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Una doppia famiglia per un minore in affido sine die?

Questioni psicologiche nell'affidamento sine die

3.2 Una doppia famiglia per un minore in affido sine die?

Nell'affidamento familiare il minore sperimenta la separazione del nucleo d'origine, l'attaccamento agli affidatari e, soprattutto nel caso del sine die, una ricerca di equilibrio e di collocazione di sé per la costruzione di un'identità.

Francesco Vadilonga41 definisce l'affido come un processo di perdita: innanzitutto il minore perde l'affetto e la cura dei genitori che non sanno rispondere alle sue richieste di accudimento. Inoltre la perdita riguarda la vera e propria separazione dalla famiglia d'origine, dall'ambiente personale che comprende abitudini e luoghi di riferimento e dal contesto sociale cioè gli amici, la scuola, ecc.

Il minore si trova, così, catapultato in un nuovo contesto familiare in cui, durante l'esplorazione e lo studio del nuovo ambiente, deve affrontare il lutto della perdita, del distacco e dei sentimenti ad essi associati.

L'affido sine die rende più difficile tutti questi passaggi perché il minore non rescinde i legami con i genitori naturali; nel caso dell'adozione, al contrario, la perdita appare certamente totale e definitiva ma porta ad uno “status” definito di figlio.

L'adottato, (tenendo conto di tutte le variabili come l'età, la qualità del legame coi genitori naturali, il tipo di collocazione, ecc.), da un certo punto di vista, è più facilitato nel lavoro personale di elaborazione della perdita e di costruzione di nuovi legami affettivi. Lo stato di figlio porta ad una strutturazione maggiormente solida del sé.

Il minore in affidamento sine die non sperimenta questo status definito di figlio perché la doppia appartenenza provoca un doppio confronto tra il contesto d'origine e quello affidatario. Il minore è costantemente alla “finestra” dei due poli e osserva entrambi i mondi. E' chiaro che questa continua doppia appartenenza provoca nel minore una maggior difficoltà nella definizione di sé, rispetto al minore in adozione. Un cognome diverso, i rientri presso la famiglia d'origine o gli incontri protetti, l'andare e venire tra due famiglie: tutto contribuisce a un senso di stranezza che pone il minore in una posizione ambigua che ha ricadute sulla formazione della sua identità e del suo senso di sicurezza.42

E' fondamentale, perciò, accompagnare il minore in questo processo di perdita dal nucleo d'origine informandolo sulla sua situazione e su quello che sta vivendo.

Il bambino conosce solo un mondo, il suo. Allontanarsene rappresenta comunque un salto nell'ignoto. Sappiamo che l'ignoto fa più paura del noto. Dunque il bambino deve essere opportunamente informato e rassicurato, ma sopratutto, compatibilmente con la sua età, bisogna dirgli, anche se si pensa che possa non capire tutto, perché è andato via da casa e cos'è il posto in cui si trova e se potrà o non potrà vedere i suoi genitori e in che tempi e a quali condizioni.

Dobbiamo cominciare a cambiare il suo modo di stare al mondo: un modo spesso pieno di fatti senza spiegazioni, di comportamenti senza riflessioni, di punizioni senza motivo, di urla senza ragione, ecc. La sua futura vita dovrà essere supportata da qualche spiegazione, riflessione, confronto, cambiamento di idea, ecc.

Se vogliamo aiutarlo a crescere dobbiamo iniziare a raccontargli le sue esperienze dandogliene una rappresentazione verbale, aiutandolo e sostenendolo a farsene un'idea e una rappresentazione mentale. E' assolutamente necessario che egli passi da una vita dove esiste solo la sintesi inestricabile di comportamenti ed emozioni, dove la paura arriva in presa diretta con le persone in presenza di alcuni comportamenti, con un mondo e una realtà dove le cose che accadono hanno una spiegazione, delle regole, delle rappresentazioni comprensibili e a volte attivabili e modificabili con la propria iniziativa. 43

Come hanno sottolineato Rosalinda Cassibba e Linda Antonella Antenucci44, i minori sono in grado di stabilire diversi legami affettivi: la famiglia naturale non è l'unico contesto all'interno del quale il minore cresce e si sviluppa.

