3 Le tradizioni culturali maya
3.2 L’antica scrittura maya
I maya portarono la scrittura a un livello straordinario, ma il loro sistema scrittorio non era l’unico dell’America precolombiana. Gli stati mixteco e mexica (azteco) postclassici registravano una gran quantità di dati storici e commerciali usando essenzialmente sistemi pittografici assai meno legati del sistema maya alla lingua parlata, e queste scritture, come quella dei maya, non erano che la manifestazione più recente di una lunga tradizione scrittoria risalente all’età preclassica mesoamericana. Oggi quasi tutti gli specialisti di scrittura maya convengono che il sistema utilizzato dai maya fosse logosillabico, e che il suo carattere fonetico col tempo si sia fatto via via più importante.
3.2.1 Testi maya precolombiani
La conoscenza della scrittura maya non sopravvisse a lungo alla conquista spagnola, grazie alla diligenza con cui la chiesa e i funzionari governativi estirparono ogni manifestazione di questo simbolo visibile di paganesimo. Landa, in un passo che per ironia accompagna la sua descrizione di testimone oculare della scrittura maya, parla del ruolo da lui stesso avuto in questa eliminazione:
Hallámosles gran número de libros de estas sus letras, y porque no tení<n cosa
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en que no hubiese superstición y falsedades del Demonio, se los quemamos todos, lo cual sentían a maravilla y les daba pena.63
La maggior parte dei libri che sfuggirono a questa distruzione sistematica finirono per soccombere alla trascuratezza e alle intemperie.
Per buona sorte, tuttavia, i primi coloni mandarono alcuni libri a funzionari ed amici in Europa. Quattro di questi libri maya precolombiani, di epoca postclassica, si sono conservati fino a oggi: i Codici di Dresda, Madrid, Parigi, così chiamati dalle città in cui si trovano, e il Codice Grolier.
Il primo, cioè quello conosciuto come Codice di Dresda, fu Acquistato nel 1739 per la Dresden Bibliothek dal suo direttore, che l’aveva trovato a Vienna in una biblioteca privata. La sua storia precedente è ignota, ma visto che fu trovato a Vienna, residenza di Carlo V durante il suo regno, si può supporre che fosse stato inviato all’Imperatore da qualche ecclesiastico, come era successo anche con il tesoro di Moctezuma. Ora si trova presso la Sächsische Landesbibliothek di Dresda, ed è stato restaurato dopo i danni subiti durante la Seconda Guerra.
Il Codice di Madrid, diviso in due parti, fu trovato in Spagna attorno al 1860. Le due parti erano state
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ritrovate in luoghi diversi, ma Léon de Rosny si rese conto poco dopo il 1880 che appartenevano allo stesso manoscritto originale. La parte maggiore, in possesso del prof. Juan de Tro y Ortelano di Madrid, fu consegnata nel 1866 a Brasseur de Bourbourg perché venisse pubblicata, e per qualche tempo si conobbe con il nome di Manoscritto Troano, o Codice Tro. L’altra parte apparteneva a José Ignacio Miró, che l’aveva acquistata da Juan Palacios, e la vendette nel 1875 al Museo Arqueológico di Madrid, che ora ne possiede entrambe le parti. Questa seconda parte si suppone provenisse dalla regione spagnola dell’Estremadura, e fu dapprima conosciuta come Codice Cortesianus, in base all’ipotesi che fosse stata ivi portata da Cortés. Più probabilmente fu invece portata da Francisco de Montejo o qualcuno dei suoi uomini, molti dei quali originari proprio dell’Estremadura. Le due sezioni congiunte per un periodo sono state conosciute come Codice Trocortesiano.
Il Codice di Parigi Fu riscoperto da Léon de Rosny presso la Bibliothèque Nationale di Parigi nel 1859, in un cesto di vecchie carte, in un angolo di un camino. Era avvolto in un pezzo di carta su cui era scritta la parola Pérez, che riconduceva al suo nome precedente, Codex Peresianus (in seguito cambiato per evitare confusione con il testo oggetto del presente libro). È solo un frammento del libro originale e si trova in condizioni molto peggiori degli altri due codici. Il rivestimento di
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calce è eroso ai margini della pagina e sono scomparsi tutti i dipinti e i glifi eccetto quelli al centro delle pagine.
Infine il Codice Grolier: è conservato al Museo Nazionale di Antropologia e Storia di Città del Messico, dove non è esposto pubblicamente perché la sua autenticità è messa in dubbio dalle autorità locali. Parte del problema nasce dal fatto che esso apparve inaspettatamente negli anni settanta all’esposizione sulla scrittura maya tenutasi al Grolier Club di New York.
Il codice faceva parte della collezione personale del signor José Sáenz di città del Messico che lo acquistò insieme ad altri oggetti tardoclassici e postclassici maya a nord di Yajalón, in Chiapas, dove, secondo quanto dichiarato, fu trovato in una grotta asciutta.
Molti studiosi di scrittura e iconografia maya, e alcuni astronomi che lo hanno studiato, ritengono che il Codice Grolier sia autentico, sulla base del suo stile tardo, del contenuto (una tavola parziale di Venere) e del fatto che contenga concetti relativi al pianeta Venere di pubblico dominio solo dopo la pubblicazione del codice.
Il Codice Grolier potrebbe essere il più antico dei codici maya, poiché il suo stile maya-tolteco suggerisce che esso sia stato dipinto prima del Codice di Dresda, che risale al tardo postclassico e mostra un’iconografia con influenze azteche. Una parte del codice è stata datata per mezzo del radiocarbonio al 1230 ± 130 d.C., data che ben concorda con la sua collocazione, su base
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iconografica, alla fine del periodo tolteca (900–1200 d.C.).
Lo stile tolteco del codice fu originalmente invocato come prova della sua falsità, ma oggi si ritiene che esso si collochi nell’ambito della generale messicanizzazione della cultura maya costiera del Tabasco e del Campeche, così come della maggior parte della penisola dello Yucatán. I Maya Putun del Tabasco divennero molto attivi nel commercio all’inizio del periodo postclassico, svolgendo attività commerciali non solo lungo la costa sudorientale della Mesoamerica, ma penetrando anche nel Petén e nella foresta Lacandona, nella depressione centrale e sulla costa del Pacifico in Chiapas. Non è quindi sorprendente che il Codice Grolier, un documento maya messicanizzato, sia stato rinvenuto nella parte settetrionale del Chiapas, non lontano dal Tabasco.64
I codici maya erano fatti con carta fabbricata con la corteccia interna di varie specie di amate o albero di fico indigeno, ridotta in polpa e tenuta insieme da gomme naturali usate come collante. La carta per i libri era preparata in lunghe strisce, ripiegate come un paravento. Uno strato di calce bianca fine era applicato su entrambi i lati del foglio, in modo da ottenere una superficie liscia e uniforme, pronta per essere dipinta. Le pagine erano divise in sezioni orizzontali da linee rosse, e l’ordine di lettura era solitamente da sinistra a destra e dall’alto in basso. I libri spesso erano rilegati con
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tavolette decorate, e aperti interamente potevano essere molto lunghi.65