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La tutela rispetto all’inflazione ed agli abbandoni prematuri. Il rischio di inflazione appare un elemento fondamentale per

discriminare rispetto al grado di sicurezza dei due tipi di piano. Negli Us a l’adozione di meccanismi di indicizzazione automatica ri­ spetto a variazioni dei prezzi è relativamente frequente nei piani offerti dal settore pubblico, mentre costituisce una rara eccezione per i piani del settore privato (15).

Le ragioni di tale mancata indicizzazione sono state variamen­ te individuate nell’assenza di attività finanziarie indicizzate [Mun- nel e Grolnic, 1986], nell’esistenza di componenti di ricchezza ac­ cumulate per l’età anziana (diverse da pensioni private) con carat­ teristiche di ultraindicizzazione [Feldstein, 1983; Summers, 1983; Bodie, 1991], nell’eccessiva onerosità connessa al finanziamento di un sistema indicizzato [Munnel, 1982; Bodie, 1990 e 1991]. Rimane il fatto che piani che prefissino rispettivamente contributi e benefici garantiscono una diversa tutela (ancorché incompleta) dei tratta­ menti pensionistici reali. Conviene analizzare tale diversità con ri­ ferimento a due diversi momenti in cui può verificarsi l’erosione in­ flazionistica: quello inerente la fase attiva del lavoratore e quello dopo il pensionamento.

Per quanto riguarda la fase attiva, anche nel caso in cui sia il saggio del rendimento dei contributi nei piani CD, sia il saggio di crescita salariale nei piani BD si aggiustino pienamente al variare dell’inflazione, i piani BD in cui il trattamento è commisurato alla remunerazione finale sono più sensibili alla variabile inflazionistica

media a base della contribuzione sociale nel medesimo periodo, oppure allo 0.75% della media stessa per l’anzianità, nuovamente entro un massimo del 26.25%.

(15) A questa mancata indicizzazione ai prezzi, spesso imputata all’assenza

di strumenti finanziari che garantiscano rendimenti reali (cui per altro fa riscontro un modesto successo nei paesi che li hanno introdotti, come è avvenuto per le ob­ bligazioni pubbliche indicizzate in UK), si contrappone l’introduzione di innova­ zioni finanziarie capaci di immunizzare i portafogli dei piani e di indicizzarli non ai prezzi ma al rendimento medio di specifici basket di attività [Bo d i e, 1991].

[Busana Banterle, 1988]. Il risultato è del resto ovvio: con i piani BD agganciando il trattamento all’ultima remunerazione si rivalu­ tano anche i benefici già accreditati relativi agli anni precedenti. D ’altro lato, mentre in generale gli incrementi salariali rispondono a variazioni di produttività ed all’inflazione, l’assunzione che il ren­ dimento delle attività in cui piani CD sono investiti incorpori piena­ mente variazioni dell’inflazione è puramente teorica. E proprio l’assenza di strumenti finanziari che garantiscano contemporanea­ mente elevati rendimenti, scarsa volatilità degli stessi ed una cor­ relazione non negativa con il tasso di inflazione a rendere precaria la soluzione che delega al funzionamento dei mercati finanziari la tutela dei lavoratori attivi dai processi inflattivi [Munnel e Grolmc, 1986].

Come si è detto, la superiorità dei piani BD commisurati alla remunerazione finale in termini di copertura dal rischio inflazioni­ stico è però subordinata alla permanenza con il medesimo datore di lavoro e costituisce quindi un limite alla libertà di movimento del lavoratore. La scarsa “ portabilità ” dei diritti pensionistici com­ porta sostanziali riduzioni di trattamento per lavoratori mobili (ì co­ siddetti early leavers) e deriva da due distinte caratteristiche dei piani BD. La prima è inerente al fatto che alcune formule di deter­ minazione dei benefici generano, come si e visto, accentuate forme di backloading; pertanto, un lavoratore mobile non riuscirà mai ad accedere a quella fase della carriera in cui l’accreditamento dei be­ nefici è massimo. La seconda riguarda la riduzione nei benefici reali che i lavoratori possono subire nell’intervallo tra la cessazione del rapporto di lavoro originario ed il raggiungimento dell’età pen­ sionistica.

