Prestando attenzione all’art. 2, e andando ad interpretare la portata effettiva di quanto ivi disposto, è necessario, innanzi tutto, risolvere la questione preliminare riguardante cosa si intenda, in questo caso, per “lavoro subordinato” e se questo si distingua dalla fattispecie prevista dall'articolo 2094 del codice civile.
Secondo una prima interpretazione, l’art. 2 allargherebbe il campo di applicazione della disciplina del lavoro subordinato a fattispecie non riconducibili all’art. 2094 c.c. – come, ad esempio, nelle ipotesi in precedenza regolate dal contratto a progetto o comunque ricomprese nell’area delle collaborazioni coordinate e continuative – assumendo, in questo caso, l’accezione di “norma di disciplina”.
Seguendo invece una seconda teoria, condizionata da un’interpretazione evolutiva dell’art. 2094 c.c., l’art. 2 costituirebbe una sorta di “norma di fattispecie”, in quanto estenderebbe la fattispecie di lavoro subordinato prevista dal summenzionato articolo del codice civile e si andrebbe a collocare, quindi, all’interno della sua area di applicazione.
La prima opzione, sostenuta anche da Perulli80, appare più coerente rispetto al dato letterale delle norme summenzionate come dimostrato dal fatto che l’art. 2094 c.c. non viene modificato, la fattispecie individuata dall’art. 2, co. 1, d.lgs. n. 81/2015 nomina la parte datoriale “committente” – “…organizzate dal committente…” – e viene esplicitamente utilizzato l’ambito “applicativo”, indicando quindi solo
80 A. Perulli, Il lavoro autonomo, le collaborazioni coordinate e le prestazioni
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gli effetti della norma, senza alcuna pretesa di carattere “definitorio”. La tesi, inoltre, non limiterebbe la portata innovativa della disposizione, e sembrerebbe compatibile con i suoi obiettivi in quanto “l’effetto
pratico di gran lunga più sicuro e più rilevante sarà presumibilmente quello dell’applicazione del diritto del lavoro a tutti i rapporti di collaborazione esclusivamente personale, continuativa, e svolta dentro l’azienda”, mentre i casi più ambigui e di difficile soluzione saranno
affidati alla dottrina e alla giurisprudenza.81
La seconda opzione parte dal presupposto, al contrario, che la nuova norma stabilisca criteri indicatori della natura effettivamente subordinata della prestazione lavorativa in questione andando, perciò, ad incidere direttamente sulla fattispecie. L’unico dato letterale su cui si basa tale tesi è costituito dalla definizione “prestazioni di lavoro”, riportata nella summenzionata norma del decreto legislativo – “…rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di
lavoro…” – in sostituzione di quella usata dall’art. 409 c. p. c., ovvero
“prestazioni d’opera”.
Per quanto riguarda il profilo sistematico tale teoria si fonda, da un lato, sulla nozione di lavoro subordinato utilizzata di solito nel diritto vivente e, dall’altro, sulla giurisprudenza, anche di legittimità, che tende a ricondurre al lavoro subordinato i rapporti caratterizzati da inserimento funzionale nell’organizzazione aziendale e, pur in assenza di prove rigorose dell’etero-direzione, vi riconduce anche i rapporti caratterizzati da prestazioni etero-organizzate82.
Aderendo a questa seconda opzione è possibile, dunque, giungere a diverse interpretazioni, ad esempio sviluppando l’idea per cui la norma
81 P. Ichino, Il lavoro parasubordinato organizzato dal committente, in A. Vallebona
(dir.), Colloqui giuridici sul lavoro, 2015, 1 e in www.pietroichino.it.
82 Vedi, ad esempio, Cass. civ. Sez. lavoro, n. 24561/13 per ipotesi di lavori
elementari e ripetitivi, e n.22289/14 nei casi di mansioni caratterizzate da elevata specializzazione e/o di rilevante contenuto professionale.
