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Sul piano teorico le giustificazioni addotte in favore di un siste­ ma pensionistico privato e collettivo non divergono significativa­ mente da quelle elaborate dall’economia del benessere a supporto di un sistema pensionistico pubblico [Diamond, 1984; Kotlikoff, 1987]. Si ritiene cioè che un sistema collettivo, a prescindere dalla sua natura istituzionale, sia in grado di sanare un tipico caso di fal­ limento del mercato garantendo al lavoratore un’allocazione inter­ temporale delle risorse più efficiente di quella che deriverebbe dal­ la spontanea scelta individuale.

La dimensione collettiva, o ancora più precisamente un inter­ vento esterno, trova giustificazione nel tradizionale binomio mio- pia/paternalismo. Poiché il lavoratore, non essendo in grado di pre­ vedere perfettamente le proprie necessità future, tende a sottosti­ mare il reddito necessario per l’età anziana, il datore di lavoro (lo stato), può colmare il gap di reddito futuro, accantonando risorse per suo conto. Il ragionamento ricalca per grandi linee la posizione assunta alla fine del secolo scorso dai sostenitori della previdenza privata obbligatoria.

Più di recente, sempre con riferimento alle difficoltà di ottimiz­ zazione delle scelte intertemporali di consumo, ma con minor enfa­ si sull’aspetto paternalistico, il risparmio pensionistico aziendale viene interpretato come l’effetto di una delega consapevole del la­ voratore al datore di lavoro. Attraverso l’accumulazione collettiva, il lavoratore risolverebbe il conflitto tra diversi “ ego ” antagonisti, consentendo all’ego “ pianificatore ” di limitare i gradi di libertà dell’ego “ contingente ” che, per definizione, non attribuisce alcun rilievo al futuro [Thaler-Sheffrin, 1981]. Meteforicamente, come nel famoso episodio di Ulisse e le sirene [Elster, 1979], il lavoratore si “ legherebbe ” volontariamente al risparmio collettivo per non cedere alle lusinghe di sirene consumistiche.

Sempre con riferimento ad una maggior efficienza della gestio­ ne collettiva, si adduce l’argomentazione informativa: il datore di lavoro, o comunque il gestore del piano da lui sponsorizzato, gode di una serie di canali privilegiati per acquisire le informazioni ne­ cessarie alla predisposizione di piani finanziari di lungo periodo [Rice, 1966; Schiller-Weiss, 1979]. Ciò nella misura in cui conosce con maggior precisione sia la probabile evoluzione della remunera­ zione del lavoratore, sia il funzionamento dei mercati finanziari. A ciò si aggiunge di frequente l’argomentazione che le condizioni of­ ferte sul mercato dei capitali ad investitori collettivi sono migliori di quelle affrontate da investitori individuali [Rice, 1966]. La dimen­ sione collettiva, al limite l’universalità, del sistema pensionistico privato consentirebbe inoltre di superare quei problemi di selezio­ ne avversa che il sistema assicurativo non è in grado di fronteggia­ re in relazione a taluni tipi di rischio (il rischio in questione sarebbe evidentemente quello di longevità). Le pensioni di impresa grazie alla loro collettività, e soprattutto grazie al modesto (se non nullo) grado di discrezionalità di adesione al sistema lasciato al singolo la­ voratore, possono impedire ai rischi “ cattivi ” di scacciare i rischi buoni, operando un contenimento sul fronte del finanziamento.

Non solo, a differenza del sistema pubblico che non può essere che universalistico, il sistema privato può attraverso una serie di accorgimenti (più o meno obiettabili sul piano dell’equità) discrimi­ nare contro i soggetti identificabili come ad alto rischio.

1.2. Le differenze tra pubblico e privato.

Quest’ultimo punto introduce una cruciale distinzione tra pre­ videnza pubblica e previdenza di impresa. Di per sé la previdenza

aziendale non ha alcun obiettivo equitativo. Al di là delle posizioni estreme di chi sostiene che anche il sistema previdenziale pubblico dovrebbe espungere dal suo interno funzioni perequati ve, delegan­ dole al settore assistenziale, una delle ragioni esplicitamente invo­ cate in favore della previdenza privata è che la sua formulazione “ genuinamente ” assicurativa consentirebbe ad un sistema pensio­ nistico in cui la componente privata giochi un ruolo significativo di temperare le caratteristiche assistenziali della componente pubblica.

Il punto che si intende qui affrontare è se la previdenza di im­ presa svolga anche altre funzioni oltre a quella di correzione di eventuale regressività del sistema pubblico (la cui desiderabilità di­ pende oltre che dai valori dominanti in una società dalla concreta regressività del sistema pubblico e dal grado di compensazione di quello privato). In altri termini, rimanendo nella sfera dell’efficien­ za, ci si chiede se per i lavoratori l’intervento pubblico e quello pri­ vato siano intercambiabili, oppure se esistono rischi specifici che sono assicurati (o dovrebbero esserlo) da un sistema privato collet­ tivo e non da quello pubblico e viceversa. Infine, ma di cruciale ri­ levanza, è indispensabile individuare i fattori che generano l’e­ spansione di un sistema privato nella direzione socialmente deside­ rabile. Se cioè l’obiettivo ultimo perseguibile con un consistente si­ stema pensionistico privato è quello di allentare le “ pressioni ” da domanda sul sistema pubblico, è necessario capire quali meccani­ smi ne attivino la crescita e come possa eventualmente essere in­ centivata.

