al riguardo si deve infatti osservare che, per quanto appartenenti allo stesso comparto economico, le imprese che operano nelle varie attività possiedono caratteristiche e forme organizzative tra loro diverse.

L ’analisi è resa poi ancor più complessa dalla presenza di un li­ vello di imposizione differenziato per i diversi settori. In altri ter­ mini vi sono comparti che applicano una sola aliquota, altri che ne applicano più d ’una, altri ancora che operano con beni esenti.

(20)

andrebbe risposta per settori come, ad esempio quello dei grandi magazzini, caratterizzati dalla presenza di relativamente poche im­ prese.

I principali risultati raggiunti sono riportati dalle tabelle allegate. L ’evasione, per quanto generalizzata, appare comunque abba­ stanza diversa da settore a settore. Il rapporto tra Iva evasa ed Iva netta sulle vendite varia da un minimo del 23% per il settore degli alimentari ad un massimo del 45% per il settore dell’arredamento e degli articoli per la casa. Con molta cautela dovrebbe invece essere accolto il dato relativo ai settori residuali, pari al 48%.

All’interno del comparto alimentare l’evasione maggiore sem­ bra realizzarsi per le imprese in cui è presente una qualche fase di possibile trasformazione dei prodotti: panetterie con forno, pastic­ cerie, salumerie. Bassi appaiono i valori dei supermercati e, sop- prattutto quelli delle macellerie e dei negozi di frutta e verdura. Le spiegazioni sono in questo caso diverse per i diversi comparti. Per i supermercati si deve ritenere che la dimensione media delle azien­ de, e quindi la relativa complessità organizzativa delle stesse, ren­ da quanto mai problematica la pratica dell’evasione generalizzata. Per le macellerie e i negozi di frutta e verdura si deve invece pen­ sare che, con ogni probabilità, la relativa omogeneità delle merci e delle aziende finisca per associarsi a comportamenti omogenei an­ che sul fronte dell’evasione e, quindi, contribuisca a neutralizzare le potenzialità del nostro metodo di calcolo.

Può essere interessante osservare che l’evasione dell’Iva si equiripartisce nelle due componenti da noi individuate. In altri ter­ mini l’evasione legata al ricarico e quella legata alle scorte sembra­ no fornire un contributo dello stesso peso nella spiegazione dei fe­ nomeni.

Per il settore dell’abbigliamento, i livelli dell’evasione più si­ gnificativi riguardano il comparto delle confezioni, con un 25% di Iva evasa, delle calzature, con un 52%, delle pelliccerie con un 78%.

A differenza di quanto osservato per gli alimentari, il contribu­ to maggiore all’evasione sembra in questi casi discendere soprat­ tutto dalla componente legata alla sopravvalutazione delle scorte. In media, per ogni lira evasa con il ricarico, ve ne sono almeno due giustificate dal magazzino.

(21)

getti d ’arte e di antiquariato, al 105% per le carte da parati, al 48% per i mobili.

La politica di sopravvalutare le rimanenze appare particolar­ mente evidente per i mobili e gli elettrodomestici, ovvero per setto­ ri in cui appare a prima vista difficile la pratica degli acquisti in nero. Il settore dei distributori di carburante registra uno dei valori più bassi di evasione: solo il 9%. Per contro il comparto degli auto­ veicoli registra un 35%, in gran parte attribuibile all’effetto legato alla valutazione delle rimanenze.

Nel settore di generi vari si osservano valori elevati di evasio­ ne dell’Iva per i settori delle gioiellerie e dei bar e ristoranti. Valo­ ri abbastanza contenuti si osservano invece per le farmacie. Con notevole attenzione andrebbero invece letti i dati relativi ai giorna­ lai. Per questi ultimi il consistente livello di evasione sembrerebbe attribuibile essenzialmente al fenomeno della valutazione delle ri­ manenze a cui corrisponde un volume di Iva non dichiarata pari ad oltre il triplo di quella legata invece al ricarico.

5. Quali indicazioni per la politica tributaria?

I risultati raggiunti dalla nostra stima « prudenziale » confer­ mano la validità complessiva delle valutazioni quantitative svilup­ pate da altri studiosi in precedenti occasioni.

Rispetto a queste i nostri calcoli hanno però consentito di veri­ ficare, se ve n’era bisogno, l’estrema diffusione dell’evasione sia nei diversi settori che nelle diverse aree del Paese: tutti evadono, anche se in maniera diversa e con diversa incidenza.

Più in particolare si osserva che, in termini assoluti, le aziende evadono maggiormente al nord rispetto al sud. In rapporto ai fattu­ rati l’evasione è però proporzionalmente maggiore al sud che al nord. Il dato medio per dichiarazione risulta infine quasi lo stesso ovunque.

