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La novella in scena: percorsi del racconto italiano nel teatro giacomiano.

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica

Corso di Dottorato in Studi Italianistici

XXXII ciclo

Tesi di Dottorato

La novella in scena:

percorsi del racconto italiano nel teatro giacomiano

RELATORE

Prof.ssa Francesca Fedi

CANDIDATO

Camilla Orlandini

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Abstract

La novellistica del Cinquecento italiano ha conosciuto una grande fortuna nell’Inghilterra giacomiana, soprattutto grazie agli adattamenti teatrali. I drammaturghi secenteschi proseguono la tradizione, iniziata nel secolo precedente, di utilizzare materiale novellistico italiano come base per costruire le proprie opere teatrali. Le Novelle di Matteo Bandello, pubblicate nel 1554, hanno un particolare successo Oltremanica: esse circolano nella versione originale, tradotte in francese sotto il nome di Histories Tragiques e nelle raccolte di tales in lingua inglese; molti drammaturghi hanno dunque la possibilità di attingere alle «enormi e disoneste» storie bandelliane.

Esaminando i processi di diffusione e adattamento delle Novelle – affiancate a un’opera meno nota: le Ducento novelle di Celio Malespini – si mostrerà come la profonda influenza della novellistica italiana sulla produzione drammatica di grandi autori del teatro giacomiano, come John Marston, John Webster e Thomas Middleton, non sia limitata al piano della trama ma abbia importanti risvolti sul piano compositivo, tematico e interpretativo.

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Indice

Ringraziamenti ... 1

Introduzione ... 2

I. Teorie e metodi. ... 2

II. Stato dell’arte. ... 8

III. L’immagine dell’Italia. ... 11

Parte prima - Novelle, histoires, tales. ... 15

Capitolo I - La fortuna della novella ... 16

1. Matteo Bandello, Novelle ... 17

1.1 Ripensare la cornice: le epistole dedicatorie. ... 18

I. Autore, trascrittore, ascoltatore: l’io bandelliano nelle dedicatorie. ... 18

II. Tra ideale e reale: la rappresentazione della corte e la poetica della verosimiglianza. ... 20

III. Apologie bandelliane: la morale e la questione della lingua. ... 25

1.2 «Una mistura d’accidenti diversi»: le novelle. ... 29

I. Il dominio delle passioni. ... 30

II. Querelle des femmes. ... 38

III. Bandelchil e Delio: il filone autobiografico. ... 44

2. Celio Malespini, Ducento novelle ... 49

2.1 La struttura del novelliere tra varietà e disordine ... 50

2.2 Dalle piazze alle corti: autobiografia e cronaca nelle novelle originali ... 55

Capitolo II - La traduzione ... 68

1. Teoria e pratica tra Umanesimo e Rinascimento ... 68

2. Il Decameron in Inghilterra ... 73

3. Histoires Tragiques ... 77

3.1 Pierre Boaistuau ... 77

3.2 François de Belleforest ... 80

4. Le raccolte inglesi ... 82

5. William Painter, The Palace of Pleasure ... 87

5.1 Struttura dell’opera. ... 88

5.2 Soglie. ... 89

5.3 Painter e Bandello. ... 94

5.4 L’edizione italiana ... 96

(5)

I.I Il palazzo e il palcoscenico. ... 104

I.II Rappresentare la corte. ... 111

I.III Giudicare i personaggi. ... 122

II. «Domestication»: forme di adattamento dal Continente all’Inghilterra. .... 131

III. «Profitable they be»: la didattica del Palace. ... 133

6. Geoffrey Fenton, Certaine Tragicall Discourses ... 142

6.1 «Into our Englishe phrase». ... 145

I. Traduzioni a confronto: la novella di Salimbene e Angelica. ... 146

II. Appropriazione e adattamento: strategie narrative dei Discourses. ... 157

7. «Beautified and adorned»: le modifiche formali ... 161

Parte seconda - From page to stage ... 165

Capitolo III - Il teatro «italianato» ... 166

1. Gli italianate plays. ... 166

2. Italianate playwrights: Marston, Webster, Middleton ... 169

2.1 John Marston (1576-1634) ... 169

The Insatiate Countess ... 170

2.2 John Webster (c. 1578- c. 1630) ... 173

The Duchess of Malfi ... 175

2.3 Thomas Middleton (1580-1627) ... 177

Women, Beware Women ... 178

Capitolo IV - Tra fact e fiction ... 181

1. La figlia dell’usuraio. ... 182

2. La Duchessa di Amalfi, ovvero Giovanna d’Aragona. ... 192

3. I Medici a teatro. ... 200

Capitolo V - Da Urbino a Whitehall: il viaggio del cortegiano ... 216

1. L’autore e il personaggio: presenze e testimonianze autobiografiche. ... 216

1.1 «The epitome of reliability»: evoluzioni dell’alter ego bandelliano. ... 217

1.2 Testimone invisibile: l’autobiografismo occulto della novella II.85. ... 228

2. Le ambizioni di un cortigiano. ... 232

2.1 L’esemplarità di Antonio Bologna. ... 232

2.2 Malcontents, social climbers e Machiavillains. ... 244

Capitolo VI - Le donne ... 268

1. «Desire in woman cannot be withstood»: sessualità femminile tra norma e trasgressione. ... 268

1.1 Definire la regola: la trattatistica. ... 268

(6)

1.3 «Beware, beware of Venus beastly blisse!»: le cautionary tales. ... 281

1.4 «Fair women play» ... 286

I. Mogli, madri, adultere: la pulsione sessuale nel vincolo matrimoniale. ... 287

II. Lusty widows ... 294

2. Ladies on trial ... 313

2.1 «Am I not thy Duchess?»: definire e giudicare la Duchessa di Amalfi. ... 314

2.2 Spettacoli di morte. ... 323 Appendice A ... 334 1. Le Novelle in Europa. ... 334 Legenda. ... 334 2. Italianate plays ... 340 Legenda ... 340 Appendice B ... 345

Edizioni delle Ducento novelle ... 345

Criteri di trascrizione ... 346

II.84 Come pervenisse la Signora Bianca Capello Gran Duchessa di Toscana ... 346

II.85 Successo della morte di Pietro Buonaventura, marito della Signora Bianca Capello…… ... 351

Appendice C ... 358

Edizioni dell’Epistola ... 358

Criteri di trascrizione ... 358

Epistola del Trissino de la vita che dee tenere una donna vedova. ... 358

Bibliografia ... 367 1. Tavola abbreviazioni ... 367 2. Opere citate A ... 367 3. Opere citate B ... 369 4. Repertori bio-bibliografici ... 377 5. Studi critici ... 379

(7)

Ringraziamenti

Al termine di questo lavoro vorrei ringraziare tutti coloro che mi hanno aiutata a completarlo. Un particolare riconoscimento va a Sara Soncini, per l’incoraggiamento ai miei studi, per i preziosi suggerimenti metodologici e per l’aiuto pratico che mi ha prestato in questi tre anni. Devo altrettanta gratitudine a Janet Clare, lettrice attenta delle mie pagine, la cui esperienza mi ha guidato nell’affrontare il vasto mondo del teatro elisabettiano e la cui gentilezza mi ha sostenuto del periodo di studio inglese. Vorrei anche ringraziare Renzo Bragantini per aver fugato i miei dubbi sulle edizioni bandelliane ed Elisa Bonfanti, impagabile consulente anglistica.

(8)

2

Introduzione

I.

T

EORIE E METODI

.

I source studies hanno conosciuto notevoli rovesci di fortuna tra la fine del secolo scorso e l’inizio del nuovo millennio. Nel corso del Novecento erano stati pubblicati diversi importanti studi relativi all’individuazione delle fonti sottese ad alcune opere letterarie, si pensi ai lavori di Letterio di Francia sulla novella e alla serie di volumi curati da Geoffrey Bullough, Narrative and Dramatic Sources of

Shakespeare. In ambito italiano, l’approccio critico consisteva nel rilevamento di

prestiti non segnalati dall’autore, giudicati come una forma di plagio, al contrario, nel caso degli studi shakespeariani, fonti, debiti e allusioni venivano isolati e considerati come raw materials che costituivano il retroterra storico di un’opera d’arte indipendente e autosufficiente1. La corrente del new historicism ha indubbiamente il merito di restituire il dramma inglese al contesto storico-sociale a cui appartiene: in particolare, Stephen Greenblatt sviluppa le nozioni di social

energy e cultural mobility2 che sottolineano l’importanza di un approccio che tenga conto dei processi di appropriazione, adattamento e negoziazione alla base del teatro di Shakespeare.

