• Non ci sono risultati.

I Il palazzo e il palcoscenico

Capitolo II La traduzione

I. I Il palazzo e il palcoscenico

La caratteristica più evidente di ogni riscrittura delle Novelle di Bandello è la scomparsa della veste paratestuale che aveva garantito l’unità della raccolta: alla serie di epistole dedicatorie vengono sostituiti dei sensi morali e sommaires, mentre Painter non si riserva uno spazio introduttivo specifico, decidendo di volta in volta come utilizzare l’incipit dei racconti. Diversi studiosi hanno sottolineato come l’eliminazione della cornice abbia come maggiore conseguenza la divergenza nell’interpretazione morale, un’implicazione importante che meriterà un discorso a parte, ma non l’unica.

Una delle caratteristiche peculiari della raccolta di Bandello è la finzione di oralità creata dal dittico epistola-novella. Nelle lettere l’autore specifica il contesto in cui la storia è stata raccontata, l’identità del narratore e del suo pubblico e la propria volontà di donare la novella trascritta al dedicatario di turno; nel passaggio dal corsivo dell’epistola al tondo del racconto è presente una zona grigia in cui vengono ripresi frammenti di conversazione306, per cui il carattere originariamente parlato della novella lascia delle tracce evidenti nel momento della trascrizione. Il curatore italiano e i traduttori europei espungono le lettere introduttive, recuperandone a volte dei passaggi da inserire nel corpo dei racconti, e operano una rimozione, o rifunzionalizzazione, dei residui di conversazione nel corso della narrazione. Gli interventi più evidenti si collocano negli incipit ed explicit, come già osservato nei casi delle novelle di Faustina e di Ariabarzane307, spazi che risultano particolarmente significativi nel Palace, visto che il suo autore sceglie un’introduzione generale per i racconti ma nessuna premessa singola. Esaminiamo l’apertura della novella dell’adultera di Torino (II.12):

306 BRUSCAGLI 1982:84. 307 Cfr. supra.

105 Avete veduto, valoroso signore, esser quasi

general costume di tutti i gentiluomini nostri di Piemonte lasciar le cittá e le grosse terre ed abitar a le lor castella di che il paese è molto pieno, perciò che pochi gentiluomini vi si trovano che non abbiano o in campagna o per questi fruttiferi colli e ne l’amenissime ed abbondanti valli che molte ci sono, qualche castello. E se voi, signor mio, fossi venuto in questo paese prima che la guerra si facesse, avereste veduto tanta nobiltá e tanti bei luoghi e tanta fertilitá ed abbondanza e delicatezza del vivere, che forse forse in tutta Italia non è contrada che sormonti questa parte. Taccio la domestichezza del conversar insieme e le tante cortesie che in tutti i luoghi di Piemonte ai forestieri s’usavano, che certo era cosa mirabile a vedere. Ora la guerra ha guasto il tutto, e tutte le belle e buone consuetudini si son poste da canto. Si spera perciò che tra il gran re cristianissimo e monsignor il duca di Savoia debbia succeder buona pace, il che seguendo, potrebbe anco tornar il nostro paese com’era prima.

Ora per dir quanto di narrarvi ho promesso, dico che nel tempo che madama Margarita d’Austria figliuola di Massimigliano Cesare venne in Savoia a marito, fu in una parte di