Le modalità con cui l’evasione prende corpo sono tendenzial­ mente diverse per i diversi comparti di attività. Vi sono settori in cui un « anomalo » rapporto fatturato-acquisti indica che l’occulta­ mento dei corrispettivi discende essenzialmente dalla registrazione di importi, delle singole vendite, tendenzialmente inferiori a quelli effettivi, ovvero dall’emissione di scontrini e ricevute con importi non rispondenti al vero. In altri un « anomalo » volume di rima­ nenze sembra invece suggerire che lo stesso risultato deriva

(22)

lentemente dall’omessa registrazione di singole vendite, ovvero dalla mancata emissione di scontrini e ricevute.

La metodologia da noi utilizzata non ci ha invece consentito di operare una qualche quantificazione dell’evasione che discende dalla cessione di beni legati ad acquisti non registrati.

A nostro avviso, tale tipo di conclusioni porta a formulare sug­ gerimenti, in tema di politica fiscale, parzialmente difformi da quelli che sembrano discendere dalle posizioni oggi prevalenti.

Senza per questo voler legittimare un atteggiamento di accon­ discendenza, si deve credere che un drastico ridimensionamento del fenomeno evasivo possa materializzarsi solo in tempi medio­ lunghi.

Atteggiamenti, che non accogliessero tale impostazione, richie­ derebbero in linea di principio politiche con costi di accertamento inaccettabili, misure certamente impopolari e, soprattutto, impatti indesiderabili sull’economia nel suo complesso.

Un livello dell’evasione pari al 30% dei fatturati implica che drastiche riduzioni comporterebbero sia una caduta del reddito di­ sponibile degli operatori, con conseguente espulsione di migliaia di imprese marginali, e sia un inevitabile trasferimento sui prezzi, con conseguente innalzamento dei livelli di inflazione.

In questo senso la lotta all’evasione deve soprattutto essere in­ tesa come occasione per limitare — o eliminare i casi relativa­ mente più vistosi. Solo in seconda battuta come momento di sostan­ ziale e generalizzato recupero di gettiti.

Un tale modo di affrontare il problema richiede ovviamente strumenti di intervento e professionalità diverse da quelle oggi di­ sponibili.

La questione tocca il tema della riforma deH’amministrazione finanziaria ma anche le metodologie da utilizzare per effettuare gli accertamenti. Alcuni degli attuali istituti vanno certamente mante­ nuti. Altri, legati all’individuazione di parametri di riferimento, vanno riveduti. Altri ancora vanno pensati e definiti ex novo.

(23)

Un tale invito sembra indirettamente richiamare usi e proce­ dure vigenti con il precedente ordinamento tributario. In realtà non si deve avere alcun rimpianto per il passato. Forse quello che oggi serve è una sintesi tra il vecchio e il nuovo che, riconoscendo la validità di strumenti di portata « generale », non trascuri la rile­ vanza del « particolare »: se oltre un milione di imprese del settore della distribuzione devono certamente avere qualche cosa struttu­ ralmente in comune, è altrettanto vero che, probabilmente, è an­ che impossibile trovare un’impresa identica all’altra.

Appendice: La medologia e i dati.

La stima dell’evasione dell’Iva è relativa a tutti i codici di atti­ vità, rappresentativi del commercio al minuto e delle altre attività commerciali, sostanzialmente rientranti nel comparto della distri­ buzione.

L ’analisi si è basata sui dati contenuti nell’archivio delle di­ chiarazioni Iva presentate nel 1987 (e relative quindi all’anno d ’im­ posta 1986), distribuite per regione e con riferimento ai codici di at­ tività del settore del commercio al minuto (da 4201 a 4266) nonché delle altre attività commerciali con codici 4400, 4410, 4610 e 4615 (21).

Tutti i codici di attività menzionati sono stati elaborati singo­ larmente. In alcuni casi si è proceduto però al raggruppamento di alcuni codici per consentire una migliore definizione dell’attività esercitata:

— macellerie (4201-4202): carni fresche e congelate (4201); pollame, conigli, selvaggina, cacciagione e uova (4202);

— abbigliamento (4218-4219): confezioni per uomo, donna e bambino (compresi l’abbigliamento professionale e sportivo e gli articoli di vestiario in cuoio) (4218); biancheria, maglieria, cravatte e articoli di abbigliamento (4219);

— arredamento (4228-4229): mobili (esclusi quelli per ufficio) e materassi (4228); oggetti e mobili in vimini, canne e giunchi (4229);

— autoveicoli (4240-4241): autoveicoli (compresi quelli usati) (4240); motoveicoli, biciclette, natanti ecc. (4241);

(21) In sostanza risultano escluse quelle attività per cui l’applicazione dei

(24)

— cartolibrerie (4248-4249): cartolerie e negozi di francobolli per collezione (4248); librerie (4249);

— ristoranti (4610); bar e pubblici esercizi (4615).

