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La domanda di credito e l’inclinazione della curva domanda: un paradigma alternativo alla visione Post Keynesiana

Nel presente paragrafo si presenterà una disamina relativa al concetto dell’efficienza marginale del capitale presente nella Teoria Generale, riprendendo quanto già anticipato nel paragrafo 1.2.1. A tale proposito, si presenterà l’interpretazione della teoria keynesiana dell’investimento e dell’efficienza marginale del capitale data da Pasinetti (1977), secondo cui il concetto dell’efficienza marginale del capitale risulterebbe essere un contributo teorico innovativo e originale del pensiero di Keynes, il quale riuscirebbe a prendere le distanze dalla teoria marginalista. In più, partendo da un’iniziale critica sia alla visione di Pasinetti che a quella di Keynes, si sosterrà l’idea che l’efficienza marginale del capitale non è nient’altro che un’eredità che Keynes assume dalla teoria marginalista. Infine, oltre a svolgere un discussione circa il presunto

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ruolo innovatore svolto dall’efficienza marginale del capitale, si proporrà una visione alternativa volta a slegare la funzione di domanda di investimenti, la funzione di domanda di credito delle imprese e l’accumulazione del capitale dal tasso dell’interesse. La tesi secondo cui Keynes e il suo concetto di efficienza marginale del capitale non sarebbero delle questioni teoriche innovatrici viene sostenuta da Garegnani (1979, pagg. 80, 81), il quale scrive:

“Rispetto alla funzione dell’efficienza marginale del capitale diviene però chiaro il

prezzo che Keynes deve pagare per la parte tradizione della sua teoria […] La critica della teoria tradizionale dell’interesse assume perciò importanza cruciale per l’accettazione delle tesi keynesiane. Ora è appunto in quella critica che la nozione di efficienza marginale del capitale si rivela come elemento d’impaccio e di debolezza per Keynes.”

Sempre Garegnani (1979) sostiene la tesi secondo cui la teoria degli investimenti presentata da Keynes nella Teoria Generale sia riconducibile all’impianto teorico marginalista. Proprio nei riguardi di questo argomento, Garegnani (1979, p. 81, nota 9):

“Quando si ammette l’adattamento dei rendimenti attesi ai rilevanti tassi

d’interesse vigenti, una generale relazione inversa tra questi e il livello degli investimenti non sembra poter trovare fondamento teorico diverso da quello marginalista della «sostituibilità» tra capitale e gli altri fattori.”

Per quanto anticipato appena detto, si comprende che secondo Garegnani, la visione di Keynes (1936), che rappresenta una relazione decrescente tra la domanda di investimenti e il tasso dell’interesse, non prende pienamente le distanze dalla teoria marginalista. In particolare, nonostante Keynes dia molta importanza al ruolo svolto dalle aspettative, analizzando la Teoria

Generale in relazione alla domanda di investimenti (e di conseguenza alla domanda di capitale

fisico), si evince che diminuzioni del tasso dell’interesse condurrebbero ad aumenti degli investimenti.

In opposizione alla visione di Garegnani si delinea l’interpretazione di Pasinetti (1974). Quest’ultimo ritiene che il ruolo svolto dall’efficienza marginale del capitale sia un contributo innovativo e originale rispetto alla nozione marginalista della produttività marginale del capitale. Grazie a questo presunto ruolo innovatore svolto dalla nozione di efficienza marginale del capitale, Pasinetti renderebbe l’analisi keynesiana, relativa alla determinazione degli investimenti, del tutto autonoma e originale rispetto alla teoria marginalista. Infatti, nell’interpretazione proposta da Pasinetti in “The Economic Theory of effective demand” (1974), si afferma che la nozione di efficienza marginale del capitale sia del tutto estranea e alternativa alla nozione marginalista di produttività marginale del capitale.

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Secondo Pasinetti, la funzione keynesiana dell’efficienza marginale del capitale deriverebbe da un processo di ordinamento di alternativi progetti di investimento ad opera dei singoli imprenditori. Questo ipotetico ordinamento avverrebbe sulla base dei rendimenti futuri attesi, del tasso dell’interesse corrente e del prezzo d’offerta dei beni capitali. Da queste variabili, che sono da considerarsi esogene, ogni imprenditore è in grado di stimare la redditività di singoli progetti alternativi di investimento e di ordinarli in ordine di redditività decrescente. In particolare, tutti quei progetti che hanno una redditività maggiore rispetto al tasso di interesse corrente, espressione del costo dell’indebitamento, verranno realizzati dagli imprenditori. Conseguentemente, secondo Pasinetti (1974), sommando tutte le domande provenienti dai singoli imprenditori, è possibile costruire una funzione aggregata decrescente dell’efficienza marginale del capitale o di domanda aggregata degli investimenti. Secondo Pasinetti, la funzione di domanda di investimenti è funzione positiva delle aspettative di profitto, che determinano la redditività attesa degli investimenti, e negativa del tasso dell’interesse che, nella Teoria Generale, è un fenomeno di mercato determinato dall’offerta di moneta e dal livello della domanda di moneta, che, a sua volta, risulta essere influenzato dalla preferenza per la liquidità.