C e da osservare inoltre, a questo proposito, che la perdita sopportata dal lavoratore mobile in relazione al backloading si fon­ da su un’interpretazione letterale del contratto che intercorre tra lavoratore e datore di lavoro in presenza di un piano pensioni­ stico. Scomponendo la capitalizzazione totale in corrente e differita in base a tale interpretazione, di natura legale, si assume che istan­

taneamente al lavoratore sia corrisposta una remunerazione com­

plessiva — salario corrente più accreditamento dei benefici pensio­ nistici __ eguale al valore che l’impresa attribuisce al lavoratore (alla sua produttività). Se viceversa si ritiene [come nel già citato Ippolito, 1986], che, in forza di un accordo non formalizzabile, il la­ voratore rinunci al salario corrente in misura corrispondente al

trattamento che si attende al momento del pensionamento e non in relazione ai diritti acquisiti in ciascun periodo in cui il rapporto può essere interrotto, allora il lavoratore rinuncerà ad una quota della propria remunerazione corrente assai più elevata dell’accredita­ mento dei benefici formalmente pattuito, ma se interrompe il rap­ porto di lavoro non recupererà più la sua contribuzione implicita al piano (16).

Per quanto riguarda l’erosione inflazionistica dei benefici che rimangono “ congelati ” al loro valore nominale, il suo rilievo può essere più o meno grave a seconda dello strumento prescelto per conservare il trattamento maturato fino al raggiungimento dell’età pensionistica. Ciò può avvenire o mantenendo un credito nei con­ fronti del fondo, o incassando il proprio corrispondente capitale ed eventualmente investendolo in un conto pensionistico individuale. Quest’ultima soluzione può risultare la più soddisfacente dal mo­ mento che, anziché mantenere inalterato il valore nominale dei be­ nefici, li trasforma in contributi individuali il cui rendimento può anche essere superiore all’inflazione. Come si è'detto, tale risultato è però tutt’altro che “ garantito ” a causa dell’assenza di strumenti finanziari scarsamente vulnerabili all’inflazione. Soluzioni più dra­ stiche, come quelle adottate in Gran Bretagna, che impongono al

(16) Analiticamente, supponendo che i benefici siano corrisposti in relazio­

ne all’ultima remunerazione percepita prima dell’interruzione del rapporto, e de­ finendo l’anzianità lavorativa come: a = x-y (ove y; x; r; indicano rispettivamen­ te: l’età corrente, l’età di ingresso e l’età pensionistica), la pensione in forma capi­ tale pagabile al momento r è data da: [1] Ba = k.a.sa; ove sa è appunto il salario del lavoratore con anzianità a, mentre k è il parametro che esprime la “ generosi­ tà ” del piano. Il suo valore attuale nell’interpretazione legale è esprimibile come: [2] PVBa = k.a.sae '(r • *). Mentre nel caso dell’interpretazione del contratto impli­ cito, indicando con g il saggio di crescita salariale, il valore attuale della pensione è: [3] PVBa = k.a.sae<! -■><'- *>. In una formulazione unitaria (Ippolito, 1986): [4] PVBa = k.a.sae('-* *>; ove X = 0 corrisponde all’interpretazione legale e X = 1 a quella della contrattazione implicita. Il tasso di contribuzione implicita al piano pensionistico I (a), (che si osservi è dato dall’accreditamento nell’anno in corso al netto degli interessi maturati sulla ricchezza pensionistica accumulata fino a quel momento) sommato alla remunerazione corrente, è uguale alla produttività mar­ ginale del lavoratore, ed a sua volta tale contribuzione rapportata al salario è co­ stituita da: [5] I (a)/Sa = R(a) = (1 + (i - X) g a) k e0* ■> (r *>. Il che comporta, per X

= 0, una rapida crescita di R (a) rispetto ad a, essendo positive sia la derivata pri­ ma che la seconda della funzione, viceversa per X = 1, il tasso di contribuzione implicita dipende dalla relazione che intercorre tra g ed i. Ad esempio [Ippolito, 1987, p. 47], per tasso di crescita del salario eguale al tasso di interesse non vi sa­ rà nessuna variazione nel tempo del tasso di contribuzione (R ’(a) = 0) ed il lavo­ ratore rinuncierà ad un quota costante della propria remunerazione corrente per precostituire il trattamento pensionistico.

datore di lavoro un’indicizzazione dei benefici maturati entro un li­ mite del 5% di inflazione, sono fino ad ora assenti nel sistema sta­ tunitense, proprio perché ritenute troppo disincentivanti per il da­ tore di lavoro.

