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IL DOGE E IL MAGGIOR CONSIGLIO

LA CORNICE STORICA: VENEZIA, 1496-

2.3 ISTITUZIONI E COSTITUZIONE

2.3.1 IL DOGE E IL MAGGIOR CONSIGLIO

123

ibidem, p. 366

124

Finlay, La vita politica cit., p. 20

125

Cfr. Infra, § 3.3.1

126

Cozzi, Repubblica di Venezia e stati Italiani cit., p.138

127

Supra, pp. 14-15

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Dopo alcune considerazioni sulla costituzione veneziana, è il momento di passare in rassegna le istituzioni di cui era composta, a partire da due organi fondamentali: dogado e Maggior Consiglio. La massima carica cui un patrizio veneziano poteva aspirare era quella del doge. Egli era potenzialmente onnipresente all’interno della vita politica veneziana, in quanto presiedeva i principali organi di governo come membro della Signoria, composta da Minor Consiglio – doge e sei Consiglieri ducali – e dai tre Capi dei Quaranta. Egli da solo però non aveva formalmente alcun potere né poteva esprimere liberamente la propria opinione senza l’assenso dei consiglieri129. Una carica che al suo interno presentava alcune

contraddizioni: era il simbolo vivente della Repubblica, il suo primo rappresentante, eppure formalmente era tenuto ad agire come un primus inter pares. I patrizi lo biasimavano se troppo passivo nelle scelte politiche o condannavano il suo eccessivo interventismo. Gli si domandava carisma, ma senza eccedere in atteggiamenti autoritari. In sostanza, al doge si domandava di raggiungere un equilibrio fra poteri concessi e rispetto degli ordinamenti repubblicani.130

Il timore che una tale figura potesse degenerare in un tiranno è evidente dalla continua revisione della promissio ducale, cioè l’insieme di norme e limitazioni che il nuovo doge doveva giurare di rispettare, regole che ponevano paletti alla sua autorità e aspirazioni personali131. La volontà d’impedire la formazione di dinastie ducali è testimoniato dal

complicato sistema d’elezione, che amalgamava nelle varie fasi l’estrazione a sorte e la designazione tramite voto allo scopo di trovare un compromesso tra fortuna e ambizione. Questi criteri impedivano perciò che un gruppo ristretto potesse imporre un proprio candidato senza una larga maggioranza132. Infine, il prestigio che questa carica esercitava si

riconnette anche all’aurea di sacralità di cui la figura del doge era investita. Egli difatti fungeva da collegamento tra Palazzo Ducale, centro dell’amministrazione, e la Basilica di San Marco, dove erano custodite le reliquie dei santi133.

Se il dogado era il vertice del cursus honorum, l’accesso al Maggior Consiglio ne rappresentava al contrario il punto di partenza. Assemblea che raccoglieva tutti i patrizi, vi si poteva accedere di diritto a venticinque anni, ma c’era la possibilità di anticiparne

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Cozzi, Knapton, Dalla guerra di Chioggia al 1517 cit., pp. 101-102; Finlay, La vita politica cit., p.164; per maggiori informazioni sulle funzioni del Minor Consiglio si veda Zordan, L’ordinamento giuridico veneziano. Lezioni di storia del diritto veneziano con una nota bibliografica, Padova, CLEUP, 1980, pp. 72-73

130

Cozzi, Knapton, ivi; Finlay, ibidem, pp. 159, 164-165

131

Cozzi, Repubblica di Venezia e Stati italiani cit., pp. 95-96

132

Finlay, La vita politica cit., pp. 185-188

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l’ingresso in più modi: ad esempio, estraendo una balla d’oro il giorno di San Barnaba durante una cerimonia officiata dal doge, oppure venendo eletto, a vent’anni, alla carica di “avocato pizolo”, che permetteva di conoscere meglio una delle corti civili di primo grado presenti a Venezia. Il numero di patrizi che accedeva al Maggior Consiglio era comunque aumentato nel corso della seconda metà del XV secolo a causa di un generale incremento demografico134. La funzione principale del Maggior Consiglio, oltre a quella di votare le

proposte di legge, era quella distributiva: nei suoi consessi si eleggevano gran parte delle cariche, sia di carattere amministrativo che giudiziario e pure quelle onorifiche. Il potere politico di tale assemblea derivava precisamente da questa facoltà, mentre le prerogative di governo, in questi secoli, erano state assunte da organi meno pletorici, in primis Senato e Consiglio di X: le sue dimensioni impedivano difatti un’efficace azione amministrativa135.

Gli uffici che erano assegnate dal Maggior Consiglio si distinguevano per la sede in cui erano esercitate, ma soprattutto per

qualità e gravità dei compiti da esercitare, dal lustro che richiedevano e che davano, dall’esperienza e dalla preparazione che presupponevano, dalle fatiche che comportavano, dai guadagni che permettevano di ricavare.136

Logica conseguenza era che alcune cariche erano ambite esclusivamente da patrizi di agiate condizioni e intenzionati a raggiungere i vertici del governo, attraverso un adeguato cursus

honorum; altri uffici erano desiderati da nobili in difficoltà allo scopo di avere introiti

sufficienti per garantirsi una vita dignitosa. Nonostante le disparità tra nobili, ogni patrizio disponeva di un solo voto, per cui c’era interesse nel collaborare per il reciproco interesse. Il rapporto tra cariche disponibili e candidati era perciò rilevante, in particolare perché l’intenzione di essere eletto a tutti i costi spesso induceva al ricorso a mezzi illeciti. In questo senso si spiega l’accentuato peso che assunse il già citato fenomeno del broglio e della più generale corruzione elettorale tra fine XV e inizio XVI secolo a Venezia. L’incremento del numero di candidati alle elezioni in questo delicato momento storico va rintracciato anche in ragioni non solo demografiche: di fronte alla diminuzione dei profitti dai commerci e dall’aumento dei rischi connessi, il patriziato di medio e basso rango cerca

134

Cozzi, Knapton, ibidem, pp. 103-104

135

Finlay, La vita politica cit., pp. 62, 87

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soluzione alla propria indigenza con la ricerca di un carico sicuro e retribuito in seno alla Repubblica137.