• Non ci sono risultati.

Capitolo I La fortuna della novella

I. Il dominio delle passioni

La varietà di novelle tragiche raccolte dall’autore ha un obiettivo comune: quello di indagare le cause e le conseguenze dei comportamenti che deviano dalla norma sconvolgendo la quotidianità. Le motivazioni dell’agire umano possono essere attribuite al fattore esterno della fortuna oppure a quello interno delle passioni, che in Bandello «hanno quasi la funzione che nell’antichità aveva avuto il fato, arbitro della vita umana: qualcosa che s’impadronisce dell’uomo il quale, pur avendo i mezzi per guardarsene, non riesce a resistere»56. È significativa in questo senso la novella del Cavaliere Spada (I.51), in cui l’autore affronta il tema, ricorrente nella raccolta, dell’«abominevol morbo» della gelosia57, motore di un

52 LOI 2017:103-104.

53 Delle quattro attestazioni del termine solo una coincide con senso medievale di genere stilistico

alto (IV.25), le altre tre sottintendono il senso moderno di fatto di cronaca nera, si tratta delle novelle di Giovan Maria Visconti (III.25), della famosa novella del frate già narrata da Margherita di Navarra (II.24) e di quella di Didaco e Violante (I.42). LUCAS FIORATO 2007:191-193.

54 Cfr. FIORATO 1985.

55 Quest’ultimo è rappresentato dalla descrizione di grandi personalità perverse in toni non orrorosi,

come la Contessa di Cellant (I.4) e Pia de’ Tolomei (I.12) o da eventi al limite dell’incredibile, ad esempio la storia degli amanti morti fulminati (I.14). MENETTI 2007:77.

56 POZZI 2007:29.

57 Si tratta di uno dei temi più trattati da Bandello, con risoluzione positiva nelle novelle comiche

(mariti beffati) e con esiti nefasti in quelle tragiche – oltre a quella analizzata si pensi alla terribile I.59 in cui «uno divenuto geloso de la moglie credendo quella con l’adultero ammazzare, una sua

31 caso «fuor de l’ordinario» svoltosi nel medesimo luogo in cui viene narrato, la Mantova di Isabella d’Este. Il protagonista è un soldato «albanese, uomo tra la nazion sua assai stimato», che si innamora follemente della bella vedova Regina, con cui convola a nozze. Dopo il matrimonio il marito viene tormentato dalla sua innata gelosia, sia per il retaggio della sua cultura («io non credo che sia nazione al mondo più sospettosa de l’albanese»), che per un eccesso di «umor malinconico», acuito dalla morte del signore presso cui aveva prestato servizio, Gian Giacomo Trivulzio. La tragedia si consuma con estrema rapidità: una notte Regina tenta di consolare il marito, preda dell’«umor fantastico», assicurandogli che il suo amore è tale che «se per caso egli morisse, che a lui sovraviver non vorria, anzi vorrebbe ella prima morire che vedersi questo cordoglio de la morte di lui»; queste parole vengono prese alla lettera dal «crudele ed inumano albanese», il quale si concede un’ultima notte d’amore con la moglie prima di pugnalarla e suicidarsi immediatamente dopo. Alla scoperta dei corpi e al racconto dell’accaduto da parte di Regina in punto di morte, segue una riflessione della narratrice, Giovanna Trotti:

Egli non l’amava. Il perché potrassi senza bugia dire che non era amore ma furore, non benevoglienza coniugale ma rabbia strana e barbara. Così guardi Iddio tutte le donne generalmente da le mani di questi mariti maledetti e bestiali, perciò che queste così fatte gelosie a la fine riescono in estreme pazzie, come per quello che da me è stato detto di leggero potete aver compreso. Onde io sarei d’openione che fosse men male ad ogni donna d’ingegno capitar a le mani d’un pazzo che d’un geloso, imperò che i pazzi come sono per pazzi conosciuti, si può a le lor pazzie facilmente provedere, e tenendogli in casa in una camera legati, come fanciulli governargli. Ma al mal de la gelosia né Galeno né Ippocrate né quanti mai medici furono, hanno ancor saputo ritrovar rimedio alcuno. E credo che solamente la morte sia la vera medicina del geloso58.

