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Il divario Nord-Sud: un riesame

Giancarlo Biraghi

Si riapre di quando in quando il dibattito sul tema del divario Nord-Sud, e della sua evo-luzione, nel nostro Paese. La questione ha una rilevanza non soltanto conoscitiva, poiché la risposta all'interrogativo costituisce un ele-mento importante di giudizio sulla validità della cosiddetta politica meridionalistica. Si t r a t t a in effetti di verificare se certe scelte di politica economica, e anche di tecnica industriale, hanno contribuito, ed in quale misura, a ridurre i dislivelli tra l'area settentrionale ed il Mez-zogiorno d'Italia.

Si può parlare di squilibri in molti modi, avrebbero detto i logici medioevali; noi diremo che gli squilibri possono essere di varia n a t u r a e la condizione per evitare malintesi è di preci-sare in partenza sotto quale luce si vogliono indagare.

Qui ci riferiremo al lato economico e il migliore indicatore in questo senso ci pare es-sere ancora il livello di reddito.

Delimitato il campo di osservazione, sempre per porci al riparo da equivoci, ci troviamo da-vanti ad una gamma di scelte da fare. Posto che intendiamo misurare l'andamento correlato nel tempo del reddito tra Nord-Sud, bisogna stabilire se vogliamo riferirci:

a) al prodotto complessivo dell'area

op-pure a quello medio per abitante, e la cosa non è senza notevoli riflessi, se si tiene conto dei movimenti migratori interregionali verificatisi specialmente tra la fine degli anni cinquanta e quella degli anni sessanta;

b) ai dislivelli assoluti o ai tassi diffe-renziali di sviluppo, considerato che, per i punti di partenza molto diversi, il ventaglio dei primi potrebbe essersi ulteriormente aperto, pure in presenza di rapporti incrementali più favore-voli alle regioni economicamente deboli;

c) ai saggi medi dell'intero sistema ter-ritoriale oppure a quelli di singole componenti, poiché in ciascuna arca potrebbero essersi de-terminati comportamenti anche contrastanti tra le unità geografiche elementari.

Queste alternative metodologiche fanno ca-pire che i giudizi finali possono fra loro note-volmente divergere a seguito del criterio di valu-tazione che si assume. In pratica la dinamica comparata Nord-Sud potrebbe metterci di

fronte ad aumenti nel divario globale ma non per testa; un'accentuazione di questo potrebbe anche non significare ulteriore divaricazione tra i tassi di sviluppo; ove si desse eventual-mente quest'ultimo caso, esso potrebbe anche riflettere soltanto rapporti tra singole coppie di aree elementari, ma non quelli fra sottosi-stemi più vasti.

Se ne può dunque dedurre che t u t t i i punti di vista sono buoni come mezzo di indagine; l'importante è dichiararli esjilieitamente dal-l'inizio e rendere avvertito l'interlocutore che le valutazioni conclusive tengono esclusivamente nei limiti della collocazione prescelta.

A noi pare che tra i vari criteri di misura-zione sia però opportuno scegliere t u t t o som-mato quelli che hanno maggiore comprensione ed in questo novero rientra di sicuro il metodo proposto e applicato da Zelinsky a proposito dei cambiamenti intervenuti nella distribuzione geografica del reddito dell'industria manifat-turiera negli Stati Uniti (1).

Il t r a t t o distintivo di tale metodo è di svi-luppare certi « fattori » o espressioni che tengono conto, nell'analisi della ridistribuzione territo-riale dei redditi, di varie interrelazioni, in par-ticolare fra a m m o n t a r e del prodotto e movi-menti di popolazione o di addetti. Viene cal-colato ad esempio per ogni zona sotto esame il cosiddetto fattore V : P, espressione il cui primo termine sta per valore aggiunto o prodotto lordo ed il secondo per popolazione.

Il fattore V: P può essere definito come la differenza tra la consistenza attuale del valore aggiunto di un'area e quella teorica o virtuale o proiettiva, conseguente all'ipotesi che il pro-dotto per testa inizialmente disponibile in quel-l'area, nell'intervallo temporale ipotizzato, sia a n d a t o sviluppandosi al medesimo tasso di quello nazionale.

La formula rappresentativa, supposto che il periodo sotto osservazione v a d a dall'anno 1963 al 1971, è dunque la seguente:

(I) W. Zelinsky, «A Mctliod l'or Mcusuring Cliange in the Distribution of Manufacturing Activity: the United States, 1080-1047», in Economie (Jeography, aprile 19(58.

