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L’applicazione in concreto della disciplina della subordinazione

committente

Nonostante tutti i dubbi interpretativi fin qui incontrati, l’aspetto più problematico della nuova normativa potrebbe essere l’applicazione, di fatto, della disciplina della subordinazione ai rapporti di collaborazione organizzati dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.

Prendendo come presupposto l’osservazione che la norma si limita ad applicare la disciplina del lavoro subordinato senza però modificare l’oggetto della prestazione, è possibile sostenere che esso non può, di conseguenza, essere assoggettato pienamente ad etero-direzione, quindi “ciò significa che il lavoratore etero‐organizzato non ha lo

stesso obbligo di obbedienza che incombe sul lavoratore subordinato: per questo resta, tecnicamente, “autonomo”; ma per ogni altro aspetto,

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e in particolare per quel che riguarda sicurezza e igiene, retribuzione diretta e differita (quindi inquadramento professionale), limiti di orario, ferie, cessazione e previdenza, il rapporto è regolato nello stesso modo.”106

Secondo una diversa posizione, invece, si ritiene che non sia chiaro “se

anche la disciplina previdenziale, assistenziale ed amministrativa relativa al rapporto di lavoro subordinato venga ricompresa nell’estensione, ovvero, trattandosi di rapporti aventi natura autonoma, permanga vigente, sotto questi profili non strettamente attinenti alla “disciplina del rapporto”, il diverso regime previdenziale e assistenziale del lavoro parasubordinato.”107 Tale impostazione viene però smentita da coloro che, al contrario, ritengono che si dovrebbe applicare da un lato la disciplina del lavoro subordinato, per quanto riguarda i profili amministrativi e previdenziali, poiché strettamente connessi allo statuto protettivo e, quindi, alla ragione della sua estensione operata dal legislatore, mentre, dall’altro lato, si dovrebbe applicare la disciplina del lavoro autonomo quanto ai profili gestionali, in ragione della persistente conferma della natura intrinseca del rapporto instaurato.108

Un’altra tesi che si sta largamente diffondendo ritiene che si debba applicare integralmente la disciplina senza alcun tipo di gradazione basandosi sul dato letterale109, mentre la parte che ritiene vi sia una

sostanziale conversione dell’oggetto della prestazione ritiene l’integrale estensione della disciplina una logica conseguenza.110

106 P. Ichino, Il lavoro parasubordinato organizzato dal committente, in A. Vallebona

(dir.), Colloqui giuridici sul lavoro, 2015, 1 e in www.pietroichino.it.

107 A. Perulli, Il lavoro autonomo le collaborazioni coordinate e le prestazioni

organizzate dal committente, WP, C.S.D.L.E., “Massimo D’Antona”.IT – 272/2015

108 R. Pessi, Il tipo contrattuale: autonomia e subordinazione dopo il Jobs Act, in WP

C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT, n. 282/2015.

109 C. Pisani, Eterorganizzazione ed eterodirezione, quale differenza tra l’art.2 D.lgs

81/2015 e l’art. 2094 c. c. ?, in Guida Lav. , 2015, 48.

110 G. Santoro Passarelli, Sulle categorie del diritto del lavoro “riformate”, in Dir. rel.

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Questa tesi è stata, inoltre, confermata dalla Circolare Ministeriale n. 3/2016, dove si afferma che “la formulazione utilizzata dal Legislatore,

di per se generica, lascia intendere l'applicazione di qualsivoglia istituto, legale o contrattuale (ad es. trattamento retributivo, orario di lavoro, inquadramento previdenziale, tutele avverso i licenziamenti illegittimi ecc.), normalmente applicabile in forza di un rapporto di lavoro subordinato”. Tale affermazione, per quanto non abbia nessuna

forza vincolante per gli interpreti, contribuirà, in futuro, all’affermazione di quest’ultima tesi.

Ma l’eventuale applicazione integrale della disciplina della subordinazione giuridica, ivi compreso l’art. 2104 c.c., che prevede il dovere di osservare le disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall’imprenditore, farebbe venir meno gli elementi più pregnanti dell’autonomia della prestazione e potrebbe portare ad una conversione, di fatto, del rapporto. La questione pertanto è molto lontana dalla sua composizione e sarà sicuramente oggetto di accesi dibattiti e di contrastanti pronunce giurisprudenziali.