La pratica dell’imitazione è alla base dell’intero sistema letterario rinascimentale, ma i tradizionali source studies sono stati condizionati dal culto romantico dell’originalità e dell’autore come genio. Nel caso di generi letterari forti l’imitazione è codificata, si pensi solo ai Discorsi dell’arte poetica e del poema

eroico di Tasso, mentre un genere debole come la novella non è corredato da un

apparato teorico che ne giustifichi la pratica3; per quanto riguarda il teatro, è

1 «as a freestanding, self-sufficient, disinterested art-work produced by a solitary genius, King Lear

has only an accidental relation to its sources». GREENBLATT 1990A:165.

2 Rispettivamente in GREENBLATT 1990B,GREENBLATT 2010.

3 Tra i pochi trattati teorici che si occupano della novella vanno segnalati la Lezione sopra il

comporre delle novelle di Francesco Bonciani (1574), il Dialogo de’ giuochi di Girolamo Bargagli (1572) e Un discorso fatto sopra il Decamerone di Francesco Sansovino (1571). Per i testi si veda ORDINE 2009.

(9)

3 necessario distinguere tra quello italiano, ancorato ai dettami della Poetica di Aristotele e ai trattati che ne commentano le norme, e quello inglese, più legato alla pratica scenica che alla canonizzazione teorica.

L’assenza di norme esplicite riguardo alla composizione drammatica in Inghilterra rende più complessa la distinzione tra imitazione e prestito. La prima era fortemente incoraggiata nelle scuole, come testimoniato dalle raccomandazioni del classicista Roger Ascham nel suo The Schoolmaster, e intesa nella sua accezione positiva di omaggio all’autorità dei classici, mentre il secondo ha una connotazione negativa che può rimandare a un’imitazione maldestra o a una forma di plagio. La parola plagiary viene introdotta in inglese da Ben Jonson4, non tanto in riferimento all’appropriazione di idee o espressioni letterarie, ma all’atto di attribuirsi il lavoro di qualcun altro. L’esempio classico di plagio più citato dagli autori rinascimentali inglesi è quello del poeta Battillo, che aveva offerto ad Augusto dei versi di Virgilio spacciandoli per propri5.

Imitazione e prestito, seppur giudicati diversamente, sono ugualmente accettati, e anzi, costituiscono la base della creazione artistica. La circolazione di idee, tematiche e modelli, è parte della prassi letteraria rinascimentale, infatti proprio nel Cinquecento inizia un proficuo scambio tra genere teatrale e novellistico: in area italiana viene aggiornato l’impianto classico della commedia latina attraverso il vasto repertorio tematico offerto dal Decameron, mentre la tragedia ricerca una materia nuova nella novella contemporanea 6; in Inghilterra, la diffusione e la popolarità dei novellieri italiani rende inevitabile una commistione con il teatro che si articolerà su diversi livelli. Nella Penisola gli autori si trovano a operare una transcodificazione, mentre Oltremanica il processo di adattamento si complica nel passaggio da un sistema culturale a un altro. Lo studio della ricezione della novellistica italiana rinascimentale in Inghilterra e della sua influenza sul

4 In Poetaster, il poeta Crispinus viene accusato di furto dai versi di Orazio: «Why the ditty’s all

borrowed / ‘tis Horace! Hang him, a plagiary!» (JONSON 2012:IV.3.82-83).

5 Per questo paragrafo e per un approfondimento sul versante inglese rimando alla sezione Imitation

and borrowing in CLARE 2014: 3-11.

6 Il legame tra i due generi viene sottolineato anche in uno dei rari trattati sul genere novellistico:

nel Discorso intorno al comporre delle novelle Francesco Bonciani opera un continuo confronto tra la novella comica e la commedia. Cfr. GUIDOTTI 2000:399.Per quanto riguarda la tragedia invece

rimando alla produzione di Giovanbattista Giraldi, che giustifica la propria produzione novellistica e tragica nel Discorso intorno al comporre delle comedie e delle tragedie. Cfr. MORACE 2013.

(10)

4 dramma elisabettiano7 deve dunque tenere conto delle relazioni di antagonismo, appropriazione e negoziazione implicate nel passaggio Oltremanica8.

Il metodo critico proposto da Greenblatt, affiancato dalle nozioni di intertestualità e dialogismo di Mikhail Bakthin sviluppate da Julia Kristeva, ha animato la maggior parte degli studi comparatistici sul rapporto tra teatro rinascimentale inglese e letteratura italiana. In particolare, la serie di raccolte curate da Michele Marrapodi pubblicate nell’arco degli ultimi trent’anni hanno adottato tali metodologie, sottolineando l’importanza di un approccio orizzontale che non si limiti alla ricostruzione strettamente filologica delle fonti di un dramma, ma che comprenda forme diverse di intertestualità. In uno di questi volumi, Shakespeare,

Italy and Intertextuality, Robert Miola ha distinto sette tipologie di intertestualità9, raccolte in tre diverse categorie; le fonti appartengono alla prima, in cui i testi sono mediati attraverso l’autore, mentre della seconda, quella delle tradizioni, fanno parte quelle convenzioni che Louise George Clubb ha battezzato theatregrams10, ovvero la varietà di personaggi, situazioni, azioni, discorsi, percorsi tematici che compongono un’opera teatrale. Come sottolinea Marrapodi, non si ricorre ai «Quellenstudien tradizionali che necessariamente esprimono il concetto di un assorbimento intenzionale, […] la visione della Clubb implica un processo involontario di costruzione drammatica che scaturisce dalla natura stessa del teatro come genere letterario e come trasmissione di archetipi, microsequenze o situazioni comuni»11.

Alla verticalità dei source studies, si sostituisce dunque un’orizzontalità che comprende lo studio di debiti diretti, analogie, convenzioni e che allarga il campo di indagine oltre il testo scritto, fino a toccare la pittura, la danza, il teatro inteso nella sua dimensione scenica; il dramma inglese è pensato come un fenomeno transnazionale, da analizzare alla luce dell’interdiscorsività formulata da Segre,

7 Uso il termine «teatro elisabettiano» nel suo significato più esteso, che comprende il periodo

giacomiano e carolino.

8 «Nelle dinamiche intertestuali e nel processo di “cultural exchange” operante fra i due paesi vanno

anche considerate le naturali barriere epistemiche e le relative resistenze politiche e culturali che tendono ad imprimere una modifica, talvolta radicale, dei testi e dei discorsi variamente importati e transitati sul suolo inglese, tramite una progressiva aderenza ai canoni morali, estetici e religiosi di un’epoca e società in rapido mutamento». MARRAPODI 2003:16-17.

9 MIOLA 2004. 10 CLUBB 1989. 11 MARRAPODI 1995:8.

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5 ovvero lo scambio di modalità, frammenti, argomenti o generi del discorso, oltre i limiti della derivazione immediata o della citazione12. In questo contesto si inserisce il rinnovato studio della ricezione inglese della novellistica italiana, tradizionalmente considerata come un serbatoio di trame da cui i drammaturghi d’Oltremanica potevano liberamente attingere; tuttavia, non è semplice liberarsi della visione piramidale che vuole il dramma collocato in cima e le novelle alla base del sistema dei generi letterari, per cui alcuni critici hanno inteso l’intertestualità come un insieme di fattori che compone un prodotto finito, e non come un processo dinamico di allusione, citazione e revisione13, mantenendo così un’impostazione gerarchica. Inoltre, come evidenziato da Janet Clare, il limite più evidente del metodo proposto dal new historicism è quello dell’arbitrarietà: se alla source viene sostituito un discursive environment potenzialmente illimitato, il critico deve operare necessariamente una selezione soggettiva14.