THE auncient and generall custome of the gentlemen, and gentlewomen of Piedmonte, was daily to abandon famous cities and murmures of common wealthes to retire to their Castels in the countrie, and other places of pleasure, of purpose to beguile the troublesome turmoyles of life, with greatest rest and contentation. The troubles and griefes wherof they do feele, that intermedle with businesse of common wealth, which was with great care obserued before the warres had preposterated the order of auncient gouernement, til which time a harde matter it had ben to finde an idle gentleman in a hole citie. Who rather did resort to their countrie houses with their families, which were so well gouerned and furnished, that you should haue departed so well satisfied and instructed, from a simple gentleman’s house as you should haue doen from a great citie, were it neuer so wel ruled by some wife and prouident Senatour. But sithens the world began to waxe olde, it is come again to very infancie, in suche sorte that the greatest nomber of cities are not peopled in these dayes but with a many of Carpet Squiers, that make their refiance and abode there, not to profite, but to continew their delicate life, and they do not onely corrupt themselues, but (which is worse) they infecte them that keepe them companie, whiche I will discourse somewhat more at large, for so much as the gentlewoman, of whome I describe this historie, was brought vp al the time of her youth, in one of the finest and most delicate cities of Piedmonte. And feeling as yet some sparke of her former bringing vp, she could not be reformed (being in the countrie with her husbande) but that in the ende she fill into great reproche and shame, as you shall vnderstande by the content of that whiche foloweth. In the time that Madame Margaret of Austriche, doughter of Maximilian the Emperour, went in progresse into Sauoie, towardes her husbande: there was a great Lorde, a valiaunt and courteous gentleman, in a

106 Piemonte un nobile e valoroso gentiluomo il

cui nome mi taccio.

certaine countrie of Piedmonte, whose name I

will not disclose aswell for the reuerence of his nerest kynne, which doe yet liue, as for the

immoderate cruell punishemente, that he deuised towards his wife308.

Nella dedicatoria Bandello parla di una storia «che in queste contrade avvenne», narrata da «messer Gian Antonio Gribaldo Muffa gentiluomo di Chieri, essendo in Pinarolo, a la presenza de l’illustrissimo signor Cesare Fregoso […] e di molti altri signori e capitani»309 per testimoniare il pericolo delle passioni, mentre la novella comincia con una descrizione del luogo in cui la storia è narrata e ambientata. Nell’edizione milanese Centorio antepone al racconto un «senso morale» che condanna l’adulterio femminile, come Boaistuau nel sommaire della sua traduzione, ed elimina completamente tutta la parte iniziale della novella310, mentre nella versione francese seguita da Painter l’incipit viene recuperato. La nota storica, che nell’originale contrappone una condizione passata ideale al presente tumultuoso ed esprime la speranza del ritorno della pace311, viene rifunzionalizzata come causa principale della corruzione della protagonista della novella. I traduttori utilizzano il testo bandelliano per dare forza alle proprie posizioni: lo scopo è l’insegnamento morale e nell’apertura viene sottolineata non solo l’importanza dell’educazione delle fanciulle, ma anche il valore esemplare di una vicenda realmente accaduta. Significativa in questo senso è la traduzione del minuto intervento del narratore («un nobile e valoroso gentiluomo il cui nome mi taccio»), espunto da Centorio, ma ripreso con aggiunta di giustificazione tanto da Boaistuau quanto da Painter per evidenziare la veridicità del racconto312.

308 N, II.12; PP, I.43. 309 N, II.12 dedicatoria.

310 «Certamente veruno supplicio per grave che imaginar si possa, potrebbe purgare quel tanto

horrendo fallo, che si commette contra il candore della fede, che per le donne nell’atto del matrimonio a’ mariti si dona; né pena per atroce che sia sarebbe bastevole a scancellare il demerito, in che per violare l’istesso honore s’incorre» NC, II.6; cfr. «La plus grande, cruelle et atroce injurie que peut recevoir l’homme bien né et nourry en vertu es celle qui se commet en l’honneur de sa femme». HT, 4.

311 Novella e dedicatoria sono ambientate nel periodo della Guerra di Piemonte (1536-1538). 312 L’apertura della novella II.6 dell’edizione milanese recita: «Nel tempo che madama Margarita

d’Austria, figliuola di Massimigliano Cesare, venne in Savoia à marito, fu in una parte del Piemonte un nobile e valoroso gentilhuomo, il quale castella e vassalli haveva sotto di se». Boaistuau viene fedelmente tradotto da Painter: «duquel je tairay le nom, tant pour la reverence de ses plus proches