Allo stesso tempo, come viene ricordato da Marco Chistolini, non bisogna dimenticare che Bowlby ha parlato della relazione di attaccamento come di una relazione “monotropica”45, caratterizzata dalla tendenza ad instaurare un legame affettivo privilegiato con una figura specifica che “offra cure continuative e costanti” e venga percepita dal bambino come ”più forte e più saggia”, in altre parole più capace di fornire protezione e sicurezza.

Questa prospettiva fa capire che è normale per un minore in affido sine die avere una doppia appartenenza ma anche che i legami con i due nuclei familiari non si possono

43 Morini Lorenzo, L'allontanamento di un minore, Prospettive Sociali e Sanitarie, n. 4-5/2011, pp. 9- 13.

44 Cassibba Rosalinda, Antonucci Linda Antonella, I legami multipli nei bambini adottati e in affido, Minorigiustizia n. 4-2014.

45 Chistolini Marco, I legami dei bambini adottati in forme aperte e in affido sine die con i genitori:

alcune note psicologiche, Minorigiustizia n. 4-2014, riporta Attili Grazia, Attaccamento e costruzione evoluzionistica della mente: normalità, patologia terapia, Raffaello Cortina, Milano 2007, p. 39.

porre sullo stesso piano: vivendo da anni in una famiglia che si occupa di lui in maniera costante e continua, il minore tende a percepire quel legame di attaccamento più importante del precedente.

Questa “gerarchizzazione degli affetti”46 caratterizza le relazioni di qualsiasi persona ed è utile anche per costruire un senso di appartenenza forte e strutturante.

Si possono sostenere, perciò, due tesi diverse:

1. Per creare nuovi legami di appartenenza è necessario disinvestire da quelli precedenti;

2. Il senso di appartenenza si organizza in modo gerarchico.

Per costruire un legame di appartenenza forte e sicuro, in un affidamento sine die, è necessario aiutare il minore a “prendere le distanze” dalla famiglia di origine.

Parlare di “doppia appartenenza” può essere fuorviante in quanto suggerisce l’idea che il minore possa e debba sentirsi ugualmente parte delle due famiglie, mentre è fondamentale che percepisca la nuova famiglia come propria, senza, ovviamente, dimenticare o rinnegare il nucleo di origine.

In altre parole, si tratta di aiutare il minore nel dare priorità a quegli investimenti affettivi e di appartenenza che possono essere, nel presente e nel futuro, maggiormente in grado di assicurare relazioni utili ad una crescita positiva.47

46 Ivi

A questo punto la famiglia affidataria, la comunità, la comunità di famiglie devono essere informate chiaramente della nostra prognosi (di irrecuperabilità, n.d.r.), esprimersi esplicitamente sulla propria disponibilità ad esercitare una funzione sostitutiva del ruolo affettivo ed educativo dei genitori, e non venire poi frastornate e confuse da richieste contraddittorie di aiutare il ragazzo a ripristinare un buon rapporto con i familiari. Viceversa il loro compito, in assoluto contrasto con ciò che è richiesto ad un “normale” genitore affidatario, sarà sostenere il ragazzo nella presa di distanza dalla sua famiglia, accompagnarlo nel conseguente processo di lutto, e rispondere con la propria disponibilità affettiva al trasferimento su di loro delle attese genitoriali di questi “figli adottivi”, anche se giuridicamente non possono chiamarli tali. Se è necessario, per considerazione di ordine giuridico o di altro genere, che i contatti tra il ragazzo ed i genitori biologici non siano del tutto interrotti, bisogna comunque che siano ridotti al minimo e monitorati con cura, altrimenti il messaggio contraddittorio che si invierebbe al ragazzo (“purtroppo i tuoi non sono in grado di svolgere nei tuoi confronti una funzione genitoriale, per cui ti allontaniamo definitivamente da loro; però ci devi tornare a fine settimana alterni e nelle feste comandate”) vanificherebbe completamente il nostro progetto di aiutarlo a trovare un’appartenenza alternativa a quella alla sua famiglia biologica che si è rivelata fallimentare.48

Mantenendo viva la relazione tra il minore e la famiglia naturale, oltre ad illudere il minore, si renderà più difficile l'apertura verso la nuova famiglia.

Nell'affidamento sine die non si deve lavorare per un ricongiungimento familiare verso dei genitori naturali che, in realtà, non potranno mai riaccogliere il loro figlio. Al contrario, è bene investire sulla nuova relazione di attaccamento, per fornire, finalmente, al minore quella “base sicura” di cui ha bisogno per crescere in maniera positiva.