RIDISTRIBUZIONE DEL REDDITO NEL SETTORE PRIVATO (1963-1971) FATTORE V\ P

da cui risulta che il prodotto virtuale si ricava moltiplicando la popolazione dell'anno finale per il valore aggiunto pro-capite dell'anno ini-ziale e per un coefficiente «/e» fisso, che è appros-simativamente uguale al saggio di sviluppo del valore aggiunto pro-capite nazionale e che più rigorosamente è tale da rendere la sommatoria

del fattore considerato per t u t t e le aree uguale a zero (E V : P = 0).

Si può dunque precisare che il fattore 1 : P, basato sulla « normalizzazione » del valore ag-giunto mediante l'ammontare della popola-zione, serve a identificare la porzione di reddito,

dif-Tabella 1 VARIAZIONI NELLA DISTRIBUZIONE RELATIVA DEL REDDITO PER REGIONI Fattore V : P, 1 9 6 3 - 1 9 7 1

REGIONI

SETTORE PRIVATO INDUSTRIA ATTIVITÀ MANIFATTURIERA

REGIONI MILIONI LIRE CORRENTI INCIDENZA % SU REDDITO 1 9 7 1 MILIONI LIRE CORRENTI INCIDENZA % SU REDDITO 1 9 7 1 MILIONI LIRE CORRENTI INCIDENZA % s u REDDITO 1 9 7 1 Piemonte - 3 5 9 . 8 3 5 - 6 , 6 9 - 2 3 4 . 6 2 7 - 7 , 6 7 - 9 8 . 5 8 5 - 3 , 8 8 Valle d'Aosta - 2 3 . 3 8 2 - 1 7 , 7 0 - 2 7 . 4 9 1 - 3 6 , 3 0 - 1 0 . 8 6 7 - 2 8 , 6 4 S | Lombardia - 7 4 2 . 1 9 7 - 6 , 7 4 - 5 8 5 . 7 2 5 - 9 , 5 4 - 4 2 7 . 8 2 3 - 8 , 5 7

Trentino Alto Adige 1 7 . 8 3 2 2 , 3 0 2 4 . 7 6 1 7 , 0 7 3 1 . 4 7 8 1 5 , 1 9

Veneto 1 0 1 . 6 6 9 2 , 6 7 1 5 5 . 1 4 4 8 , 9 7 7 4 . 3 8 6 6 , 2 7

Frinii Venezia Giulia 1 4 1 . 0 9 1 1 1 , 8 8 9 0 . 2 4 6 1 7 , 1 3 6 0 . 4 3 4 1 6 , 6 8

Liguria - 9 0 . 4 2 5 - 3 , 8 5 - 1 4 4 . 7 8 8 - 1 7 , 2 3 - 2 0 9 . 1 1 5 - 3 5 , 9 9 Emilia Romagna 7 9 . 5 1 9 1 , 8 9 1 8 3 . 5 1 0 9 , 7 3 1 5 2 . 4 1 5 1 1 , 6 9 1 Toscana 8 1 . 3 0 4 2 , 3 8 3 7 . 4 1 5 2 , 4 2 2 0 . 3 2 4 1 , 8 4 I mbria 4 6 . 9 8 4 7 , 3 6 4 6 . 1 1 6 1 5 , 7 3 4 2 . 0 8 8 1 9 , 8 2 Marcile 5 9 . 0 0 4 5 , 5 9 1 0 3 . 2 3 7 2 4 , 5 0 4 2 . 4 8 7 1 6 , 8 3 Lazio 6 6 . 6 3 4 1 , 5 8 • 5 5 . 6 6 6 - 4 , 6 6 5 . 6 6 1 0 , 7 4 Abruzzi 1 0 4 . 2 5 2 1 3 , 5 7 7 2 . 0 5 7 2 5 , 4 1 3 6 . 8 9 0 2 5 , 8 1 Molise 1 7 0 , 0 1 7 . 1 0 0 1 4 , 8 5 3 . 6 7 1 2 1 , 0 8 Campania - 6 8 . 7 5 7 - 2 , 2 6 - 8 5 . 3 7 8 - 8 , 4 0 - 1 5 . 2 7 1 - 2 , 2 0 Puglia 1 6 6 . 4 0 6 7 , 4 0 1 0 7 . 1 0 1 1 4 , 4 2 1 0 3 . 2 4 9 2 4 , 4 2 Basilicata 4 7 . 2 7 0 1 4 , 5 4 3 9 . 9 1 1 3 3 , 3 1 2 8 . 1 6 0 4 9 , 8 2 Calabria 1 9 . 7 6 4 2 , 0 8 4 1 . 6 5 2 1 5 , 4 2 4 . 4 6 4 4 , 3 9 Sicilia 2 4 8 . 9 9 5 8 , 4 4 1 7 2 . 4 0 2 1 8 , 7 7 1 0 5 . 8 8 2 2 2 , 2 1 32,33 Sardegna 1 0 3 . 8 5 5 1 0 , 7 4 5 3 . 0 2 3 1 6 , 2 4 5 0 . 0 7 2 2 2 , 2 1 32,33 -V.B..- Reddito lordo interno al costo dei fattori.

