UN ISTITUTO SOCIO – GIURIDICO E LE SUE MANIFESTAZIONI: LA VENDETTA
5.3. FAIDA E VENDETTA: UNA QUESTIONE DI DEFINIZION
5.3.2 VENDETTA E RITI PROCESSUAL
Gli anni in cui Marin Sanudo scrisse i suoi Diari furono un periodo che non testimoniò profondi mutamenti nell’area dell’amministrazione della giustizia. L’inizio del XVI secolo precedette infatti una radicale trasformazione nella sfera penale che ebbe luogo nel corso della seconda metà del secolo, in particolare negli ultimi due decenni, e che proseguì nel XVII secolo, quando il cambiamento giunse a piena maturazione. Tuttavia, la stessa giustizia amministrata in Italia al tempo del diarista era frutto di una precedente evoluzione, cioè del passaggio dalle pratiche ordaliche dell’Alto Medioevo alla diffusione dello ius
commune nel Basso Medioevo e alla concezione di processo ad esso connesso. Questo
paragrafo intende difatti mostrare le interrelazioni stabilitesi tra i riti con cui si svolgeva il processo e la pratica sociale della vendetta, sottolineando le modifiche che ebbero luogo nel corso dei secoli. Come abbiamo infatti visto, ad esempio nel caso della tematica del furore, esisteva una vera e propria dialettica tra giustizia e vendetta, in primo luogo perché la stessa pratica vendicatoria, in alcuni contesti, era considerata una forma di giustizia privata548. In
secondo luogo, la faida, come forma consuetudinaria di gestione e risoluzione dei conflitti, veniva incanalata anche attraverso gli spazi d’azione concessi, alle parti in contrapposizione, dai riti processuali549. È quest’ultima modalità che è opportuno qui
spiegare, in quanto ancora diffusa e vitale al tempo di Marin Sanudo, ma successivamente piegata alle nuove esigenze dell’ordine pubblico550.
L’analisi prende avvio con le importanti trasformazioni affermatisi nel XII-XIII secolo, quando si diffonde, in circa tutta Europa, un nuovo sistema di giustizia criminale che si distingue nettamente dalle precedenti pratiche altomedievali. La diffusione del codice
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Si veda il caso simile di Ranuccio Trissino, che uccise in preda al furore la moglie e il figlio infante di Pompeo, fratello di Marcantonio Trissino, cfr. Povolo, Furore cit., pp. 53-54
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Come viene notato in riferimento alla legislazione fiorentina del Basso Medioevo da Dean, Marriage and Mutilation cit., pp. 7-8
549
Povolo, Feud and Vendetta cit.,pp. 197-198
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C. Povolo, Dall’ordine della pace all’ordine pubblico. Uno sguardo da Venezia e il suo stato territoriale (secoli XVI- XVIII), in C. Povolo, a cura di, Processo e difesa penale in età moderna, Bologna, Il Mulino, 2007, pp. 15-107
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romano-giustinianeo e delle procedure connesse comporta la crescita di un ceto specializzato di giuristi. Nasce in questo periodo una nuova procedura investigativa –
processum per inquisitionem – che si fonda sull’azione ex officio del giudice551.
Trasformazioni che a loro volta influirono decisamente le modalità di gestione dei conflitti e il controllo sociale. Tuttavia, di fronte a questi significativi mutamenti, il principio di fondo che animava la giustizia altomedievale, basata su giuramenti, prove ordaliche e duelli552,
venne conservato: se difatti l’obbiettivo era quello di contenere la conflittualità della faida entro livelli socialmente accettabili553, le nuove pratiche giudiziarie, caratterizzate
dall’importanza della prova come frutto di testimonianze, del’utilizzo della tortura e del valore assegnato alla confessione, non compromisero questo obbiettivo di fondo. La nuova giustizia bassomedievale – definita egemonica554 - non si poneva il compito di estromettere
o impedire lo svolgimento della pratica della vendetta, quanto più di convogliare i conflitti in questa nuova ritualità processuale, allo scopo di limitare gli aspetti più cruenti di queste ostilità a carattere familiare555.
