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Le zone grigie dell'affidamento sine die: problematiche e soluzioni per un buon affido.

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Academic year: 2021

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Indice

Introduzione

Capitolo 1

L'affidamento familiare

1.1 Introduzione giuridica 1.2 Il processo d'aiuto 1.3 Le forme di affidamento

1.4 La doppia mission dell'affidamento familiare 1.5 La temporaneità

1.6 Alcuni dati

Capitolo 2

Affidamento sine die

2.1 Che cos'è l'affidamento sine die e come si sviluppa 2.1.1 L'affido sine die come progetto

2.1.2 L'affido sine die come conseguenza di un progetto errato 2.1.3 L'affido sine die quando non è consigliabile il rientro 2.2 Alcuni dati e l'esperienza dell'adozione mite

2.3 La famiglia affidataria

Capitolo 3

Questioni psicologiche nell'affidamento sine die

3.1 I confini familiari

3.2 Una doppia famiglia per un minore in affido sine die? 3.3 Un legame sicuro per una costruzione sicura del Sé

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Capitolo 4

Il buon affido

4.1 La progettazione

4.1.1 Per i servizi

4.1.2 Per la famiglia affidataria

4.1.3 Per il minore e per la famiglia d'origine 4.2 La co-genitorialità

4.3 I cinque elementi per una buona prassi dell'affidamento familiare

Conclusioni

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Introduzione

L'affidamento opera nei casi in cui il minore si trova temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, mentre invece l'adozione riguarda i minori in stato di abbandono.

Nell'affidamento il minore viene allontanato dal suo nucleo familiare per un periodo di tempo limitato in cui, da una parte, i servizi progettano un intervento di ripristino delle competenze genitoriali e, dall'altra, il minore gode di cure adeguate all'interno della famiglia affidataria.

Nell'adozione, invece, la famiglia d'origine non ha mostrato alcun interesse o motivazione al cambiamento e perciò il minore rescinde completamente i legami con essa e viene adottato da una nuova famiglia capace di fornirgli il mantenimento, l'educazione e l'istruzione che non ha mai avuto.

Sembra che l'elemento centrale sia proprio la recuperabilità delle competenze genitoriali: se la famiglia è considerata recuperabile il minore va in affidamento per due anni, altrimenti in adozione.

In questo modo, la disciplina che riguarda la tutela dei minori può sembrare facile perché si tratta solo di valutare in maniera corretta la competenza genitoriale che può essere o bianca o nera ma la realtà è ben più complessa.

La maggior parte degli affidi in Italia si collocano in una zona grigia composta dagli affidamenti che superano i due anni previsti dalla legge. Si tratta dei cosiddetti affidi sine die: affidi senza termine che vedono il minore crescere all'interno della famiglia affidataria pur rimanendo figli legittimi della famiglia d'origine.

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Anche se la legge prevede che un affidamento debba durare due anni, in Italia quasi il 60% degli affidamenti supera tale termine.

Le cause

Conseguenze psicologiche conclusione.

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1

L'affidamento familiare

1.1 Introduzione giuridica

L'articolo 30 della Costituzione della Repubblica Italiana stabilisce che è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio.1

Il mantenimento, cioè il sostentamento e la somministrazione dei mezzi necessari a sopperire alle normali esigenze di vita della persona, è il primo obbligo dei genitori che non devono, però, limitarsi al solo aspetto materiale, in quanto nel dovere di mantenimento rientra l'ambito degli affetti e delle relazioni che contribuiscono a uno sviluppo equilibrato e sano della personalità.

Il dovere di istruzione, invece, indica l'obbligo dei genitori di istruire il minore nelle forme e nei limiti delle loro possibilità, garantendogli l'accesso all'istruzione obbligatoria e gratuita fornita dalla scuola.

L'articolo 30 della Costituzione ha lo scopo di tutelare i minori, garantendo il loro diritto ad essere curati ed educati in maniera responsabile nell'ambito della propria famiglia.

Il dovere all'educazione è rimarcato anche dal Codice Civile dove, all'articolo 147, si obbligano i genitori a realizzare la funzione educativa tenendo conto delle capacità,

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dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli.

Nell'eventualità che la famiglia d'origine si dimostri inidonea o non in grado a crescere il proprio figlio, la legge 149/2001, che ha modificato la l. 184/1983, interviene a protezione del bambino.

La legge, all'articolo 1, recita cosi:

I.Il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia.

II. Le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non possono essere di ostacolo all’esercizio del diritto del minore alla propria famiglia. A tal fine a favore della famiglia sono disposti interventi di sostegno e di aiuto.

III. Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle proprie competenze, sostengono, con idonei interventi, nel rispetto della loro autonomia e nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, i nuclei familiari a rischio, al fine di prevenire l’abbandono e di consentire al minore di essere educato nell’ambito della propria famiglia. Essi promuovono altresì iniziative di formazione dell’opinione pubblica sull’affidamento e l’adozione e di sostegno all’attività delle comunità di tipo familiare, organizzano corsi di preparazione ed aggiornamento professionale degli operatori sociali nonché incontri di formazione e preparazione per le famiglie e le persone che intendono avere in affidamento o in adozione minori. I medesimi enti possono stipulare convenzioni con enti o associazioni senza fini di lucro che operano nel campo della tutela dei minori e delle famiglie per la realizzazione delle attività di cui al presente comma.

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IV. Quando la famiglia non è in grado di provvedere alla crescita e all’educazione del minore, si applicano gli istituti di cui alla presente legge. V. Il diritto del minore a vivere, crescere ed essere educato nell’ambito di una famiglia è assicurato senza distinzione di sesso, di etnia, di età, di lingua, di religione e nel rispetto della identità culturale del minore e comunque non in contrasto con i princìpi fondamentali dell’ordinamento.

L'articolo è fondamentale per capire che l'intento del legislatore è quello di riconoscere al bambino il diritto fondamentale e inviolabile di crescere ed essere educato nell'ambito della propria famiglia.

La famiglia, definita all'articolo 29 della Costituzione come “società naturale fondata sul matrimonio”, è la forma di legame primaria e il nucleo centrale della società. Così com'è concepita nella tradizione giuridica occidentale, la famiglia è il luogo più idoneo per una crescita equilibrata, il luogo dove il bambino riceve le cure fondamentali per uno sviluppo adeguato e sano della personalità. Le figure di accudimento sono le prime con le quali nascono relazioni di affetto e di attaccamento che influiranno sullo sviluppo futuro.

Le complicazioni e le difficoltà che possono nascere all'interno del nucleo familiare non devono interferire con il diritto del minore alla propria famiglia. E' compito della Repubblica intervenire a tutela del minore, assicurando il suo diritto fondamentale a crescere all'interno della propria famiglia.

Lo Stato, le regioni e gli enti locali (ognuno secondo le proprie competenze) devono agire per rimuovere gli ostacoli, per sostenere e avere cura dei nuclei familiari a rischio e per garantire al minore un ambiente familiare appropriato.

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Nel momento in cui la famiglia d'origine continua a non essere più in grado a provvedere alla crescita e all'educazione del bambino, la legge introduce gli istituti giuridici dell'affidamento e dell'adozione.

L'articolo 2 della legge 149/2001 stabilisce che:

Il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, nonostante gli interventi di sostegno e aiuto disposti ai sensi dell’articolo 1, è affidato ad una famiglia, preferibilmente con figli minori, o ad una persona singola, in grado di assicurargli il mantenimento, l’educazione, l’istruzione e le relazioni affettive di cui egli ha bisogno.

E' chiara la necessità di fornire un ambiente familiare adatto e consono a quel minore che ne sia temporaneamente privo, nonostante gli interventi di sostegno da parte delle istituzioni alla famiglia in difficoltà. La legge 149/2001, infatti, sottolinea il diritto del minore a crescere all'interno della propria famiglia, ma quando questa diventa un rischio per lo sviluppo del minore lo Stato deve intervenire per tutelare il soggetto debole allontanandolo dalla sua famiglia d'origine.

L'affidamento familiare è appunto lo strumento di tutela di quel minore che si trova temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo ed ha, quindi, bisogno di un allontanamento temporaneo da una situazione di rischio.

1.2 Il processo d'aiuto

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pericolo spetta a tutti i membri della collettività, in particolare agli operatori sociali ed a tutti coloro che hanno compiti di istruzione o di cura. Un bambino può essere maltrattato fisicamente o abusato, può essere trascurato nei suoi bisogni fondamentali o può vivere una condizione di rischio legata al suo contesto familiare: il compito di prestare particolare attenzione a tutti questi elementi è fondamentale perché è veramente raro che un genitore o un bambino si presentino spontaneamente ai servizi denunciando una situazione di abbandono o di violenza.