Tabella 2

VARIAZIONI NELLA DISTRIBUZIONE RELATIVA DEL REDDITO PER RIPARTIZIONI GEOGRAFICHE

Fattore V : P, 1 9 6 3 - 1 9 7 1

SETTORE PRIVATO INDUSTRIA ATTIVITÀ MANIFATTURIERA

REGIONI M I L I O N I LIRE CORRENTI INCIDENZA % SU REDDITO 1971 MILIONI LIRE CORRENTI INCIDENZA! % s u REDDITO 1971 MILIONI LIRE CORRENTI INCIDENZA % s u REDDITO 1971 Italia Nord Occidentale . . . .

(Piemonte, Valle d'Aosta, Liguria, Lombardia)

- 1.215.839 - 6,4 - 992.631 - 9,8 - 746.390 - 9,2

Italia Nord Orientale

(Trentino, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia)

+ 340.111 + 3,4 + 453.661 + 10,1 + 318.713 + 10,4

Italia Centrale

(Marche, Toscana, Umbria, Lazio) + 253.926 + 2,7 + 131.102 + 3,8 + 110.560 + 4,7

Totale Centro Nord 621.802 - 1 , 6 - 407.868 - 2,3 - 317.117 - 2,3

Italia Meridionale

(Campania, Abruzzi, Molise, Pu-glia, Basilicata, Calabria)

+ 268.952 + 3,6 + 182.443 + 7,3 + 161.163 + 11,2

Italia Insulare

(Sicilia, Sardegna) + 352.850 + 9,0 + 226.425 + ±8,1 + 155.954 - 24,7

Totale Sud + 021.802 + 5,4 -I- 407.868 + 10,9 + 317.117 + 15,3

Tabella 3 DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA DEI GUADAGNI COMPARATIVI DI REDDITO

( 1 9 6 3 - 1 9 7 1 )

REGIONI SETTORE PRIVATO INDUSTRIA ATTIVITÀ MANIFATTURIERA

Italia Nord Orientate

(Trentino, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia)

2 8 , 0 45,7 42,7

Italia Centrale

(Marche, Toscana, Umbria, Lazio)

20,9 13,2 1 4 , 8

Italia Meridionale

(Campania, Abruzzi, Molise, Puglia, Basi-licata, Calabria) 2 2 , 1 1 8 , 4 2 1 , 6 Italia Insulare (Sicilia, Sardegna) 2 9 , 0 2 2 , 7 20,9 Totale 1 0 0 , 0 1 0 0 , 0 1 0 0 , 0

ferenti velocità di sviluppo nella disponibilità di prodottò per abitante.

A questo punto siamo in grado di vedere con chiarezza quello che c'è di specifico nell'im-piego del fattore suggerito da Zelinsky. In primo luogo si t r a t t a di assumere come termine di riferimento il valore aggiunto, che è senza dubbio l'espressione più significativa del livello economico di un'area; in secondo luogo di col-legarlo, o « normalizzarlo », con la componente popolazione e quindi legarlo alle condizioni de-mografiche reali; infine di mettere in luce l'ef-fetto, positivo o negativo, generato dalla dif-ferenziazione nei ritmi di sviluppo caratteristici di ciascuna area.

Questo fattore incrocia fra di loro tre tipi di rapporti: prodotto con potenziale demogra-fico, situazione iniziale e situazione finale, saggio incrementale specifico e saggio medio nazionale. Ecco perché dicevamo che questo punto di vista ci sembra notevolmente ricco di concre-tezza e quindi di valori obiettivi, appunto perché da un lato tiene conto di precise condi-zioni storiche di partenza relative alle singole parti del territorio e dall'altro ne segue l'evo-luzione in relazione alla dinamica nazionale. Mediante la determinazione di questo fattore siamo in condizione di osservare se nell'arco temporale e data una certa situazione di avvio un'area o un sistema di aree abbia o meno pro-gredito, e di quanto, rispetto al ritmo standard di t u t t o il Paese.

