dati, anche, approssimativi, circa la produzione del domnicum, tranne la ren-
dita dei mulini
99. L’introito globale annuo che l’Episcopato traeva dalle pro-
prie curie rurali non era insignificante perché corrispondeva alla prima delle
tre fasce censuali della cittadinanza, stabilita dal Breve consolare della prima
metà del XII secolo
100: la maggiore, oltre le 50 lire
101; la media, tra le 50 e le
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l’arcivescovo 30 soldi di denari genovesi, ma avrebbero corrisposto alla Curia metà della moltura e metà del godimentum del mulino, nonché, come pensio annua della loro parte, due galline a Nata- le, e avrebbero edificato il mulino senza spese a carico della Curia tranne i suddetti 30 soldi, metà de ferramentis eidem molendino pertinentibus e metà de molis, quam dabit nobis Curia cum fuerit necesse ipsi molendino. Trascorsi i 29 anni, i concessionari si sarebbero presentati alla Curia per il rinnovo del libellus a loro e ai loro figli maschi, versando quattro soldi di denari genovesi per la conferma del libellus. L’accordo fu stipulato nella camera dell’arcivescovo, testi prete Migliore di Lavagna, Bardoni clericus, Bernardo Pavese e Oberto diacono: Ibidem, pp. 336 e 337.
98 Le curie arcivescovili genovesi si avvicinano al secondo tipo di curtis definito da P.
TOUBERT, Il sistema curtense cit., pp. 40-45, caratterizzato da «un deciso orientamento del settore a conduzione diretta verso tipi di profitto agricolo specializzato: oliveti, vigneti e tipi d’investi- mento curtense che comportavano l’installazione e il mantenimento di dispositivi tecnici relati- vamente complessi e costosi, basati sull’utilizzazione dell’energia idraulica»; naturalmente alla fine dell’evoluzione delle curtes/curie vescovili genovesi, che aveva segnato la scomparsa dei servi prebendarii, se mai fossero stati utilizzati. F. PANERO, Schiavi cit., p. 333, soltanto sulla base dello
schema generale bipartito delle curtes, ha sostenuto che ai servi casati «occorre però aggiungere i servi residenti sulle terre dominicali a gestione diretta (domuscultae), il cui numero è imprecisabile». Sulla riduzione del dominicum cfr. ancora P. TOUBERT, Il sistema curtense cit., pp. 45-60.
99 Cfr. la nota n. 97.
100 Codice Diplomatico della Repubblica di Genova, a cura di C. IMPERIALEDI SANT’ANGELO,
Roma 1936-1942 (Fonti per la storia d’Italia, 77, 79, 89), I, p. 153, n. 128.
101 «Si aliquis homo habitans in civitate vel in burgo vel in castro specialiter et meditative in
aliquo loco fecerit assaltum vel facere fecerit super aliquem hominem nostre Compagne, unde ve- ritatem racionabiliter cognoscamus et lamentatio de illo assaltu coram nobis facta fuerit, laudabi- mus et dabimus de bonis illius vel illorum qui assaltum fecerint, illi super quem factus erit, usque in libris C, si cognoverimus rationabiliter quod assaltus et posse et persona talis sit cui hec vindicta
10 lire
102; la minore, sotto le 10 lire
103. Tuttavia tale introito non era certo
paragonabile ai profitti ricavati dal commercio marittimo se si considera che
alla metà del secolo un singolo investimento in questo settore superava
spesso le 100 lire
104. La ricchezza così accumulata dalla nobiltà genovese
trova conferma da un decreto del Comune, con il quale, il 2 febbraio 1143,
fu fissato un massimo di 100 lire all’antefatto delle donne: evidentemente
era una cifra che i matrimoni tra le famiglie più ricche tendevano a superare
e che comunque era ritenuta confacente alla dignità delle nobili genove-
si
105. Pertanto il reddito globale annuo delle curie rurali, pur elevato, non
era certo sufficiente a soddisfare le esigenze di bilancio di un istituto come
l’Episcopato, che dal 1133 era divenuto sede arcivescovile. Questa situa-
zione spiega la cura prestata nello stesso periodo al recupero delle decime in-
feudate ai nobili genovesi, sia quelle terrestri delle pievi sia della decima maris,
ricavata dal commercio marittimo. Poiché quest’ultima non soltanto costituiva il
principale introito della Curia arcivescovile
106, ma fornisce anche preziose
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conveniat, nisi remanserit per parabolam illius vel eorum cui vel quibus iniuria vel assaltus factus erit; si vero assaltus et persona talis non fuerit, moderabimus et diminuemus penam secundum quod melius et racionabilius nobis visum fuerit»: p. 157. «Si cognoverimus quod aliquis homo, sine licentia nostra, portabit vel portare fecerit arma causa preliandi infra terminos illos in quibus sumus constricti per campanam venire ad parlamentum et habuerit valens L libras vel amplius, tollemus ei libras X si inveniremus»: p. 159.
102 Se i consoli avessero accertato che un uomo, per combattere, fosse venuto armato al
parlamentum o vi avesse fatto portare armi (cfr. la nota precedente), si autem minus L libris habuerit, sed amplius quam decem, C soldos ei tollemus: p. 160.
103 Se i consoli avessero accertato che un uomo, per combattere, fosse venuto armato al
parlamentum o vi avesse fatto portare armi (cfr. la nota n. 101), se avesse a decem (libris) in iusum, l’ammenda era a loro arbitrio: p. 160.
104 Il Krueger, sulla base del cartolare di Giovanni Scriba, ha individuato circa 180
«investors» nel periodo coperto dal suddetto notaio. La stragrande maggioranza era costituita da 130 individui, corrispondenti a circa il 72,2%, i quali «made only one or two investments du- ring the entire ten-year period, hardly sufficient to warrant the designation merchant», e investi- rono globalmente circa 9.000 lire, pari a il 15-16% dei capitali impiegati nel commercio con l’estero nel suddetto periodo, cosicché sono stati definiti dall’autore «occasional investors»; al- cuni dei loro investimenti «were no more than a few solidi and most of them were less than a hundred libre, but there were a large number which ran to several hundred libre»: H.C. KRUEGER, Genoese Merchants, their Partnerships and Investments, 1155 to 1164, in Studi in ono- re di Armando Sapori, Milano 1957, I, pp. 257-271, alle pp. 259 e 260.
105 I Libri Iurium cit., I/1, p. 105, n. 64. 106 Cfr. la nota n. 104.