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REGOLARE IL MATRIMONIO: L’INTERVENTO GOVERNATIVO

FAMIGLIA PATRIZIA, STATO E POLITICA

4.3 STATO E SOCIETÀ: IL MATRIMONIO

4.3.1 REGOLARE IL MATRIMONIO: L’INTERVENTO GOVERNATIVO

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Diari, XXVII, col. 30

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Ibidem, col. 30-31

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« stete in questa fantasia de non la tuor », ibidem, col. 31

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Ivi

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Dopo aver presentato le peculiarità dell’istituto matrimoniale, il suo essere al centro di più interessi e analizzato il modello proposto dalla società patrizia, congiuntamente alle funzioni a tale schema connesse, si può procedere a contemplare l’azione proposta dalla compagine governativa nel conformare secondo i propri obiettivi il matrimonio tra aristocratici. L’operazione legislativa a tal scopo impiegata si è snodata nel corso del XV secolo per approdare agli inizi del XVI alla piena maturazione. Attraverso questa legislazione il governo puntò a ridefinire la nobiltà ed estendere la propria autorità attraverso la prescrizione delle modalità di riproduzione delle famiglie e dunque anche della casse dirigente. Quest’operazione identificò per la prima volta il ruolo centrale delle donne in questo processo, per cui la legislazione focalizzò i propri interessi su di queste. Il punto di partenza è dato dalle leggi del terzo decennio del XV secolo: nel 1422 venne negato lo status nobiliare ai figli di donne di condizione servile o di status vile. Due anni prima era stato imposto un limite all’ammontare delle doti e si stabiliva anche che queste fossero formate solo per un terzo dal corredo, che rimaneva al marito qualora la dote fosse ritornata alla moglie, configurandosi perciò come un dono e un mezzo per attirare desiderabili candidati. Limitare gli accordi matrimoniali aveva un duplice obiettivo: prevenire i padri dallo sperperare le ricchezze della famiglia nel matrimonio delle figlie e limitare la tendenza a favorire la porzione di corredo330.

Le obiezioni avanzate contro queste proposte trovavano giustificazione sulla base dei valori di onore, libertà e tradizione. Alle radici di questa contrapposizione c’erano due diverse ideologie patrizie, una portata avanti da famiglie ricche che ritenevano le doti come mezzi di acquisizione e consolidamento sociale, concezione condivisa anche dalle recenti nuove casate aggregate dopo la Guerra di Chioggia, ansiose di guadagnare prestigio grazie ad un libero mercato matrimoniale. Questi erano patrizi dotati di mezzi e volontà di promuovere la propria famiglia attraverso nozze vantaggiose, che perciò non condividevano la volontà di restringere le doti. Dalla parte opposta si collocavano le famiglie in condizioni economiche più difficili e preoccupate per l’aumento costante delle doti. Queste erano dell’opinione che il governo dovesse garantire il benessere dei cittadini anche attraverso l’intervento diretto in questo settore delicato. Il governo si inserì in questa contesa promulgando leggi che, in primo luogo, enfatizzavano il ruolo della donna nella determinazione dello status nobile e, in secondo luogo, stabilivano la supervisione dell’istituto matrimoniale da parte del governo come mezzo per la salvaguardia

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dell’esclusività del patriziato. Il risultato fu quello di porre l’ascendenza paterna delle madri come il problema centrale nella determinazione della nobiltà331.

Questo processo proseguì nel 1506 con l’istituzione da parte del Consiglio di X del Libro d’Oro del 1506, un registro delle nascite dei maschi nobili: i genitori ora dovevano notificare gli avogadori di comun della nascita e registrarne il nome. Nel certificato di nascita del figlio era riservata attenzione anche all’identità sociale della madre, in quanto il luogo di nascita e cognome della donna era ivi inserito, allo scopo di assicurarsi che questa riscontrasse i criteri stabiliti dalla legge del 1422. L’uniformità all’interno della ruling class era così legata più strettamente che mai alla rispettabilità parentale di entrambe le parti. L’effetto fu quello di ridefinire ulteriormente la nobiltà: la legge precisò infatti la distinzione tra uomini che riproducevano la classe di governo in accordo con la condotta ufficialmente prescritta e altri ai quali era negato, o che rifiutavano, il patriarcato, il quale costituiva la pienezza dello status nobiliare maschile. La misura della differenza era posta ora nelle origini e nei cognomi delle donne con le quali i maschi producevano la prole, dati da essere resi noti non più nel momento della richiesta di ammissione del figlio al Maggior Consiglio, ma alla nascita. Le identità delle mogli e delle madri divennero più che mai la misura della conformità familiare agli standard della cultura patrizia332.

