2.2 L’INTERVENTO PUBBLICO TERRITORIALE A SOSTEGNO DELLE STARTUP 44
2.2.1 I DISTRETTI TECNOLOGICI 47
tra loro coerenti, che abbiano come obiettivo principale e come base di partenza la soddisfazione delle esigenze del luogo.
In merito alla terza regola, inoltre, è possibile fare un’altra considerazione: la presenza di investitori di private equity non costituisce da sola un’occasione di crescita per l’industria delle startup in un determinato contesto economico. La possibilità di accedere a finanziamenti, infatti, è soltanto un tassello del disegno complessivo di sviluppo che trasforma un territorio in un ecosistema ospitale per la proliferazione di startup. Le politiche pubbliche a favore delle startup implementate in molti paesi, tra cui l’Italia, spesso si traducono nella mera concessione di fondi e poggiano sulla convinzione che i finanziamenti siano sufficienti a favorire lo sviluppo di una fiorente industria di startup. Al contrario, come affermano Waits, Kahalley e Heffernon, i finanziamenti rappresentano il punto di arrivo e non di partenza. La richiesta di fondi per lo sviluppo imprenditoriale è il prodotto di un clima imprenditoriale favorevole, originato dalla combinazione di una serie di fattori, tra cui know-‐how, cultura innovativa e cooperazione tra stakeholders.
Alla luce delle considerazioni fatte, si afferma che i finanziamenti non sono sufficienti da soli ad incrementare la nascita di startup in un determinato territorio.
2.2.1 I DISTRETTI TECNOLOGICI
I distretti tecnologici possono essere descritti come aree geografiche solitamente a livello sub-‐regionale, caratterizzate dalla presenza di università che fanno ricerca scientifica di eccellenza in determinati ambiti, grandi imprese che qui hanno localizzato attività knowledge-‐based ed un tessuto di piccole-‐ medie imprese che producono innovazione grazie all’impiego di nuove tecnologie (Mele, Parente e Petrone, 2008).
Si è scelto di dedicare un sotto-‐paragrafo al distretto tecnologico, in quanto esso è un ecosistema innovativo focalizzato sull’utilizzo delle nuove tecnologie; non è
pertanto corretto utilizzare i termini ecosistema innovativo e distretto tecnologico come sinonimi in quanto quest’ultimo ne rappresenta una particolare categoria.
Come visto precedentemente, richiamando i contributi di Caroli e di Waits, Kahalley e Heffernon, l’ecosistema innovativo è originato da un network di soggetti che gestiscono progetti convergenti e condividono obiettivi comuni. La convergenza nei progetti è facilitata dalla specializzazione settoriale che nella maggior parte dei casi caratterizza i distretti, nei quali vengono condotte ricerche in determinati ambiti scientifici da impiegare in specifici settori economici.
La stretta collaborazione tra attori è al centro della teoria più accreditata in letteratura sul tema dei distretti tecnologici: la teoria della Tripla Elica di Etzkowitz e Leydesdorff (2000), che descrive i distretti tecnologici come strutture a rete caratterizzate da rapporti di collaborazione tra tre attori (eliche), ovvero università, imprese ed enti pubblici.
La collaborazione avviene nei seguenti modi:
• la condivisione di laboratori di ricerca tra università ed imprese,
• l’utilizzo congiunto di brevetti tra diverse imprese per creare prodotti innovativi,
• la partnership tra startup e corporations, • e così via…
Sono moltissime le forme che possono assumere le iniziative comuni. Recentemente, il modello a Tripla Elica è stato analizzato ed ampliato da Carayannis e Campbell (2009) con ulteriori elementi che possono influenzare il processo innovativo all’interno di un distretto tecnologico.
A tale proposito, i due studiosi hanno aggiunto una quarta elica, identificata come “media-‐based e culture-‐based public” o “civil society”; la modalità con cui i mass-‐media trasmettono i valori e la cultura di una società influenza notevolmente il sistema innovativo nazionale. In altre parole, secondo la teoria, se viene data importanza nella comunicazione al progresso e all’innovazione,
lentamente tali valori entreranno a far parte della cultura nazionale e sarà più facile innovare in un determinato paese.
Successivamente, gli studiosi hanno arricchito ulteriormente il modello introducendo una quinta elica (figura 3), denominata ‘natural environments of society’ (Carayannis & Campbell, 2012). Si tratta della tutela dell’ambiente, la quale rappresenta una variabile esogena che non solamente influenza il processo innovativo ma è parte integrante delle più importanti innovazioni degli ultimi anni, le quali sono rivolte alla salvaguardia ambientale.