L’osservazione di Clare non vuole essere una presa di posizione contro la metodologia orizzontale del new historicims, che, applicata all’interno di parametri teorici definiti, può essere una risorsa preziosa, proprio perché le opere drammatiche di Shakespeare – e dei suoi contemporanei – non possono essere separate dalla «matrix of professional and commercial rivalry, or the cultural givens of borrowing and imitation. […] An emphasis on circularity rather than linearity lead away from the textual hierarchies of source study, positing a theatrical economy of exchange and negotiation»15. La studiosa sottolinea l’importanza della componente commerciale del teatro elisabettiano, riassumibile nella metafora dello

stage traffic16, e propone un’analisi delle opere drammatiche di Shakespeare che

12 ELAM 2004: 257-258, MARRAPODI 2019:3.

13 Cfr. REDMOND 2009:2.È interessante notare che nello studio degli adattamenti moderni avviene

esattamente l’opposto, in quanto «persiste una generale svalutazione degli adattamenti in quanto modalità secondarie, tardive e quindi derivative». HUTCHEON 2011:9.

14 Si veda la sezione The limitations of source study in CLARE 2014:16-18. 15 IVI:18.

16 La citazione è ripresa dal celebre prologo di Romeo and Juliet ed è alla base della monografia di

Janet Clare. Segnalo anche un presupposto affine nell’introduzione alla raccolta di saggi curata da Chris Stamatakis, che sottolinea come il «two hours’ traffic» si riferisca tanto allo scambio economico quanto al senso figurato di intercourse e lo paragona al concetto di intertraffique coniato da Samuel Daniel, che «dissolves suggestions of hierarchy and simmetry inherent in the language of “influence”, “imitation”, “source language” and “target language”, “original” and “copy”, “precursor”, “epigone”, which imply a vertical syntax of ancestry, descent, servility, and belatedness». STAMATAKIS 2017:4.

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6 tenga conto dell’influenza dei drammi precedenti e coevi, e che non parta dal presupposto dell’originalità o della superiorità delle prime:

It is often forgotten that a Shakespeare play […] was once part of the give-and-take of theatre traffic […]. Plays successful in their own time with which Shakespeare engaged are now comparatively neglected […] in the function of ‘source’, and rarely discussed in their own right17.

Lo stesso si può affermare del rapporto tra la novellistica italiana e il teatro elisabettiano: la prima finisce spesso per essere analizzata in funzione del secondo, perdendo dunque le peculiarità che la contraddistinguono18. La diffusione e la popolarità della novella italiana in territorio anglosassone la rende a pieno titolo parte dello stage traffic, in quanto rientra in quel «pool of histories, myths, and folklore, or adopted and adapted dramatic strategies»19 in cui sono inseriti i drammi giacomiani. La mia proposta è dunque quella di applicare il metodo proposto da Clare allo studio del rapporto tra novellistica italiana del Cinquecento e dramma giacomiano. L’approccio adottato in questo lavoro sarà di tipo rizomatico: alla tradizionale idea verticale della relazione tra due testi, verrà affiancata una visione orizzontale che ponga sul medesimo piano tutte le opere in esame, senza però appiattirne le caratteristiche. Si procederà quindi a un’analisi delle specificità dei singoli testi in rapporto al contesto in cui sono stati prodotti prima di effettuare un’analisi comparatistica che terrà conto dei rapporti di intertestualità instaurati tra le opere.

I drammaturghi del periodo giacomiano adattano una serie di novelle italiane che coprono un periodo che va dal Tre al Cinquecento; si è scelto di tenere come punto di partenza fondamentale e pietra di paragone la ricezione del Decameron, ma di concentrarsi sulla stagione rinascimentale, analizzando due autori della

17 «It is often forgotten that a Shakespeare play […] was once part of the give-and-take of theatre

traffic […]. Plays successful in their own time with which Shakespeare engaged are now comparatively neglected […] in the function of ‘source’, and rarely discussed in their own right».

18 Negli studi più ampi questo si traduce in un appiattimento delle differenze tra i novellieri: un

genere che copre tre secoli di storia letteraria finisce per essere considerato come un unico blocco monolitico; invece, nel caso in cui l’oggetto di indagine sia la novella di un autore in particolare, il rischio è quello di fornire un’interpretazione del singolo racconto che non tenga conto della raccolta a cui appartiene.

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7 medesima linea che rappresentano la massima espressione e la crisi del genere novellistico, ovvero Matteo Bandello e Celio Malespini. Il lavoro si strutturerà in una preliminare rassegna dei rapporti tra Italia e Inghilterra in epoca elisabettiana e giacomiana, per poi passare a una sezione che verterà specificamente sulle opere dei novellieri e le loro traduzioni in prosa; nella terza parte, invece, si procederà all’analisi comparata dei testi attraverso dei percorsi tematici che evidenzieranno le dinamiche di appropriazione e adattamento tra il play e la sua source proximate20, l’effetto dei theatregrams di matrice italiana e il loro diverso impiego nella vasta produzione drammatica del primo Seicento.

Il campione dei testi in esame è stato selezionato in modo da poter rendere un’idea dei diversi processi di adattamento: le novelle di Malespini, che forniscono a Thomas Middleton il main plot del suo Women, Beware Women, vengono lette dal drammaturgo direttamente in lingua originale; entrambe le novelle di Bandello adattate nella trama principale e secondaria di The Insatiate Countess di John Marston sono state tradotte da William Painter, una direttamente dall’originale (I.15) e l’altra (I.4) attraverso la mediazione delle Histories Tragiques di François de Belleforest, con l’aggiunta di altre due versioni in inglese da parte di Geoffrey Fenton e George Whetstone; mentre la novella della duchessa di Amalfi a cui è ispirato l’omonimo dramma di Webster segue il percorso dalle Novelle di Bandello alla versione francese, alla traduzione nel Palace of Pleasure. Fatta eccezione per il racconto delle gentildonne veneziane (I.15), tutte le vicende sono ispirate a fatti realmente accaduti, dunque uno dei percorsi tematici da esplorare sarà necessariamente il rapporto tra letteratura, storia e cronaca; inoltre, ci si concentrerà sulle forme di auto-rappresentazione dell’autore all’interno del testo, sulla raffigurazione della corte e, data la centralità dei personaggi femminili, sull’evoluzione del ruolo delle donne negli adattamenti letterari.

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8

II.

S

TATO DELL

ARTE

.

Il rapporto che lega la cultura italiana alla produzione intellettuale inglese tra XVI e XVII secolo è stato oggetto dell’attenzione di innumerevoli studi critici, in cui la questione è stata esaminata da diversi punti di vista. Tutti gli studiosi concordano nell’affermare la profonda ambivalenza alla base della percezione della cultura italiana, considerata da una parte come un modello da imitare, dall’altra come un veicolo di peccato.

La presenza italiana in Inghilterra è testimoniata a partire dal tredicesimo secolo: si tratta inizialmente di mercanti, ma a partire dal secolo successivo giungeranno anche artisti e ambasciatori. Nel periodo che precede la secessione di Enrico VIII diverse personalità d’alto profilo visitano il regno – si pensi a Castiglione, ad esempio – mentre dopo il 1534 la maggior parte degli italiani che resta in Inghilterra lo fa per motivi politici o religiosi21. La diffusione del protestantesimo agisce sulla percezione degli inglesi da parte degli italiani e viceversa: si pensi al ritratto dei re inglesi che Bandello dipinge nelle sue Novelle22, e alle invettive di traduttori come Geoffrey Fenton contro la corruzione dei papisti. Nonostante le tensioni politiche, l’Italia esercita un grande fascino sul popolo inglese. Nel periodo elisabettiano si importa dalla Penisola un consistente numero di testi letterari: dalla trattatistica comportamentale, alla lirica, fino alla novellistica. La diffusione di queste opere è strettamente associata al fenomeno della traduzione: stampatori come John Charlewood e John Wolfe si erano specializzati nella pubblicazione di opere in italiano, ma il pubblico dei testi tradotti era ben più ampio. Lo studio di questo fenomeno ha avuto ampia fortuna critica: a partire dall’inizio del secolo scorso con la pubblicazione del repertorio bibliografico di Mary Augusta Scott, fino ad arrivare alla proposta di Francis Otto Matthiessen di traduzione come arte elisabettiana23. Studi più recenti si sono soffermati sulle peculiarità delle

21 WYATT 2015.

22 La novella III.62 tratta «de le molte mogli del re d’Inghilterra e morte de le due di quelle, con altri

modi e varii accidenti intervenuti», mentre nella III.60 si racconta il tragico amore tra la nipote di Enrico e il duca di Norfolk. Ulteriori riferimenti al divorzio del re si trovano nella II.34 e nelle dedicatorie della II.37, II.43, IV.9. La prima viene tradotta da Painter nel Palace of Pleasure, cassando i riferimenti negativi ai reali inglesi ed esaltando la figura di Edoardo III (cfr. capitolo traduzione); la seconda non viene tradotta, ma la storia che segue la dedicatoria, quella della beffa di Maria d’Aragona, viene citata dal traduttore nella novella delle gentildonne veneziane (PP, II.26); la terza viene ignorata. Cfr. BILTON 2003:113-114;WYATT 2015:67-68.