107 Il caso appena citato testimonia una forma di appropriazione delle parole del narratore italiano da parte del traduttore inglese, mediato attraverso la versione francese. Esaminando l’apertura delle storie tradotte direttamente dall’originale italiano si possono osservare ulteriori esempi di riutilizzo o eliminazione dei residui di oralità degli incipit. Nella dedicatoria della novella I.56 Bandello presenta il narratore, «il gentilissimo messer Galeazzo Valle vicentino, uomo che in Levante per quei mari lungamente ha navicato, e suole spesso cantando a l’improviso ne la lira dar agli ascoltanti grandissimo piacere con le sue belle invenzioni in diverse rime»313. Nel palazzo di Aloise Foscari l’autore ascolta la novella che viene trascritta e donata a Marcantonio Bandello, con la speranza che «voi ne farete copia ai nostri communi parenti»314. Analizziamo ora le aperture dell’originale italiano e della traduzione inglese:

S’io mi metterò a narrarvi le cose da me vedute nel tempo che io ho navigato per i mari di Levante, e voi averete assai che fare a prestarmi sí lungamente l’orecchie ed io in cicalare non saperei cosí di leggero ridurmi al fine, perciò che nel vero ho veduto ed udito assai cose degne per molte lor qualitá d’esser raccontate. Tuttavia poi che me lo comandate, io alcune ne dirò.

BANDELLO amonges the company of hys Nouels, telleth this history: and in his own person speaketh these words. If I should begin to tell those things which I saw in the tyme that I sayled alongs the Leuant seas, very tedious it would be for you to heare, and I in reporting could not tell which way to ende, bicause I saw and heard thynges ryght worthy to bee remembred. Notwythstandinge, for satisfaction of dyuers that be my frendes, I will not sticke to reherse some of them315.

Painter non sembra consapevole della mancata coincidenza fra autore e narratore nelle Novelle, dunque attribuisce a Bandello anche il secondo ruolo e utilizza la premessa iniziale come escamotage per tradurre letteralmente la novella, mantenendo la prima persona. Potrebbe trattarsi di un errore di distrazione – nella lettera dedicatoria ricorre più volte il cognome Bandello – ma anche di un’operazione consapevole, dato che il nome dell’autore doveva risultare certamente più famigliare e autorevole ai lettori inglesi di quello di uno sconosciuto parens qui vivent encor’ pour le jourd’huy que pour la trop severe justice de laquelle il usa envers sa femme». HT, 4.

313 N, I.56 dedicatoria. 314 IBIDEM.

108 gentiluomo italiano. Un’altra ipotesi potrebbe essere l’utilizzo dell’edizione milanese come testo di riferimento: in questo caso Centorio elimina soltanto la lettera dedicatoria e mantiene il racconto in prima persona, favorendo quindi l’impressione che la voce narrante appartenga a Bandello; tuttavia, il verbo

speaketh rimanda alla finzione di oralità tipica della prima edizione delle Novelle,

ma completamente assente nella seconda, segnando un altro punto a favore dell’utilizzo della stampa lucchese.

Il passaggio dalla dimensione dell’ascolto a quella della lettura è particolarmente sentito nella traduzione della novella di Aristotimo (III.5), di cui riporto l’incipit bandelliano:

La crudeltá del perfidissimo Ecelino m’ha ridutto a memoria una istoria non meno memorabile che pietosa, la quale l’anno dopo la giornata di Giaradadda io lessi in casa del dotto ed integerrimo uomo messer Giacomo Antiquario. Aveva poco innanzi il gentilissimo e di tutte le lingue benemerito messer Aldo Manuzio donato ad esso Antiquario alcuni libri di Plutarco cheroneo non ancora tradotti ne la lingua romana, come ora molti e in latino e in volgare tradotti dal greco si leggono. Lessi adunque in detto libro greco, – in quello, dico, ove Plutarco parla di molte chiare ed eccellenti donne, – l’istoria che ora intendo narrarvi. Fu Aristotimo di natura sua uomo fero ed immanissimo, il quale col favore del re Antigono si fece tiranno degli eliensi nel Peloponesso, che oggi Morea si chiama, regione de l’Acaia316.