La dicotomia tra le due forme di giustizia, da un parte quella comunitaria e negoziata e dall’altra quella egemonica impostato dall’alto, è stata ricondotta alla diversità dei caratteri che le sostanziano: la prima è fondata su riparazione dell’offesa, oralità, mediazione di una terza parte che si pone sullo stesso piano sociale e culturale – arbitrato –, iniziativa delle parti, appartenenza alla comunità, strumenti giuridici quali paci, fideiussioni. Questa forma di giustizia, che puniva il criminale più che il crimine, esprimeva pienamente i principi della comunità, da cui ne erano perciò esclusi gli stranieri e anche gli individui che, pur membri della comunità, ne avevano intaccato i valori fondamentali, e si poneva come obiettivo la ricomposizione pacifica delle fratture interne alla comunità. La seconda, la giustizia
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Povolo, Feud and Vendetta cit., p. 208; per approfondimenti si veda M. Damaška, I volti della giustizia e del potere cit.
552
M. Taruffo, La semplice verità. Il giudice e la costruzione dei fatti, Roma, Bari, GLF editori Laterza, 2009, pp. 4-13
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« In a certain sense, ordeal could be considered a sort of control or containment of feud. Thus, judiciary and trial practice in the early Middle Ages clearly reveals its close connections with the feud system and the cultural and customary values that legitimized it […] The primary object of the early medieval feud and its procedural implications was to keep the peace and maintain social equilibrium. », Povolo, Feud and Vendetta cit., pp. 210-211
554
Si rinvia soprattutto a M. Sbriccoli, Giustizia negoziata, giustizia egemonica. Riflessioni su una nuova fase degli studi di storia della giustizia criminale, in M. Bellabarba, G. Schwerhoff, A. Zorzi, Criminalità e giustizia in Germania e in Italia: pratiche giudiziarie e linguaggi giuridici tra tardo Medioevo ed età moderna, Bologna, Il Mulino; Berlin, Duncker & Humblot, 2001, pp. 345-364, dove si teorizza la coesistenza, nel corso della prima età moderna, di due ambiti di giustizia penale, una negoziata, a carattere comunitario, e una egemonica, di apparato; riflessione che ha molto in comune con quella presentata da B. Lenman, G. Parker, The State, the Community and the Criminal Law in Early Modern Europe, in V. Gatrell, B. Lenman, G. Parker, a cura di, Crime and the Law. The Social History of Crime in Western Europe Since 1500, Londra, Europa Publication, 1980, pp. 11–48, dove si distingue tra Community law e State law.
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egemonica, di apparato, si fonda su presupposti tecnici, conferisce più potere alla corte nella raccolta delle prove, ha per obiettivo l’imposizione della pena. Una concezione che rimarca, assegnando un ruolo decisivo agli aspetti formali, i nessi tra potere politico e amministrazione della giustizia. Nella realtà, questi due livelli di giustizia non erano affatto così contrapposti come si è fino a poco tempo fa ritenuto.
Senza dubbio le trasformazioni delineate influenzarono lo svolgimento di pratiche consuetudinarie come la vendetta, la quale venne infatti assorbita e rielaborata alla luce delle nuove pratiche dotte:
Ancient customary practices and new legal institutions interacted in the sphere of trial procedures variously proposed and theoretically formulated by jurists with a Romanistic formation.556
Difatti, varie ricerche hanno dato prova di della commistione dei due livelli di giustizia, con il riconoscimento del ruolo ancora decisivo giocato dalle parti e dall’elasticità dimostrata dai tribunali nell’accogliere le pratiche comunitarie: ad esempio, il processo in tribunale poteva interrompersi qualora le parti avessero raggiunto una pace formalizzata557. In
aggiunta, la stessa mediazione558, componente considerata pertinente solo alla giustizia
comunitaria, poteva essere svolta dagli stessi esponenti di quel ceto di tecnici del diritto, come nel caso del notariato nella provincia vicentina559. Queste e altre ricerche560 hanno, in
sintesi, dato prova di « on the one hand a significant blending of custom with trial rites and on the other the tendency to adopt procedures inclined to re-establish equilibriums upset by conflict »561, commistione resa possibile dal permanere di una rete giurisdizionale
frammentata, dove ogni realtà difendeva strenuamente le proprie prerogative562.
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Ibidem, p. 215; fenomeno non limitato all’Italia centro-settentrionale, ma anche notato in Scozia, cfr. J. Wormald, Bloodfeud, Kindred and Government in Early Modern Scotland, in «Past and Present», 87 (1980), 54–97.
