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POLITICHE CULTURALI ED ECCLESIASTICHE

LA CORNICE STORICA: VENEZIA, 1496-

2.5 POLITICHE CULTURALI ED ECCLESIASTICHE

Le vicende storiche lasciano il proprio segno indelebile nella società e nel rapporto con la Chiesa, come si osserverà in questi paragrafi: un esempio – in senso indiretto – di come gli eventi influenzino le politiche culturali è già stato preso in considerazione nel primo

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Povolo, Un sistema giuridico repubblicano cit., p. 349; Cfr. inoltre Cozzi, ibidem, p. 221

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Povolo, ivi

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Non ci interessa ricostruire qui per intero le vicende di questa mancata riforma, per le quali si rimanda alla precisa ricostruzione in Cozzi, Repubblica di Venezia e Stati italiani cit., pp. 294-312

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Cozzi, Venezia dal Rinascimento al Barocco cit., p. 20

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capitolo, quando si è affrontato il tema della pubblica storiografia159. Le ragioni che

spinsero il governo veneziano ad istituire e mantenere un incarico così rilevante mutarono in conformità con le esigenze storico-politiche: in un primo momento la necessità di affermare la propria indipendenza originaria e la legittimità del suo Dominio; in un secondo momento, era necessario smentire le pesanti critiche e accuse mosse a Venezia in concomitanza con la guerra della Lega di Cambrai; infine, mutati gli indirizzi politici complessivi della Repubblica in concomitanza con la pace di Bologna, si avvertì il bisogno di ribadire il valore della pace e della custodia dello Stato. La politica culturale si era dunque posta come mezzo per l’affermazione di nuovi principi governativi.

2.5.1 RINNOVAMENTO CULTURALE

La trasformazione della città doveva avere, nelle intenzioni, il proprio perno nel rinnovo architettonico e urbanistico: i simboli di questa conversione ai modelli classici romani a discapito di una tradizione architettonica gotico-bizantina erano Andrea Palladio160, Michele

Sanmicheli161 e il Sansovino162. Una svolta culturale che era il segno di un’apertura verso

influenze umanistica, che avevano epicentro a Roma, ma che costituiva anche un momento di incontro con la Terraferma. Tale tentativo di renovatio urbis si inseriva dunque in un più ampio contesto di ridefinizione del rapporto tra Dominante e Dominio. Esperimento analogo era stato quello della riforma del diritto promosso dal doge Andrea Gritti, di cui si è precedentemente discusso. Così come quest’ultimo progetto di avvicinamento tra Venezia e il suo stato territoriale era fallito, a causa di un certo timore di perdita della propria identità, anche quest’innovazione architettonica presto perse il suo slancio, lasciando solo alcuni esempi del proprio potenziale163.

Altri due elementi meritano d’essere presi in considerazione per quanto riguarda la politica culturale di Venezia in questo periodo: il primo è il controllo che la Repubblica estende sullo Studio esistente nella città patavina attraverso la creazione di una magistratura

ad hoc, i Riformatori dello Studio di Padova. Questi vennero istituiti nel 1528, anche se già

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Supra, pp. 19-20

160

Per informazioni biografiche si veda DBI, s.v. PALLADIO, Andrea, a cura di Guido Beltramini, Volume 80 (2014)

161

Per informazioni biografiche si veda DBI, s.v. SANMICHELI, Michele, a cura di Bruno Maria Apollonj, Enciclopedia Italiana (1936)

162

Per informazioni biografiche si veda DBI, s.v. SANSOVINO, a cura di di Adolfo Venturi, Enciclopedia Italiana (1936)

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Cozzi, Ambiente veneziano, ambiente veneto. Governanti e governati nel Dominio di qua dal Mincio nei secoli XV- XVIII in Ambiente veneziano, ambiente veneto cit., pp. 320-321; Idem, Venezia dal Rinascimento all’Età barocca cit., pp. 18-19; Cozzi, Knapton, Scarabello, Dal 1517 alla fine della Repubblica cit., p. 25, 27

