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3 Le tradizioni culturali maya

3.3 Documenti maya del periodo coloniale

Una delle prime cure dei frati spagnoli dopo la Conquista fu di insegnare ai Maya a scrivere le proprie lingue, usando le lettere dell’alfabeto spagnolo con alcune innovazioni. Gli indigeni avrebbero dovuto usare questa nuova scrittura solo per scopi cristiani, ma essi riuscirono a registrare un numero considerevole di profezie, miti, rituali, avvenimenti di attualità, sinossi della propria storia e petizioni alla Corona.

È chiaro che dopo la conquista i maya acquisirono rapidamente l’abilità degli spagnoli nell’uso di carta, inchiostro e alfabeto. Gli scriba indigeni fecero buon uso di queste abilità, creando diverse migliaia di documenti, sia di carattere legale che non, lungo tutta l’epoca coloniale e fino alla metà del XIX secolo. Questa quantità di testi scritti in maya indica una certa persistenza culturale (bisogna ricordare che il maya yucateco è ancora oggi una delle lingue indigene più largamente diffuse in Messico); ma riflette anche il fatto che la

65 Il Codice di Madrid è il più lungo, 6,7 metri con 56 fogli (112

pagine); il Codice di Dresda misura 3,5 metri e ha 39 fogli (78 pagine di cui 4 vuote); il Codice di Parigi, che è solo un frammento, misura 1,45 metri e ha 11 fogli (22 pagine); il Grolier è costituito da dieci pagine di dodici centimetri e mezzo di larghezza.

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letteratura maya posteriore alla Conquista si inseriva nella tradizione precedente la Conquista della produzione di testi scritti con caratteri geroglifici e di testi orali, come anche nell’appena introdotta tradizione documentaria spagnola di testi legali.

I primi manoscritti maya di epoca coloniale risalgono circa agli anni 50 e 60 del XVI secolo.

La produzione scritta maya di epoca coloniale può essere divisa in due categorie: documenti notarili, di soggetto legale, e quello che Restall definisce “quasi

notarial documents”66, cioè appunto testi di carattere non

strettamente legale.

3.3.1 Documenti notarili

I documenti notarili maya che sono arrivati fino a noi possono essere classificati come i loro equivalenti spagnoli, ad esempio petizioni, ultime volontà, verbali di testimonianze, verbali di elezioni, ricevute, fatture di pagamento, titoli, accordi e ratifiche. Chiaramente questi generi si possono suddividere ancora in sub-categorie. Ad esempio le petizioni possono assumere la forma di querele contro il clero o di proteste contro l’elevato carico di imposte da parte delle autorità spagnole. Si

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potrebbero anche classificare come petizioni le famose lettere del 1567 al Re di Spagna67.

La maggior parte dei documenti sono documenti relativi al possesso della terra, catalogabili a loro volta come fatture di vendita, ricevute, titoli di possesso. Potremmo quindi riassumere affermando che la terra era la principale preoccupazione dei documenti di carattere notarile in maya.

Tra questi testi di carattere notarile è da segnalare come esempio di creatività, adattamento e conservatorismo indigeni il caso dei così detti “titoli primordiali”, un insieme di documenti scritti in lingua indigena e illustrati con pitture che cominciò a circolare verso la metà del secolo XVII. La sua origine è probabilmente vincolata ad un ordine della Corona spagnola che nel 1643 impose la composición de tierras, un procedimento che obbligava i possessori di terre senza titolo legale a normalizzare la loro posizione mediante il pagamento di un’imposta68. Sappiamo che

67 Lettera dei cacicchi yucatechi a Filippo II, dove chiedono che vengano mandati in Yucatán frati francescani, in special modo quelli che già conoscono la lingua, come fray Diego de Landa, fray Pedro Gumiel e fray Miguel de Puebla. Datata 11 febbraio 1567. Sritta in lingua maya, consta di due fogli ed è oggi conservata nell’ Archivo General de Indias di Siviglia, con numero di catalogo: México, 367.