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9 traduzioni cinquecentesche: come la discrasia tra dichiarazioni teoriche e risultati pratici o l’influenza dell’affermazione politica dell’Inghilterra sull’approccio dei traduttori al testo originale24.

La traduzione contribuisce alla diffusione della novellistica italiana in Europa. La circolazione del Decameron è stata oggetto di una particolare attenzione critica25, mentre la novellistica italiana in generale è stata considerata come una parte fondamentale del prestito culturale della Penisola all’Inghilterra26. Gli effetti della ricezione europea del genere della novella sono stati oggetto del lavoro del gruppo di ricerca dell’Università di Torino, promotore di un progetto dal titolo:

Italian Novellieri and Their Influence on Renaissance and Baroque European Literature: Editions, Translations, Adaptations. In questo ambito va inserita la

pubblicazione della monografia di Luigi Marfè sulla novella italiana in Inghilterra, in cui viene riproposto il dibattito sui criteri di traduzione, si ribadisce l’importanza delle traduzioni francesi come intermediari tra l’originale italiano e la versione inglese, si enunciano le principali differenze e punti di contatto tra le raccolte di novelle27. Particolarmente importante dal punto di vista comparatistico la recente pubblicazione di Flavia Palma, che esamina la funzione del paratesto e della cornice nella produzione novellistica italiana e inglese28.

La circolazione della novellistica italiana in Inghilterra non è garantita solo dalla traduzione in prosa ma si diffonde principalmente grazie agli adattamenti teatrali. Shakespeare e i suoi contemporanei attingono a piene mani alla novellistica italiana per gli intrecci, le situazioni, i dialoghi e i personaggi dei loro plays. Nel 1918 Louis Feipel compila un repertorio di «dramatized novels» nella letteratura inglese, partendo proprio dal periodo elisabettiano29. Le novelle italiane si riversano prima nelle rappresentazioni legate agli ambienti delle università e del Middle Temple, poi nel teatro di Shakespeare e in quelli dei drammaturghi giacomiani – Marston, Jonson, Webster, Middleton, Beaumont e Fletcher – e carolini – Ford, Shirley, Massinger. 24 MORINI 2006;SCHMIDT 2013. 25 WRIGHT 1957;ARMSTRONG 2013. 26 RODAX 1968;RELIHAN 1994. 27 MARFÈ 2015. 28 PALMA 2019. 29 FEIPEL 1918.

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10 Si è già detto come nel corso del secolo i source studies abbiano conosciuto fortune alterne e preso direzioni nuove: dall’approccio puramente filologico e testuale che caratterizza le Narrative and Dramatic Sources of Shakespeare, si è passati a un modello che include lo studio degli aspetti legati alla messa in scena e allarga il campo delle possibili fonti a opere appartenenti a generi diversi. Questa nuova linea metodologica ha portato a importanti innovazioni nell’ambito degli studi shakespeariani30 e a nuove chiavi di lettura per gli italianate plays. Un esempio significativo interessa le opere di Webster, la cui poetica dell’orrore è stata accostata a quella di Giraldi, mentre l’ideologia cortese è stata avvicinata alle proposte di Stefano Guazzo nella Civil conversazione31. Innumerevoli raccolte di saggi analizzano i rapporti tra produzione culturale italiana e dramma inglese, mentre una monografia interamente dedicata ai processi di adattamento dalla prosa al teatro è From story to stage di Max Bluestone, in cui viene dimostrato come i dispositivi legati alla messa in scena vadano a modificare la ricezione dei testi originali32.

L’attenzione all’aspetto performativo ha caratterizzato la maggior parte degli studi più recenti sul teatro inglese. Importanti sviluppi critici sono stati raggiunti grazie alla contestualizzazione della produzione drammatica di un autore in rapporto alla compagnia teatrale con cui lavorava: si pensi al caso di John Marston, il cui lavoro teatrale è stato recentemente rivalutato33. Inoltre, l’impiego delle moderne tecnologie digitali ha consentito importanti scoperte in merito alle opere di incerta attribuzione, ridefinendo in alcuni casi il canone tradizionale di un autore o individuando collaborazioni inedite tra drammaturghi.

Nell’ambito degli studi italianistici da diversi anni un rinnovato interesse per la novellistica ha portato a importanti risultati sia per quanto riguarda l’evoluzione del genere dal Tre al Cinquecento, sia nello studio dei singoli novellieri. Nei convegni e nelle monografie sono stati sottolineati i rapporti delle raccolte con il

30 Rimando ancora una volta a CLARE 2014.

31 Si veda BOKLUND 1962;TOSI 1995;MARRAPODI 2019.

32 Michele Marrapodi ha curato undici raccolte di saggi sui rapporti tra letteratura italiana e inglese

nel Rinascimento, per i riferimenti rimando alla Bibliografia. BLUESTONE 1974,ma si veda anche MARENCO 2004.

33 È in corso di allestimento l’edizione critica dell’opera completa dell’autore a cura di Martin Butler

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11 modello delDecameron, gli sviluppi della cornice e le peculiarità delle novelle

spicciolate; a livello editoriale, sono state pubblicate diverse edizioni moderne di opere di novellistica34. In particolare, le Novelle di Matteo Bandello sono state oggetto di un’accurata indagine, sia tramite l’attività del Centro studi Matteo Bandello, sia grazie alla serie di studi pubblicati da Elisabetta Menetti su questo autore35. Gli studiosi hanno esaminato la complessa struttura del novelliere bandelliano, definendo i rapporti tra storia e letteratura, tra ordine e disordine, tra moralità e licenziosità e hanno riletto la cornice formata dalle lettere dedicatorie alla luce della volontà dell’autore di ricreare una società cortese ideale.

Gli importanti sviluppi critici, interpretativi e metodologici che hanno interessato tanto l’ambito italianistico della novella quanto quello anglistico del dramma elisabettiano rendono necessario un riesame dei rapporti tra i due generi. Nella maggior parte degli studi sulle fonti degli italianate plays, i testi delle novelle originali sono esaminati solo in rapporto al dramma che li ha rielaborati. Questo lavoro partirà, invece, proprio dai novellieri di Bandello e Malespini, ne seguirà la ricezione europea, esaminando solo nell’ultima parte l’adattamento teatrale.

III.

L’

IMMAGINE DELL

’I

TALIA

.

«Englese italianato è un diabolo incarnato», è la proverbiale frase con cui Roger Ascham, tutore della regina, dipinge l’incontro culturale tra la sua patria e l’Italia. La figura di Ascham si presta a definire la duplicità dell’immagine della Penisola in Inghilterra. Il precettore era un classicista convinto, riteneva la conoscenza della lingua latina fondamentale nel processo di avanzamento morale, da lui ci si aspetterebbe un atteggiamento meno critico nei confronti della nazione

34 Tra i convegni segnalo quello di Caprarola, La novella italiana, del 1988. Per le monografie sul

genere si veda BARBERI SQUAROTTI 1985,COTTINO-JONES 1994.La collana della Salerno Editrice I

novellieri italiani è dedicata ad accurate edizione moderne di raccolte novellistiche, mentre da qualche anno è stata fondata la rivista Arnovit (Archivio Novellistico Italiano), interamente dedicata allo studio del genere dal Novellino a Basile.

35 Gli atti dei convegni Matteo Bandello novelliere europeo (1982) e Gli uomini, le città e i tempi di

Matteo Bandello (1985) e la raccolta Matteo Bandello. Studi di letteratura rinascimentale (1990). Fondamentale anche l’edizione moderna completa delle quattro parti delle Novelle a cura di Delmo Maestri. Per i lavori di Elisabetta Menetti rimando alla Bibliografia.