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nel 1517 si discuteva di quest’opportunità. Oltre a occuparsi della qualità degli insegnamenti offerti dallo Studio, dotandolo di docenti rinomati, i riformatori avevano anche altre incombenze concernenti la sfera culturale: ad esempio, il controllo sulle stampe e sull’operato dei pubblici storiografi. Essi avevano persino il compito di occuparsi dell’istruzione primaria e secondaria a Venezia164. Il secondo elemento è di lungo periodo e

riguarda invece l’influenza linguistica che la conquista di Venezia della Terraferma ebbe sul territorio veneto: se all’inizio del XIV secolo i dialetti dominanti erano quello padovano, trevigiano e veneziano, con la conquista quest’ultimo assume il primato nel corso del XV secolo, quasi a riflettere i nuovi rapporti di potere165.

2.5.2 PERDITA DI AUTORITA’ CON LA SANTA SEDE

Cambiamenti significativi si registrarono anche nei confronti della politica ecclesiastica posta in essere da Venezia, dei rapporti con Roma e anche del sentimento religioso che animava la città. Anche queste alterazioni collocano le proprie radici negli eventi storici che vedono la Serenissima come protagonista: è sufficiente richiamare all’attenzione come la politica espansiva di Venezia diede luogo alla Lega di Cambrai, orchestrata dalla diplomazia di Giulio II, e alle clausole di pace imposte dallo stesso Papa alla Repubblica166.

Tra queste, Venezia perdeva il diritto di nominare i propri vescovi: una grave perdita, nella misura in cui Venezia aveva sin dalla conquista della Terraferma ben compreso il valore di questa posizione di potere. I vescovadi garantivano una continuità più duratura di quella dei rettori e permettevano un controllo più capillare su clero e popolo.

Era stato perciò sottratto questo sistema di benefici alle famiglie nobili locali che in passato occupavano tali posizioni e anche al diretto controllo della Curia romana per tutto il XV secolo attraverso il conferimento di queste prebende a membri del patriziato veneziano167. Ciò comportò presto la diffusione, come nel resto d’Occidente d'altronde, del

« costume di trattare i benefici ecclesiastici come patrimoni di famiglia con trasmissione da un membro all’altro delle casate patrizie »168. Questo privilegio, perduto dopo Agnadello,

non venne riottenuto, ma si giunse ad un compromesso con la Curia, in base al quale i principali vescovadi venivano assegnati ai membri di grandi famiglie nobili. L’effetto fu

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Cozzi, Knapton, Scarabello, ibidem, pp. 27-28; Cozzi, Venezia dal Rinascimento all’Età barocca cit., p. 22-23

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Cozzi, Ambiente veneziano, ambiente veneto cit., p. 299

166

Supra, p. 31

167

Mallett, La conquista della Terraferma cit., pp. 237-238; Cozzi, Ambiente veneziano, ambiente veneto cit., p. 293

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quello di ottenere l’avvicinamento con Roma di alcune importanti famiglie veneziane, mentre la Repubblica si ritenne soddisfatta che posizioni di responsabilità nelle gerarchie ecclesiastiche fossero assegnati a nobili fedeli169.

Altro terreno di scontro fu quello dell’imposizione delle decime al clero. Anche in questo caso la perdita di questo diritto, a seguito di Agnadello, rappresentò una lesione alle prerogative di tradizionale libertà e indipendenza che Venezia vantava, privilegi che ponevano Venezia sullo stesso piano delle grandi monarchie europee. Tra 1527 e 1528, mentre Roma subiva il sacco dei lanzichenecchi la Repubblica coglieva l’occasione per imporre le tasse al clero. Un’azione di cui la pace di Bologna non tenne conto e, anche in questo campo, il compromesso raggiunto in merito alla politica fiscale favorì maggiormente il papato rispetto la Repubblica: dopo il 1530 essa non godette più il diritto di incamerare direttamente le decime del clero, ma fu costretta a richiederne previa facoltà a Roma, riconoscendo fattualmente che la propria sovranità si era sensibilmente ridotta170.

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Ibidem, p. 315

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