Nel 1526 ci fu un altro spostamento dell’attenzione dalla nascita dei figli al matrimonio stesso dei genitori attraverso la promulgazione di una legge che imponeva la registrazione delle nozze presso l’Avogaria di Comun entro un mese dagli sponsali. L’effetto fu quello di istituire un procedura di matrimonio civile che richiedeva la presenza di due testimoni per parte e la testimonianza sullo status del padre della sposa. D’ora in poi, ogni giovane uomo che volesse accedere allo status patrizio doveva essere nato all’interno di un matrimonio registrato con questa procedura dagli avogadori; mancando questo atto, il suo status non sarebbe stato riconosciuto. Le richieste di certificazione per nascite e matrimoni dovevano ancora una volta di più assicurare la purezza della ruling class con il rafforzamento dell’esclusività della nobiltà rispetto il resto dei veneziani333. A tal scopo, gli eventi privati della nascita e del matrimonio si trasformarono ora in atti civili, che coinvolgevano una certificazione ufficiale di uomini e donne, a questo punto considerati agenti della continuità dei lignaggi e del patriziato stesso. A queste leggi si affiancarono nuove restrizioni della 331 Ibidem, pp. 57-59 332 Ibidem, pp. 63-65 333 Ibidem, pp. 65-66

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dote, il cui limite fu alzato a tremila ducati nel 1505, ma che presto, nel 1535, raggiunse i quattromila ducati334.

L’intervento avvenuto nel corso di un secolo sull’istituto è stato perciò accompagnato da un simultaneo intervento su uno dei principali componenti, la questione delle doti. Il principio alla base fu la volontà di preservare le proprietà e l’onore delle famiglie rendendo più facile il matrimonio di giovani donne, in modo tale da diminuire le monacazioni e ridurre i rischi connessi al mantenere figlie adulte in casa. Il governo di Venezia affermò così il proprio ruolo di guardiano della virtù femminile e dell’onore della famiglia. Tuttavia, la pressione per l’incremento delle doti non proveniva tanto dalla generosità parentale e dalla preoccupazione per il benessere delle figlie, quanto più da considerazioni di onore sociale che erano condivise e propugnate da entrambe le parti. Gli sforzi governativi per aiutare famiglie in difficoltà si rivelarono infatti fallimentari e in realtà concorsero all’inflazione delle doti nel XV secolo. I problemi connessi a tale crescita dotale concernevano in primo luogo le relazioni aventi per oggetto la proprietà tra moglie e marito e tra famiglie. In secondo luogo, doti e corredi sfarzosi costringevano le sorelle al convento e impoverivano i fratelli, ma davano anche avvio a competizioni tra i candidati per ottenere proprietà e fedeltà della moglie e allo stesso tempo pubblicizzavano il benessere, lo status e l’onore delle famiglie che potevano permettersi doti sfarzose335.

È sufficiente rileggere gli esempi riportati sopra per rendersi conto di come, anche prima del 1535, molte doti superavano il limite imposto. Ciò ci permette di comprendere che l’azione governativa che ebbe per oggetto l’istituto matrimoniale produsse risultati non univoci. Tuttavia, si verificò senza dubbio una trasformazione significativa: il matrimonio nobile divenne, da transazione privata qual era in precedenza, una preoccupazione governativa. In particolare, nel 1535 si completò la convergenza di tre sviluppi secolari: primo, la crescente direzione statale dell’attività individuale e familiare nell’ambiente domestico, nelle relazioni sociali e nella vita pubblica; secondo, il raffinamento della composizione, dei rapporti e dell’ideologia di una pluralistica classe dirigente; terzo, il crescente ruolo delle donne come simbolo e medium di un’articolata cultura patrizia. Il matrimonio divenne il terreno in cui il governo affermava la propria autorità per regolare le complesse interazioni tra nobili e famiglie, generazioni e generi336.