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12 che aveva dato i natali ai più illustri autori classici. Tuttavia, l’Italia contemporanea non ha più nulla a che vedere con l’antica grandezza di Roma e, se i testi antichi sono sempre una fonte di ispirazione, quelli moderni vengono definiti «incantesimi di Circe»36. Nel trattato The Schoolmaster il precettore definiva immorali tutte le raccolte di novelle tradotte dall’italiano, ma l’asprezza delle sue invettive sembrava andare di pari passo con l’aumentare della popolarità di tale produzione. Ascham riteneva i racconti pericolosi poiché gli italiani, maestri dell’inganno, erano riusciti ad elaborare metodi elusivi per invitare i propri lettori al vizio e al peccato. Il tutore della regina non fu l’unico a criticare le traduzioni dai novellieri moderni. Nel 1578 John Stoockwood pronunciò un sermone contro «the great Pallace and little Pallace of pleasure, with a number moe of suche filthy books»37. Il riferimento era chiaro: si trattava delle raccolte The Palace of Pleasure e A Pettite Palace of Pettie his

Pleasure, rispettivamente di William Painter e George Pettie, che stavano avendo

un grande successo presso il pubblico inglese in quel periodo. Negli anni successivi altri autori di trattati furono contagiati da quel clima di italofobia: nelle invettive di Gosson, Munday e Nashe38 il campo si estende dalle novelle agli spettacoli teatrali. In particolare, «Stephen Gosson represents the theatre’s links with Italy as a symptom of its moral corruption»39. Tutti questi scritti polemici contro l’influenza italiana sul racconto breve e sul teatro testimoniano l’enorme popolarità che questi prodotti letterari avevano raggiunto in Inghilterra.

Nel periodo elisabettiano l’Italia fu lo spazio dell’Altrove. La tradizionale pratica del viaggio nella Penisola a conclusione del percorso di studi divenne una metafora della perdita dell’innocenza: «having been to Italy means to indulge in sins of all sorts and to hide a misbehaviour under the gloss of refined manner; it is a metonymy for leading a sinful life»40. Traduttori, autori e drammaturghi trovarono l’ambientazione perfetta per quei fatti di sangue e quelle nefandezze di cui il pubblico inglese era tanto avido. Gli scrittori sfruttarono il sentimento condiviso di nazionalismo anticattolico e crearono delle opere in cui l’Italia era per definizione un ricettacolo di vizio e peccato. Nelle raccolte di novelle questa visione era

36ASCHAM 1870. 37 MORRISEY 2011: 69. 38 CHICKERA 1960:1. 39 REDMOND 2009: 15. 40 MAHLER 1993: 49.

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13 espressa spesso attraverso l’uso di un lessico connesso all’ambito religioso; gli autori, inoltre, inserivano delle digressioni di carattere morale per sottolineare il valore didattico della loro opera. Nel passaggio dalle novelle al teatro questo intento moralizzatore andò attenuandosi: l’Italia del Rinascimento affascinava i drammaturghi «with a strange wild glamour – the contrast of external pageant and internal tragedy, the alteration of radiance and gloom, the terrible example of bloodshed, treason, and heroism emergent from a ghastly crimes»41 erano gli elementi che attraevano il pubblico e gli scrittori.

A questo «myth of Italian wickedness»42 fa da contraltare la tendenza ad imitare usi e costumi provenienti dalla Penisola. L’Italia era diventata una vera e propria moda, anche grazie alla suggestione derivata dalla traduzione del

Cortegiano. Oltre vent’anni dopo la prima traduzione francese ad opera di Jaques

Colin, Thomas Hoby aveva tradotto il trattato di Castiglione con il titolo The

Courtier, che era divenuto il libro italiano più conosciuto in Inghilterra43. Hoby non portò l’Italia degli intrighi machiavellici o il mondo sensuale e fosco delle novelle, ma un trattato che definiva l’uomo ideale, a questo modello tentarono di conformarsi sia gli autori di trattati politici che i cortigiani che dovevano affrontare le questioni diplomatiche. L’opera raggiunse una fama tale che «Castiglione’s name seems to have become a synonym for his creation»44. L’influenza del modello italiano nella vita di corte non dipendeva soltanto dalla diffusione del Cortegiano: la regina era stata educata seguendo il metodo all’italiana, conosceva molto bene la lingua ed era incline a prendere al proprio servizio cortigiani particolarmente versati nella conoscenza delle lingue straniere. Il modello di cortigiano proveniente dalla Penisola si trasformò ben presto in una vera e propria scuola di diplomazia.

I trattati politici non furono i soli a conoscere una larga diffusione: dall’Italia si importavano e traducevano una grande quantità di scritti che coprivano campi che andavano dal commercio alla filosofia, dalla scienza alle arti. La Penisola era stata la culla del Rinascimento e come tale rappresentava il non plus ultra della passione degli inglesi per la cultura classica rielaborata nel Continente.

41 SYMONDS 1914: 267. 42 PRAZ 1958:165. 43 LIEVSAY 1964: 14. 44 MATTHIESSEN 1957: 11.

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14 La profonda ambivalenza dell’immagine dell’Italia nel Cinquecento in Inghilterra è esemplificata in alcune opere letterarie. Luigi Marfè indica in particolare due esempi rappresentativi di questa duplicità di fondo: The Unfortunate

Traveller di Thomas Nashe e la novella di Pandora tradotta nei Tragicall Discourses di Geoffrey Fenton. Il primo è una sorta di romanzo picaresco che narra

le avventure del viaggio in Italia del protagonista: Jack Wilton parte per la Penisola convinto di andare a visitare quello che ritiene essere il centro del mondo, ma, durante il viaggio si ricrede e finisce per convincersi che l’Italia sia la sede delle peggiori efferatezze che l’umanità possa concepire45. È interessante notare che l’autore non faceva parte di quella cerchia di intellettuali che avevano effettivamente compiuto un viaggio in Italia: l’immagine presente nel libro era di inspirazione libresca, in particolare si rifaceva alle novelle tradotte e antologizzate da William Painter. Nella novella tradotta da Fenton, l’autore inserisce una lunga digressione che non ha riscontro nell’originale di Bandello sulla maniera italiana di corteggiare. Questo inserto è significativo in quanto da una parte si rifà ad elementi che risalgono all’amor cortese, dall’altra insiste con atteggiamento moralista sui risvolti sordidi della propensione ad assecondare i desideri della carne. L’immagine dell’Italia descritta dal traduttore è dettata dall’italofobia. Autori come Fenton si scagliano contro ciò che l’Italia rappresenta per loro: il nemico cattolico, pericolosamente affascinante nella sua corruzione. In epoca giacomiana resta l’ambiguità, ma nella maggior parte dei casi i drammaturghi utilizzano l’Italia come pretesto per parlare dell’Inghilterra. L’ascesa al trono degli Stuart, le tendenze filocattoliche di Giacomo e il particolare interesse della famiglia reale per la cultura italiana accorcia la distanza tra i due paesi, rendendo la corte italiana rinascimentale lo specchio della Londra giacomiana.

(21)

Parte prima

Novelle, histoires, tales.

(22)

16

Capitolo I

La fortuna della novella

Nel corso del Cinquecento la novellistica vive un momento di grande fioritura sia in termini di produzione italiana che a livello di diffusione europea. La consacrazione del Decameron come modello per la prosa porta a un rinnovato interesse per il capolavoro di Boccaccio, che si conferma come archetipo del genere; alla codificazione teorica corrisponde, tuttavia, una tendenza all’ibridazione nella pratica1: si pensi alla contaminazione della novella con il teatro, la cronaca, la trattatistica. Nel complesso rapporto dei novellieri del Cinquecento con il

Decameron, si aprono diverse soluzioni, compresa quella che Giancarlo

Mazzacurati ha definito come una linea bandelliana2, che disegna uno spazio di fruizione inaugurato dal novelliere lombardo ed ereditato da Celio Malespini.

La scelta di concentrare l’analisi sulla produzione di Matteo Bandello è strettamente legata alla sua fortuna europea: le Novelle sono oggetto della più vasta diffusione in termini di traduzione e adattamento, in particolare nell’area inglese. Le Ducento novelle di Malespini, invece, hanno un successo ben più limitato e tuttavia riescono ad arrivare Oltremanica grazie all’adattamento teatrale di Thomas Middleton. Le raccolte sono emblematiche per motivi differenti: le Novelle coprono un periodo di composizione che va dagli anni Venti agli anni Cinquanta, e il loro autore rappresenta, a livello di canone, uno dei massimi esponenti del genere in quel periodo; l’opera di Malespini, invece, è rappresentativa della seconda metà del secolo e segna «la fine della luminosa parabola aperta» dal Decameron3. Le esperienze dei due scrittori sono diverse, così come i loro prodotti letterari, ma è possibile trovare un tracciato comune: l’ambiente cortese e la vita girovaga da una parte, la tentazione autobiografica, la mescolanza di generi e l’adozione del principio del disordine, seppur con diversi gradi di consapevolezza. Dall’altra; si può dunque affermare che rappresentino uno spaccato dell’apice e del disfacimento della novellistica di epoca rinascimentale.

