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mania et de illis partibus, dalla Barbaria, dall’Affrica, da Tunisi o da Bou-

gie, da Almeria e de pelago

111

; 11 soldi e 3 denari se proveniva dalla Sici-

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questa norma del diritto consuetudinario si applicava al suo caso et insuper quod pignora ab naviculariis ceperat et, decima non soluta, cum sciret, reddiderat (i pegni). Quare, illum ex sua confessione et quia huiusmodi extat consuetudo condempnantes et quia solvere differebat, uti prele- gitur laudaverunt: Ibidem, pp. 127 e 128. Infatti i nauclerii, denominati anche naute, erano incari- cati di riscuotere la decima e di versarla alla Curia arcivescovile, anche se avessero rinunciato a una detrazione in proprio favore di due soldi e mezzo o l’avessero sostituita con un pasto, evi- dentemente di costo inferiore, da fornire alla Curia arcivescovile (il 17 aprile 1159 un pasto era valutato sei denari in un documento arcivescovile: Ibidem, p. 398). Così risulta da una controver- sia tra l’arcivescovo Siro e Amico Vacca: l’arcivescovo sosteneva che l’onere dell’intera riscossio- ne della decima maris da tutti coloro che navigavano sulle naves, nel pelagus, per commerciare, gravava soltanto sui naute, ma che per la fatica e il merito di tale incombenza erano stati condo- nati loro due soldi e mezzo vel pastum unum ad Curia<m> prestatur, fermo restando il paga- mento alla Curia della restante decima; invece Amico Vacca riconosceva di essere tenuto soltanto al versamento della propria quota dei 22 soldi e mezzo, dovuti complessivamente dai negociatores imbarcati (cfr. la nota seguente), ma eccepiva che, sebbene fosse nauta, non era tenuto alla riscos- sione perché aveva rifiutato i due soldi e mezzo o l’offerta del pasto. L’arcivescovo si rivolse ai consoli dei placiti Guglielmo di Marino, Corsus Si<s>mundi, Boamuns di Oddone e Opizzo Sardena, i quali dopo un lungo dibattimento accertarono che la decima maris era stata istituita anticamente, con il consenso dei cittadini, sulle naves que, de Ianua exeuntes, per pelagus ad nego- ciationes vadunt e che, non obstante eo quod dicebatur si naute illas in aliis locis vendiderint, l’onere della riscossione gravava sempre sui naute, cosicché il 27 marzo 1159, nel palazzo arcivescovile, i suddetti consoli sentenziarono che Amico Vacca versasse all’arcivescovo Siro 13 soldi e mezzo di moneta genovese, reliquum ab his tum ipso Amico, personaliter per se, tum socio suo nauta sine lite solventibus (cioè, dei restanti nove soldi, Amico avrebbe pagato la propria quota come negociator, mentre l’altro nauta quanto dovuto per l’ufficio che ricopriva): Ibidem, p. 391. Infatti la ven- dita della nave dopo la partenza da Genova non esentava dal pagamento della decima. Il 31 gen- naio 1147, in sero, nel palazzo arcivescovile, i consoli (dei placiti) Boiamonte di Oddone e Marino de Porta sentenziarono che Lamberto Musso dovesse versare all’arcivescovo Siro quattro soldi di denari genovesi per la decima della propria parte di una navis che aveva venduto ad Alessandria. Emisero questa sentenza perché avevano accertato sufficientemente da testi che gli uomini che conducevano naves ad Alessandria, se la navis fosse stata venduta, erano soliti anticamente versa- re la decima all’arcivescovo: Ibidem, p. 404. La decima era pagata anche dalle galee, ma non appare chiaro se fosse dovuta per la preda ricavata dalla loro attività corsara. Infatti nel 1145-1146 (la data si ricava dai consoli dei placiti dell’anno), nel nuovo palazzo arcivescovile, alla presenza dei consoli Ottone Guercio (Ottone Giudice), Rodoano e Guglielmo Bufferius, Alessandro advo- catus denunciò Bonifacio di Ranfredo per il mancato versamento alla Curia arcivescovile della decima per la sua galea, tornata carica dalla Sicilia. Bonifacio però sosteneva che non doveva paga- re la decima perché la sua galea era andata in Romania in cursu. Facto itaque iuramento de calum- pnia ex utraque parte, ipse Bonifacius statim confessus est se debere persolvere. Testi Oglerio Da- nisius, Guglielmo de Bonofancello e Oberto Sulphur: Ibidem, p. 118.