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si limiterebbe a positivizzare indici giurisprudenziali, oppure potrebbe prevedere una presunzione di subordinazione, o ancora questa teoria potrebbe comportare un mero allargamento della subordinazione a fattispecie poste “al limite” tra questa e il lavoro autonomo.
Secondo Mazzotta83, professore che ha fornito una terza via di interpretazione dell’articolo 2, con questa riforma il legislatore avrebbe ripiegato su una scelta che si rivela solo all’apparenza innovativa. La sua opinione è, infatti, quella che la disposizione non fornisca un nuovo tipo contrattuale a cui applicare una disciplina “diversa” come quella del lavoro subordinato, ma si collochi invece entro lo spazio coperto dall’art. 2094 c. c., non costituendo una “norma di fattispecie” e, forse, nemmeno una “norma di disciplina”. La norma in questione collegherebbe, infatti, ad una fattispecie preesistente gli effetti che le sono già propri.
Seguendo questa teoria, se l’art. 2 fornisse i tratti di un nuovo sottotipo riconducibile alla parasubordinazione, dovrebbero essere evidenti delle caratteristiche in grado di far distinguere tale sottotipo sia dalla subordinazione, sia, appunto, dalla parasubordinazione stessa. Andando a vedere la disposizione, però, risultano richiamati i tratti tipici della subordinazione, in quanto il riferimento al carattere “esclusivamente” personale della prestazione, unito a quello della “continuità”, costituiscono la prova di un discostamento dal modello previsto dall’articolo 409, n. 3, c. p. c., che, come già osservato, prevede la “prevalenza” della personalità della prestazione, e non l’esclusività. Nel citato articolo 2 della recente riforma vengono inoltre indicati ulteriori requisiti, tutti riconducibili alla nozione classica di subordinazione come, ad esempio, il controllo sui tempi di lavoro (ovvero l’osservanza di un orario di lavoro), la disponibilità datoriale del luogo ove si svolge la prestazione e l’etero-organizzazione, intesa
83 O. Mazzotta, Lo strano caso delle “collaborazioni organizzate dal committente”, in
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come possibilità, per il datore di lavoro, di fornire indicazioni circa le modalità di esecuzione della prestazione. Accogliendo questa teoria sarebbe, quindi, impossibile negare che le collaborazioni organizzate dal committente si collochino nell’area di applicazione dell’articolo 2094 c. c.
Quanto affermato verrebbe inoltre dimostrato, da un lato, dalla condizione del prestatore di lavoro, che dedica la propria opera esclusiva e continuativa a favore di un committente e, dall’altro lato, dalla posizione ricoperta da quest’ultimo, il quale ha il potere di organizzare la prestazione del lavoratore, imponendogli di prestare l’attività presso la sede dell’impresa con l’osservanza di un determinato orario di lavoro.
Sempre secondo questa teoria, sarebbe del tutto irrilevante che tali elementi siano desumibili da un contratto o risultino dall’esecuzione in concreto della prestazione. L’adozione dell’espressione “committente”, in luogo di quella “datore di lavoro” ed il riferimento ai “rapporti di collaborazione” non potrebbero, quindi, confutare quanto è deducibile dal concreto assetto di interessi che viene realizzato in via esecutiva. Sarà necessario, dunque, rendersi conto che la riconducibilità allo schema della subordinazione non può essere esclusa dall’impiego, da parte dei contraenti del contratto, di una determinata terminologia.84
Le ragioni dell’adesione ad una delle tesi esposte sono, ad oggi, fonte di discussione tra gli studiosi e comportano un’analisi approfondita delle disposizioni di cui all’art. 2, primo e secondo comma. Al tempo stesso, però, tale dibattito condiziona il senso da attribuire all’interpretazione, rendendo doveroso, per il procedere della trattazione, rimanere il più possibile aderenti al dato testuale.
84 O. Mazzotta, Lo strano caso delle “collaborazioni organizzate dal committente”, in
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3.8. I requisiti delle collaborazioni organizzate dal