L'affidamento sine die
2.3 La famiglia affidataria
La famiglia affidataria, nell'affidamento sine die, perde un po' la sua vocazione di luogo temporaneamente preposto all'accoglienza del minore allontanato dalla sua
21 Caffarena Silva, op. cit. 22 Pazè Piercarlo, op. cit.
23 Faccio riferimento ad un seminario dal titolo “Terra di confine tra affido e adozione: questioni aperte”, svoltosi all'Università Cattolica del Sacro Cuore il 15 Marzo 2013, in occasione del quale Greco Ondina è intervenuta con un contributo dal titolo “Appartenenza, appartenenze nella terra di mezzo”.
famiglia d'origine. Il progetto, che doveva terminare entro due anni, diventa sine die con una conseguente riorganizzazione della famiglia affidataria.
Ma anche qui ci sono delle particolarità che è bene approfondire.
Innanzitutto chi sono le famiglie affidatarie e quali sono le motivazioni che spingono una coppia ad accogliere un minore privo di un ambiente famigliare adeguato?
Fabio Sbattella24, rifacendosi ai dati emersi dal “decimo rapporto sulla famiglia italiana”, delinea quattro target di adulti e coppie che possono essere più propensi, rispetto ad altri, all'apertura verso l'esperienza dell'affido:
– adulti con una matura cultura di volontariato;
– adulti per i quali le relazioni comunitarie a misura d'uomo rappresentano ancora un valore;
– coppie alla ricerca di un completamento in senso genitoriale dell'esperienza di coppia o desiderosi di continuare l'esperienza genitoriale dopo l'uscita dei figli;
– adulti che abbiano superato eventi critici e siano alla ricerca di relazioni significative su cui investire.
Una divisione simile è stata fatta anche da Marco Chistolini25, il quale divide due grandi categorie di famiglie disponibili: nella prima rientrano tutte le famiglie che intendono svolgere un'azione di servizio e solidarietà verso un minore in difficoltà e
24 Cam (a cura di), op. cit. Fabio Sbattella, a p. 96, cita la pubblicazione da cui prende spunto: Pierpaolo Donati (a cura di), Ri-conoscere la famiglia: quale valore aggiunto per la persona e la
società? Decimo rapporto Cisf sulla famiglia in Italia, San Paolo, Cinisello Balsamo, 2007.
nella seconda quelle mosse dal desiderio di svolgere il ruolo genitoriale.
Nella prima categoria si trovano coloro che hanno una forte motivazione, spesso di natura religiosa, oppure chi si impegna nel mondo del volontariato per aiutare tutti quelli che hanno bisogno del loro aiuto.
Nel secondo si trovano individui che, a causa di diversi accadimenti ed esperienze personali, hanno una spiccata motivazione a svolgere il ruolo genitoriale.
I valori che spingono un adulto a sperimentare l'affidamento si possono ricercare, quindi, nella responsabilità sociale, nel senso di partecipazione e di servizio civile e nell'importanza del valore umano e sociale di un'azione di aiuto.
La voglia di una maggiore unità familiare, di sperimentare o continuare un'esperienza genitoriale, possono spingere tante coppie a proporsi per un progetto di affidamento. Infine, tra gli adulti che si candidano ad accogliere un minore in difficoltà, ci sono persone che nella loro infanzia hanno avuto esperienze più o meno gravi di abbandono e di sofferenza. Questi affidatari si identificano col minore in difficoltà e tendono, perciò, ad occuparsi di lui ed a prendersene cura.26
Per quanto riguarda le funzioni, fino a non molti anni fa gli affidatari erano visti come dei custodi o dei parcheggiatori che dovevano avere un rapporto piuttosto distaccato col minore in modo da non disturbare il suo rientro nella famiglia d'origine oppure per rendere più semplice il suo ingresso nella nuova famiglia adottiva.27 Con la promulgazione della legge 149/2001, gli affidatari sono responsabili del mantenimento, dell'educazione, dell'istruzione del minore e anche di una relazione basata sull'affetto e la stabilità. Secondo l'articolo 5 della legge 149/2001,
26 Ivi.
l’affidatario deve essere sentito nei procedimenti in materia di potestà, affidamento, adottabilità relativi al minore; non ha la rappresentanza legale del minore e non esercita la potestà, ma cura gli ordinari rapporti con la scuola e con l’autorità sanitaria.