La gentildonna pare concordare con la posizione espressa da Lodovico Misono nella novella II.25: «saper devete che in quei cori ove gelosia s’annida non può in modo alcuno vero amore albergare, perciò che non può con effetto durar

figliuolina uccide», oppure ad altri casi di gelosia ingiustificata come nella I.20, in cui Galeazzo uccide improvvisamente l’amata Lucrezia senza motivo apparente.

32 amore ove egli non ritruovi cibo convenevole per nodrirsi»59. La definizione proposta dal filosofo è vicina a quella affidata da Mario Equicola al suo Libro de

natura de amore (1525)60, opera certamente nota a Bandello, che ne utilizza alcuni spunti nella raccolta pur senza citarlo direttamente, come avviene anche per El libro

dell’Amore di Marsilio Ficino. Le teorie ficiniane sono chiaramente rintracciabili

nel piccolo trattato sulla teoria degli umori riportato nella dedicatoria della novella II.4761: l’autore dimostra come l’uomo sia soggetto agli influssi degli astri e del proprio temperamento, tuttavia, ricorda anche che, come sostenuto da Tolomeo, riletto attraverso Pontano, «il savio può schifare molti influssi de le stelle, quando egli conosce la natura di quelle, e, prima che l’effetto de l’influsso loro segua, si prepara se stesso a vincerle»62. Stabiliti questi presupposti, Bandello illustra le inclinazioni amorose di soggetti di diversa natura – flemmatici, malinconici, sanguigni, collerici – e le possibili combinazioni tra amanti di temperamento diverso.

La trattatistica medica e comportamentale cinquecentesca è un importante punto di riferimento per cercare di comprendere la visione bandelliana della morale, spesso lontana da quella che ci si aspetterebbe da un frate domenicano. Un punto particolarmente scottante in questo senso riguarda l’adulterio, soprattutto quello femminile. Paola Ugolini ha notato come nella maggior parte dei casi Bandello segua lo schema della beffa per motivi negativi che Cesare Segre ha individuato per la VII giornata del Decameron63: ciò implica che le mogli sono spinte al tradimento dall’insoddisfazione sessuale, imputata – salvo in alcuni casi patologici specifici di cui si parlerà più avanti – ai mariti. La natura ipersessuata delle donne era stata oggetto del dibattito medico coevo, ma la posizione di Bandello rimanda a quella di Equicola:

59 Si tratta dell’«accomodato discorso» sulla gelosia che costituisce l’introduzione a una breve

novella tragica. N, II.25.

60 Non a caso il «dotto e facondissimo messer Mario Equicola» è citato tra i testimoni che «facciano

indubitamente fede» al caso del cavaliere Spada nella lettera dedicatoria.

61 Cfr. MENETTI 2005:167-170. Ma si veda anche la sezione Causa che inclina ad amare più una

persona che un’altra nel Libro de natura de amore. EQUICOLA 2018:415-437.

62 N, II.47 dedica. Cfr. «quanto alla inclinazione che dal primo nascimento si ha dal cielo. Questa

potenzia si può con ragione vincere. E chi è più de ragione capace e participe, meglio la vince». EQUICOLA 2018:431.

33

Laudaria l’abstinenza e castità, como è sempre in ogni età laudabile e cosa sanctissima. Ma scrivendo non posso dire se non quel che ‘l loco richiede. E così dico che, per l’abstinenzia e retenzione troppa, se genera mestizia e infermità. […] Filosofi dicono alle donne venire molti accidenti se, quando la lor parte genitale desidera concepere, non hanno esse donne lor intento. Dicono obfuscare li sensi e tutto ‘l corpo corromperse64.