111 Omnes naves que venerunt de Ultramare et de Alexandria et de Romania et de illis

partibus et de Barbaria et de Affrica et de Tunese sive de Bugea et de Almaria et omnes que de pelago venerint, unaqueque debet dare pro decimis solidos XXII et dimidium; si vero ex maiori

lia

112

, 9 soldi se proveniva dalla Sardegna

113

e 7 soldi se proveniva dalla Cor-

sica

114

. Se il carico delle suddette naves era costituito per la maggior parte da

grano, ogni uomo doveva darne una mina

115

. Invece un quartino era dovuto

da ogni uomo delle naves di Genova e della sua arcidiocesi che tornavano

cariche di grano dalla Provincia e dalla Calabria

116

; un lignum, se aveva fino

a otto uomini, pagava una mina di grano, da nove a 12, due mine, oltre 12,

ognuno dava un quartino

117

. Se una navis avesse importato sale dalla Sarde-

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parte fuerint honerate grano, unusquisque debet dare minam unam: Ibidem, pp. 9 e 365; a quest’ultima p. non sono citati l’Ultramare, la Romania, Almeria e il pelagus, ma tra Tunisi e la Barbaria è aggiunto Tripoli.

112 Naves que veniunt de Sicilia debent dare pro decimis solidos XI et denarios III; set, si

maior pars honeris fuerit ex grano, unusquisque homo, minam unam: Ibidem, pp. 10, 365 e 366.

113 Naves que veniunt de Sardinia, solidos VIIII; similiter si maior pars fuerit ex grano,

unusquisque homo, minam unam: Ibidem, pp. 10 e 366.

114 Naves que veniunt de Corsica, solidos VII, set, si granum . . . (così Ibidem) duxerint

plus quam aliud, unusquisque homo, minam unam: Ibidem, pp. 10 e 366.

115 Cfr. le note nn. 111-114.

116 Naves que de Calabria veniunt et de Provincia honerate grano, de . . . (così Ibidem)

ipsa civitate cum toto archiepiscopatu, et que vadunt ultra Portum Pisanum vel ultra portum Monachum, unusquisque homo de ipsis navibus debet dare quartinum unum grani, preter duos nauclerios (cfr. la nota n. 110) et preter illos homines qui vadunt ad forum Sancti Raphaelis (St-Raphaël) et ad nundinas Foriiulii (Fréjus): Ibidem, p. 10. Secondo un’altra notizia del Re- gistro arcivescovile le naves que de Sicilia et Calabria, de Maritima et Provincia veniunt hone- rate grano, unusquisque quartinum debet episcopo: Ibidem, p. 366. Per la Sicilia il quartino, an- ziché la mina (cfr. la nota n. 112), potrebbe essere un errore o la memoria di un periodo più antico, prima dell’elevazione ad arcidiocesi.

117 Si sunt usque ad octo homines in unoquoque ligno, debent dare minam unam grani et,

si fuerint usque ad VIIII aut X aut XII (così per XI) usque in XII, debent minas II; a duodecim supra, quisque dat quartinum I: Ibidem, p. 10. Evidentemente questa riduzione della decima era dovuta alle minori dimensioni del lignum rispetto alla navis, alla quale pertanto soltanto i ligna con equipaggio superiore ai 12 uomini potevano essere equiparati. Infatti la suddetta ta- riffa è inserita nel caput de Calabria et Provincia, raggiungibili con il cabotaggio anche dai ligna minori, non così, generalmente, la Corsica e la Sardegna, per le quali si ricordano soltanto i ligna maggiori, perché, si de Sardinia vel de Corsica granum duxerit (un lignum), unusquisque det minam unam: Ibidem, p. 11. Tuttavia navis aveva anche un significato generico. Infatti nell’agosto del 1117, nella chiesa di San Lorenzo, in parlamento facto alla presenza dei boni ho- mines sotto indicati, i consoli Lanfranco Roza, Oberto Malusocellus, Lamberto Gezo e Oglerio Capra sentenziarono che le naves provenienti dal mercato di St-Raphaël o da Fréjus, in quibus habuerint usque ad octo homines, dessero per ognuna una mina di frumento al ve- scovo Ottone, al suo messo e ai suoi successori; le naves que habuerint usque ad duodecim homines dessero per ognuna due mine (quindi erano ligna piuttosto che naves); quelle que

gna o dalla Provenza, ogni uomo avrebbe pagato tre mine di sale nel primo