In sintesi, Carayannis e Campbell hanno cercato di rielaborare il paradigma del modello a Tre Eliche nella prospettiva del contesto attuale, introducendo nuovi elementi che negli ultimi anni stanno condizionando il processo innovativo.
Figura 3. Il modello a cinque eliche. Fonte: rielaborazione della teoria di Carayannis & Campbell da parte di Ferraris & Santoro (2014)
Affinché un distretto tecnologico sia di successo e duri nel tempo, ogni attore economico dovrebbe nutrire un interesse ad operare nel distretto e nel contempo essere necessario agli altri, diventando così tassello fondamentale della filiera industriale.
Il modello ideale è, secondo quest’ottica, quello di un distretto “auto-‐ sufficiente”, cioè un sistema al cui interno i diversi attori collaborano in modo spontaneo perché ne hanno la convenienza. Il raggiungimento di questo risultato ottimale non è facilmente ottenibile senza l’intervento dello Stato che, con la sua funzione di coordinamento, deve ricomporre gli interessi divergenti dei diversi attori e far sì che essi convergano in futuro nell’ottica della realizzazione di un progetto comune. Nonostante non sia possibile teorizzare un modello ideale di governance pubblica, il quale è naturalmente condizionato dalle caratteristiche di ogni distretto, si possono individuare comunque delle linee guida universalmente applicabili.
La fondazione Cotec, nel Rapporto di ricerca Politiche Distrettuali per l’Innovazione delle Regioni italiane (2005) promosso dal ministro per l’innovazione e le tecnologie, a tale proposito stila una serie di best-‐practices che, sulla base di esperienze nazionali ed internazionali, appaiono efficaci. Si riassumono e rielaborano ora i criteri presentati dalla fondazione come linee guida che dovrebbero ispirare gli interventi legislativi a livello regionale:
• Censimento ed individuazione delle eccellenze presenti sul territorio. La scelta di sviluppare un distretto tecnologico in una determinata area geografica deve essere accreditata dall’accertamento della presenza di competenze scientifiche e tecnologiche negli attori del territorio. Un buon punto di partenza è costituito dai distretti industriali, in cui la manifattura tradizionale viene oggi minacciata dai fenomeni imitativi dei paesi in via di sviluppo. I distretti, grazie all’intervento dell’attore pubblico che promuove il trasferimento tecnologico alle imprese e gli investimenti in R&S, vengono così rivitalizzati. Un è esempio, come verrà approfondito in seguito, ci è dato in Italia dal distretto tecnologico Torino Wireless.
• Trasferimento tecnologico dai centri di ricerca alla piccola e media impresa. Come già accennato nel punto precedente, le politiche regionali dovrebbero ridurre l’asimmetria informativa e rendere più facile il trasferimento di conoscenza scientifica e tecnologica tra centri di ricerca e imprese. E’ importante sottolineare che l’agente pubblico dovrebbe definire delle misure per la corretta gestione dei diritti intellettuali, in modo da evitare possibili conflitti di interesse tra gli attori coinvolti.
• Predisposizione di strumenti finanziari per facilitare la crescita delle startup
locali. A tale proposito, l’attore pubblico può essere diretto finanziatore,
attraverso la creazione di fondi pubblici regionali, oppure catalizzatore di finanziatori specializzati in private equity privati o istituti di credito.
• Accesso alle reti internazionali di innovazione. Le politiche regionali per l’innovazione dovrebbero favorire la collaborazione tra gli agenti del distretto e dei partner stranieri. In questo modo, inserendo il distretto nel network internazionale di ricerca, si avvalorerebbero i centri di ricerca e si favorirebbe nel contempo l’internazionalizzazione delle imprese presenti.
• Introduzione di criteri di valutazione interna. Il monitoraggio dei risultati a seguito delle azioni intraprese deve avere carattere sistematico e non deve rendicontare solamente le risorse erogate, bensì deve esprimersi in parametri che permettono di misurare la crescita economica del distretto.
• Coordinamento a livello nazionale. Come già affermato all’inizio del paragrafo, la progettazione strategica nazionale deve integrarsi con l’azione locale. In altre parole, l’intervento regionale deve essere espressione delle leggi formulate a livello nazionale. In questo modo si evita lo spreco di fondi, si incentivano sinergie tra territori, si misura l’efficacia delle disposizioni legislative, ci si sottrae a situazioni di conflitto tra enti posti a diversi livelli.