Le parole del narratore si riallacciano a quanto l’autore aveva evocato descrittivamente nella dedicatoria: nell’«amenissimo giardino» degli Atellano si ricordano gli orrori commessi da Ezzelino da Romano e tale «fiero ragionamento» porta a discutere «de le condizioni che un prencipe, […] si deveria sforzar d’avere» per fuggire il nome di tiranno; in questo contesto si colloca la novella di Tommaso Maino, che nell’incipit ricorda non solo la fonte classica della vicenda, ma anche l’occasione in cui egli stesso ha potuto leggerla. Tra dedicatoria e apertura si dispiega il mondo di Bandello, popolato da signori, letterati e cortigiani intenti a scambiarsi opinioni e storie su tematiche di interesse contemporaneo; se la dimensione conversativa viene completamente eliminata nell’edizione milanese, il tema del cattivo governo viene invece portato in primo piano. Il «senso morale»

109 anteposto da Centorio si apre con una massima contro i tiranni che riprende l’enunciazione delle virtù del buon governante317 della dedicatoria bandelliana e prosegue spiegando l’insegnamento da trarre dai vari passaggi della novella:

Per Aristotimo […], mostrasi quale è la natura de’ tiranni tal’esserla qualità di quei che lo seguono. […] Per il rubamento che si fa delle robbe delle donne Eliensi […] si descrive l’efferata e ingorda voglia d’un tiranno […]. Per il prodigio dell’aquila […], fassi vedere quanto l’empia e malvagia vita d’un huomo rio s’abborrischi non solo dal cielo ma anchora dalla terra istessa […]318.

Conclusa la premessa, il curatore passa direttamente al racconto, eliminando il preambolo sulla fonte della storia e il riferimento a Ezzelino319. L’incipit di Painter è ancora diverso: il traduttore modifica pesantemente il titolo della novella, anticipando la materia e la scansione del racconto320, mentre nell’apertura propone un confronto con la storia immediatamente precedente:

YOU haue heard, or as it were in a manner, you haue beeholden the right images and courteous conditions of two well conditioned persons mutually ech towards other obserued: in the one a Princely mind towards a Noble Gentleman his subiecte: in the other a duetieful obedience of a louing vassal to his soueraigne Lord and Maister: in both of them the true figure of Liberality in liuely orient colours described. Now a contrary plotte, grounded 317 «de le condizioni che un buon prencipe, che desideri fuggir il nome del tiranno e farsi piú tosto

dai popoli suoi amare che temere, si deveria sforzar d’aver e metterle in essecuzione, perciò che la maggior fortezza e ricchezza che possa dar speme al prencipe di qual si sia stato o regno deve esser senza dubio l’amore, se crede mantenersi contra i nemici suoi. Ché come il popolo ama il suo signore, può bene egli esser sicuro che quello gli sará fedele e mai non appetirá di cangiar padrone». N, III.5 dedicatoria. Cfr: «Se i tiranni pensassero a quello infelice fine che può loro per causa de’ suoi crudeli misfatti succedere, forse che non commetterebbono quelle tante sì strane e sì horrende sceleratezze, che di giorno in giorno commettendo vanno; anzi s’isforzarebbono più che non fanno a mantenersi i sudditi amici e benevoli, non ritruovandosi nel mondo nome niuno più di quello de’ tiranni odioso et essecrabile, contra di cui per la loro malvagia vita s’erge il cielo e la terra con tutti gli elementi insieme, onde si può veramente chiamare misera e mendica la loro conditione» NC, III.3.

318 NC, III.3.

319 L’attacco dell’edizione milanese è direttamente: «Fu Aristotimo di natura sua huomo fero e

immanissimo, il quale col favore del re Antigono si fece tiranno de gli Eliensi nel Peloponesso, che hoggi Morea si chiama, regione dell’Achaia». IBIDEM.

320 Il breve titolo bandelliano – Bellissima vendetta fatta dagli eliensi contra Aristotimo crudelissimo

tiranno e la morte di quello, con altri accidenti – diventa: Lvcivs one of the garde to Aristotimvs the Tyrant of the cittye of Elis, fell in loue with a fayre mayden called Micca, the daughter of one Philodemvs, and his cruelty done vpon her. The stoutnesse also of a noble matron named Megistona in defence of hir husbande and the common wealth from the tyranny of the said Aristotimvs: and of other actes done by the subiectes vppon that Tyrant.