L’interpretazione che Pasinetti dà all’efficienza marginale del capitale può essere sintetizzata dalla figura 15.

Figura 15. L’ordinamento dei progetti d’investimento

Partendo dall’osservare la figura 15, si considerino i diversi progetti di investimento (I1, I2,

I3, I4 e I5) e si misuri sull’asse delle ascisse l’ammontare di investimenti corrispondente. Sull’asse

delle ordinate misuriamo il tasso dell’interesse corrente (i*) e i diversi saggi di rendimento interno (r1, r2, r3, r4 e r5). Come mostrato dalla figura 15, al tasso dell’interesse i*0, il livello di domanda di

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investimento proveniente dall’imprenditore sarà pari alla quantità OI2, ovvero all’ammontare

necessario a realizzare i primi due progetti d’investimento. Qualora il tasso dell’interesse diminuisse da i*0 a i*1 tale che i*1≤ r4, anche il terzo e il quarto progetto di investimento

diventerebbero convenienti e profittevoli per l’imprenditore. Per tale motivo, l’imprenditore aumenterebbe l’investimento, domandando una quantità pari a OI4. Contrariamente, tutti i progetti

d’investimento il cui rendimento (r) è inferiore al tasso dell’interesse (i*) non verranno realizzati. Riassumendo quanto sostenuto dall’interpretazione di Pasinetti (1974), si può concludere che movimenti al rialzo dei tassi dell’interesse hanno un effetto negativo sulla domanda di investimenti in quanto diminuirebbero la profittabilità dei singoli investimenti. Contrariamente, a diminuzioni dei saggi dell’interesse si aumenterebbe la profittabilità degli investimenti. Nel prosieguo del presente paragrafo, si cercheranno di individuare le peculiarità e gli eventuali limiti di tale interpretazione. 38

In primo luogo, l’analisi di Pasinetti viene costruita a livello individuale. Per dato livello delle aspettative, egli analizza l’effetto di variazioni del tasso dell’interesse sulle decisioni del singolo imprenditore. Tale analisi, che presuppone un processo di micro-fondazione delle decisioni di investimento, non tiene dunque in considerazione le esistenti interrelazioni tra le decisioni di investimento dei singoli imprenditori. Tale questione limiterebbe la validità della costruzione proposta da Pasinetti (1974) poiché, anche ammesso che in un ipotetico periodo iniziale in cui le decisioni di investimento dei singoli imprenditori siano indipendenti dalle scelte degli altri agenti, le decisioni che ne risulterebbero dovrebbero essere modificate non appena gli imprenditori entrano in rapporto tra loro nel mercato. Per questo motivo, si desume l’impossibilità di costruire delle funzioni di domanda aggregate partendo da un’analisi individuale poiché queste non terrebbero in considerazione i rapporti che si costituiscono tra i diversi imprenditori.

In secondo luogo, nella presente analisi, si considera e discute un secondo aspetto problematico – ritenuto anche il limite maggiore dell’interpretazione di Pasinetti – relativo alla costruzione di funzioni di domanda basate sull’ordinamento dei diversi progetti d’investimento. Anche se non appare definita la nozione di progetto d’investimento, si può ragionevolmente supporre che ogni singolo progetto di investimento sia una combinazione di unità fisiche di beni capitali espressi in valore. Tale definizione non garantirebbe che il singolo imprenditore, dopo aver realizzato il progetto I1, investa nel progetto I2 e conseguentemente nei progetti successivi. Proprio

perché i singoli progetti di investimento sarebbero una combinazione in valore di beni capitali fisici, non si capisce, da un punto di vista teorico, la ragione per cui il singolo imprenditore dovrebbe

38 Le considerazioni sviluppate nel prosieguo del presente paragrafo si sviluppano sulla base di contributi teorici provenienti da diversi autori. In particolare ci riferisce ad: Ackley (1971), Panico (1981), Sebastiani (1983) e Trezzini (1987).