Un adulto che maltratta il proprio figlio non esplicita una richiesta di aiuto anche se può esistere una volontà al cambiamento. Il genitore maltrattante è consapevole che dichiarare il proprio comportamento equivale ad autodenunciarsi per aver violato non solo un tabù sociale profondamente radicato, ma anche una norma di condotta sancita dalla legge. Colui che confessa di maltrattare i propri figli sa di andare incontro al biasimo e alla disapprovazione, se non addirittura al rischio di incorrere nel giudizio penale: ciò rende molto difficile l'esplicitazione di una richiesta di aiuto.2

Allo stesso tempo è raro che un bambino denunci i suoi genitori: lo stretto legame che esiste tra le due parti e la profonda lealtà verso i genitori esclude la possibilità che il piccolo possa percepire la sua figura di attaccamento come cattiva od ostile. I bambini che subiscono un danno non hanno la lucidità per decodificarlo come tale. Per questi motivi è fondamentale prestare attenzione a tutti quei segnali fisici o comportamentali che possano significare situazioni di disagio e di rischio che il bambino sta vivendo.

Se la famiglia è sospettata di un reato grave, come la violenza sessuale o il reato di maltrattamento in famiglia (art. 572 c.p.), i servizi devono immediatamente

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relazionare ai pubblici ufficiali. Sarà il Pubblico Ministero della sezione penale che si occuperà delle indagini.

La famiglia sospettata di reato non deve essere coinvolta dai servizi perché i genitori potrebbero spaventarsi e mettere in atto una serie di meccanismi difensivi: minacciare i figli per non farli parlare, modificare o distruggere le prove, trovare degli alibi o, addirittura, rendersi irreperibili. Per questo bisogna subito informare i pubblici uffici, di cui sopra, e mantenere un'assoluta riservatezza sul caso.

Se, invece, il rischio che attraversa il minore è tale da inserirsi in un contesto familiare che non faccia sorgere il dubbio agli operatori sociali circa la sussistenza di un'ipotesi di reato, la famiglia viene coinvolta dai servizi e messa al corrente della situazione.

A questo punto si apre una delle fasi più difficili e complesse che i servizi devono affrontare: la segnalazione al Tribunale dei minorenni.

Cirillo3 propone due criteri operativi per cercare di rendere più chiara la decisione. Si tratta di valutare due aspetti fondamentali:

1. la gravità del maltrattamento; 2. il livello di negazione.

Il primo elemento indica la gravità del danno inferto al figlio: una percossa, un livido, una mancanza dei doveri fondamentali del genitore, un atteggiamento umiliante ed inadeguato nei confronti del minore, ecc. Se il danno subito dal minore

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è particolarmente grave si va verso la segnalazione al Tribunale dei Minorenni; se invece il danno è più lieve la decisione diviene maggiormente delicata.

Il secondo elemento indica il grado di riconoscimento, da parte dei genitori, delle proprie mancanze ed inadeguatezze verso il figlio. Ci sono genitori che tendono a riconoscere i propri errori e genitori che negano continuamente o minimizzano determinati episodi di violenza e di trascuratezza. Se i genitori tendono a mentire o a negare il danno inferto al figlio significa che il minore rischia di subire ulteriori episodi di violenza o di abbandono e quindi risulta chiara l'importanza della segnalazione.

Non esistono regole per decidere quali situazioni debbano essere segnalate e quali no ma questi due criteri aiutano gli operatori sociali e rendono più chiara la decisione da prendere. Maggiore è la gravità e il livello di negazione, maggiore è la consapevolezza della necessità di una segnalazione al Tribunale dei minorenni. Mettendo l'aspetto della gravità sull'asse delle ordinate e la negazione sull'asse delle ascisse, possiamo individuare una zona colorata nella quale è possibile lavorare in un contesto spontaneo e una, invece, dov'è necessario segnalare la situazione al Tribunale dei minorenni.

1.1

I criteri per decidere se segnalare.4

4 Cirillo Stefano, Cattivi genitori, op. cit., p. 26. 11 Gravità

Tribunale dei Minorenni

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In caso di modesta gravità e riconoscimento del danno i servizi lavorano in un contesto spontaneo cercando di capire le cause che hanno portato il minore a vivere in una situazione di rischio e, di conseguenza, intervenire per rimuovere tali cause e per favorire il recupero delle competenze genitoriali.

Invece, in caso di segnalazione, se il Tribunale ritiene che il minore abbia subito un grave danno, ne dispone l'allontanamento immediato, come misura di protezione volta ad interrompere una situazione di rischio. Se il giudice, però, non dispone degli elementi sufficienti per decidere, incarica i servizi di compiere un'indagine.