Passando ad esaminare la tutela in età pensionistica, la situa­ zione tende a rovesciarsi: secondo modalità che indicheremo imme­ diatamente i piani CD possono offrire una tutela, seppure incom­ pleta, del valore reale delle rendite pensionistiche, comunque pre­ feribile alla teorica assenza di protezione dei piani BD (17). Nella pratica concreta anche quest’ultimi hanno concesso incrementi ad hoc nei benefici pensionistici, ma appunto gli incrementi erano op­ zionali e comunque fortemente ritardati rispetto alle accelerazioni deH’inflazione [Ippolito, 1986].

Su questo fronte due vie sembrano praticabili. La prima consi­ ste nell’adottare una rendita variabile, alternativamente offrendo una rendita il cui valore è determinato dal rendimento del portafo­ glio in cui il fondo è investito oppure garantendo al lavoratore una rendita molto bassa (commisurata ad un saggio di interesse conven­ zionale ridotto rispetto a quello corrente), ma con un aggiustamento annuo correlato all’esubero del rendimento effettivo rispetto al tas­ so di interesse convenzionalmente adottato. Tale soluzione è stata concretamente adottata dal più grande piano CD degli Us a: Tea-chers Insurance and Annuity and Association and College

Retire-ment Equities Fund (TIAA-CREF), anche se in linea teorica la so­

luzione della rendita variabile sarebbe in effetti praticabile anche per i piani BD, purché correttamente trasformati.

Nel caso dei piani CD la trasformazione dei contributi in ren­ dita variabile può avvenire nella fase della vita attiva del lavorato­ re, convertendo il primo flusso contributivo in un unità di conto, definita unità di accumulazione, arbitrariamente prescelta.

(17) Considerando un tasso di inflazione annuo del 5% ed assumendo che

non vi siano né premorienze né dimissioni, un soggetto che entri a venticinque anni a far parte di un piano che garantisca l’ l% del salario finale volte 1 anzianità di servizio, si troverà a sessantacinque anni con un valore di benefici pari a circa sei volte il suo salario finale se i benefici sono indicizzati fino alla morte (assunta certa ad ottantacinque anni), Se l’indicizzazione è solo quella implicita nella for­ mula che lega i benefici al salario finale, assumendo che la remunerazione cresca di pari passo all’ inflazione, i benefici corrispondenti saranno solo tre volte e mez­ zo il salario finale. Ciò comporta un’erosione inflazionistica dei benefici pensioni­ stici di poco inferiore al 50% [Bo d i e, 1991].

Nel successivi periodi contributivi il valore dell’unità di conto verrà riformulato per computare l’effettivo rendimento delle attivi­ tà in cui i contributi sono investiti e i nuovi contributi genereranno l’accreditamento di unità di conto aggiuntive. Rendimenti positivi e incrementi di valore in conto capitale potranno tradursi quindi al­ ternativamente in variazioni di valore dell’unità di conto o in accre­ ditamenti aggiuntivi. Poiché il valore dell’unità di conto è determi­ nato dividendo il valore di mercato delle attività in cui i contributi sono investiti per il numero complessivo di unità di conto, esso re­ gistra non solo il rendimento del portafoglio, ma anche variazioni (per morte, etc.) nel numero dei partecipanti.

All’atto del pensionamento, il lavoratore potrà nuovamente scegliere eventualmente tra una rendita fissa ed una variabile, tra­ sformando l’ammontare del trattamento in unità pensionistiche il cui numero rimane fisso, ma il cui valore varia con il rendimento dei portafogli in cui il fondo è investito. La differenza sostanziale tra questa variante dei piani CD e quella tradizionale è data dall’e­ splicita possibilità di scelta concessa al lavoratore tra le attività in cui investire i propri contributi. In questa variante infatti esistono di norma due distinti portafogli tra cui il lavoratore può scegliere: uno di essi comprende attività a reddito fisso e l’altro azioni, in cia­ scun anno il lavoratore può determinare l’allocazione dei propri contributi tra i due portafogli in relazione alla propria situazione personale ed all’individuale propensione al rischio.

Nel caso dei piani BD la trasformazione può avvenire lungo li­ nee formalmente analoghe anche se essa riguarda i benefici accre­ ditati e non i contributi; la somiglianza formale della trasformazione stessa non dovrebbe tuttavia oscurare il fatto che in questo caso si determina un sostanziale mutamento nel riparto dei rischi tra dato­ re di lavoro e lavoratore. Infatti, se la caratteristica dei piani BD è quella di addossare il rischio di investimento al datore di lavoro, essa risulta del tutto stravolta quando, a seguito della trasformazio­ ne, tale rischio viene a ricadere sul lavoratore.