I codici elencati sono stati utilizzati per compiere due distinte elaborazioni: la prima riguardante i contribuenti in regime forfeta­ rio, la seconda per i contribuenti in regime normale. Inoltre, per ciascun codice di attività e all’interno dei due rispettivi regimi, so­ no state considerate le variabili significative aggregate per ogni regione.

Lo studio intrapreso si è basato sull’uso di alcuni e limitati pa­ rametri la cui significatività avrebbe potuto essere migliorata dalla disponibilità di alcune variabili aggiuntive (22).

Come si è già avuto modo di illustrare, il calcolo ha fatto ricor­ so essenzialmente a tre dati: il fatturato, gli acquisti e le rimanenze.

La variabile fatturato è costituita essenzialmente dalle opera­ zioni imponibili, distinte a seconda delle aliquote d imposta applica­ te (23). Ai fini del calcolo, tale variabile è stata depurata della voce « cessione di beni ammortizzabili », rientrante nelle operazioni im­ ponibili esclusivamente per il calcolo dell’Iva a debito (24).

Gli acquisti sono stati invece definiti come somma tra l’importo specifico delle dichiarazioni e quello delle importazioni imponibili, distinti per aliquota « d’imposta » (25).

(22) Ci si riferisce alla mancanza delle informazioni di carattere generale previste dal comma 29 dell’art. 2 del D.L. 853/54, relativamente al regime forfetario:

a) numero complessivo degli addetti all’attivià esercitata dal contribuente, distinti per qualifica nonché l’ammontare complessivo lordo delle retribuzioni cor­ risposte;

b) la superficie totale, in metri quadri, dei locali destinati all’esercizio del­ l’attività;

c) il costo complessivo dei beni strumentali impiegati;

d) i dati relativi alle materie prime, semilavorati, merci e materie sussidia­ rie, nonché quelli relativi ai consumi energetici e per autotrazione.

(23) Le aliquote d ’imposta previste per le operazioni imponibili, relativa­ mente al regime forfetario, sono le seguenti: 2, 9, 18, 38% e aliquota media. Per il regime normale sono invece: 2, 9, 18 e 38%. Con riferimento al modello della dichiarazione Iva, il dato del fatturato è stato ricavato come somma degli importi da rigo E l i a rigo E14 per il regime normale e somma da rigo E l i a E15 per il re­ gime forfetario.

(24) In effetti, le cessioni di beni vengono portate in diminuzione al rigo E27 della dichiarazione d ’imposta, in quanto non rientranti nel computo del volu­ me d ’affari.

(25)

La non immediata disponibilità del dato relativo all’ammontare delle spese generali (26) per il regime forfetario, ha reso necessario il calcolo dell’incidenza percentuale di tali spese sugli acquisti im­ ponibili (al netto di beni ammortizzabili) nel regime normale. Le percentuali ottenute sono state quindi applicate (per ogni attività considerata) al regime forfetario corrispondente, ottenendo in tal modo gli acquisti imponibili netti anche per il regime forfetario.

Eseguendo il rapporto tra fatturato netto ed acquisti imponibili netti si sono ottenuti i coefficienti di ricarico relativi a ciascuna re­ gione. La stima dell’evasione, che riguarda quello che potremmo definire « effetto ricarico », è stata ottenuta applicando agli acqui­ sti, dichiarati dalle imprese di ciascun settore e di ciascuna regione, la media dei rapporti fatturato-acquisti relativi alle due regioni in cui gli stessi risultano più elevati, non distinguendo fra regime nor­ male e forfetario.

Applicando al fatturato virtuale l’aliquota media sulle vendite, si è ottenuta l’iva virtuale derivante dall’effetto ricarico.

La stima dell’evasione, che riguarda quello che potremmo de­ finire « effetto eccesso scorte », ha assunto a riferimento i dati rela­ tivi alle rimanenze iniziali al 1 gennaio 1986. Come punto di par­ tenza è stata calcolata (rispettivamente per i due regimi d’imposta) la quota di incidenza delle rimanenze iniziali sul totale degli acqui­ sti imponibili netti. Successivamente si è imposto a tutte le regioni la quota di scorte minima osservata per la regione con il valore me­ no elevato, mentre le scorte in eccedenza sono state considerate fatturato recuperato a tassazione. All’eccesso scorte così ottenuto è stato applicato il ricarico medio maggiore (precedentemente utiliz­ zato), mentre per il calcolo dell’Iva virtuale sono state utilizzate le aliquote medie maggiori.

