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L’organizzazione della curia di Molassana, la maggiore, era la stessa delle altre quattro, le differenze essendo da attribuire alla minore importanza e

all’ubicazione, che determinava anche la gestione economica. Le curie di

Nervi

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e di Sampierdarena

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, sul litorale, fornivano soprattutto vino, fichi,

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77 Sulla curia di Nervi cfr. R. PAVONI, Nervi cit., pp. 15, 16, 19, 21 e 22.

78 La curia di Sampierdarena comprendeva Granarolo e Begato: nel primo luogo percepiva

18 denari e una spalla de manentatico; nel secondo due spalle per la decima dal gastaldo: Il Registro cit., p. 49. Pertanto amministrava i beni arcivescovili nella Bassa Val Polcevera, sino all’inizio del territorio pertinente alla curia di Morego (cfr. la nota n. 80). È possibile che il centro curtense di Sampierdarena corrispondesse alla Cella seu Domocolta ricordata nel giugno del 969. Infatti a tale data, a Genova, Serra, badessa della basilica Sancti Stefani proto Christi Martiris, sita non longe a muro civitatis Ianua, pertinente de sub regimine et potestatem Episcopio eiusdem Sancte Ianuensis Ecclesie, per l’anima del proprio defunto marito Marino, donò alla medesima basilica, governata da un abate, tutta la propria parte dei beni, di sua proprietà e livellari, in locas et fundas Rivariole (Rivarolo) et in Mau- riade et in Campo Felegoso (Fregoso) et in Cella seu Domocolta et in Granariolo, tam casis, vineis, ca- stanetis, canetis, salectis aliisque arboribus fructiferis, campis, silvis et pasquis: Cartario Genovese cit., p. 15, n. VII. In tal caso la curia/domusculta si ubicherebbe presso la chiesa di Santa Maria della Cella, che è stata collegata al trasferimento delle reliquie di sant’Agostino e il 5 aprile 1799 divenne parroc- chia di Sampierdarena, sostituendo così l’antica pieve di San Martino, sita nell’odierna Piazza Pal- metta, più all’interno e vicino alla riva sinistra della Polcevera: A. e M. REMONDINI, Parrocchie

dell’Archidiocesi di Genova. Regione XV, Genova 1897, pp. 10-57; sul problema insoluto dell’identificazione di Santa Maria della Cella con la precedente chiesa di San Pietro de Arena e, soprattutto, con la chiesa fondata da Liutprando in onore di sant’Agostino, cfr. C. DI FABIO, Le reliquie di S. Agostino a Genova: dalle cronache altomedievali al formarsi di una tradizione, in «Romanobarbarica 3», a cura di B. LUISELLI e M. SIMONETTI, Roma 1978, pp. 39-61, e ID., Per la datazione della chiesa di Sant’Agostino della Cella a Sampierdarena, in «Atti della Società Ligure di Storia Patria», n.s., XX/2 (1979), pp. 121-133, nonché P. BAROZZI, Momenti di geografia storica genovese, Genova 2000 (DISSGELL, Pubblicazioni della Sezione di Scienze Geografiche dirette da M.P. ROTA), pp. 55-79, i quali hanno proposto varie ipotesi, non sempre attendibili; comun- que doveva esistere a Genova una chiesa di Sant’Agostino (cfr. le note nn. 278 e 280). Non si può escludere che Cella seu Domocolta fossero luoghi diversi: la prima sul litorale di Sampierda- rena; la seconda la Domusculta del Bisagno. Infatti dalla conferma del vescovo Giovanni all’abate Eriberto, nel giugno del 987, si ricava che la donazione di Serra/Sarra consisteva in rebus et familiis utriusque sexus seu mobilibus sive immobilibus, cum decimis et primitiis et oblationibus, allivellate alla donatrice per longa tempora dalla Chiesa genovese, tra le quali «petiam unam de terra que vocatur Vallis Brammosa, que est in territoriis Sancti Sili, scilicet Alpibus, sicut inde tenuit predicta Sarra per fines Vallis eidem, que est in Alpe Maxeria, coheret ei de subteriori ca- pite fossatum quod dicitur da la Vene, quod pergit iuxta pedem de Maxeria, de alio latere Costa Discola usque in Alpes, de superiore capite que nominantur Fosse, de alio latere ad Aqua Zole (l’Acquasola), iuxta terram predicti monasterii, et quicquid in Alpibus Sancti Sili vel territoriis habet vel deinceps ut diximus adquisierit (è incerto se Serra o il monastero), id est in pratis et sil- vis, in pascuis et herbis, in terris cultis et incultis, ficetis, castanetis, olivetis atque roboretis, salva tamen conditione potionis, scilicet sex fialas totidemque candelas in festivitate Natalis Domini et

olive, frutta, castagne, spalle

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, galline, polli e capponi, ma pochi porci, mon-

toni e agnelli. Invece Morego, nell’Alta Val Polcevera, dava porci, montoni e

agnelli, oltre naturalmente a spalle, castagne, vino, capponi, galline e polli

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.