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investire in un progetto meno profittevole (ad esempio I2 rispetto ad I1 in figura 15), quando in realtà

potrebbe replicare l’investimento I1. In altre parole, dato che la nozione di progetto rappresenta una

combinazione di unità fisiche espresse in valore, non esiste alcun presupposto teorico per cui l’imprenditore dovrebbe realizzare una sola unità fisica del progetto con una maggiore redditività (ad esempio I1) ed in seguito allocare le proprie risorse in un progetto meno remunerativo. Se tale

ragionamento risultasse vero, l’imprenditore investirebbe tutte le sue risorse (potenzialmente illimitate per via del credito bancario) nella realizzazione di un numero indefinito di unità fisiche del progetto più remunerativo, che nel nostro esempio corrisponde al progetto d’investimento I1.

In terzo luogo, variazioni del saggio dell’interesse, che rappresenta un costo di produzione per quelle imprese che si indebitano, causerebbero dei cambiamenti nei prezzi relativi che, a loro volta, modificano il valore dell’output e quindi del saggio di profitto. In questo modo, creandosi una dipendenza tra il tasso dell’interesse e il saggio del profitto, che nei fatti si esplicita in una variazione dei prezzi relativi e del valore dell’output, si può sostenere che variazioni dei tassi dell’interesse condurrebbero a cambiamenti nell’ordinamento dei progetti. In altre parole, non si può trattare la profittabilità dei singoli progetti d’investimento indipendentemente dal valore assunto dal tasso dell’interesse. Dunque, legando il tasso dell’interesse a quello di profitto, variazioni del saggio dell’interesse condurrebbero a modificazioni nell’ordinamento dei progetti, ossia impedirebbero una classificazione dei progetti di investimento.

Ragionando in questi modi, sembra divenire meno solida l’interpretazione di Pasinetti (1974) e con essa la possibilità di costruire funzioni di domanda individuali decrescenti basate sull’ordinamento di alternativi progetti d’investimento. Per le ragioni sopra riportate, la riproducibilità, potenzialmente indefinita, dei singoli progetti d’investimento condurrebbe a rappresentare la curva dell’efficienza marginale del capitale come una retta infinitamente elastica. Tale retta sarebbe parallela all’asse delle ascisse e il suo livello sarebbe determinato dal rendimento atteso del progetto più remunerativo. Tuttavia, da un punto di vista teorico, rappresentare la curva dell’efficienza marginale del capitale come una retta infinitamente, causerebbe problemi nella determinazione del livello ottimale degli investimenti. In particolare, questa nuova rappresentazione suggerirebbe che l’investimento ottimo sia infinito. Tuttavia è plausibile sostenere che, almeno per quanto riguarda il campo delle scienze economiche, non si possa parlare di infinito e che le scelte di investimento, che le imprese attuano, hanno natura finita e ben determinata.

Per quest’ultimo motivo, la questione fondamentale da risolvere è comprendere quali siano i meccanismi che permettono di avere una quantità finita e determinabile di investimenti. In particolare, come anticipato nelle pagine precedenti, né la teoria del rischio crescente kaleckiana, né la preferenza per la liquidità estesa all’offerta di credito (che causerebbero presunte pressioni al

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rialzo del saggio dell’interesse) e né la decrescenza dell’efficienza marginale (che implica funzioni di domanda di investimenti decrescenti) non sembrano essere tesi abbastanza robuste e teoricamente corrette da garantire la finitezza e la determinatezza del livello degli investimenti. In particolare, come spiegato nei paragrafi precedenti tramite il paradosso del debito (Lavoie, 1996), il paradosso dell’illiquidità e la critica rivolta all’ordinamento dei progetti, si evince che le curve dell’efficienza marginale del capitale e del tasso dell’interesse vadano rappresentate come due funzioni lineari e parallele all’asse delle ascisse. Avendo dunque eleminato, attraverso più spunti teorici, sia la decrescenza della funzione di domanda di capitale che la presunta retta crescente rappresentate il tasso dell’interesse, appare necessario proporre una visione alternativa che sia in grado di spiegare la determinatezza e la finitezza del livello degli investimenti, senza dover assumere assenza di linearità nella funzioni che rappresentano sia il saggio dell’interesse che in quelle che raffigurano la scheda dell’efficienza marginale del capitale. Anticipando quanto verrà esposto nel prosieguo del presente paragrafo, si sosterrà la tesi secondo cui il livello degli investimenti dipende dal livello della domanda aggregata che, a questo punto, diventa l’unico fattore in grado di determinare e limitare il livello degli investimenti scelto dagli imprenditori. La costruzione di tale impianto teorico implica: in primo luogo l’abbandono della funzione di domanda decrescente di capitale, e quindi di investimento, rispetto al tasso dell’interesse; in secondo luogo conduce alla conclusione che gli investimenti sono trainati e guidati dalla domanda effettiva anche al lungo periodo.