1 BRAGANTINI 1989: 452. 2 MAZZACURATI 1974: 407. 3 GUGLIELMINETTI 1990: 63.

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17

1. M

ATTEO

B

ANDELLO

,

N

OVELLE

Matteo Bandello (1485-1561) è l’autore di novelle più noto del secolo sedicesimo, ma la sua raccolta è stata a lungo considerata più dal punto di vista dell’interesse documentario che per il suo del valore letterario: l’immagine dello scrittore come fedele cronista dei propri tempi è stata messa in crisi dall’indirizzo neo-positivista degli studi del primo Novecento; in particolare, grazie alla monumentale ricerca di Letterio di Francia4, si è presa consapevolezza dell’origine letteraria di molte delle novelle e della natura fittizia delle lettere dedicatorie. Tuttavia, se è vero che nelle Novelle viene messo in atto un «procedimento di rimozione del reale e reinvenzione di un altro, fittizio reale, in cui tutti credono

anche se non è vero»5, è comunque innegabile la presenza di una componente autobiografica e di una volontà di farsi portatore della realtà sociale di appartenenza da parte dell’autore.

L’esperienza biografica di Bandello si riflette in maniera capillare nella costruzione della cornice delle Novelle. L’autore conosce i conventi italiani, che visita in giovane età in compagnia di suo zio Vincenzo, generale dell’Ordine dei domenicani, e i salotti aristocratici milanesi; vive alla corte di Mantova, sotto la protezione di Isabella d’Este Gonzaga, ma segue anche signori come Federico Gonzaga, Ranuccio Farnese e Cesare Fregoso nelle loro campagne militari; infine, trascorre gli ultimi vent’anni della sua vita (1541-1561) in Francia, dove ricopre la carica di vescovo di Agen6. In questo periodo cura la pubblicazione delle sue opere: i Canti XI e Le tre Parche, pubblicati ad Agen nel 1545, e le Novelle, le cui prime tre parti vengono stampate a Lucca da Busdrago nel 1554, mentre la quarta uscirà postuma a Lione nel 15737. Si vedrà come il vasto orizzonte storico-sociale in cui si muove l’autore e il suo status di frate cortigiano contribuiscano alla costruzione della complessa composizione del novelliere.

4 DI FRANCIA, 1921: 290-324. 5 PATRIZI 1982: 193.

6 Per la biografia completa dell’autore rimando alla voce Matteo Bandello del DBI (1963), mentre

per una ricostruzione che tenga conto unicamente di fonti esterne alle Novelle si veda GODI 1968: 257-292 e CANOVA 2016.

7 L’edizione moderna di riferimento è quella a cura di Delmo Maestri, da qui in avanti sarà indicata

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18 1.1RIPENSARE LA CORNICE: LE EPISTOLE DEDICATORIE.

Il rinnovato interesse per il Decameron porta i novellieri rinascimentali a confrontarsi con l’archetipo boccacciano, che impone l’utilizzo di una struttura portante che leghi le singole novelle all’unità del libro. Scrittori come Giovanbattista Giraldi si rifanno all’espediente dell’orrido cominciamento attualizzandolo, mentre Bandello sceglie di disgregare il modello creando una cornice puntiforme8, composta da una serie di lettere che accompagnano singolarmente le 214 novelle. Questa soluzione rappresenta insieme la peculiarità dell’opera e la probabile ragione del suo scarso successo tra i contemporanei9: la fortuna delle novelle bandelliane è nettamente separata da quella delle lettere dedicatorie che le accompagnano nella princeps; le edizioni e traduzioni successive, infatti, sono caratterizzate da una selezione nel corpus dei racconti e soprattutto dalla perdita della cornice epistolare. La diffusione europea è fortemente condizionata dall’adattamento francese – le Histoires Tragiques di Pierre Boaistuau e François de Belleforest (1559-1570) – a cui si rifaranno sia i traduttori inglesi che quelli spagnoli10; in Italia, invece, le novelle vengono lette nella riscrittura di Ascanio Centorio degli Ortensi, curatore di un’edizione milanese (1560) più in linea con il clima tridentino, e nella silloge Cento novelle scelte da i più nobili scrittori

della lingua volgare di Francesco Sansovino (1562)11.

I. Autore, trascrittore, ascoltatore: l’io bandelliano nelle dedicatorie.

La perdita della cornice va di pari passo con una progressiva attenuazione dell’autorialità: nelle histoires francesi a Bandello è riconosciuta la paternità dei

8 La definizione è di Renzo Bragantini, si veda BRAGANTINI 2000.

9 Enzo Bottasso ha definito le Novelle come «il più grosso insuccesso librario della nostra letteratura

cinquecentesca» e ha indicato come possibili cause la lontananza dell’autore dall’Italia e il radicale mutamento storico avvenuto nel periodo della Controriforma. BOTTASSO 1989: 255-256.

10 Sulla diffusione tra Francia e Inghilterra si tornerà nel prossimo capitolo. Per quanto riguarda la

Spagna, nel 1589 vengono pubblicate a Salamanca le Historias trágicas exemplares, traduzione delle prime quattordici Histories Tragiques a opera di Vicente de Millis Godìnez; l’opera viene ristampata nello stesso anno, poi a Madrid nel 1596 e di nuovo a Valladolid nel 1603. Cfr. LOI 2017:

17.

11 Sull’edizione centoriana si tornerà nel prossimo capitolo, per un’analisi delle edizioni italiane

delle Novelle rimando alla tesi di dottorato di LOI 2017; su Centorio si veda anche la tesi di laurea

(25)

19 racconti, ma la voce narrante appartiene ai traduttori. Nell’edizione milanese, invece, da una parte la figura dell’autore viene fatta coincidere con quella del narratore, dall’altra viene sottolineato il ruolo di revisore di Centorio fin dal titolo12: il che contribuisce, insieme all’aggiunta di novelle di altri scrittori – Molza, Parabosco, Giovanni Fiorentino –, a minare l’autorità bandelliana, come pare dimostrare l’anonimato raggiunto nell’antologia di Sansovino, nella quale il nome del domenicano non figura mai, nonostante le sue novelle vadano progressivamente a occupare uno spazio sempre maggiore nelle varie edizioni dell’opera13.

Questo scivolamento verso l’anonimato a prima vista potrebbe sembrare la naturale evoluzione della strategia adottata da Bandello nella sua raccolta, in cui si dipinge come un semplice trascrittore, delegando a una lunga lista di narratori il compito di raccontare le novelle; non si tratta certo di una novità, ma Giuseppina Baldissone ha sottolineato come, mentre nel Decameron il meccanismo era palesemente fittizio, nelle Novelle l’autore sembri invece voler negare l’originalità dell’inventio14. Tuttavia, è opportuno ricordare che nell’economia della prima edizione il dittico formato da epistola e novella costituisce un’unità inscindibile: la cadenza formulare con cui si ripetono i cinque piani compositivi che scandiscono ciascun dittico lascia ben pochi dubbi sull’interdipendenza fra le parti, anche se i rapporti che le legano obbediscono a criteri di controllata imprevedibilità15. Elisabetta Menetti ha rilevato come ogni dittico si componga di cinque fasi, la cui lunghezza può variare di caso in caso: nella lettera ricorrono la presentazione dell’argomento, l’ambientazione e la dedica dell’autore, mentre nel racconto troviamo l’introduzione del narratore e poi la novella vera e propria16. L’io dell’autore è tanto assente nelle novelle quanto evidente nelle dedicatorie, in cui Bandello è allo stesso tempo autore delle missive, personaggio del circolo novellistico e trascrittore dei racconti: dunque si capisce come la progressiva perdita

12 Il primo (-terzo) volume delle Novelle del Bandello nuovamente ristampato, e con diligenza

corretto, con una aggiunta d’alcuni sensi morali dal s. Ascanio Centorio degli Hortensii a ciascuna novella fatti. Da qui in avanti abbreviato in NC.