Le difficoltà applicative e la rivoluzione dell’assetto contrattuale risultante dalla disciplina attribuita ex lege, che vedrà i collaboratori interessati a conservare margini di autonomia e i committenti interessati ad esercitare un potere più invasivo, lascerà, perciò, ampio spazio all’autonomia collettiva e potrebbe innescare nuovi assetti contrattuali più coerenti con la natura autonoma dei rapporti.111

111 R. Pessi, Il tipo contrattuale: autonomia e subordinazione dopo il Jobs Act, in WP

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3.14. La certificazione dell’assenza delle caratteristiche previste dal comma 1: l’articolo 2, comma 3, d.lgs. n. 81/2015

Andando avanti nell’analisi dell’articolo 2 del decreto legislativo 81/2015, troviamo, al comma 3, la disposizione secondo cui “le parti

possono richiedere alle commissioni di cui all’articolo 76 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, la certificazione dell’assenza dei requisiti di cui al comma 1”.112 Il ruolo svolto da questo istituto della certificazione è, ad oggi, quello di ridurre il contenzioso in “materia di lavoro” e, a tale scopo, le “commissioni di certificazione” sono chiamate a certificare l’assenza dei requisiti che comporterebbero l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato ex art. 2, co. 1, d.lgs. 81/2015, così da sottrarre preventivamente al giudice il compito di qualificare, in seguito, il rapporto oggetto della controversia.

112 Art. 76, d.lgs. n. 276/2003, rubricato “Organi di certificazione” stabilisce:

“1. Sono organi abilitati alla certificazione dei contratti di lavoro le commissioni di

certificazione istituite presso:

a) gli enti bilaterali costituiti nell'ambito territoriale di riferimento ovvero a livello nazionale quando la commissione di certificazione sia costituita nell'ambito di organismi bilaterali a competenza nazionale;

b) le Direzioni provinciali del lavoro e le province, secondo quanto stabilito da apposito decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali entro sessanta giorni dalla entrata in vigore del presente decreto;

c) le università pubbliche e private, comprese le Fondazioni universitarie, registrate nell'albo di cui al comma 2, esclusivamente nell'ambito di rapporti di collaborazione e consulenza attivati con docenti di diritto del lavoro di ruolo ai sensi dell'articolo 66 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382.

2. Per essere abilitate alla certificazione ai sensi del comma 1, le università sono tenute a registrarsi presso un apposito albo istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali con apposito decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell'istruzione, della università e della ricerca. Per ottenere la registrazione le università sono tenute a inviare, all'atto della

registrazione e ogni sei mesi, studi ed elaborati contenenti indici e criteri

giurisprudenziali di qualificazione dei contratti di lavoro con riferimento a tipologie di lavoro indicate dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

3. Le commissioni istituite ai sensi dei commi che precedono possono concludere convenzioni con le quali prevedano la costituzione di una commissione unitaria di certificazione.”

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Questo meccanismo non sembrerebbe, però, apportare alcuna novità di rilievo all’interno dell’ordinamento giuridico, in quanto l’articolo 75113

del d.lgs. n. 276/2003, nella sua attuale formula, dispone che le parti possano certificare qualsiasi contratto “in cui sia dedotta direttamente

o indirettamente una prestazione di lavoro.”114 È tuttavia necessario precisare che, mentre l’accertamento previsto dall’art. 2, co. 3, del d.lgs. n. 81/2015 è un accertamento “in negativo”, vale a dire riguardante la carenza dei suddetti requisiti nel rapporto in questione, la certificazione dell’articolo 75 del decreto legislativo 276/2003 è, invece, “in positivo”, cioè volta a verificare l’esistenza delle caratteristiche proprie di un particolare tipo di contratto.

Si può rilevare, pertanto, che la certificazione dell’assenza dei requisiti di cui all’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81/2015, non impedisce al lavoratore o ai terzi interessati la possibilità di rivendicare la riconducibilità del contratto al diverso tipo legale della subordinazione – tale certificazione, infatti, accerta esclusivamente la mancanza delle caratteristiche necessarie affinché un rapporto di lavoro sia qualificato come collaborazione organizzata dal committente – mentre, al contrario, certificando un contratto in positivo non si esclude solamente una singola qualificazione, ma tutte le altre ad eccezione di quella accertata.