Si espongono ora due casi di distretti tecnologici italiani diversi tra loro sia negli attori presenti che nei punti di forza che li caratterizzano. Lo scopo è di
comprendere le funzioni svolte dalle amministrazioni pubbliche nei due distretti ed individuare la presenza o l’assenza, nei limiti di un’analisi non approfondita, delle best-‐practices formulate dalla fondazione Cotec.
Entrambi i distretti traggono origine dalla predisposizione del Programma Nazionale della Ricerca 2005-‐2007 da parte del MIUR (Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca), avente la finalità di creare distretti tecnologici all’avanguardia in tutto il territorio italiano grazie alla collaborazione del MIUR stesso con le regioni, le università, gli enti locali, gli operatori finanziari e le imprese dei territori.
Il primo caso è dato dal distretto campano IMAST (dal nome della società consortile pubblica che governa il distretto), specializzato in ingegneria dei materiali polimerici e compositi (http://www.imast.biz).
Nel 2005 la regione Campania ha stanziato, assieme al MIUR, 50 milioni di euro per avviare il distretto, con lo scopo di sfruttare una vivida ricerca scientifica pre-‐esistente ed applicarla al settore industriale; a tale fine, per coordinare le attività, ha istituito una società consortile di matrice pubblica, la IMAST S.C.A.R.L. Nel distretto, infatti, sono presenti centri di ricerca pubblici e privati che lavorano su progetti di R&S insieme alle grandi aziende socie del distretto, tra le quali Ansaldo SPA e Pirelli SPA.
Il punto di forza di IMAST è la sua poliedricità: è riuscito a diffondere la ricerca scientifica qui sviluppata a multinazionali di diversi settori, grazie alla realizzazione di progetti innovativi a cui partecipano gruppi misti di imprese. Si tratta di una qualità di grande valore, sottolineata dalla presidente di IMAST, Eva Milella, in occasione dei primi dieci anni di attività del distretto: “In questi dieci anni, IMAST ha costruito un modello di distretto unico nel suo genere, non solo integrando le competenze della ricerca pubblica e quelle dell’industria, ma soprattutto innescando collaborazioni inedite tra imprese non appartenenti agli stessi settori”.
La collaborazione in tema di ricerca si estende anche a partner esteri; infatti, i ricercatori hanno sviluppato una vasta rete di collaborazioni con le più importanti università in ambito internazionale, tra cui la Stanford University, il MIT, la Penn State University, la Cambridge University.
la società coordinatrice IMAST scarl sta lavorando. Ciò che manca è la presenza di VC privati e l’attenzione al tessuto imprenditoriale locale, al quale non viene trasferita la conoscenza prodotta all’interno del distretto, che è di esclusiva fruizione delle multinazionali socie del distretto.
Come secondo esempio viene analizzato il distretto tecnologico torinese Torino Wireless. Esso nasce nel 2003 grazie all’iniziativa congiunta del comune di Torino e del MIUR, assieme al Politecnico e l’Università di Torino, all’Istituto di ricerca Mario Boella, all’Unione Industriale ed alcune aziende multinazionali, con uno stanziamento iniziale di 50 milioni di euro. A differenza di IMAST, in questo caso il distretto nasce sulla base di un partenariato pubblico e privato e perciò non è di pura matrice pubblica. Scopo della fondazione Torino Wireless, ente deputato al governo, è quello di favorire l’innovazione tecnologica alle piccole imprese presenti nel territorio, trasferendo loro la tecnologia prodotta dalla ricerca. Da tale affermazione si deduce che, differentemente da IMAST, Torino Wireless nasce in un’area in cui sono presenti molte PMI ed ha lo scopo di favorirne l’informatizzazione. Nel caso campano, infatti, la costruzione del distretto origina da una pregevole ricerca universitaria mentre nel caso torinese da un vivido tessuto imprenditoriale.
Venendo agli operatori specializzati in private equity, Torino Wireless collabora stabilmente con l’incubatore universitario I3P per la creazione di spin-‐off accademici ed ha creato due fondi di VC, Piemontech ed Innogest Capital, i cui capitali sono in parte pubblici ed in parte privati. A tale proposito, si aggiunge che il distretto torinese, dal 2007, sta progettando una nuova iniziativa, il Polo del VC, che ha lo scopo di attrarre operatori di VC internazionali.
Per semplicità espositiva vengono schematizzate le caratteristiche dei due distretti.