13 Rimando al lavoro di Nicola Ignazio Loi, che ha anche fornito le prove dell’utilizzo da parte di

Sansovino non dell’edizione lucchese ma di quella milanese, a ulteriore testimonianza della scarsa circolazione della princeps in Italia. LOI 2017:82-100.

14 BALDISSONE 1982:248. 15 BRUSCAGLI 1982:74. 16 MENETTI 2000: 450.

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20 dell’autorialità sia strettamente legata all’eliminazione delle lettere nelle edizioni successive alla prima.

II. Tra ideale e reale: la rappresentazione della corte e la poetica della verosimiglianza.

Un topos della critica bandelliana è l’attenzione rivolta al rapporto dell’autore con la corte: secondo Giorgio Barberi Squarotti la celebrazione cortigiana della raccolta è strettamente collegata alla prevalenza del momento orale su quello scritto17, ma in realtà anche l’espediente delle lettere dedicatorie contribuisce alla creazione dell’atmosfera cortese, visto che esse non solo chiamano in causa i vari «eroi» ed «eroine» che Bandello dice di aver conosciuto nel corso della sua vita, ma si rifanno al motivo del dono letterario offerto dal cortigiano al signore in segno di riconoscenza. La centralità della corte all’interno del novelliere è riconosciuta, insieme al ruolo unificante che essa svolge in una raccolta apparentemente caotica: narratori, dedicatari e uditori provengono dai vari circoli frequentati dall’autore, sono accomunati dall’elevata estrazione sociale e da un contesto di riferimento comune. L’immagine che le Novelle restituiscono è quella dell’aristocrazia italiana della prima metà del Cinquecento, presentata in un disordine cronologico che favorisce l’impressione «di una sorta di tableau vivant, in cui idealmente possano convivere nel quadro degli stessi valori, costumi e riti, senza soluzione di continuità nel tempo e nonostante le gravi occorrenze storiche […], il mondo cortigiano del passato e quello del presente, nell’arco dell’intero cinquantennio»18.

La società cortigiana di Bandello è fortemente idealizzata e non solo funge da

trait d’union per tutta la raccolta ma anche da garanzia di veridicità per le storie

raccontate. Nella programmatica dedica a Emilio degli Emili, l’autore afferma che «queste mie novelle, s’ingannato non sono da chi le recita, non sono favole ma vere istorie»19; il riferimento è ovviamente ai narratori cortigiani: nella corte non c’è

17 BARBERI SQUAROTTI 1982:28-29. 18 CABRINI 2012: 49.

19 N, II.11 dedicatoria. La questione definitoria è un problema centrale del genere già dal Decameron.

Come ha messo in luce Sandra Carapezza, il confine tra storia e fictio non è rigido, dunque spetta allo scrittore specificarlo di volta in volta, ed è sempre connotato da un certo grado di ambiguità: esemplare in questo senso la dedicatoria alla novella di Pia dei Tolomei in cui Bandello afferma che «la novella è istoria, de la quale fa menzione Dante nel Purgatorio. Tuttavia io l’ho voluta mettere con l’altre mie istorie o siano novelle», mettendo in campo sia la valenza della fonte dantesca come

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21 spazio per la menzogna, dunque «la società evocata fa da garante della veridicità dei fatti, che riacquistano – anche se antichissimi – attualità»20. Il problema dello statuto di verità della novella è un nodo centrale della poetica dell’autore: la dicotomia tra «favole» e «istorie» viene risolta «entro una sorta di cono d’ombra, rappresentato dalla verosimiglianza»21. Bandello si rifà esplicitamente alla Poetica di Aristotele nella dedica a Girolamo Ongaro (II.35), nella cui apertura affronta direttamente il tema del rapporto tra verità e meraviglia:

Spesse fiate sogliono avvenire casi così strani che, quando poi sono narrati, par che più tosto favole si dicano che istorie, e nondimeno son pur avvenuti e son veri. Per questo io credo che nascesse quel volgato proverbio: che «il vero che ha faccia di menzogna non si deverebbe dire». Ma dicasi ciò che si vuole, ch’io sono di parer contrario, e parmi che chiunque prende piacer a scriver i varii accidenti che talora accader si veggiono, quando alcuno gliene vien detto

da persona degna di fede, ancor che paia una favola, che per questo non deve

restar di scriverlo, perciò che, secondo la regola aristotelica, ogni volta che il

caso è possibile deve esser ammesso. Per questo io che per preghiere di chi

comandar mi poteva mi son messo a scriver tutti quegli accidenti e casi che mi paiono degni di memoria e dai quali si può cavar utile o piacere, non resto d’affaticar la penna, ancora che le cose che mi vengono dette paion difficili ad esser credute22.

La giustificazione chiama in causa non solo l’autorità aristotelica, ma anche l’assicurazione dell’affidabilità del narratore. In questo senso si capisce come la pretesa di realismo delle Novelle si regga essenzialmente sulla forma del dittico: la lettera ottiene una parvenza di veridicità attraverso la finzione di una brigata composta da personaggi storicamente definiti e noti a chi scrive; la novella, invece, contiene un racconto che è allo stesso tempo verosimile e meraviglioso23. Si tratta di un effetto di verità paradossale: la rappresentazione di un narratore che parla a

storiografia e letteratura, che il complesso rapporto tra i due termini («istoria» e «novella»). Nella raccolta «novella» ha un significato non univoco: può trattarsi di un fatto nuovo o strano che rivendica comunque un buon grado di credibilità, in questo senso viene spesso sostituito con il termine «caso», mentre «storia» non è sinonimo, bensì fabula, ovvero la materia della novella. CARAPEZZA 2007: 206-209.

20 POZZI 1982: 109, ma si veda anche BARBERI SQUAROTTI 1982: 31; MENETTI 2005: 93-98;

VAROTTI 2012; SANTORO 1977.

21 IVI: 95.

22 N, II.35 dedicatoria. Corsivi miei. 23MENETTI 2005:106.

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22 un uditorio è un topos del genere novellistico24, si colloca su un piano diverso rispetto ai racconti veri e propri, ma è comunque parte della fictio25.

La questione della verosimiglianza viene risolta adottando l’accezione del termine che rimanda alla novità, al caso insolito ma possibile26. Questa nozione sta alla base della poetica di Bandello, che infatti raccoglie nel suo novelliere una quantità di «casi mirabili» attingendo dalla cronaca, dalla storiografia antica e dalla tradizione umanistica, per inserirli in una struttura improntata alla varietà e alla casualità che funge da specchio della società contemporanea. Si tratta di un disordine programmato: come nota Bragantini non c’è dubbio che «la vetusta oleografia di un Bandello narratore naif e sregolato vada […] messa in soffitta», tanto più che dietro il topos del disordine della raccolta sembrano celarsi i modelli di Plinio e di Petrarca27. L’autore torna più e più volte sulla natura casuale della composizione della sua opera: già nella prima introduzione «ai candidi e umani lettori» propone l’immagine di una serie di racconti composti durante tutto l’arco della sua vita «secondo che l’occasione mi s’offeriva»28; ma torna sul tema anche nella prefazione al terzo volume, aggiungendo il riferimento alla varietà del materiale offerto:

non avendo potuto servar ordine ne l’altre, meno m’è stato lecito servarlo in queste. Il che certamente nulla importa, non essendo le mie novelle soggetto d’istoria continovata, ma una mistura d’accidenti diversi, diversamente e in diversi luoghi e tempi a diverse persone avvenuti e senza ordine veruno recitati29.

24 BALDISSONE 1982:247.

25 Il paradosso a cui l’autore rimanda per stabilire la veridicità dei suoi racconti è particolarmente

evidente nella programmatica epistola che precede la novella II.24: nella dedicatoria si trova una riflessione sul valore pedagogico della novellistica, su cui si ritornerà, ma ricorre ancora una volta la professione di fede nell’attendibilità di chi racconta («tanto più volentieri gli scrivo, quanto ch’io sento quelli da persone degne di fede esser stati narrati»), che risulta paradossale visto che l’autore attribuisce il racconto prima allo Scaligero, il quale poi delega la responsabilità a Margherita di Navarra, nota autrice di novelle, per cui la dichiarazione bandelliana è da intendersi come «un gioco dello scrittore per due motivi: rimanda a una catena di narrazioni e al primo anello trova un referente patentemente privo del requisito di attendibilità». CARAPEZZA 2007:223-225.