La determinazione del fattore V:P è s t a t a da noi effettuata per gli anni dal 1963 al 1971, un periodo quindi particolarmente importante della nostra storia economica: l'operazione e stata possibile per la recente pubblicazione dei conti economici regionali da parte dell'Union;

italiana delle Camere di commercio da un lato (2) e per il ricalcolo effettuato dallTstat, a seguito dell'ultimo censimento della popo-lazione, della consistenza della popolazione residente per ciascun anno della serie

1961-1971 (3).

La nostra elaborazione ha assunto come aree economiche di osservazione le venti regioni italiane, con una piccola appendice riservata alle province del Piemonte; il valore aggiunto è stato considerato secondo tre segmentazioni e precisamente: settore privato, industria, at-tività manifatturiere.

Inutile soffermarsi su questo tipo di scelta, di per sé evidente. Si è comunque considerato il settore privato, o privatisticamente gestito, per evitare le probabili distorsioni introdotte dall'apporto della pubblica amministrazione, tenuto conto dei criteri statistici del t u t t o con-venzionali con cui il reddito di quest'ultima viene stimato. Se è f a t t o riferimento all'indu-stria perché lo scopo dichiarato della politica meridionalistica è stato, e continua ad essere, quello della diffusione dell'iniziativa industriale nel Sud. Si è infine enucleato il settore manifat-turiero, perché concordemente ritenuto il vero e unico mezzo di decollo manovrabile ai fini dello sviluppo.

I risultati del calcolo sono raccolti nella ta-bella 1, che per ciascuna regione italiana e per ciascuna categoria di reddito (tutto il settore privato, la sola industria, le sole attività mani-fatturiere), presenta l'ammontare in valori

cor-(2) Unione italiana delle Camere di commercio, « I conti economici regionali 1968-1971 », Franco Angeli Editore, 1973.

(3) Cfr. ISTAT, « Bollettino mensile di statistica »,

renti del fattore V : P e la sua incidenza percen-tuale sui livelli di reddito del 1971 (4).

Da un esame sommario si nota che la situa-zione relativa delle regioni migliora quasi sem-pre nei confronti del cosiddetto triangolo indu-striale, e tale miglioramento riguarda soprat-t u soprat-t soprat-t o il meridione con l'unica eccezione della Campania. E altresì confortevole ammettere che la ridistribuzione effettiva di valore aggiunto, rispetto allo schema virtuale, si accentua in ge-nere passando dal settore privato a quello più ristretto dell'industria e incida ulteriormente se si fa riferimento alle sole attività manifatturiere.

I singoli dati regionali, per una migliore visione d'insieme, sono raggruppati in sottosi-stemi nella tabella 2 dalla quale le constata-zioni di massima già fatte trovano conferma. Se esaminiamo per grandi linee l'evoluzione dei rapporti fra i due grossi blocchi Centro-Xord e Sud, notiamo che il primo ha in certo senso peggiorato la propria posizione relativa, tra il 1963 ed il 1971, per un volume di reddito di circa 620 miliardi di lire, pari a l l ' I , 6 % di quello corrente, mentre il Sud l'ha di altret-t a n altret-t o miglioraaltret-ta, con un'incidenza del 5,2% sui valori dell'anno finale. Queste cifre riguardano il settore privato, ma i valori percentuali sono ancora più elevati se si considera unicamente l'industria e s o p r a t t u t t o le sole attività mani-fatturiere. Scendiamo ora geograficamente un po' più nei particolari: registriamo allora, per cosi dire, una « perdita » di oltre 1200 miliardi per il triangolo industriale, contro guadagni di 340 miliardi per l'Italia nord orientale, di circa 250 per quella centrale, di quasi 270 per quella meridionale e di 350 per la sola insulare. In termini di incidenza sul reddito prodotto nel 1971 l'Italia nord occidentale è « al di sotto » del 6 % per il settore privato, di circa il 10% per l'industria e del 9 % per le attività

mani-fatturiere; quella meridionale « guadagna » il 3,6% per il settore privato, più del 7 % per l'in-dustria e l'I 1 % per le attività manifatturiere; per le isole gli incrementi sono rispettivamente del 9%, del 18% e del 25% circa.

Ad evitare equivoci ribadiamo che queste variazioni indicano superi o deficit (assoluti e percentuali) rispetto allo stato di cose che si sarebbe manifestato, sotto il profilo dei rap-porti interregionali, se le condizioni compara-tive di partenza fossero rimaste stazionarie.