Per il calcolo dell’Iva evasa nelle due ipotesi si è proceduto co­ me segue:

a) calcolo dell’Iva a debito netta dichiarata da ogni regione (27);

(26) Per spese generali si possono intendere le spese più disparate: le spese telefoniche, quelle relative ai consumi di acqua, gas, elettricità e combustibili per riscaldamento e autotrazione, parcelle relative ai servizi di consulenza resi dai li­ beri professionisti ecc.

(26)

b) Iva evasa data dall’effetto ricarico = Iva virtuale — Iva vendite netta dichiarata;

c) Iva evasa data dall’effetto eccesso scorte;

d) Iva evasa data dalla somma dei due effetti: Iva evasa di cui al punto 6) + Iva virtuale legata all’eccesso scorte.

Una precisazione particolare riguarda il calcolo dell’Iva versa­ ta per i due regimi d’imposta. Nel nostro modello non si è tenuto conto della particolare procedura seguita per il calcolo dell’Iva a credito detraibile, riguardante il regime forfetario (28), ma si è con­ siderato tale regime del tutto uguale a quello normale. Per entram­ bi i regimi, quindi, è stata osservata la procedura seguente: appli­ cando agli acquisti imponibili netti l’aliquota media sugli acquisti, si è ottenuta l’iva a credito totale netta. Successivamente è stata cal­ colata la percentuale di indetraibilità (29) (e per differenza la per­ centuale di detraibilità), necessaria per la determinazione dell’Iva a credito netta detraibile (30). Sottraendo dall’Iva a debito netta l’iva a credito detraibile si è ottenuta l’iva versata dichiarata.

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(28) Nel regime forfetario Piva a credito è data dall’aggregazione delle de­ trazioni forfetarie e analitiche.

(29) La percentuale di indetraibilità è desunta dal rapporto tra l’ammonta­ re delle operazioni esenti (rigo E25) ed il volume d ’affari (rigo E28).

(27)

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(28)
(29)

Tabella 3. Stima dell’evasione (codd. att. 1,201-1,615) - Dati per dichiarazione(in migliaia di lire). R eg ion i I v a e v a sa 1 (ricarico) Iv a e v a sa 2 (scorte) Iv a evasa totale ( 1 + 2 ) P iem on te 2.560 2.857 5.417 V al d ’ A osta 3.297 2.918 6.215 L iguria 2.167 10.568 12.735 L om b a rd ia 3.652 5.729 9.381 B olza n o 3.208 2 .890 6.098 T re n to 3.831 2.453 6.283 V e n e to 3.598 2.818 6.416 Friuli 2.881 4 .696 7.577 1? T t> 9.020 12.257 M a rch e 3.752 2.573 6.324 T o sca n a 3.265 3.566 6.831 U m b ria 4.537 3.555 8.092 L a zio 3.595 6.103 9.698 C a m p an ia 3 .629 3.239 6.868 A b ru zzo 3.350 4.013 7.363 M olise 3.327 3.501 6.829 P u glia 3.231 6.067 9.298 B asilicata 3.321 4 .298 7.619 C a lab ria 2.968 5.243 8.211 Sicilia 3.275 5.086 8.361 S ardegna 2.828 3.894 6.722 T o ta le 3.315 4.996 8.310

Tabella 4. Stima dell’evasione (codd. att. 1,201-1,615) - Dati per dichiarazione(in migliaia di lire).

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T a b e l l a 5. A lim en ta ri (d a ti in m il io n i d i li re ). -T" W> « bc ih ia r . (i n m ig T o t . v a i. a g 1 8 .4 3 0 1 2 0 .4 3 0 4 1 .5 6 1 3 5 .7 3 8 3 5 .0 6 4 9 3 .7 8 0 5 2 .4 5 5 1 1 .7 0 8 9 0 .3 5 8 4 6 .6 0 1 7 0 0 .4 2 9 1 0 5 .2 3 9 4 8 .4 5 3 1 9 .5 1 3 4 1 .9 2 9 1 “ a 13 w > -fi ^ e-> 5 1 .8 2 6 1 8 .3 5 0 3 4 .2 4 5 7 0 .2 7 4 6 5 .2 2 0 5 9 .6 8 0 6 4 .7 2 3 1 6 7 .8 3 8 1 0 0 .8 2 4 1 3 .6 4 8 3 1 .2 8 0 E v a s io n e p e r d k T o t . I v a © o o t - » i 5 t > © ® i c o ^ - c o © © © o o ni -< —* co ^ o ô r f î o c c c c co E v a s io n e p e r d i T o t . I v a © I O « » * © © — C O © © © 0 0 © © © C O © * J " 0 0 © C O t> co I v a e v a s a J I v a n e tt a I v a e v a s a / I v a n e tt a ïS (S ìS ìS © © © » < c o © © c C ' - ' c o ìS £ ìS $co