Sotto questo punto di vista sembrerebbe più efficace, quindi, la certificazione ex art. 75, d.lgs. n. 276/2003, possibilmente accompagnata dalla esplicita dichiarazione dell’assenza dei requisiti di

113 Art. 75, d.lgs. n. 276/2003, rubricato “Finalità”, stabilisce:

“1. Al fine di ridurre il contenzioso in materia di qualificazione dei contratti di lavoro

intermittente, ripartito, a tempo parziale e a progetto di cui al presente decreto, nonche' dei contratti di associazione in partecipazione di cui agli articoli 2549-2554 del codice civile, le parti possono ottenere la certificazione del contratto secondo la procedura volontaria stabilita nel presente Titolo.”

114 G. Bubola, D, Venturi, La parasubordinazione non etero-organizzata dopo il Jobs

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cui all’art. 2, co. 1, d.lgs. n. 81/2015 solo per fini cautelativi.115

Bisogna inoltre considerare che la valutazione del grado di intensità del coordinamento, ai fini della valutazione circa l’applicazione o meno della disciplina del lavoro subordinato ai sensi dell’art. 2, co. 1 del d.lgs. n. 81/2015, resta un accertamento di fatto, riconducibile al concreto svolgimento della prestazione, mentre la certificazione non potrà che avere ad oggetto la sola conformità del contratto alle prescrizioni di legge. Appare valida, a questo punto, l’opinione di chi ha osservato come questo tipo di certificazione “…sarà allora del tutto

irrilevante in caso di contenzioso, perché la controversia riguarderà la difformità dell’attuazione del rapporto rispetto a quanto esplicitato nel documento contrattuale.”116

Ad accrescere ulteriormente i dubbi inerenti a questo meccanismo della certificazione, vi è poi l’opinione, presa per veritiera, che possano essere oggetto di apposita istanza di certificazione anche le ipotesi di collaborazione per cui è esclusa la riconducibilità alla disciplina del lavoro subordinato, ex articolo 2, comma 2 del decreto legislativo 81/2015, nonostante non si riscontri nessuna indicazione esplicita in tal senso. In tale ottica si ritiene che “l’utilizzo dell’istituto della

certificazione del contratto stipulato ai sensi dell’articolo 2 comma 2, del decreto legislativo 81 del 2015 risulta maggiormente interessante ove si consideri che tali collaborazioni non sono tout court escluse dalla riconduzione alla disciplina di rapporto di lavoro subordinato.”117

È necessario evidenziare, infine, come le Commissioni addette alla certificazione potrebbero non essere in grado di risolvere le già

115 M. Falsone, La nuova certificazione dei contratti secondo il d.lgs. 81/2015: natura,

questioni applicative e profili di diritto transitorio, in Note di Ricerca Università

Ca’Foscari Venezia n. 2/2015.

116 D. Mezzacapo, La nuova figura delle collaborazioni organizzate dal committente.

Prime osservazioni, in Questione Giustizia, fascicolo 3/2015.

117 G. Bubola, D, Venturi, La parasubordinazione non etero-organizzata dopo il Jobs

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sottolineate difficoltà nell’inquadrare la nuova disciplina e nell’individuare quei nuovi confini, venutisi a creare dopo l’emanazione del decreto legislativo n. 81/2015, tra etero-direzione, etero-organizzazione e coordinamento. Così facendo, però, viene alimentata ulteriormente la generale incertezza sull’utilità e la funzionalità di tale meccanismo, facendo maturare, tra gli studiosi, l’idea che sarebbe stato meglio prevedere la possibilità di ricorrere, anche in questi casi, alla certificazione in positivo secondo quanto disposto dall’art.75, d.lgs. n. 276/2003, al fine di qualificare una volta per tutte il rapporto oggetto del contenzioso e la disciplina ad esso applicabile.

3.15. La disciplina prevista per la Pubblica Amministrazione: articolo 2, comma 4, decreto legislativo n. 81/2015

Continuando ad esaminare l’articolo 2 del decreto legislativo numero 81 del 2015, troviamo, al suo comma 4, una disposizione riguardante la Pubblica Amministrazione secondo cui “fino al completo riordino

della disciplina dell'utilizzo dei contratti di lavoro flessibile da parte delle pubbliche amministrazioni, la disposizione di cui al comma 1 non trova applicazione nei confronti delle medesime. Dal 1° gennaio 2017 è comunque fatto divieto alle pubbliche amministrazioni di stipulare i contratti di collaborazione di cui al comma 1.” Come fin qui riscontrato, infatti, tale decreto riordina e modifica le diverse forme contrattuali riguardanti il lavoro, riscrivendo la maggior parte delle disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 276/2003, ma non

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prevede l’estensione di tale disciplina ai rapporti di lavoro nell’ambito delle amministrazioni pubbliche.