68 Per la cultura maya non esisteva l’idea del possesso della terra,

poiché la terra per le civiltà indigene americane è una sorta di divinità, dispensatrice dei prodotti agricoli (es: pachamama). Con il

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gran parte degli spagnoli e criollos che possedevano terre senza titolo legale ne approfittarono per regolarizzare le loro proprietà. I villaggi indigeni che non avevano documenti del possesso delle loro terre, i villaggi recentemente agglomerati e quelli che avevano problemi con i villaggi o i proprietari vicini, approfittarono per produrre testimonianze che confermassero il loro diritto ancestrale alla terra. Disporre di mappe e disegni catastali era una tradizione indigena ben fondata. Quello che risultò nuovo fu la mescolanza di questa tradizione con i procedimenti legali spagnoli che autenticavano il possesso delle terre.

Quello che gli indigeni facevano nel falsificare i “titoli di terre” era cercare di legittimare, tramite procedimenti e usi spagnoli, i loro diritti ancestrali sulla terra, rivestendoli delle forme imposte dal conquistatore.

Questi “titoli primordiali” mostrano con una forza che non si trova in altri documenti come le popolazioni indigene ricostruirono nuovamente la loro memoria storica sotto le opprimenti condizioni della dominazione. In questo grande sforzo di ricostruzione del loro passato integrarono nei titoli primordiali la vecchia memoria orale, le antiche tecniche pittografiche e i nuovi

loro arrivo però gli spagnoli portarono con sé le idee europee del possesso e della delimitazione delle terre. Le comunità indigene quindi, per non vedersi espropriate delle terre che utilizzavano per le loro coltivazioni, dovettero adeguarsi e dimostrare di essere legittimi proprietari dei terreni che utilizzavano.

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procedimenti legali spagnoli che legittimavano i diritti alla terra. Il risultato fu la creazione di una nuova memoria storica, la storia del paese, incentrata sul suo diritto ancestrale alla terra.

3.3.2 I testi mitologici

Per quanto riguarda i testi di carattere mitologico, dobbiamo allo studioso ottocentesco di preistoria mesoamericana Charles Brasseur de Bourbourg, sacerdote fiammingo che ricoprì l’incarico di parroco di Rabinal (Guatemala), il ritrovamento e la conservazione di un nutrito corpus di opere in maya quiché. Tra queste l’opera più notevole può senza dubbio essere considerata il Popol-Vuh (libro della stuoia). Poema di oltre novemila versi, il Popol-Vuh offre un quadro coerente della cosmogonia, mitologia e storia tradizionale dei Quiché, una delle popolazioni più potenti dei monti del Guatemala. La struttura poetica del Popol-Vuh è essenzialmente semantica e grammaticale anziché fonetica. Scarso è l’uso di rime, allitterazioni e metri; invece elaborati distici e terzine sono costruiti con versi semanticamente e grammaticalmente paralleli.

Il Popol-Vuh fu scritto nel XVI secolo a Utatlán, capitale Quiché, da un maya quiché di educazione spagnola, che probabilmente si servì di fonti orali e scritte (preispaniche). Secondo alcuni studiosi non

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mancano tracce di influenze coloniali spagnole69. Del

manoscritto furono fatte parecchie copie; l’originale andò perduto a metà dell’Ottocento. La copia del manoscritto giunta fino a noi è ora custodita presso la Newberry Library di Chicago.

Sempre grazie all’anelo collezionistico di Brasseur de Bourbourg sono arrivati fino a noi gli Annali dei

Cakchiquel: storia breve, ma per il resto simile al Popol-

Vuh, dello Stato dei Cakchiquel. Anche del Rabinal Achí, dramma danzato quiché, si conserva memoria poiché Brasseur seppe essere ancora noto alla gente della sua parrocchia. Pagò di tasca propria un’ultima rappresentazione, durante la quale scrisse appunti particolareggiati, poi pubblicati. È sempre grazie agli sforzi del sacerdote fiammingo che è arrivata fino a noi copia del Calepino de Motul, voluminoso dizionario coloniale dello yucateco.

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