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Il territorio subì una diversa evoluzione Mentre il controllo del settore orientale fu definitivamente assicurato verso la fine del XII secolo, dopo una

serie di operazioni militari e di innovazioni politico-istituzionali

263

, invece il

litorale da Arenzano a Rapallo e le vallate della Polcevera e del Bisagno

furono presto inserite nella struttura del governo cittadino attraverso il

Comune consolare di pieve

264

. In quest’area le signorie fondiarie, pur di-

sponendo di castelli, non si trasformarono in autonome signorie feudali,

perché ne erano a capo gli stessi nobili che avevano fondato il Comune

cittadino. Questo vale anche per il castello che il vescovo aveva sul Poggio

di Molassana già alla fine del X secolo

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e conservò ancora per molto tem-

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altra dei Re di Gerusalemme da un anonimo, in «Atti della Società Ligure di Storia Patria», I (1859), pp. 67 e 68. Se non era mutato rispetto a quello in uso nella seconda metà del XIII secolo, lo staio genovese della fine dell’XI secolo valeva poco meno di 18 kg.: P. ROCCA, Pesi e misure antiche di Genova e del Genovesato cit., pp. 93-99.

263 Cfr. R. PAVONI, L’ascesa dei Fieschi tra Genova e Federico II, in I Fieschi tra Papato

ed Impero cit., pp. 3-44, alle pp. 3-5.

264 R. PAVONI, Organizzazione del territorio genovese cit., pp. 7 e 8.

265 Nel febbraio del 991 i germani Leone e Aldeprando, con la moglie e i figli maschi, Sta-

bile, con la moglie e i figli maschi, e Leone, con la moglie e i figli maschi, tutti famuli di San Siro, con la clausola della successione tra loro in caso di morte senza eredi diretti, chiesero al vescovo Giovanni di locare loro titulo condicionis una parte di suolo infra castro Molaciana: un suolo di 16 piedi di re Liutprando in lunghezza (poco più di 7 metri) e 10 in larghezza (circa 4 metri e mez- zo) a Leone e Ildeprando; un suolo di 10 piedi in lunghezza (circa 4 metri e mezzo) e 9 in lar- ghezza (4 metri) a Stabile; un suolo di 8 piedi in lunghezza (3 metri e mezzo) e 10 in larghezza (circa 4 metri e mezzo) a Leone. Inoltre chiesero pecia una de terra que est subtus castro, ubi no- minatur Felegaria, fines vero de ista terra d’ab uno latere fine fossado de caneva, d’ab alio latere fine costa aqua versante, desubtus fine via publica que pergit a corte indomnicata, de superiore capite fine castro, con il diritto di suprascripta terra pastonare a propria discrezione e di dare, vendere e aliena- re soltanto a famuli domnicati di San Siro, qui in ipso castro habitant. I richiedenti dovevano versa- re annualmente una pensio di due denari, in suprascriptis rebus laborare et in predictis solis de terris mansionem edificare, con restituzione alla Chiesa dopo la morte loro o dei loro figli. Il vescovo Giovanni sottoscrisse il livello: Il Registro cit., pp. 248-250. L’origine del castello di Molassana non è necessariamente collegata con le incursioni islamiche del X secolo, come invece sembrano credere gli autori degli scavi archeologici sulla base del fatto che «una parte della superficie viene data in affitto in un periodo che, forse non a caso, è di pochi anni posteriore alla caduta della base saracena di Frassineto»: S. BAZZURRO - D. CABONA - G. CONTI - S. FOSSATI - O. PIZZOLO, Lo scavo del castello di Molassana cit., pp. 52 e 53. Si tratta del fenomeno dell’incastellamento e della formazione della signoria locale, che caratterizzò questo periodo e che per alcuni coloni prevede- va, come nel livello del febbraio 991, la residenza nella fortezza, senza che questa si trasformasse in villaggio fortificato. Sul castello di Molassana cfr. anche R. PAVONI, Presenze arimanniche in Val Bisagno cit., p. 372, nota n. 105.

po

266

. Lo stesso vale per il castello di Morego, che è ricordato nel 1142 co-

me appartenente all’arcivescovo Siro

267

e doveva essere sul Monte Porcile

268

.