È necessario ricordare che anche in precedenza le P.A. hanno usufruito di un regime di maggior favore, visto che anche dopo la “Riforma Biagi” queste hanno potuto continuare a stipulare contratti generici di collaborazione coordinata e continuativa, senza la necessità di dover applicare la disciplina relativa alle collaborazioni a progetto, come disposto, per altro, dall’articolo 1, comma 2 del decreto legislativo n. 276/2003, secondo cui “il presente decreto non trova applicazione per

le pubbliche amministrazioni e per il suo personale”.

Non essendo stata presa in considerazione da altri interventi del legislatore, tale fattispecie è, pertanto, rimasta regolata dall’articolo 7, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001, il quale stabilisce che “Per

esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria.” Così facendo il legislatore introduce regole

specifiche per la legittimità del ricorso alle forme contrattuali di collaborazione coordinata e continuativa, limitandone l’utilizzo ad ipotesi, definite “presupposti di legittimità”, in cui sia necessario reperire personale dotato di una particolare e specializzata professionalità, non rinvenibile altrimenti all’interno dell’amministrazione. Tali requisiti vengono puntualmente indicati dal suddetto articolo, ed in particolare:

“a) l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze

attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell'amministrazione conferente;

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b) l'amministrazione deve avere preliminarmente accertato l'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno;

c) la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata;

d) devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione; non è ammesso il rinnovo; l’eventuale proroga dell’incarico originario è consentita, in via eccezionale, al solo fine di completare il progetto e per ritardi non imputabili al collaboratore, ferma restando la misura del compenso pattuito in sede di affidamento dell’incarico.”

L’apparato sanzionatorio a guardia della normativa, attualmente ancora vigente, stabilisce, nel caso di eventuali comportamenti illegittimi, il solo riconoscimento del diritto al risarcimento del danno a vantaggio del lavoratore e prevede la sanzionabilità del fatto in capo ai dirigenti che hanno commesso l’illecito, senza però far sorgere in capo al lavoratore alcun tipo di diritto alla stabilizzazione del rapporto nell’ambito dell’amministrazione.

Attualmente quindi, in via del tutto transitoria, le pubbliche amministrazioni possono continuare ad utilizzare i contratti di collaborazione coordinata e continuativa nei limiti stabiliti dal decreto legislativo 165/2001, anche nelle forme e con le caratteristiche di cui all’art. 2 co. 1, d.lgs. n. 81/2015, poiché, infatti, è fatto loro divieto di concludere tali contratti di collaborazione solo a partire dal 1 gennaio 2017, mentre invece non gli è vietato “continuare ad avere in essere le

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collaborazioni etero-organizzate che a quella data saranno già stipulate.”118

L’utilizzo di tali collaborazioni nelle P.A. vedrà, forse, un epilogo solo con la promulgazione della prossima riforma, anticipata dall’art. 17 comma 1, lett. O) della legge 124/2015 e rubricata “Deleghe al

Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”, che stabilisce, tra i principi diretti di delega, la “disciplina delle forme di lavoro flessibile, con individuazione di limitate e tassative fattispecie, caratterizzate dalla compatibilità con la peculiarità del rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche e con le esigenze organizzative e funzionali di queste ultime, anche al fine di prevenire il precariato.”

È infine opportuno precisare come, nelle amministrazioni pubbliche, anche alla fine del periodo transitorio di riordino della disciplina non sarà mai pienamente applicabile il disposto dell’articolo 2, comma 1 del decreto legislativo 81/2015, in quanto contrastante con il principio costituzionale dell’accesso alla pubblica amministrazione esclusivamente tramite concorso, secondo quanto disposto dagli articoli 51119 e 97120 della Costituzione. L’impiego illegittimo di tali

118 G. Bubola, D, Venturi, La parasubordinazione non etero-organizzata dopo il Jobs

Act, Working Paper ADAPT, 21 dicembre 2015, n. 187.

119 L’articolo 51 della nostra Costituzione stabilisce che:

“Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle

cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini.

La legge può`, per l’ammissione ai pubblici uffici e alle cariche elettive, parificare ai cittadini gli italiani non appartenenti alla Repubblica.

Chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di disporre del tempo necessario al loro adempimento e di conservare il suo posto di lavoro.”

120 L’articolo 97 della Costituzione stabilisce che:

“Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea,

assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico.

I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione.

Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari.

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tipi contrattuali nelle pubbliche amministrazioni non potrà, quindi, mai comportare la riconduzione degli stessi alla fattispecie della subordinazione come previsto dall’art. 2, co. 1, d.lgs. n. 81/2015, bensì solo una tutela risarcitoria come quella precedentemente prevista dall’art. 36, co. 5 della legge 165/2001, il quale dispone che “in ogni

caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione.” Anche questo punto sarà,

quindi, oggetto di ampia discussione, visto il regime privilegiato di cui gode la Pubblica Amministrazione e vista l’impossibilità che i suoi contratti di collaborazione vengano parificati, sotto il punto di vista della disciplina, agli altri previsti dall’articolo 2, comma 1, decreto legislativo 81/2015, comportando ciò una ulteriore necessità di intervento da parte del legislatore per tutelare quei rapporti di lavoro che si avvicinano molto alla subordinazione ma che a questa non posso essere ricondotti, con la conseguenza di far rimanere questi prestatori di lavoro parzialmente privi di tutele.

3.16. Il mancato superamento delle collaborazioni coordinate e continuative previste dall’art. 409, n. 3, c. p. c.: art. 52, co. 2, d.lgs. n. 81/2015

Proseguendo nell’analisi delle novità introdotte dal decreto legislativo numero 81 del 2015 in tema di lavoro parasubordinato, avendo già Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge.”

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esaminato la questione delle collaborazioni organizzate dal committente ed in che cosa esse differiscano dal lavoro autonomo e subordinato, è necessario, a questo punto, interrogarsi sulla disciplina da applicare alle collaborazioni coordinate e continuative rimanenti, prendendo in considerazione, innanzi tutto, l’articolo 52 del suddetto decreto.

L’art. 52 del d.lgs. n. 81/2015, rubricato “Superamento del contratto a

progetto”, dopo aver disposto, al suo primo comma, l’abrogazione del

contratto a progetto, statuisce al comma 2 che “resta salvo quanto

disposto dall’art. 409 del codice di procedura civile” 121 non

eliminando, contrariamente a quanto annunciato dal Governo, le collaborazioni coordinate e continuative, ma facendole così rimanere nell’ordinamento e, addirittura, donando loro nuova linfa con l’abrogazione della disciplina del lavoro a progetto che, come è noto, aveva disposto il “divieto delle collaborazioni coordinate e

continuative atipiche” (art. 69 d.lgs. n. 276/2003) al fine di limitare

l’utilizzo di tali rapporti di lavoro per finalità elusive.

In assenza di tale divieto, infatti, l’autonomia privata individuale risulta abilitata, come avveniva prima della riforma del 2003, ad utilizzare non solo schemi contrattuali tipici, ma anche schemi contrattuali atipici ai sensi dell’art. 1322, co. 2, c. c. – questo articolo, infatti, recita: “le parti possono anche concludere contratti che non

appartengano ai tipi aventi una disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico” – per porre in essere rapporti di collaborazione che si

concretino in una prestazione d’opera coordinata, continuativa ed avente un carattere prevalentemente personale e che saranno, per tale

121 Art. 52, d.lgs. n. 81/2015: “1. Le disposizioni di cui agli articoli da 61 a 69-bis del

decreto legislativo n. 276 del 2003 sono abrogate e continuano ad applicarsi esclusivamente per la regolazione dei contratti già in atto alla data di entrata in vigore del presente decreto.

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ragione, soggetti sia al rito del lavoro che alla disciplina ad essi applicabile.

Come ribadito anche da Santoro Passarelli122, lo spazio che, in concreto, sarà coperto dalle collaborazioni in questione dipenderà, quindi, dai confini entro i quali verrà circoscritta la fattispecie delle collaborazioni organizzate dal committente. Tanto più ampia sarà l’area occupata dai rapporti organizzati dal committente, ricondotta alla disciplina del lavoro subordinato, quanto più ristretta sarà l’area che, in concreto, verrà lasciata ai tradizionali rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, e, viceversa, maggiore spazio avranno questi ultimi, minore sarà quello riservato alle collaborazioni etero-