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in sollempnitate Pasche», da corrispondere al vescovo di Genova in domo Sancti Laurentii: Cartario Genovese cit., p. 25, n. XIII. Da un livello stipulato nell’aprile del 1097 si apprende che l’Alpis Maxeria comprendeva il Monte Peralto e confinava inferiormente con il Fosatum de le Vene, qui pergit ad pedem Maxerie, superiormente con l’Alpis que nominatur Fosse, da un lato con la Costa Discola usque in Alpe, dall’altro con il pratum domnicatum usque in Costa Begadina (Begato), cosicché si trovava sullo spartiacque tra la Val Polcevera e la Val Bisagno (cfr. la nota n. 217). Pertanto l’Alpis Maxeria, che secondo la conferma del giugno 987 arriva- va fino all’Acquasola, si estendeva in Val Bisagno, poco sopra la Domusculta di San Vincenzo (cfr. le note nn. 60-62).

79 Tranne due casi, non si specifica di quale animale fossero le spalle, che spesso erano

valutate un soldo; pertanto dovevano essere di porco perché questo animale valeva quattro soldi, mentre il montone due soldi e l’agnello uno. Il 2 marzo 1149, nella camera dell’arci- vescovo, Gerardo di Morella (famulus e gastaldo della curia di Morego), figlio del fu Giovan- ni, chiese all’arcivescovo Siro di locare, titulo condicionis e per 29 anni, a lui e ai suoi eredi, tutto quanto, plenum et vacuum, aveva tenuto Giovanni di Leda (famulus della curia di More- go) nel locus ubi dicitur Morella, con parte del mulino del Serro, con l’obbligo di meliorare et colere, alla pensio annua, a Natale, di una spatula di porco. Testi prete Giovanni di San Donato, prete Gerardo, Ribaldo di Sestri (Levante) e Oberto diacono: Il Registro cit., pp. 337 e 338. Il contratto di locazione coloniaria concesso nel marzo del 1150 dall’arcivescovo Siro all’arciprete di Nervi prevedeva, tra le altre conditiones, anche due spalle di porco: R. PAVONI, Nervi cit., p. 15, nota n. 10. Tuttavia l’allevamento di questi animali a Nervi e a Sampierdarena era inferiore rispetto a Molassana, a Morego e a Graveglia. Talvolta è indicato il valore della spalla: nella curia di Molassana Giovanni di Chiusura e Buonmartino de Corsi davano, ognu- no, 12 denari per la spalla; nella curia di Nervi l’arcivescovo doveva percepire 12 denari per una spalla de Casali de Valle et Fabrica, un terzo dei quali (4 denari) era a carico della suddetta curia; nella curia di Sampierdarena il locus de Guasto dava due spalle o due soldi, una pro con- ditione et altera pro manentatico; nella curia di San Michele di Graveglia Lazetus doveva dare una spalla o 12 denari. Tale valutazione è confermata nella curia di Morego, ove Oberto Rufus dava una spalla di 12 denari; tuttavia, probabilmente per il modo disordinato con cui sono stati indicati i redditi di questa curia (cfr. la nota n. 90), vi compaiono anche altri valori: il manso de Cavanna dava tre denari per 3/4 di una spalla et pro circulis, nonché, in alia parte, sempre il suddetto manso de Cavanna, un denaro pro circulis e 1/4 di una spalla; il manso di Cunizza di Porcile dava un denaro e mezzo per la spalla e mezzo denaro pro circulis. Si tratta evidentemente del valore delle frazioni.

80 Morego è ubicato in una posizione strategica alla confluenza del Riccò e della Secca. Una

domusculta vescovile vi è attestata nel maggio del 1060 o del 1061 (cfr. la nota n. 60). Sulla base dei luoghi identificati, ove nella prima metà del XII secolo erano sue pertinenze, la curia ammini- strava il territorio a sinistra del Riccò fino allo spartiacque della Val Polcevera, comprendendo Sant’Olcese, Porcile, Cavanna, Vallecalda e Magnerri, nonché sulla destra il Serro, Ponte (Deci- mo) e Morella (tra il Rio Molinassi e il Rio di Grava): Il Registro cit., pp. 44-48. L’estensione sulla

La curia di San Michele di Graveglia, già attestata come domusculta nel-