Gli operatori, quindi, hanno il compito di approfondire la situazione familiare e informare il giudice nella maniera più esaustiva possibile. E' molto importante in questa fase la presenza di un'equipe multidisciplinare che sia in grado di osservare al meglio il caso e di accertarsi del danno che i genitori hanno inflitto al bambino dal punto di vista sociale, psicologico e sanitario. Nella fase dell'indagine gli operatori hanno la possibilità di fare visite domiciliari, convocare gli interessati, raccogliere informazioni da altri servizi, da scuole e medici di base.

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Una volta informato il giudice in maniera esaustiva sulla situazione familiare egli è in grado di disporre la misura di protezione migliore per il minore: dal controllo dei servizi sociali, all'assistenza domiciliare, alla limitazione della potestà, fino all'allontanamento del minore. L'allontanamento è la misura più severa che il giudice possa prendere ma è l'unico provvedimento che, in certi casi, consente di difendere il soggetto minore da pericoli che minacciano la sua incolumità e la sua salute psichica e, allo stesso tempo, può rappresentare la misura migliore per agevolare il recupero dei genitori.

Dopo che il Tribunale dei minorenni è intervenuto per tutelare il minore, scegliendo la misura di protezione più idonea per lo stesso, comincia la fase di valutazione della recuperabilità5: i servizi, cioè, sono incaricati di valutare le competenze genitoriali. I genitori protagonisti di un intervento da parte del giudice devono dimostrare di aver appreso o modificato determinati comportamenti, devono aver acquisito la capacità di sintonizzarsi coi bisogni della loro prole e dimostrare di avere raggiunto un alto grado di recuperabilità e di motivazione al cambiamento. La relazione è inviata al giudice che dovrà prendere una decisione sul futuro del bambino.

Se i genitori hanno dato segnali di cambiamento e di recupero, ammettendo le loro mancanze educative e le loro difficoltà, il giudice può decidere per il rientro del minore in famiglia e i servizi, quindi, lavorano per un reinserimento graduale. Il minore può andare in affidamento temporaneo presso un'altra famiglia per permettere ai genitori naturali di recuperare le proprie competenze educative - affettive.

In caso di prognosi negativa il giudice valuta inadatta la permanenza del minore in famiglia perché non c'è una reale motivazione al cambiamento dei genitori e il

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minore continuerà a vivere in una situazione di rischio. Il soggetto minore viene allontanato dalla sua famiglia d'origine e viene dato in adozione ad un'altra famiglia.

1.3 Le forme di affidamento

E' possibile distinguere due diverse forme di affidamento:

– Affidamento consensuale; – Affidamento giudiziario.

Nel primo caso i genitori esercenti la potestà danno il loro consenso affinché il minore venga dato in affido. Il servizio sociale locale, una volta sentito il minore con più di dodici anni (ma anche con età inferiore se ritenuto opportuno), dispone l'affidamento che poi viene reso esecutivo dal giudice tutelare attraverso un decreto. Il giudice ascolta il minore per cercare di capire le sue opinioni, le sue esigenze e la sua volontà. L'elemento fondamentale di questo tipo di affidamento è quindi il consenso che deve arrivare sia dai genitori che dal figlio.

L'articolo 4 della L. 149/2001 recita cosi:

L’affidamento familiare è disposto dal servizio sociale locale, previo consenso manifestato dai genitori o dal genitore esercente la potestà, ovvero dal tutore, sentito il minore che ha compiuto gli anni dodici e anche il minore di età

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inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento. Il giudice tutelare del luogo ove si trova il minore rende esecutivo il provvedimento con decreto.

Nell'affidamento giudiziario, indicato al secondo comma, manca l'elemento del consenso dei genitori e cosi l'affidamento è disposto dal Tribunale per i minorenni. In questo caso si applicano gli articoli 330 e seguenti del codice civile. Secondo l'articolo 330 c.c. il giudice può pronunziare la decadenza della potestà sul figlio se il genitore vìola o trascura i suoi doveri o abusa dei suoi poteri. Quando la condotta del genitore non è tale da dare luogo alla pronuncia di decadenza “ma appare comunque pregiudizievole al figlio”, l'articolo 333 c.c. dispone che il giudice può allontanare il genitore dalla residenza familiare.