Nelle Novelle viene lodata la castità – si pensi ai casi di Giulia da Gazuolo (I.8) e Giannichetta (II.26), solo per citare alcuni esempi femminili di pudicizia – ma l’autore sembra concedere un sorriso di comprensione alle astute donne malmaritate che, costrette dalla necessità, escogitano scaltri espedienti per appagare il proprio desiderio sessuale – è il caso di novelle come quella di Cocco e Domicilla (I.40) o Cornelio e Camilla (I.28). La contraddizione può essere sciolta se si intende l’onore nella sua accezione pubblica, infatti, l’adulterio dal punto di vista sociale esiste solo quando diventa di pubblico dominio65, dunque la discrezione diventa un punto centrale nella gestione di una liaison: nelle novelle più schiettamente comiche questa è garantita dall’astuzia delle protagoniste, in altri casi dall’accortezza dei personaggi coinvolti. Esemplari in questo senso sono i comportamenti dei protagonisti delle novelle I.11 e IV.25: la prima è preceduta da una dedicatoria in cui vengono riportati diversi aneddoti sul comportamento degli uomini alla scoperta di un tradimento da parte della moglie, mentre nella novella vera e propria si racconta della discrezione di un senatore che, sorpresa la consorte a letto con l’amante, «fa l’adultero fuggire e salva il suo onore insieme con quello de la moglie»; nel finale il narratore loda il comportamento del protagonista, la cui razionalità è esaltata a scapito degli esempi narrati nella dedicatoria66.

La seconda novella, invece, propone un modello femminile: l’anonima protagonista è una vedova milanese che non «si volendo rimaritare, né possendo contenersi» escogita un astuto stratagemma per godere dell’uomo di cui si è

64 EQUICOLA 2018:410. 65 DI BLASI 1982: 145.

66 «Ora non vi pare egli, signori miei, che questo consigliero meglio si consigliasse che non si

consegliò messer Bernardino Busto od il melenso mantovano?». Il primo, come Bandello ricorda nell’epistola, aveva sorpreso la moglie a letto con l’amante e «ancor che la neve fosse alta in terra, aveva mandata via la moglie scalza con una camiscia sola in dosso», mentre il secondo, trovatosi nella medesima situazione, si era rivolto al marchese Federico Gonzaga, la cui risposta è riportata in discorso diretto: «Becco cornuto, se tu hai ardire di torcer un pelo né a tua moglie né a colui che è seco, io ti farò impiccare. Ben ti giuro, se subito che gli trovasti insieme tu gli avessi uccisi, io te l’averei perdonato. Va e lascia partir colui liberamente». N, I.11.

34 innamorata. Il problema della condizione vedovile era molto sentito: il rimaritarsi è guardato con diffidenza dalle stesse donne, come dimostrano gli esempi di Regina, che accetta di sposare il cavaliere Spada solo grazie alla mediazione del fratello, e quello di Madonna Zilia (III.17), solo per citarne alcuni dei più noti. Istituire un confronto tra quest’ultima e la vedova milanese è utile a sottolineare la mondanità della morale bandelliana. Entrambe le novelle si aprono con una descrizione delle protagoniste:

In Moncalieri, castello non molto lontano da Turino, fu una vedova chiamata madonna Zilia Duca, a cui poco innanzi era morto il marito, ed ella era giovane di ventiquattro anni, assai bella, ma di costumi ruvidi e che più tosto tenevano del contadinesco che del civile. Onde avendo deliberato di più non maritarsi, attendeva a far de la roba ad un figliuoletto che aveva, senza più, che era di tre in quattro anni. Viveva in casa non da gentildonna par sua ma da povera femina, e faceva tutti gli uffici vili di casa per risparmiare e tener meno fantesche che poteva. Ella di rado si lasciava vedere, e le feste la matina a buon’ora andava a la prima messa ad una chiesetta a la casa sua vicina, e subito ritornava a la sua stanza.

Passando io per Milano, signori miei, intesi da uno amico mio come poco innanzi vi fu e ancora vi era una gentildonna vedova, la quale, essendo forte giovane, ricchissima e molto bella, deliberò più non si rimaritare, ancora che non passasse ventidui anni. Aveva ella uno picciolo figliuolino in culla, che non era ancora uno anno che al marito partorito avea. E venendo il marito a morte, fece il suo testamento, lasciando il figliuolo erede universale. A la moglie accrebbe di dote cinque millia ducati, lasciandola, come dicono essi lombardi, donna e madonna del tutto, senza essere ubligata a rendere conto de l’amministrazione, eccetto che non voleva che potesse alienare beni immobili né per vendita né per pegno. Rimasa adunque vedova, attendeva a governare il suo figliuolino. Dimorava ella in uno soperbo palazzo, tanto bene fornito di bellissimi razzi e alessandrini tapeti e di ricchi e vaghi fornimenti di letti, quanto altro che in Milano ci fosse. […] e ben che non tenesse tanta famiglia e servitori quanti ci erano vivendo il marito, non di meno aveva molti che la servivano, […] così quietamente con grande onestà se ne viveva, né troppo pratticava con parenti, e meno con altri, facendo vita solitaria, con fermo proposito di più non si legare a nodo maritale67.