Inoltre l’Episcopato genovese manteneva uno stretto collegamento con la

fazione che governava la città e, quando, alla fine dell’XI secolo, passò dallo

schieramento imperiale a quello papale, agì in sintonia con il nuovo disegno

politico che gradualmente si affermava tra i dirigenti del Comune e che ri-

spondeva a concrete motivazioni di natura economica, più che a suggestioni

idelogiche connesse con il ruolo dei due poteri universali

269

.

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266 Nella prima metà del XII secolo il castello era presidiato tutto l’anno dai famuli della lo-

cale curia, i quali erano tenuti ogni giorno a fornire una guaita diurna di 9 di loro e una guaita notturna di altri 12, secondo turni fissati in rapporto con la concessione fondiaria. Tale obbligo poteva essere commutato con un versamento di denaro, evidentemente per provvedere alla so- stituzione, il quale assommava a 2 lire, 10 soldi e 8 denari per tutto l’anno e per l’intero presidio. Poiché sia in caso di prestazione personale sia in caso di pagamento sostitutivo tre guaitatores diurni, per due mesi, e tre guaitatores notturni, per sei mesi, erano a carico della Curia arcivesco- vile, il costo totale annuo per la guarnigione ascendeva a 3 lire, 6 soldi e 8 denari, senza contare il castellanus in comando, distinto dai famuli guaitatores, al quale provvedeva, ma si ignora come, la Curia arcivescovile. Oltre ai famuli/guaitatores e al castellanus il presidio del castello doveva com- prendere anche un turrexanus, se così si corregge Turtexanus, il quale dava alla Curia arcivescovile fascium. I. spitorum: Il Registro cit., pp. 38 e 40-44. Si ignora quando l’arcivescovo perse il con- trollo del castello, che dal 1376 al 1477 era presidiato saltuariamente dal comune di Genova. Que- ste notizie sul castello nei secoli XIV e XV sono fornite da F. PODESTÀ, Escursioni archeologiche cit., pp. 19-24. Cfr. anche S. BAZZURRO - D. CABONA - G. CONTI - S. FOSSATI - O. PIZZOLO,

Lo scavo del castello di Molassana cit., i quali hanno ipotizzato che Simon Boccanegra, analoga- mente ad altri castelli, annettesse al Comune anche quello di Molassana.

267 Cfr. R. PAVONI, Il problema dell’incastellamento in Liguria cit., p. 87.

268 Nel novembre del 1145, nella domus di Guglielmo Pezollus, Filippo di Lamberto e Gu-

glielmo Pezollus, arbitri della controversia tra l’arcivescovo Siro, rappresentato dal suo hyconomus Alessandro, e Rainaldo, arciprete di San Cipriano, per una terra in Val Polcevera, nel locus di Mo- rego, la quale era chiamata Castello, sita vicino al manso di Porcile, assolsero l’arcivescovo tam invasionis quam possessionis equanimiter, cosicché non potesse più essere citato in giudizio né dal prete Rainaldo né da altri per lui per invasione o possesso. Emisero questa sentenza perché certis racionibus avevano accertato che la suddetta terra era libellaria e che per la convenzione del livello poteva entrarvi di propria autorità. Nemo igitur invasionem comittere cernitur quia conventione pactis legaliter possessionem nascitur. Testi Baldoino di Ingelfredo, Oglerio Danesius, Caffaro e Bonvassallo Mangiasalsa: Il Registro cit., pp. 118 e 119.

269 Cfr. R. PAVONI, Dal Comitato di Genova al Comune, in La Storia dei Genovesi (Atti

del Convegno di Studi sui Ceti Dirigenti nelle Istituzioni della Repubblica di Genova, Genova 12-13-14 Aprile 1984), V, Genova 1985, pp. 151-175, alle pp. 161-164. Anche il nuovo palaz- zo arcivescovile fu concesso al Comune. Nel gennaio del 1145 i consoli (del Comune) Filippo di Lamberto, Bellamutus e Tanclerius de Mauro, poiché avevano accertato che l’arcivescovo ad honorem et hutilitatem Comunis Ianue palacium illud fecit et proficuum et hutilitatem Comunis

Sebbene il diritto consuetudinario del 1056 regolasse soprattutto il pos-