Tabella 1. Confronto tra i distretti Imast e Torino Wireless
IMAST TORINO WIRELESS Iniziativa Programma Nazionale della Programma Nazionale della
Ricerca 2005-‐ 2007 del Miur, collaborazione con regioni, università, enti locali, operatori finanziari, imprese Ricerca 2005-‐ 2007 del Miur, collaborazione con regioni, università, enti locali, operatori finanziari, imprese Attività caratteristica Ingegneria dei
materiali polimerici e compositi
ICT
Organo di governo Società
consortile di matrice pubblica Società consortile di matrice pubblica e privata
Attori presenti nel distretto Centri di ricerca pubblici e privati, multinazionali socie Centri di ricerca pubblici e privati, grandi, medie e piccole
imprese Dimensione delle imprese
prevalenti
Grandi Piccole
Settore economico di riferimento Diversi settori, conoscenza trasversale Diversi settori, conoscenza trasversale Fattore interessato dall’internazionalizzazione Ricerca: collaborazione con università estere Finanziamento: apertura a VC stranieri Presenza di finanziatori
nel distretto Scarsa Buona
Si analizzeranno ora le caratteristiche dei due distretti nell’ottica delle linee guida delle politiche locali teorizzate dalla fondazione Cotec. In particolare si sottolineano quali best-‐practices sono già state adottate dagli enti locali nei due distretti e quali possono costituire in futuro delle vie percorribili di ulteriore sviluppo.
Sia nel caso di IMAST che di Torino Wireless l’agente pubblico ha individuato delle nicchie di eccellenza, sulle quali ha sapientemente fatto leva per lo sviluppo dei distretti tecnologici: per IMAST la ricerca, in particolare universitaria, e per Torino Wireless il vivido tessuto imprenditoriale di PMI. La seconda linea guida, che consiste nel trasferimento tecnologico alla piccola-‐ media impresa, è uno degli obiettivi fondamentali del distretto Torino Wireless, ma si può ritrovare parzialmente anche nel distretto IMAST.
La presenza di operatori finanziari specializzati nella crescita delle startup locali rappresenta un elemento carente nel distretto IMAST mentre costituisce un punto di forza del distretto Torino Wireless. Quest’ultimo, infatti, ha avviato due fondi di VC e sta collaborando in questi ultimi anni con VC stranieri. Per IMAST, invece, l’elevato livello di internazionalizzazione non si deve all’apertura a finanziatori stranieri, bensì alla condivisione della ricerca sviluppata nel distretto con università estere.
Si conclude analizzando l’ultimo punto: il coordinamento tra leggi nazionali e intervento locale. Le politiche regionali che hanno promosso la nascita dei due distretti sono espressione delle politiche nazionali di valorizzazione di aree geografiche o settori economici in difficoltà. IMAST, infatti, nasce in Campania, regione del Mezzogiorno economicamente arretrata mentre Torino Wireless aiuta le PMI ad essere più competitive nel mercato globale grazie alla tecnologia. Per maggiore chiarezza espositiva nella tabella 2 vengono riportate le linee guida adottate nei due distretti analizzati (la X evidenzia l’adozione della linea guida nella governance del distretto; ND indica l’impossibilità di reperire i dati necessari per accertare la presenza o l’assenza della linea guida nella gestione del distretto).
Tabella 2. Adozione delle linee guida teorizzate da Cotec nella governance dei distretti Imast e Torino Wireless LINEE-‐ GUIDA 1 2 3 4 5 IMAST X N D X TORINO WIRELESS X X X N D X
1. Trasferimento tecnologico dai centri di ricerca alla piccola e media impresa 2. Predisposizione di strumenti finanziari per facilitare la crescita delle startup
locali
3. Accesso alle reti internazionali di innovazione 4. Introduzione di criteri di valutazione interna 5. Coordinamento a livello nazionale
In questo paragrafo è stata data una definizione, sulla base di contributi teorici ed empirici, dei distretti tecnologici. Come Etzkowitz e Leydesdorff, anche Aulet (2008) ha individuato degli elementi chiave che caratterizzano i distretti tecnologici. Il modello della Tripla Elica riconosce nello Stato, nell’università e nell’impresa i soggetti fondamentali all’origine, attraverso le relazioni che tra essi instaurano, del distretto tecnologico.
Aulet (2008) invece sostiene che gli innovation ecosystems hanno in comune ben sette fattori chiave, illustrati nella figura 4 (Balloni, 2015).
Figura 4. Rielaborazione del contributo di Aulet da parte di Balloni (2015, pag. 56)
Aulet ha elaborato un modello di ecosistema completo, ponendo in rilevanza degli aspetti, come la domanda di innovazione e le invenzioni che, nelle altre teorie citate, erano considerati sotto-‐categorie di macro-‐fattori quali la cultura e l’imprenditorialità.
