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La metodologia per l’analisi di dati panel e la stima della causalità

Gli obiettivi di ricerca, i dati e la metodologia

2.1 Gli obiettivi di ricerca

2.3.2 La metodologia per l’analisi di dati panel e la stima della causalità

La metodologia applicata ai dati panel mostra numerose similitudini con la metodologia utilizzata per le analisi di serie storiche. Tuttavia l’utilizzo di tecniche Panel – rispetto alle serie storiche – è preferibile poiché garantirebbe una maggiore varietà dei metodi di stima, una migliore stima dei parametri, permetterebbe di tenere in considerazione l’eterogeneità tra le osservazioni (si pensi ad esempio all’effetto paese) e garantirebbe una maggiore efficienza delle stime a causa del maggior numero di osservazioni. Come si osserverà nell’analisi panel proposta nel capitolo 4, si terrà conto dell’eterogeneità facendo dipendere le diverse unità statistiche dalle differenti tipologie di credito e dai rispettivi mark-up.

In primo luogo, come per la metodologia applicata per l’analisi di serie storiche, si stimerà il ritardo ottimo del panel, minimizzando lo Schwarz (1978) Bayesian Information Criteria (SBC). In secondo luogo, il test per la radice unitaria può essere condotto attraverso le tradizionali metodologie conosciute per l’analisi di serie storiche, come ad esempio l’Augmented Dickey-Fuller test (Dickey e Fuller, 1979) e il Phillips-Perron test (Phillips e Perron, 1988). Tuttavia, recenti sviluppi nella letteratura econometrica suggeriscono che i test per la radice unitaria, stimati attraverso la metodologia panel, danno risultati maggiormente attendibili rispetto ai test basati sulla metodologia implementata per le analisi di serie storiche. In particolare, i test per la radice unitaria, basati sulla metodologia panel, sono stati sviluppati da Levin et al. (2002), Im et al. (2003), Breitung (2000), Maddala e Wu (1999), Choi (2001) e Hadri (2000). La scelta del test dipenderà da diversi fattori, come ad esempio il numero e l’eterogeneità delle osservazioni e allo stesso tempo dal numero di variabili prese in considerazioni.

Se le variabili sono integrate di ordine uno o non stazionarie, si deve stimare una cointegrazione panel. Tale test è essenzialmente un test per la radice unitaria applicato ai residui del modello stimato. In particolare, ci si aspetta un’equazione di cointegrazione quando i residui del modello sono stazionari. Una delle metodologie di stima della presenza di una cointegrazione è il Johansen multivariate cointegration test (Johansen, 1988). Tuttavia, quest’ultimo, quando condotto su un database panel, è meno preciso rispetto a quando è svolto in un’analisi di serie storiche poiché non riesce a tenere in considerazione l’eterogeneità determinata dalle diverse unità statistiche. Allo stesso tempo, il test di Fisher (1932) e i successivi sviluppi svolti da Maddala e Wu (1999), permettono di stimare la cointegrazione nei dati panel. Il test di Fisher utilizza il test di Johansen per

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la cointegrazione (1988), e Maddala e Wu (1999) accettano il suggerimento di Fisher (1932) secondo cui sia possibile combinare test individuali e propongono di esaminare la cointegrazione panel combinando i risultati individuali forniti dalle diverse componenti cross-sections. Un ulteriore test è il Pedroni’s panel cointegration (1999, 2000) che nasce come un’estensione del metodo a due stadi sviluppato da Engle e Granger (1987) e, a differenza dei precedenti, riesce a tenere in considerazione l’eterogeneità derivante dalla presenza di diverse unità statistiche. Questo test, basato sull’ipotesi di nulla di non cointegrazione, permette di determinare l’esistenza di una relazione di lungo periodo tra le variabili considerate proponendo due tipologie di test. La prima si basa sull’approccio within-dimension che è composta da quattro statistiche test: panel v-statistic, panel ρ-statistic, panel PP-statistic, e panel ADF-statistic. La seconda si basa sull’approccio

bewteen-dimension che include la stima di tre statistiche: group ρ-statistic, group PP-statistic, e

group ADF-statistic. Infine, il test di Kao (1999), basato anch’esso sulla metodologia sviluppata da Engle-Granger (1987), testa l’ipotesi nulla di non cointegrazione applicando un Augmented Dickey- Fuller ai residui del modello stimato.