La trasformazione nel corso della vita attiva può avvenire se­ condo due diverse modalità [McGill, 1984]. In base alla prima vie­ ne diviso il valore attuale dei benefici accreditati per il valore delle unità di accumulazione per ottenere il numero di quest’ultime. Una volta operata la conversione il criterio di funzionamento è quello dei piani CD e la trasformazione in unità pensionistiche avviene secondo le linee indicate per gli stessi.

In base alla seconda modalità, il valore corrente dei benefici accreditati viene diviso per il valore corrente dell’unità pensionisti­ ca. Le risorse che vengono accantonate per capitalizzare le unità pensionistiche lo sono sulla base di un rendimento atteso definito A IR (Assumed Investment Return), se il rendimento effettivo è maggiore dell’A IR l’unità viene rivalutata e viceversa. L ’assunzio­ ne intorno all’A IR è cruciale perché il lavoratore riceverà benefici superiori a quanto garantito da un piano BD tradizionale solo a condizione che il rendimento effettivo sia superiore all’AIR, alter­ nativamente i benefici saranno uguali o inferiori. In altri termini, se applicata già dalla fase attiva, la conversione dei benefici in ren­ dite variabili rende del tutto evanescente la distinzione con un pia­ no CD, nel senso che in entrambi i casi il rischio di un funziona­ mento mediocre del mercato finanziario ricade sul lavoratore. La trasformazione dei benefici pensionistici (specie se determinati in base ad un formula che considera le ultime remunerazioni) in ren­ dita variabile all’atto del pensionamento determina una modifica meno radicale della tipologia del piano, anche in questo caso la scelta dell’A IR è tuttavia cruciale. Se è troppo elevato non vi sarà nessun incremento, al limite vi saranno riduzioni, nella rendita va­ riabile e quindi nessuna tutela rispetto l’inflazione.

La seconda via per proteggere i trattamenti dall’inflazione ap­ pare per ora solo una proposta [Munnel e Grolnic, 1987] e consiste nell’emettere obbligazioni indicizzate: l’indicizzazione può avvenire garantendo un rendimento reale predeterminato ed aggiustando il principale per l’inflazione alla scadenza, oppure indicizzando il solo rendimento, mediante la corresponsione di un saggio di rendimento reale cui si aggiunge l’effettivo tasso di inflazione. Naturalmente, questa seconda via elimina il rischio di inflazione solo se 1 obbliga­ zione è mantenuta fino alla scadenza e presuppone quindi che gli acquirenti non siano soggetti individuali.

Nuovamente, entrambe le soluzioni (in forme ovviamente più sofisticate di quelle qui schematizzate) sono percorribili dai piani CD: la seconda potrebbe costituire una copertura dal rischio infla­ zionistico anche per lo sponsor del piano BD, ma non si traduce au­ tomaticamente nell’indicizzazione dei benefici promessi dai piani stessi.

Osservazioni conclusive.

Più che per le indicazioni puntuali che dall’esperienza di un al­ tro paese possono essere derivate, le considerazioni che seguono possono risultare utili per mettere a fuoco le aree problematiche, queste sì generalizzabili, che l’operatore pubblico incontra quando decide di attivare un sistema pensionistico privato e ad evitare di risolvere in modo casuale le difficoltà e le contraddizioni che certa­ mente si troverà ad affrontare.

Dalla ricostruzione delle principali indicazioni che la teoria tradizionale delle pensioni ricava dalla struttura e dall’evoluzione del sistema pensionistico di impresa negli Us a ci sembra emergano infatti due distinti ordini di osservazioni generali. Il primo riguarda i quesiti che ci si era originariamente posti in ordine alla struttura dei piani pensionistici meglio in grado di tutelare i diritti dei lavora­ tori e al grado di regolazione/incentivazione pubblica con essa coe­ rente. Il secondo ordine di considerazioni è invece emerso in modo del tutto spontaneo dall’esame dei mutamenti della normativa nord americana nel corso del tempo. Esso concerne la necessità di adot­ tare una cornice normativa ed una struttura di controllo dei piani pensionistici che siano fin dall’origine agevolmente suscettibili di aggiustamenti. Ciò per tener conto da un lato che la regolamenta­ zione pubblica deve essere in grado di contemperare obiettivi tal­ volta contraddittori e dall’altro che in quest’ambito, come del resto in tutta la sfera fiscale, le imprese sono particolarmente attente ad utilizzare a proprio vantaggio qualunque regola, quale che sia la ragione per cui è stata introdotta.