L’identificazione di tratti comuni agli ecosistemi innovativi deriva da una necessità di classificazione, ovvero di riconoscimento di quali contesti urbani mondiali possono essere definiti ecosistemi innovativi o, se caratterizzati da una specializzazione scientifica o tecnologica, distretti tecnologici.
A tale finalità, nel 2012 lo Startup Genome Project lanciato da Compass ha pubblicato il suo rapporto sui più grandi ecosistemi di startup di tutto il mondo; ha stilato cioè una classifica che viene aggiornata ogni 3 anni sulle più importanti città o più propriamente aree innovative del mondo, laddove proliferano startup tecnologiche (https://startupgenome.co).
Lo scopo di tale report non è meramente classificatorio ma anche quello di favorire lo sviluppo degli ecosistemi innovativi, diffondendone la conoscenza nel mondo.
Il rapporto è intitolato “The Startup Revolution: The Global Rise of Startup
Ecosystems And How They Compare” ed elenca i primi 40 ecosistemi di startup di
tutto il mondo sulla base di criteri quali l’imprenditorialità, la presenza di talenti, il livello di diffusione della conoscenza, l’esistenza di investitori e VC, il bacino di startup presenti.
La tabella 3 riporta i risultati dell’edizione del 2015 (primi 20 paesi classificati), basata su dati raccolti su un campione di 11.000 startup in tutto il mondo.
Tabella 3. Classifica degli ecosistemi innovativi nel mondo. Fonte: Compass (2015)
Si nota che Tel Aviv figura al quinto posto, mentre l’Italia non è presente con nessun ecosistema innovativo nella classifica.
Nel prosieguo della trattazione si approfondiranno le politiche pubbliche nazionali attuate a sostegno delle startup nei due paesi, dapprima l’Italia e successivamente Israele.
CAPITOLO 3. LO SCENARIO ECONOMICO IN ITALIA E GLI
INTERVENTI PUBBLICI A SOSTEGNO DELLE STARTUP
La prima parte di questo capitolo è volta allo studio degli aspetti problematici che sta affrontando l’Italia all’avanzamento di nuovi schemi competitivi globali. Verranno esaminati in particolare questi aspetti: le ripercussioni della crisi economica globale sul nostro sistema produttivo, le difficoltà nell’avviare attività imprenditoriali e l’investimento nazionale in R&S.
La presentazione del modello di business italiano, con relativi punti di forza e di debolezza, costituisce una premessa alla trattazione delle politiche pubbliche rivolte allo sviluppo delle startup (paragrafo 3.3). In altre parole, si tratta di inquadrare l’intervento pubblico a favore delle aziende innovative nel contesto economico in cui esse si trovano ad operare.
Il riconoscimento giuridico dell’impresa startup, avvenuta nel 2012, ha condizionato le politiche pubbliche implementate a sostegno delle stesse, le quali saranno analizzate secondo quest’ottica temporale: ante e post 2012. Il paragrafo 3.2 studia la distribuzione regionale e settoriale dell’industria delle startup in Italia e la sua evoluzione nel tempo. Osservandone i ritmi di crescita
potremo capire in che misura la normativa dedicata a queste imprese abbia contribuito allo sviluppo del fenomeno.
3.1 IL CONTESTO ECONOMICO ITALIANO
Nella graduatoria stilata dalla Banca Mondiale (2016) che classifica i paesi in base alla facilità di fare impresa, l’Italia si attesta al quarantacinquesimo posto a livello mondiale e al quindicesimo in Europa.
In Italia i principali problemi che le imprese devono affrontare sono (sulla base di dati Eurostat 2014):
• l’imposizione fiscale troppo elevata, che raggiunge il 68,3% (sui profitti commerciali al netto di IVA), di 24 punti percentuali superiori alla media europea.
• L’eccessivo costo del lavoro, non rapportato ad un aumento degli stipendi. Nell’anno 2013 il costo per unità di lavoro è aumentato del 17,4% (rispetto al 2005) ovvero di 4 punti percentuali rispetto alla media europea; nello stesso periodo di tempo il compenso per unità di lavoro è cresciuto del 12,2% ovvero 6 punti percentuali in meno rispetto alla media europea.
• La difficoltà nell’accesso al credito.
Nel periodo di tempo che va da giugno del 2011 fino ad agosto del 2013 si è assistito ad una contrazione nei prestiti bancari pari all’8,2%, di 75 miliardi di euro in valore assoluto. In Francia si è registrata una diminuzione di minore entità, pari solamente all’1%, mentre in Germania si è verificato un aumento nei crediti concessi pari a 5 miliardi di euro.
• L’eccessiva regolamentazione e i vincoli burocratici che ostruiscono l’attività