L’ambientazione campagnola della prima novella influenza il carattere di Zilia, connotato da un’avara rusticità che si rifletterà nello sdegnoso trattamento del

35 suo corteggiatore, messer Filiberto da Virle; il raffinato sfondo milanese, invece, si addice alla protagonista del secondo racconto, emblema delle virtù della gentildonna «saggia e molto prudente»: in effetti tutta la novella è costruita sulla correlazione fra la protagonista e gli interni del suo palazzo, come se lo splendore del secondo preannunciasse e testimoniasse le qualità della prima68. Bandello propone due versioni del personaggio della vedova che si possono riallacciare ai precetti proposti da Gian Giorgio Trissino nell’epistola a Margherita Pio Sanseverino69. Nel manuale del letterato un comportamento come quello di Zilia è condannato su diversi piani:

Vero è che in questo bisogna usare prudentia molta et haver cura che cerchiamo le cose buone, non si lasciamo ingannare ne le cattive; che molte donne, per serbare la loro honestà e dimostrare che così facciano ad ogniuno, non vogliono pur guardar altrui, non che parlare con homo che meno che strettissimo parente le sia; e molte altre simile cose fanno per le quali divengono melense. Né sanno poi ragionare d’altro se non quante fusa di filo vadano in una matassa, o quanti caldai d’acqua e quante staja di cenere vogliano ad un bucato o di simili cose, le quali, a mio parere, s’appartengono più a fante et a povera feminuccia che a donna a cui si sia il governo di alcuna famiglia commesso. Altre poi, per mostrare se essere molto divote e date a lo spirito, vanno col capo torto e con le labbra chiuse e stanno a tutti gli officii de le chiesie e sempre per casa dicono pater nostri et altre simili cose fanno, per le quali incorreno ne vitio della Hypocrisia. E però, come ho detto, bisogna havere somma prudentia e considerare che gli è ottima cosa lo havere in ogni sua operatione misura70.

L’avarizia, l’ostentata devozione, l’eccessiva ritrosia nei rapporti sociali non sono fattori che depongono a favore della gentildonna, anzi, la porteranno infine a subire la beffa dell’uomo che l’aveva a lungo amata. Dal punto di vista di Trissino la vedovella milanese sarebbe da condannare quanto la sua controparte di campagna: se è vero che ottempera ai requisiti sociali definiti dallo scrittore per quanto riguarda abbigliamento, cura della casa, rapporti sociali, va però a tradire il

68 La correlazione tra le due è particolarmente evidente nel primo incontro tra la vedova e il suo

amante, in cui l’autore si sofferma lungamente sulla descrizione della stanza riccamente decorata e sul nudo muliebre.

69 TRISSINO 1524. Margherita è la sorella della più nota Emilia di Montefeltro, protagonista del

Cortegiano e dedicataria della novella I.33.

36 principio per cui il comportamento pubblico deve rispecchiare quello privato71. Ci troviamo di fronte al classico esempio di ambiguità morale: nella difesa della sua castità Zilia è definita «dura e crudelissima», poiché non si conforma alle regole dell’amor fino, mentre l’astuzia della vedovella, che coltiva un legame amoroso fuori dal vincolo del matrimonio, è lodata in nome delle esigenze del corpo e della morale mondana.