Per ragioni che abbiamo genericamente attribuito a “ debolez­ za della volontà ” o a migliori condizioni di accesso al mercato assi- curativo i lavoratori potrebbero dunque ’‘ chiedere ” trattamenti pensionistici privati e collettivi. Con maggior specificità, la richie­ sta potrebbe essere motivata dal desiderio dei lavoratori di assicu­ rarsi un reddito pensionistico adeguato in relazione ad effettivi mo­ desti gradi di copertura del sistema pubblico e/o ad aspettative di deterioramento nel grado di copertura stesso. Su quest’ultimo pun­ to avremo modo di tornare quando analizzaremo le modifiche regi­ strate per piani che integrano sistema pensionistico pubblico e pri­ vato negli Us a ( 3 .2 ) . Possiamo tuttavia anticipare che al crescere dei timori di instabilità dei sistemi pubblici (dovuti principalmente alla negativa evoluzione demografica) non sono solo gli imprendito­ ri, ma è lo stesso operatore pubblico a limitare il trasferimento sul sistema privato dei rischi di mal funzionamento di quello pubblico.

La domanda di pensioni private potrebbe inoltre essere accentuata in relazione a specifici incentivi fiscali concessi al risparmio pensio­ nistico collettivo. Pur senza sopravvalutare l’importanza del tratta­ mento fiscale nello sviluppo del sistema pensionistico privato fino al punto di considerarlo l’unico fattore alla base dello sviluppo o meno del sistema stesso, come avviene nella cosiddetta teoria fiscale del­ le pensioni, c ’è da osservare infatti che un trattamento fiscale age­ volato rispetto ad altre forme di risparmio personale costituisce, in base a numerosi riscontri empirici [si veda ad esempio Davis, 1991], un elemento essenziale allo stimolo della domanda.

Fermando l’attenzione al caso statunitense: l’agevolazione con­ siste nella deducibilità dei contributi del datore di lavoro (entro li­ miti fissati direttamente nei piani che prevedono il versamento di contributi ed indirettamente per quelli che prefissano benefici pen­ sionistici) dal reddito di impresa come spese ordinarie, nella non inclusione degli stessi nel reddito del lavoratore fino alla loro per­ cezione e nell’accumulazione esente del rendimento dei contributi stessi (in questo caso inclusi anche gli eventuali contributi del lavo­ ratore) fino alla percezione del trattamento pensionistico.

Va osservato che da tale trattamento derivano due vantaggi fi­ scali per il lavoratore: un vantaggio determinato dalla presenza di tax averaging, in base a cui il rinvio dell’imposizione fiscale con­ sente l’applicazione al reddito pensionistico di un’aliquota margina­ le più bassa di quanto non sarebbe avvenuto durante la vita attiva ed un vantaggio di tax deferrai, che corrisponde ad un prestito da parte dello stato al lavoratore ad un tasso di interesse nullo. Si può dimostrare che insieme i due vantaggi si traducono in agevolazioni crescenti all’ammontare del reddito. Il guadagno derivante dal tax averaging deriva dal fatto che normalmente il reddito di un lavora­ tore in quiescenza è più basso di quello di un lavoratore attivo. Poi­ ché il sistema fiscale è progressivo (anche se con una progressività più blanda dopo la riforma fiscale dell” 87) una riduzione di aliquota è più significativa per gli alti che per i bassi redditieri; anche il van­ taggio derivante dal tax deferrai è funzione diretta del reddito (1).

(1) Essendo: [1] (1 - t) e n - il rendimento di un investimento ordinario di 1 lira per n anni ad un tasso di interesse i, soggetto ad un’aliquota di imposta t, mentre: [2] (1 - t) e " è l’investimento della medesima lira in forma di risparmio pensionistico agevolato, il vantaggio derivante dal tax deferrai può essere rilevato dall’indice R (costituito dal rapporto tra la 2 e la 1): [3] R = e“ o dall’indice D (dato dalla differenza tra la 2 e la 1): [3’] D = (1 - t) e” - (1 - t)e 11 - ,n”. Superata la

Rispetto al trattamento fiscale dei benefici il sistema non pre­ senta particolari agevolazioni, infatti è esente da imposta federale sul reddito solo quella parte di benefici corrispondente ai contributi del lavoratore su cui sono state già pagate le imposte. Nella mag­ gioranza dei casi, dato il livello di contribuzione del lavoratore e l’ammontare della rendita pensionistica, ciò corrisponde all’esen­ zione della rendita pensionistica nei primi tre anni di pensionamen­ to ed alla sua successiva piena assoggettabilità. Sempre per i reddi­ ti elevati vi sono altri due rilevanti vantaggi: nel caso in cui il trat­ tamento pensionistico (in forma capitale) sia utilizzato per acquista­ re beni immobili, la parte attribuibile ai contributi del datore di la­ voro è esente sia dall’imposta federale sulle proprietà che da quella sulle donazioni.

2. L’offerta di pensioni collettive.

Se dunque tutti i motivi indicati giustificano la domanda di sa­ lario differito contro salario corrente, rimane del tutto aperta la motivazione del datore di lavoro ad accettare tale scambio.

Una risposta in questa direzione è stata elaborata dall’econo­ mia del lavoro: l’esistenza di una remunerazione differita consente di aumentare l’efficienza nelle relazioni di lungo termine tra datore di lavoro e lavoratore per una serie di ragioni che sono state indica­ te: in una riduzione del tum over dei lavoratori più produttivi, in un dimissionamento volontario da parte del lavoratore anziano quando ciò è conforme alle esigenze dell’impresa, in uno stimolo al­ lo sforzo lavorativo ed all’investimento in capitale umano ed, infi­ ne, in una assicurazione contro i rischi di bassa produttività in pre­ senza di asimmetrie informative [tra i molti si vedano su questi punti: Lazear, 1983 e 1985; Lazear e Moore, 1988; Diamond e Mir- rlees, 1985; Kotlikoff e Wise, 1987].