Per tirare le somme bisogna dunque rico-noscere che le perdite virtuali accertate riguar-dano esclusivamente, sezionata l'Italia in cinque ripartizioni geoeconomiche, il triangolo indu-striale; i benefici corrispondenti si sono distri-buiti fra le altre ripartizioni, secondo le moda-lità della tabella 3. Da questa appare che all'Italia meridionale ed insulare è andato tra il 40 e il 50% della ridistribuzione di reddito avvenuta, a seconda dei segmenti di reddito considerati; la parte restante è andata varia-mente allocandosi tra Italia nord orientale e centrale. Attesa la notevole dinamica espansiva realizzata dalle regioni nord orientali nell'ul-timo decennio, si può ritenere che la quota di vantaggio comparativo toccata al Sud sia t u t t ' a l t r o che trascurabile.

Si sa che anche le regioni più avanzate h a n n o generalmente il loro nord e il loro sud, anche se non sempre in senso strettamente geografico. Questo accade largamente in Europa e il fenomeno ha una sua rilevanza anche in Piemonte. Grosso modo possiamo dire che le Provincie settentrionali della regione, Torino

(4) Il coefficiente «/e» ha assunto i valori seguenti (fra parentesi quelli approssimati desunti dai tassi medi nazionali): 1,8909508 (1,9160) per il settore privato; 1,8892082 (1,921) per l'industria; 1,8992201 (1,0884) per le attività manifat-turiere.

Tabella 4

VARIAZIONI NELLA DISTRIBUZIONE RELATIVA DEL REDDITO PER LE PROVINCE DEL PIEMONTE

Fattore V : P, 1963-1971

SETTORE PRIVATO INDUSTRIA

PROVINCE

MILIONI LIRE CORRENTI INCIDENZA %

SU REDDITO 1 9 7 1 M I L I O N I LIRE CORRENTI

INCIDENZA % s u REDDITO 1 9 7 1 Torino Vercelli Novara Cuneo Asti ] Alessandria - 485.960 - 50.246 7.642 69.674 15.991 12.866 - 15,40 - 10,74 - 1,38 13,26 7,97 2,71 - 421.421 - 26.296 11.048 74.596 17.840 21.728 - 21,41 - 10,37 3,45 33,21 21,48 10,33

Vercelli, Novara, si differenziano sensibilmente per livello di reddito pro-capite dalle tre meri-dionali, Cuneo, Asti e Alessandria. Se facciamo riferimento agli ultimi dati disponibili, quelli del 1971, l'indice delle prime tre supera di almeno il 15% lo standard nazionale, mentre per le altre l'escursione massima è di un 5%. Con gli stessi criteri di calcolo impiegati pel-le regioni, si è ricavato il fattore V: P per pel-le sei Provincie del Piemonte, adottando tuttavia anche qui per comodità di computo il tasso di riferimento ottenuto nell'ambito regionale (in altri termini è stato tenuto fermo il valore di « k », supposto come valida approssimazione di quello reale calcolabile su base interprovin-ciale). I risultati sono riportati nella tabella 4. Essa mostra un sensibile « avvicinamento » delle Provincie meridionali rispetto a quelle setten-trionali. In particolare i punti di vantaggio più apprezzabili riguardano Cuneo, e poi nel-l'ordine Asti ed Alessandria; tra quelle setten-trionali la situazione di Novara appare

conso-lidata, mentre si riscontrano deficit virtuali per Vercelli e più ancora per Torino. Per una cor-retta interpretazione delle cifre va tenuto tut-tavia presente che gli avanzamenti o gli arretra-menti teorici di ciascuna provincia vanno in-quadrati in termini nazionali, anziché regionali (ed è questo il motivo per cui la somma degli addendi negativi non corrisponde a quella d i positivi).

A conclusione di questo scritto crediamo di poter tirare una morale generale, del resto implicita in t u t t a l'argomentazione. Nel giu-dicare i fatti ed i cambiamenti economici nulla è più pericoloso e deviante delle sovrasempli-ficazioni, per dirla all'anglosassone, e degli as-solutismi. « Cunctae res difficiles », sentenziava già Salomone, che pure non era uno sprovveduto. Ed allora bisogna stare attenti a precisare con scrupolo, che in questo caso è anche onestà, i limiti entro cui si giudica e si afferma. Soprat-t u Soprat-t Soprat-t o in maSoprat-teria in cui, a dir poco, le cariche emotive si sprecano.

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