Per quanto attiene il primo ordine di considerazioni, l’elemen­ to cruciale rispetto alla sicurezza del trattamento, alla garanzia dei diritti acquisiti ed alla copertura rispetto al rischio inflazionistico è sicuramente la scelta tra la tipologia dei piani che offrono benefici, i piani BD, e quelli che offrono contributi, i piani CD.

Per molti aspetti i piani BD emergono come più idonei al rag­ giungimento dell’obiettivo principale della previdenza integrativa: colmare quel gap di reddito che si forma tra quanto necessario a soddisfare le esigenze dei lavoratori e quanto è fornito dal sistema pensionistico pubblico, quando ¡ trattamenti offerti dal sistema pub­ blico siano in generale piuttosto contenuti ed in particolare modesti per gli elevati redditieri. La scelta di offrire benefici richiede tutta­ via l’approntamento di una serie di accorgimenti che rafforzino la

sicurezza delle promesse pensionistiche: tali accorgimenti vanno dalla fissazione di criteri ammissibili per la determinazione dei co­ sti del piano e per la loro capitalizzazione, all’eventuale istituzione di una assicurazione pubblica ed obbligatoria dei benefici promessi. A fronte di un maggior sforzo regolamentativo si evidenzia una maggior capacità autopropulsiva di tale tipologia: solo in relazione ai piani BD emergono una serie di vantaggi per il datore di lavoro che prescindono da eventuali agevolazioni fiscali e che riguardano una maggior flessibilità nella gestione della manodopera; a tale ele­ mento si aggiunge una maggior flessibilità anche sul fronte del fi­ nanziamento del piano medesimo.

Come spesso accade, quello che è per alcuni versi il maggior pregio dei piani BD, può tradursi anche nel loro più grave difetto: nella misura in cui tale tipologia rafforza una relazione di lungo pe­ riodo tra datore di lavoro e lavoratore, l’interruzione di tale rela­ zione può rivelarsi estremamente onerosa per il lavoratore. In pre­ senza di inflazione ed in assenza di meccanismi di indicizzazione dei diritti acquisiti, ogni interruzione nel rapporto di lavoro si tra­ duce in una perdita netta. Da questo punto di vista le alternative percorribili non appaiono molto numerose: o si opta per la tipologia alternativa, i piani CD, che però non offrono al datore di lavoro nessun vantaggio oltre quelli di natura fiscale o si procede ad una rivalutazione obbligatoria dei diritti acquisiti dagli early leavers (così come in parte si è fatto in Gran Bretagna) riducendo però in modo consistente il grado di appetibilità di tale tipologia per il dato­ re di lavoro oppure infine si accolla allo Stato l’onere dell’indicizza­ zione.

Anche rispetto alla copertura da rischio inflazionistico per la­ voratori diversi dagli early leavers la contrapposizione tra piani BD e piani CD è emersa in modo netto: i piani BD, particolarmen­ te quelli che commisurano il trattamento alla remunerazione finale, indicizzano implicitamente i benefici pensionistici non solo ai prezzi ma anche agli incrementi di produttività, ma lasciano invariati tali benefici nella fase pensionistica. I piani CD, specie nella loro strut­ tura tradizionale, offrono una copertura rispetto all’inflazione che dipende esclusivamente dalle attività finanziarie in cui i contributi pensionistici sono investiti: l’assenza di strumenti finanziari che esi­ biscano una correlazione non negativa tra rendimento e tasso di in­ flazione li rende pertanto uno strumento di accumulazione di risor­ se durante la vita attiva inefficiente per un verso o per l’altro. D

’ai-tro canto, la possibilità di adottare strategie finanziarie capaci di preservare in modo significativo il valore reale dei contributi rende questa tipologia preferibile a quella BD nella fase del pensiona­ mento. Da questo punto di vista, appare interessante la soluzione della rendita variabile adottata dal più importante piano CD ed an­ cor più la sua potenziale applicabilità ai piani BD. A chi scrive sembra che si potrebbe raccordare la tutela adottata da entrambe le tipologie, rispettivamente nella fase attiva ed in quella pensioni­ stica, operando al momento del pensionamento la trasformazione in rendita variabile dei benefici acquisiti con un piano BD.