334

Ibidem, pp. 67, 70-71

335 S. Chojnacki, Gender and the Early Renaissance State, in Idem, Women and Men cit., pp. 43-47, 49 336

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4.4 STATO E SOCIETÀ: PADRINAGGIO E COMPARATICO

Altro terreno di scontro tra diversi propositi promossi ancora una volta da società civile, Chiesa e compagine statale fu quello della parentela spirituale, che si formava attraverso il padrinaggio, relazione istituita tra battezzato e padrino, e il comparatico, rapporto che lega padre del battezzato e padrino. Da una prospettiva più generale, il vero confronto si realizzò tra la concezione religiosa di questi istituti e il loro utilizzo in senso strumentale promosso dalla collettività, che individuò nella parentela spirituale il mezzo per espandere le reti relazionali delle famiglie. Conflitto che usualmente si risolse a favore della società, la quale piegò padrinaggio e comparatico ai propri scopi, fino allo svolgersi del Concilio di Trento, durante il quale la Chiesa li riformò e pose in essere un nuovo modello, destinato a durare fino a oggi. Nel caso che interessa questa ricerca, quello del più specifico contesto veneziano e del ceto dirigente lagunare, il governo si inserì in questa contesa, imponendo normative specifiche e costringendo il patriziato a rimodulare l’utilizzo di questi istituti, come vedremo337. Prima di prendere in esame la realtà della Venezia di inizio XVI secolo, è

opportuno illustrare come in Italia la società civile aveva reimpiegato la parentela spirituale per il proprio tornaconto, a dispetto delle imposizioni ecclesiastiche, in quanto padrinato e comparatico vennero ritenuti idonei strumenti per stabilire relazioni di alleanza sociale, a causa delle loro peculiarità.

La prima di queste caratteristiche era la flessibilità: vale a dire, la capacità di generare modelli di sociabilità diversi tra loro. Questa flessibilità si riscontra non solo nelle modalità delle relazioni sociali prodotti da padrinaggio e comparatico, ma anche nel numero di tali reazioni: non esiste un modello univoco proposto dalla società, ma ci sono una serie di fattori che combinandosi, danno vita ai vari modelli adottati. Questi fattori sono distinguibili in tre dicotomie: monopadrino/multipadrino, in merito alla presenza di un padrino maschio al battesimo o più di uno; limitato/non limitato, nel caso in cui i padrini siano più di uno; simmetrico/asimmetrico, concernente la presenza di parenti spirituali di entrambi i sessi o di uno solo. I modelli che ne scaturiscono sono sei: Monopadrino Puro,

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Non ci interessa, ai fini della ricerca, spiegare approfonditamente le origini di questi istituti né la loro evoluzione nel Medioevo fino al Concilio di Trento, in quanto ci soffermeremo solamente nel considerare la parentela spirituale come mezzo per tessere relazioni sociali. Per un’analisi degli altri aspetti, tra i quali le modifiche apportate a questi istituti dal Concilio di Trento e il declino degli stessi dal XVII secolo alla contemporaneità, si rimanda a G. Alfani, Padri, padrini, patroni. La parentela spirituale nella storia, Venezia, Marsilio, 2006, pp. 18-74, 91-115, 161-182, 239- 266; per un’analisi del fenomeno si consideri anche J. Bossy, L’occidente cristiano. 1400-1700, Torino, Giulio Einaudi editore, 1985, pp. 18-23 e J. A. Pitt-Rivers, Spiritual kinship in Andalusia, in Idem, The Fate of Sheschem or The Politics of Sex. Essays in the Anthropology of the Mediterranean, Cambridge-New York, Cambridge University Press, 1977, pp. 48-70

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con molti parenti spirituali di entrambi i sessi, senza limiti di ammissibilità, molto diffuso in Italia; Multipadrino Asimmetrico, che prevede molti padrini, senza un limite preciso, ma le madrine sono spesso assenti, presente in varie città italiane; Multipadrino Limitato, dove non c’è asimmetria di sesso, ma il numero di parenti spirituali è ridotto, e anche questo largamente diffuso in Italia; Multipadrino Limitato Asimmetrico, simile al secondo tipo, con una restrizione imposta al numero di padrini e madrine, è attestato in alcune zone, tra le quali Verona, Vicenza, Treviso; Monopadrino Puro, detto il modello della coppia, in quanto al battesimo partecipa solo un padrino e una madrina, è il modello che si imporrà dopo il Concilio di Trento nell’Europa cattolica; Monopadrino Asimmetrico, che prevede solo un padrino o una madrina, era il modello propugnato dai padri conciliari. In Italia, prima del Concilio, c’era un’ampia eterogeneità dei modelli a livello locale338.