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T a b e l l a 7. A r r e d a m e n to e a r ti c o li p e r l a c a s a ( d a ti in m il io n i d i li re ). c h ia r . (i n m ig l. ) T o t . v a i. a g g . 1 2 4 .2 7 9 5 1 .2 6 6 2 4 .9 6 2 1 0 3 .0 9 9 1 4 .9 7 8 6 2 .8 8 1 1 7 4 .1 1 7 9 6 .7 8 8 7 8 .5 5 4 1 2 7 .4 6 3 9 4 .2 5 9 6 6 .9 3 9 7 4 .7 3 1 2 3 .0 6 0 8 6 .9 9 9 E v a s io n e p e r d i' T o t . I v a ® O M O ) 9 < t " f i O ) i n O ! C C O i l i 0 5 M 0 > t ^ 0 0 ^ 0 0 0 > 0 0 i> 0 5 c 0 0 ' ^ ' - ^ '^ t > I v a e v a s a / I v a n e tt a C 0 - t 'O ® » 0 i l i 5 » ® C 0 0 5 t > ^ O T U Ì I v a e v a s a (s c o r te ) 1 0 1 .1 3 6 7 9 .2 9 3 1 1 .3 4 5 3 6 3 .6 9 6 1 7 .2 4 7 8 1 .7 5 6 2 0 .9 9 5 2 9 .3 4 0 4 0 .3 4 2 2 8 0 .5 1 7 9 .1 5 7 1 2 .3 8 2 7 1 .7 8 9 4 3 .3 6 3 1 .0 4 7 .2 0 5 I v a e v a s a (r ic a r ic o ) 4 0 .8 9 9 3 1 .3 4 3 5 .8 3 6 1 4 6 .3 2 1 1 3 .5 9 1 6 2 .5 5 5 6 .9 6 4 1 0 7 .5 9 5 1 0 .1 5 8 7 7 .6 9 0 5 .6 5 2 4 .8 9 9 1 5 8 .8 3 3 2 6 .3 0 8 5 1 3 .5 0 4 I v a v e r s a

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IL RUOLO DELLA PREVIDENZA IN TEGRATIVA NEGLI USA: IN TERPRETAZIONI TEORICHE (*)

di Cl a r a Busana Ba n t e r l e

Università degli studi di Trieste

Sommario: Premessa. — 1. La domanda di pensioni collettive. - 1.1. Le giustifica­ zioni tradizionali. - 1.2. Le differenze tra pubblico e privato. — 2. L ’offerta di pensioni collettive. - 2.1. Flessibilità e concessione dei diritti. - 2.2. Fles­ sibilità e baekloading. — 3. Piani B D e piani CD : indicazioni normative. - 3.1. Sicurezza vs redditività. - 3.2. Assicurazione rispetto a rischi specifici: ridotta tutela del sistema pubblico. - 3.3. La tutela rispetto all’inflazione ed agli abbandoni prematuri. — Osservazioni conclusive. — Bibliografia.

Premessa.

Nel dibattito che circonda la futura configurazione di un siste­ ma pensionistico integrativo e collettivo in Italia, al di là di nume­ rose precisazioni, terminologiche e non, tre elementi, che rivestono un ruolo cruciale nell’attivazione del sistema, ci sembra richiedano ulteriore riflessione.

Il primo concerne il trattamento fiscale e parafiscale che do­ vrebbe essere riservato ai versamenti (del datore di lavoro e del la­ voratore) al piano pensionistico — in particolare la relazione che dovrebbe intercorrere tra trattamento fiscale e contribuzione socia­ le — , il secondo attiene la tipologia auspicabile per la determinazio­ ne dei trattamenti pensionistici ed il terzo, infine, riguarda la tutela accordata ai lavoratori che abbandonino un piano prima del rag­ giungimento dell’età/anzianità pensionistica.

Sul primo elemento non è l’essenza di discussione quanto la drastica contrapposizione di opinioni ad esigere ulteriori approfon­ dimenti. Nella sostanza, per una ragione o per un’altra, dottrina e giurisprudenza di merito caldeggiano una assimilazione del tratta­ mento parafiscale a quello fiscale, per contro Cassazione e, con una

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