Il distacco e l'accompagnamento del minore verso la sua famiglia naturale è, forse, il momento più difficile che gli affidatari devono affrontare in quanto l'affidamento, a differenza dell'adozione, prevede una fine. Ma che succede se un affidamento che doveva durare un paio d'anni si trasforma in sine die? Come possono reagire gli affidatari che hanno dato la disponibilità per un progetto temporaneo e si trovano a dover gestire un affidamento di cui non si conosce la fine?
Se i servizi progettano un affido sine die, per i diversi motivi già evidenziati, gli operatori si dovranno prodigare per cercare una famiglia affidataria che abbia dato la disponibilità ad un affidamento lungo o indeterminato. In questo caso gli affidatari non andranno incontro ad una riorganizzazione della vita e dei progetti familiari in quanto è chiaro fin dall'inizio che il minore starà con loro almeno fino al raggiungimento della maggiore età.
Diverso è il discorso nei casi in cui l'affido diventa sine die a causa di una mancata progettazione, di una valutazione della genitorialità errata oppure a causa di eventi che non si possono prevedere: in questi casi la famiglia affidataria si trova costretta a gestire una situazione che non era prevista e che la costringe, perciò, a ricalibrare progetti di vita e, più semplicemente, riorganizzare la quotidianità. A tal proposito è emblematica la testimonianza di un figlio biologico di una famiglia affidataria, riportata nello studio di Martina Lucia Lanza28:
Man mano che passava il tempo cioè si vedeva che continuava questa cosa e ci si è comunque interrogati su quant'è che durerà, resterà con noi per sempre eccetera, comprare la camera nuova per me e lui mentre prima era un letto provvisorio, insomma alcuni cambiamenti che fanno capire che la cosa continua.
La famiglia si deve, in qualche modo, riorganizzare in quanto le aspettative sul progetto di affido non sono state rispettate.
In certi casi, purtroppo, gli affidatari rinunciano al progetto e il minore si trova, cosi, costretto a dover riaffrontare un nuovo ingresso in un'altra famiglia.
Il più delle volte la famiglia resiste, grazie a quella motivazione che l'ha spinta a candidarsi all'affido, ma, di contro, possono nascere delle difficoltà relative alla percezione del rapporto e del legame col minore.
La famiglia affidataria continua a prendersi cura di un minore che appartiene ad altri genitori in un rapporto indefinito e senza fine.
Ci possono essere casi in cui la famiglia affidataria confligge coi servizi perché non è d'accordo sulle modalità e sulle scadenze con cui il minore deve vedere la sua famiglia d'origine: i servizi sono percepiti come lontani e insensibili nel riflettere su degli incontri che possono avere effetti patogeni sul minore.
Luzzatto parla di equilibrio da funamboli29: gli affidatari non devono sostituire i genitori biologici - il cui ruolo va, invece, preservato - e neppure instaurare un legame transitorio di sostegno, nell'attesa di una separazione.
Essi rischiano, cosi, di restare bloccati in una affettività sospesa che non si può esprimere liberamente e che non può rimanere delimitata alla temporaneità dell'affidamento familiare.
La famiglia affidataria deve essere in grado, perciò, di accettare un bambino proveniente da un contesto familiare diverso dal proprio e che possiede differenti abitudini e differenti valori. L'accettazione e la cura incondizionata di un bambino sofferente sono la base di un buon affido. Inoltre gli affidatari devono mantenere un rapporto corretto e leale con la famiglia d'origine con il fine di costruire un'“alleanza genitoriale”30 che possa far sentire il minore protetto e sicuro durante il periodo di affidamento.