Se nelle novelle a lieto fine l’adulterio è concesso nello spazio segreto della propria sfera personale, al contrario in quelle tragiche l’atto infamante viene scoperto, pubblicamente divulgato e i colpevoli incorrono in una punizione. In molti casi il castigo inflitto agli adulteri viene giudicato con severità dal narratore: come ricordato nella novella del senatore, l’uomo deve agire in base alla ragione, il farsi trascinare dai propri istinti non porta che distruzione, sia quando si tratta d’amore che quando è in gioco l’ira. Nella dedica alla novella I.55 l’autore condanna gli «strabocchevoli casi che per l’irregolato amore occorreno e [gli] errori che gli uomini accecati da la pungente passione de l’ira commettono». Tra questi si colloca il macabro racconto che segue, in cui la scoperta del tradimento della moglie da parte di un castellano provoca una lunga catena di morti atroci. È interessante notare come il marito sia in questo caso esplicitamente condannato, mentre in altri la punizione, per quanto crudele, non viene biasimata apertamente. Si pensi a novelle come la II.12 o la III.59: nella prima un gentiluomo piemontese trova la moglie a letto con un suo vassallo, le fa impiccare l’amante e la rinchiude nella torre con il cadavere; nella seconda il conte Filippo sorprende la consorte con uno dei suoi arcieri, fa uccidere immediatamente il servitore mentre alla moglie vengono inflitte diverse torture prima di farla ammazzare e gettare il suo corpo nel Po. In entrambi i casi i mariti non incorrono apertamente nella riprovazione del narratore, anzi, nella dedicatoria che precede la novella II.12 vengono biasimati gli «sciocchi innamorati» che cedono alle «grandi e perigliose passioni de l’amore», nonostante «tutti gli scrittori con molte ragioni mostrino quanti mali ne seguano, si vede molto meglio tutto il dì per i varii effetti di morti ed altri danni che ci nascono»72. La

71 «non fate cosa alcuna celata, la quale non possa essere a tutti, senza arrossirvi, palese. E pensate

che se ben a le genti sarà nascosta, non sia però ch’ella non sia et a Dio et a la conscientia vostra manifesta, de la quale voi ne devete havere grandissima vergogna, che a un cuor gentile (come dice il Petrarcha) basta ben tanto». IVI: C recto.

37 motivazione sottesa alla differenza di trattamento dei protagonisti delle novelle è legata sia alla morte di vittime innocenti, sia all’appartenenza sociale: il conte e il gentiluomo hanno a che vedere con rivali di rango inferiore al proprio, mentre il castellano non solo si trova a competere con il suo signore, ma tenta addirittura di sovvertire l’ordine fomentando una rivolta tra i cittadini di Nocera73.

Il pregiudizio di casta nelle Novelle ha un peso particolare: generalmente oltrepassare i confini sociali ha sempre conseguenze nefaste, soprattutto nell’ambito matrimoniale. Quello delle unioni socialmente sbilanciate è un tema molto diffuso nella raccolta – si vedrà l’importanza che ricoprirà sia nel caso della Contessa di Cellant che in quello della duchessa di Amalfi – e, anche se i personaggi che li contraggono possono essere giudicati in modo diverso, i risultati sono sempre negativi. Il caso più noto è certamente quello della novella I.42 in cui il nobile Didaco Centiglia sposa in segreto Violante, bella ma umile figlia di un orefice, per poi prendere in moglie pubblicamente una donna di alto rango; venuta a conoscenza dell’accaduto, Violante decide di vendicarsi infierendo sul corpo del marito prima di ucciderlo. La descrizione della tortura inflitta dalla fanciulla allo sposo infedele rientra nei pezzi più macabri della raccolta: il rituale di progressiva distruzione degli epicentri passionali richiama atmosfere infernali e si rifà alla tradizione omiletica medievale74, ma il giudizio riservato da Bandello alla protagonista è decisamente positivo, condiviso anche dai personaggi della novella che mostrano la propria ammirazione nel vedere Violante morire serenamente dopo aver riscattato il proprio onore.

La tragedia appare inevitabile anche quando l’unione socialmente sbilanciata – che include non solo la disparità di nascita ma anche le differenze di censo – è giudicata in modo positivo: è il caso della Dama del Verziero (IV.5). In questa novella la protagonista, nipote del Duca di Borgogna, sposa di nascosto Carlo,

73 Entrambe le ipotesi sarebbero confermate dal confronto con la novella I.59, in cui il marito che

uccide per sbaglio la propria figlia credendo di ammazzare la moglie adultera con l’amante è un uomo di bassa condizione che compete addirittura con «un signore di Gonzaga, di quelli, dico, che sono de la casa marchionale». Anche in questo caso la condanna verso il marito cornuto è molto chiara e posta in apertura della novella: «È la gelosia un male o sia vizio meritamente biasimevole molto, e che deverebbe ciascuno che abbia sal in zucca di continovo fuggire. Quando il marito

Documenti correlati