26 Cfr, BATTISTINI 1995:321;MENETTI 2005:103.

27 BRAGANTINI 2014:103-112: 104. Per la cornice composta dal binomio lettera-novella, invece,

Elisabetta Menetti ha individuato l’antecedente più vicino in Leonardo Bruni, si vedaMENETTI 2005: 71-84.

28 N, Ai candidi e umani lettori, prima parte. 29 N, Ai candidi e umani lettori, terza parte.

(29)

23 La natura caotica delle Novelle è dunque sottolineata tanto nelle introduzioni quanto nelle dedicatorie30, ma fin dalla prime righe dell’opera si possono individuare due elementi unificanti sottesi a tanto disordine:

Io, già molti anni sono, cominciai a scriver alcune novelle, spinto dai comandamenti de la sempre acerba e onorata memoria, la vertuosa signora Ippolita Sforza, consorte de l’umanissimo signor Alessandro Bentivoglio, che Dio abbia in gloria. E mentre che quella visse, ancor che ad altri fossero alcune di loro dedicate, tutte nondimeno a lei le presentava. Ma non essendo il mondo degno d’aver così elevato e glorioso spirito in terra, nostro Signor Iddio con immatura morte a sé lo ritirò in cielo. Onde dopo la morte sua a me avvenne, come a la versatil mola suol avvenire, che, essendo da forte mano raggirata, ancor che se ne levi essa mano, tuttavia la ruota, in vertù del primo movimento, buona pezza senza esser tocca si va raggirando. Così dopo la morte de la detta nobilissima signora, l’animo mio, che sempre fu desideroso d’esserle ubidiente, non cessò di raggirare la mia debol mano, a ciò ch’io perseverassi a scrivere or questa or quella novella, secondo che l’occasione mi s’offeriva, di modo che molte ne scrissi31.

L’accumulo di novelle segue il principio della conservazione della memoria e attiva anche «il meccanismo del patrocinio e patronato, ancorato al passato milanese, ma con un ruolo propulsivo che una volta messo in moto continua nel tempo»32. Il movimento progressivo è sottolineato dall’immagine della ruota, che ricopre anche una funzione nobilitante nel rimando al Cortegiano, in cui Giuliano de’ Medici la attribuisce a Isabella di Castiglia33. Allo stesso tempo, emerge subito l’importanza dell’esperienza di vita dell’autore, la cui vicenda autobiografica si snoda attraverso le dedicatorie parallelamente all’esaltazione della società cortese. Infatti, esaminando le epistole dei primi due volumi, si può notare «la presenza sia di un movimento progressivo (dissimulato) che serve a profilare l’autobiografia dell’autore, sia di uno regressivo (macroscopico) che fa del perenne ritorno alla stagione milanese-mantovana una costante strutturale forte»34. Non solo; se si

30 Si veda la solita epistola a Emilio degli Emili: «Ora avendo io ricuperati alcuni fragmenti così de

le mie rime come de le novelle, mi son messo a trascrivere esse novelle ed anco, – secondo che di nuovo alcuna n’intendo, – scriver e come a le mani mi vengono a metterle insieme, non mi curando dar loro ordine alcuno». N, II.11.

31 N, Ai candidi e umani lettori, prima parte. 32 CABRINI 2012:57.

33 IBIDEM.

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24 esamina la dedicatoria a Ippolita Sforza (I.1) si può individuare una terza costante, ovvero il riferimento al processo di composizione del libro:

parendomi il caso degno di compassione e di memoria, così precisamente com’era stato da l’Alemanni detto, quello scrissi. Sovvenendomi poi che voi più e più volte essortato m’avete a far una scielta

degli accidenti che in diversi luoghi sentiva narrare e farne un libro, e già

avendone molti scritti, pensai, sodisfacendo a l’essortazioni vostre, che appo me tengono luogo di comandamento, metter insieme in modo di novelle ciò che scritto aveva, non servando altrimenti ordine alcuno di tempo, ma secondo che a le mani mi venivano esse novelle disporre, ed a ciascuna di

quelle dar un padrone o padrona dei miei signori ed amici35.

Le immagini del disordine, della selezione dei racconti e del patrocinio letterario vengono riprese anche in due delle ultime epistole della Prima parte:

Io rivolgeva questi dì molte de le mie scritture che in un forziero

senz’ordine erano mescolate sí come a caso quivi dentro erano state gettate.

E venendomi a le mani alcune mie novelle che ancora non erano state

trascritte né collocate sotto la tutela d’alcun padrone o padrona miei, restai

forte smarrito che ancora a voi nessuna donata ne avessi, avendone di già dedicate a questi ed a quelle più d’un centinaio.

Lionardo alora a quei gentiluomini che quivi erano, per dimostrare che gli eccellenti pittori sempre furono onorati, narrò una bella istorietta a cotal proposito. Io che era presente al suo ragionamento, quella annotai ne la mente mia, ed avendola sempre tenuta ne la memoria, quando mi posi a scriver le

novelle, quella anco scrissi. Ora facendo la scelta d’esse mie novelle ed

essendomi venuta questa a le mani, ho voluto che sotto il vostro valoroso nome sia veduta e letta36.

Le lettere chiudono un cerchio e testimoniano il processo di composizione del libro: la I.1 sancisce l’inizio del progetto bandelliano, la I.57 invece, databile dopo il 1550, testimonia l’allestimento per la stampa delle novelle, mentre la I.58 rimanda alla gioventù dell’autore, che si raffigura novizio nel convento di Santa Maria delle Grazie intento a collezionare quel materiale che diventerà poi parte fondamentale

35 N, I.1. 36 N, I.57, 58.

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25 della raccolta37. Proprio l’immagine del libro stampato va a sostituire nella Seconda

parte quello del dono cortigiano: le formule con cui l’autore raccomanda la propria

novella a un nobile protettore si fanno più rare, mentre aumentano i rifermenti a un pubblico più vasto, quello dei lettori del testo a stampa38.

III. Apologie bandelliane: la morale e la questione della lingua.

Lo spostamento verso una strutturazione più rigorosa nel passaggio dal primo al secondo volume è sancito anche dalla frequenza delle dedicatorie programmatiche, la più nota delle quali è certamente quella a Emilio degli Emili (II.11), in cui vengono ripresi dei punti centrali della poetica dell’autore già esposti nell’introduzione della Prima parte, ovvero la giustificazione morale e la questione della lingua. La moralità delle Novelle è un punto essenziale: Bandello appartiene all’ordine dei predicatori e si preoccupa immediatamente di esplicitare i fini della raccolta, che seguono il classico precetto oraziano del giovamento mescolato al diletto39; tuttavia, già nella dedicatoria II.11 emerge il riferimento alla polemica suscitata dalle novelle – nel 1518 il frate era stato accusato di immoralità dall’arcidiacono Alessandro Gabbioneta – e la conseguente necessità di giustificare il proprio lavoro. L’autore risolve questo problema istituendo un dialogo a distanza con Boccaccio:

Dicono poi che non sono oneste. In questo io son con loro, se sanamente intenderanno questa onestà. Io non nego che non ce ne siano alcune che non solamente non sono oneste, ma dico e senza dubio confesso che sono disonestissime […]. Confesso io adunque molte de le mie novelle contener di questi e simili enormi e vituperosi peccati, secondo che gli uomini e le donne gli commettono; ma non confesso già che io meriti d’esser biasimato. Biasimar si deveno e mostrar col dito infame coloro che fanno questi errori, non chi gli scrive. Le novelle che da me scritte sono e che si scriveranno, sono e saranno scritte de la maniera che i narratori l’hanno raccontate. Affermo bene averle scritte e volerne de l’altre scrivere più modestamente che sia possibile, con parole oneste e non sporche né da far arrossire chi le sente o legge. Affermo anco che non si troverà che ’l vizio si lodi né che i buoni costumi e la vertù si condannino, anzi tutte le cose mal fatte sono biasimate e 37 Si veda CORTINI 2008: 126-127.

38 IVI: 135-136.

39 «affermo bene che per giovar altrui e dilettare le ho scritte». N, Ai candidi e umani lettori, prima

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