Legandosi a quest’ultimo approccio, per una data capacità produttiva presente nel sistema economico, variazioni del saggio dell’interesse non sarebbero in grado di condurre gli investimenti ad eguagliare i risparmi che si avrebbero qualora il reddito fosse quello corrispondente al pieno utilizzo della capacità produttiva. Di conseguenza, se la domanda effettiva, e quindi il reddito, fossero inferiori o maggiori rispetto a rispetto al reddito corrispondente al grado normale di utilizzo della capacità produttiva, quest’ultima risulterebbe rispettivamente sotto-utilizzata o sovra- utilizzata. In assenza di forze in grado di riportare gli investimenti ad eguagliare i “risparmi di capacità”, ossia i risparmi corrispondenti al grado utilizzo normale della capacità produttiva, le situazioni di sotto-utilizzo e sovra-utilizzo potranno influenzare le decisioni di investimento delle imprese. In particolare, situazioni di persistente sotto-utilizzo condurranno ad una riduzione della capacità grazie ad una riduzione sia degli investimenti lordi e che di quelli netti. Viceversa, in situazioni di sovra-utilizzo della capacità produttiva, se sufficientemente persistenti da indurre le imprese ad attendersi anche per il futuro una domanda per le loro merci più elevata di quella corrispondente al grado di utilizzo normale della capacità produttiva, vorranno espandere la propria capacità produttiva attraverso un aumento degli investimenti netti. Variazioni persistenti della domanda effettiva avranno dunque un duplice effetto. In primo luogo, nel breve periodo, si avranno

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effetti espansivi e duraturi sui livelli di produzione e occupazionali e quindi sul grado di utilizzo della capacità produttiva. In secondo luogo, nel lungo periodo, si avranno degli effetti diretti sulle decisioni di investimento delle imprese, sull’ammontare della capacità produttiva e quindi sui processi di accumulazione.

L’abbandono delle funzioni di domanda decrescenti dei fattori produttivi ed in particolare della funzione di domanda dei beni capitali, conducono a ricercare in altri fattori le determinanti delle scelte di investimento degli imprenditori. L’utilizzo del principio della domanda effettiva, come fenomeno che determina il livello degli investimenti anche nel lungo periodo, conduce a plurime implicazioni. In primo luogo, si apre alla possibilità che esistano situazioni di sottoccupazione strutturale dovuta all’impossibilità della capacità produttiva esistente di assorbire tutta la forza lavoro disponibile. In altre parole, anche quando la capacità produttiva è pienamente utilizzata, non ci sono forze di mercato (come il salario reale o il tasso dell’interesse reale) che conducono alla piena occupazione dei fattori produttivi. Le situazioni di sottoccupazione dei fattori produttivi possono essere superate tramite appunto una crescita della domanda effettiva. In secondo luogo, l’accumulazione non richiede un aumento dei risparmi e quindi una riduzione della propensione al consumo. Un aumento della produzione dei beni di investimento sarà generalmente fattibile senza dover sottrarre risorse alla produzione dei beni di consumo. In particolare, qualora ci si muovesse all’interno di un regime economico di sottoccupazione, parrebbe lecito supporre che aumenti della produzione di beni d’investimento siano realizzati tramite l’impiego di quei fattori produttivi inutilizzati. In più, qualora si pensi che il fattore determinante all’aumento della produzione dei beni d’investimento sia esclusivamente la presenza di fattori produttivi inutilizzati, è doveroso ricordare che, anche se si assiste a periodi di bassa disoccupazione, le imprese, operando in condizioni di utilizzo normale della capacità produttiva (almeno nel lungo periodo), hanno dei margini di flessibilità della stessa. In particolare, le aziende sono in grado di soddisfare i picchi di domanda aumentando il grado di utilizzo della capacità produttiva, per esempio attraverso il ricorso al lavoro straordinario, ai turni lavorativi, notturni e festivi, nonché all’intensificazione dei ritmi di lavoro.

Attraverso l’analisi sin qui condotta, si evince che gli investimenti, le quantità di credito domandate per finanziarli e l’accumulazione di capitale sono determinati dalla domanda effettiva e non sono influenzati dai movimenti dei tassi dell’interesse. In più, attraverso questa analisi, si comprende che la domanda effettiva determina gli investimenti e la relativa domanda di credito non solo nel breve, ma anche nel lungo periodo.

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Capitolo 2.