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si veda per questo e altri aspetti simili M. Bellabarba, Pace pubblica e pace privata: linguaggi e istituzioni processuali nell’Italia moderna, in Bellabarba, Schwerhoff, Zorzi, Criminalità e giustizia cit., pp. 189-213
558
Per approfondimenti: C. Povolo, La terza parte. Tra liturgie di violenza e liturgie di pace: mediatori, arbitri, pacieri, giudici, in «Acta Histriae», 22, I (2014), pp. 1-16
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L. Faggion, Violence, Rites and Social Regulation in the Venetian Terra Firma in the Sixteenth Century, in J. Davies, a cura di, Aspects of Violence cit., pp. 185-204,
560
D. L. Smail, Common Violence: Vengeance And Inquisition In Fourteenth- Century Marseille, in «Past and Present», 151 (1996), pp. 28-59, M. Vallerani, La giustizia pubblica medievale, Bologna, il Mulino, 2005; E. Maffei, Dal reato alla sentenza. Il processo criminale in età comunale, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2005
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Povolo, Feud and Vendetta cit., pp. 215-216
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Cambiamenti più profondi e radicali si verificarono nel corso della seconda metà del XVI secolo, quando nei vari stati europei vennero introdotti nuovi riti processuali che limitavano l’azione delle parti attraverso l’affermazione di più stringenti procedure inquisitorie. Queste, unite alla lotta contro il banditismo563 e ai più generali cambiamenti socio-
economici, furono le principali cause che diedero l’impulso allo stabilimento di una vera e propria nuova giustizia punitiva. Tra fine XVI e inizio XVII secolo ci fu una vera e propria ridefinizione dell’idea di giustizia, realizzata attraverso il superamento delle antiche procedure e delle particolarità giurisdizionali, della messa in disparte delle antiche sanzioni, che vennero sostituite dalla pena di morte e da un irrigidamento della pena del bando564.
Modificazioni che incisero profondamente nella pratica della faida, provocando la nascita della figura moderna del fuorilegge565. Le vecchie ritualità processuali, che incorporavano
all’interno i valori socio-culturali di onore, amicizia e parentela, non sparirono ma furono indeboliti nella loro essenza, nella misura in cui l’iniziativa concessa alle parti ifu drasticamente compressa e istituti tradizionali come la piezaria e la defensio per patrem non furono ammesse nei nuovi riti processuali, tra le quali si distinse la procedura servatis
servandis, che escludeva gli istituti giuridici sopramenzionati566.
Tendenza che si rafforzò nella secondà metà del XVII e nel corso del XVIII secolo, e portò ad ulteriori cambiamenti, ma che non approfondiamo perché troppo distante dall’ottica di giustizia prevalente nel periodo in cui i Diari furono scritti. Possiamo dunque concludere qui l’analisi storiografica su faida e vendetta e la loro declinazione all’interno dei riti processuali. Dobbiamo però porci una domanda: abbiamo visto che a Venezia lo ius
commune non è penetrato alla pari del resto dello stato veneto e dell’Italia567. La stessa
pratica di amministrazione della giustizia era differente: i tribunali erano composti non tecnici, ma politici, inesperti di diritto, che applicavano il criterio dell’equitas nei casi a loro sottoposti. In Italia si diffuse perciò il sistema giuridico gestito dai tecnici del diritto sopra presentato, che riusciva a veicolare al proprio interno la faida e la vendetta con i propri riti
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Fenomeno, quello del banditismo, che in Italia, dopo la pace di Cateau-Cambrèsis, a metà XVI secolo, assume una nuova dimensione, quando la violenza nobiliare, legittimata durante le guerre lungo la pianura del Po, si trasferisce sul piano della faida, cfr. C. Gioia, Aristocratic Bandits And Outlaws: Stories Of Violence And Blood Vendetta On The Border Of The Venetian Republic (16-17th Century), in S. G. Ellis, L. Klusáková, a cura di, Imagining Frontiers, Contesting Identities, Pisa, Pisa University Press, 2007, pp. 93-108
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Povolo, Feud and Vendetta cit., pp. 223-226
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Trasformazioni che sono ben esemplificate dalle vicende di Giovanni Maria Zanoni, detto Zanzanù, che, coinvolto in una faida, subì questa trasformazione del quadro punitivo all’interno dello stato veneto, che gli impedì il reintegro nella comunità, secondo le pratiche consuetudinarie, e lo convogliò nella strada verso il banditismo, dalla quale non avrebbe più potuto far ritorno, cfr. C. Povolo, Zanzanù cit.
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Povolo, Feud and Vendetta cit., pp. 229-231
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processuali. La domanda è dunque la seguente: il sistema presente a Venezia, dove formalmente i giuristi non avevano luogo d’essere, gestito da politici, riusciva a canalizzare in maniera altrettanto efficacie i conflitti, specie quelli che potevano avere luogo all’interno dello stesso ceto dirigente? È questo il quesito a cui cercheremo di dare una risposta nel prossimo paragrafo.
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