Come per le analisi di serie storiche, anche per la metodologia panel è possibile studiare i legami di causalità tra le diverse variabili prese in considerazione. I diversi risultati relativi al test della radice unitaria e al test di cointegrazione ci conducono ad usare modelli econometrici alternativi per la stima dei nessi di causalità, cioè o modelli panel VAR o panel VECM. Questi metodi sono stati sviluppati e proposti da Engle e Granger (1987), Sims et al. (1990), Mosconi e Giannini (1992), Toda e Phillips (1993, 1994), Toda e Yamamoto (1995) e Rambaldi e Doran (1996).

Se le variabili sono I(1) ma non cointegrate, Sims et al. (1990) e Toda e Phillips (1993) mostrano che il Granger non-causality test è valido se si stima un VAR alle differenze prime. Per la metodologia panel vale la medesima regola applicata alle analisi delle serie storiche: per stimare un panel VAR è necessario eleminare la non stazionarietà qualora le serie fossero integrate. Di conseguenza, applicando le differenze prime ad un sistema non cointegrato, si può stimare un modello panel VAR e di conseguenza effettuare un Granger non-causality test al fine di stimare la causalità (Toda e Phillips, 1993). Un modello panel VAR si può sintetizzare con l’equazione 16:

∆X,N = Y2+ Z Y T [ ∆X,N% + Z Y\ T [ ∆],N% + ^,N (16)

Dove X,N è la variabile dipendente, ],N quella indipendente; Y2 rappresenta l’intercetta del panel, Y rappresenta il coefficiente della variabile endogena, Y\ è il coefficiente della variabile

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esogena e ^,N è l’errore. Il Granger non-causality test, applicato all’interno della metodologia panel VAR, si basa sulla seguente ipotesi nulla:

2: Y = Y\ = . . . = YT = 0

dove Yc rappresenta i coefficienti della seconda sommatoria presentata nell’equazione 16, ossia i coefficienti delle variabili esogene. Quando i YT sono uguali a zero, non esiste alcun tipo di causalità tra le variabili indipendenti e quella dipendente. Tale metodologia consente solamente di stimare delle relazioni di breve periodo.

Contrariamente, se le serie sono I(1) e cointegrate (Pedroni, 1999; 2000), si può stimare un panel VECM (Engle and Granger, 1987; Granger, 1988) che, a differenza del VAR, permette di svolgere analisi di lungo periodo. Il modello panel VECM può essere sintetizzato dall’equazione 17: ∆X,N = Y2+ Z Y T [ ∆X,N% + Z Y\ T [ ∆],N% + Y_ E ,N% + ^,N (17)

dove E ,N% è l’equazione di cointegrazione che rappresenta la dinamica di lungo periodo. L’E ,N% si può rappresentare attraverso l’equazione 18:

E ,N% = X,N% − ` − Ya ],N% (18)

L’equazione 17 può essere riscritta come mostrato dall’equazione 19:

∆X,N = Y2+ Z Y T [ ∆X,N% + Z Y\ T [ ∆],N% + Y_ dX,N% − ` − Ya ],N% e + ^,N. (19)

A differenza dei modelli panel VAR, la metodologia panel VECM consente di testare sia la causalità di breve che quella di lungo periodo. La causalità di breve sarà stimata attraverso il Wald test e quella di lungo periodo attraverso l’analisi del coefficiente che moltiplica l’E ,N% (Y_ nell’equazione 19). Se tale coefficiente è statisticamente significativo, si rifiuta l’ipotesi nulla di non causalità di lungo periodo sostenendo che la variabile indipendente del modello non influenza la dipendente. I coefficienti di lungo periodo si possono calcolare o attraverso le stime dei fully

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modified OLS (FMOLS) sviluppati da Pedroni (2000) o dei dynamic OLS (DOLS) sviluppati da

Saikkonen (1991) e da Stock e Watson (1993). Tali stimatori garantiscono che le stime dei parametri di lungo periodo siano consistenti e non distorte.