Altri due aspetti importanti di questi particolari istituti sono tra di loro correlati: il primo è l’elaborazione di strategie relazionali improntate alla compresenza di diversi principi di selezione dei parenti spirituali, il cui risultato era quello di indurre a privilegiare gruppi socialmente eterogenei di padrini. Il secondo è dato dal fatto che il rapporto stabilito da questa forma di parentela era un legame debole, nel senso degli obblighi che comportava per il padrino e la madrina, rispetto ad un altro genere di rapporti, vale a dire la consanguineità. Il nesso che legava queste due peculiarità permetteva perciò di ricorrere a questi istituti in momenti di bisogno, per rispondere a situazioni ed esigenze inconsuete e impreviste. Rispetto ad altre forme di parentela, il padrinato possedeva quindi caratteristiche decisamente atipiche. In questa anormalità si collocava tuttavia proprio il potenziale della parentela spirituale quale come mezzo di alleanza sociale, capacità che si manifestava nei meccanismi di selezione dei parenti spirituali339.

Il padrinato offriva infatti la possibilità di istituire legami con persone di rango diverso dal proprio, sia superiore che inferiore. Ciò era possibile anche da altre forme di relazioni, ma ciò causava spesso la disapprovazione sociale, soprattutto per quanto riguardava rapporti stretti verso il basso. Al contrario, nel caso del padrinato ciò avveniva frequentemente e senza opposizioni di carattere sociali. La parentela originata dal battesimo aveva però portata ridotta, cioè non raggiungeva i confini della parentela di sangue. Il padrinato offriva anche l’occasione di stringere relazioni con un insieme eterogeneo di persone, nei modelli dove era prevista la molteplicità di padrini e madrine, che perciò

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Ibidem, pp. 64-66

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preferibilmente provenire da ceti diversi. Questo era reso possibile perché, rispetto ad altri strumenti generatori di relazioni come il matrimonio, padrinato e comparatico davano origine a relazioni più deboli, meno intense quanto a obblighi e familiarità. Ciò spiega la presenza di padrini altolocati a battesimi di bimbi di bassa condizione: l’impegno assunto era minimo. In aggiunta, rispetto altri mezzi per acquisire legami, come il matrimonio, il padrinato era molto meno esclusivo, poiché le possibilità di elaborare strategie di parentela spirituale si riproponevano per il battesimo di ciascun figlio340.

Alla luce di quanto spiegato, è facile comprendere che l’istituto del padrinato era quindi utile per creare o entrare a far parte di una rete clientelare. Questa era però solo una delle funzioni associate a padrinato e comparatico. Una seconda funzione si ricollega all’eterogeneità del gruppo di parenti spirituali: la ragione di questa scelta risiede nell’intenzione di dare ai figli una buona gamma di padrini e madrine, cioè un insieme di relazioni che spazi all’interno della società. La parentela spirituale era anche utile strumento nel contribuire a gettare ponti tra le parti antagoniste e a sanare fratture sociali, un’altra funzione assolta dalla parentela spirituale: lo conferma il caso di Ivrea, dove tra 1542 e 1554 risiedette una guarnigione spagnola. In questo periodo, alcuni di questi soldati stranieri si prestarono come padrini ad alcuni battesimi: si può arguire che la presenza spagnolo ruppe gli equilibri preesistenti nella città, rendendo necessario stabilire nuove relazioni, anche con le forze occupanti. Analogamente per gli spagnoli conveniva istituire questo genere di rapporti con la popolazione locale, al fine di evitare pericolose sommosse, attestando inoltre il carattere flessibile che distingue la parentela spirituale. Riassumendo, come strumento per perseguire strategie di creazione di network relazionali, il padrinato era caratterizzato da importanti peculiarità che lo rendevano ottimale a tale scopo: flessibilità, possibilità di istituire relazioni a tutti i livelli della gerarchia sociale, debolezza delle connessioni create e infine potenziale eterogeneità dei legami341. Esistono tuttavia casi di

vincoli di natura giuridica – formale che possono limitare le opzioni strategiche di padri e potenziali padrini: è il caso che si è verificato a Venezia, che possiamo ora passare a discutere.