110

vpon extreame tiranny, is offred to the viewe, done by one Aristotimus and his clawbacks againste his humble subiects of the City of Elis, standyng in Peloponessus, a country of Achaia (which at this tyme we cal Morea)321.

All’esempio positivo costituito dallo scambio di cortesie fra Ariabarzane e Artaserse – protagonisti della novella II.4 – viene contrapposto il modello negativo del tiranno Aristotimo. Painter utilizza spesso le parti liminari dei suoi racconti per creare dei raccordi tra le novelle – per affinità o per contrasto – che veicolano l’idea di un progetto unitario. In questo caso è significativo l’impiego di vocaboli che rimandano all’ambito della vista: l’iniziale verbo uditivo viene immediatamente soppiantato da quello visivo – campo semantico a cui si rifanno tutti i termini in corsivo; nella dedica al conte di Warwick si parlava di storie «depainted in liuelye colours»322, nell’introduzione al lettore la metafora veniva ulteriormente sviluppata attraverso l’immagine degli arazzi323. I vocaboli afferenti al campo semantico della vista rimandano sia all’immagine figurativa sottesa a tutta l’opera – quella delle novelle-quadri come parti della raccolta-palazzo – che all’atto della lettura. Significativamente, anche Centorio nei sensi morali utilizza verbi visivi in forma impersonale – mostrasi, fassi vedere – come parte di un’operazione che «riduce la novella alla sola dimensione di testo scritto»324.

Il retaggio di oralità insito nella novella, ripreso da Bandello nella sua rivisitazione della cornice, scompare definitivamente nelle riscritture: se il narratore italiano parla (speaketh), il revisore mostra e dimostra, mentre il traduttore inglese esorta il lettore all’osservazione (behold). I racconti di Painter sono specchi in cui si riflettono le possibili conseguenze delle azioni umane325, «passing pictures of verity», oppure spettacoli che vanno a comporre il «Theatre of the World»326. Palazzo e palcoscenico si alternano nel testo come metafore della raccolta nella sua totalità: si è detto come l’autore si riferisca ai racconti in termini figurativi, ma si riscontrano anche occorrenze teatrali nel corso della narrazione. Le novelle possono

321 PP, II.5.

322 PP, dedica vol. I. 323 Cfr. supra.

324 NIERO 1990-1991:116.

325 Cfr. «Behold here (O ye folish louers) a Glasse of your lightnesse, and yee Women, the course

of your fond behauyor». PP, II.23; « This History then is a Mirrour for Loyall Louers and Chaste Suters». PP, II.29.

111 essere plays – più spesso Tragedies – scandite in atti: l’esempio più significativo in questo senso è costituito dalla storia della duchessa di Amalfi, il cui racconto presenta una divisione che verrà parzialmente ripresa negli atti dell’omonimo dramma di Webster327. La raccolta è il palco su cui queste tragedie vengono rappresentate, così la metafora teatrale è affiancata a quella architettonica nelle introduzioni dei due tomi:

To whom may be giuen a Theatre of the world, and stage of humaine misery, more worthely than to him that hath with comely gestures, wise demeanor, and orderly behauiour, been an actor in the same? Who is he that more condignelye doth deserue to be possest in a Palace of Pleasure, than he that is daily resiant in a Palace of renowmed fame.

This boke is a very Court and Palace for al sortes to fixe their eies therein, to vew the deuoyres of the Noblest, the vertues of the gentlest, and the dutyes of the meanest. Yt is a stage and Theatre for shew of true Nobilitye, for profe of passing loialty and for tryal of their contraries328.

La serie di verbi visivi riconferma il passaggio dalla dimensione orale a quella scritta, così come le figure del palace e theatre che, a ben guardare, costituiscono l’immagine perfetta dell’evoluzione della novella bandelliana dall’originale cortigiano italiano all’adattamento teatrale inglese.

Documenti correlati