Il contenuto del provvedimento di affido è illustrato al comma 3:

Nel provvedimento di affidamento familiare devono essere indicate specificatamente le motivazioni di esso, nonché i tempi e i modi dell’esercizio dei poteri riconosciuti all’affidatario, e le modalità attraverso le quali i genitori e gli altri componenti il nucleo familiare possono mantenere i rapporti con il minore. Deve altresì essere indicato il servizio sociale locale cui è attribuita la responsabilità del programma di assistenza, nonché la vigilanza durante l’affidamento con l’obbligo di tenere costantemente informati il giudice tutelare o il tribunale per i minorenni, a seconda che si tratti di provvedimento emesso ai sensi dei commi 1 o 2. Il servizio sociale locale cui è attribuita la responsabilità del programma di assistenza, nonché la vigilanza durante l’affidamento, deve riferire senza indugio al giudice tutelare o al tribunale per i

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minorenni del luogo in cui il minore si trova, a seconda che si tratti di provvedimento emesso ai sensi dei commi 1 o 2, ogni evento di particolare rilevanza ed è tenuto a presentare una relazione semestrale sull’andamento del programma di assistenza, sulla sua presumibile ulteriore durata e sull’evoluzione delle condizioni di difficoltà del nucleo familiare di provenienza.

1.4 La doppia mission dell'affidamento familiare

Dopo aver descritto brevemente il processo che porta il minore ad essere affidato ad un'altra famiglia, è importante spiegare come l'affido in realtà abbia una doppia

mission: cioè quella di tutelare il minore e quella che riguarda il recupero delle

competenze genitoriali. Si è già parlato dell'affidamento come strumento di tutela del minore: l'errore che si può commettere è quello di pensare all'affido solamente come ad uno strumento di tutela. In realtà, dal momento che questi viene allontanato, i servizi operano anche sulla famiglia d'origine per ristabilire un ambiente familiare idoneo.

Si può quindi sostenere che l'affidamento familiare è uno strumento che mira ad intervenire sui due sistemi che formano il nucleo familiare: la coppia genitoriale e il minore.

Il minore allontanato può usufruire finalmente di un ambiente familiare idoneo, di cure che possano contribuire ad un suo sviluppo sano ed equilibrato. John Bowlby nella sua trilogia “Attaccamento e Perdita” dimostra come siano fondamentali i legami affettivi per uno sviluppo sano del bambino.

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La possibilità di godere di cure e di un ambiente familiare idoneo fa si che il bambino possa acquisire competenza sociale e la capacità di adattarsi all'ambiente. Grazia Attili, considerata una delle maggiori studiose del padre della teoria dell'attaccamento, scrive che secondo Bowlby la principale figura di accudimento è la madre biologica ma, quando questa è assente, può esserla anche qualunque altro adulto che dia cure in maniera continuativa e costante.6 Questa precisazione può essere considerata fondamentale, perché dimostra come l'affidamento possa essere una grande risorsa: il minore che non può contare sulle cure della sua famiglia viene affidato, per un periodo di tempo limitato, ad una persona o ad una famiglia in grado di garantire beni materiali e affettivi. In questo modo si interviene per assicurare delle risposte ai bisogni fondamentali del minore e allo stesso tempo i servizi operano sulla famiglia per cercare di eliminare o modificare una situazione dannosa per il figlio, il quale potrà rientrare in famiglia solamente quando verrà ristabilito un ambiente appropriato e indicato al suo sviluppo.

Una volta pensato alla tutela del minore i servizi intervengono sul nucleo familiare per far acquisire capacità genitoriali idonee ai fini di un rientro del minore in famiglia.

Gli interventi sui genitori mirano a sbrogliare i complicati nodi dei giochi familiari, eliminare il rischio e i livelli di negazione delle responsabilità e, infine, potenziare le competenze genitoriali necessarie per un accudimento profondo del bambino.

A parte i casi in cui l'affidamento si conclude a causa del raggiungimento della maggiore età del minore o per via della dichiarazione di adottabilità oppure per la revoca della disponibilità della famiglia affidataria, l'affido si ritiene concluso

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quando i genitori hanno superato e risolto i problemi che avevano portato all'allontanamento del minore.

L’allontanamento resta, comunque, l'ultima decisione: prima di ciò l'intervento è volto a tutelare il minore, monitorare e sostenere la genitorialità.

Il Tribunale dei Minorenni decide di allontanare il soggetto minore solo nel caso in cui la famiglia di origine non è in grado di provvedere alla crescita e all’eduzione del minore.

E' importante sottolineare che il rientro del minore e la recuperabilità delle competenze genitoriali rappresentano i presupposti, il punto di partenza per avviare un percorso di affidamento familiare, quando si individua la presenza di una situazione che minaccia la salute mentale e fisica del minore. Non si può, infatti, procedere ad un affido se prima non si stabilisce la recuperabilità dei genitori: è necessario, perciò, presupporre che le difficoltà che impediscono loro di occuparsi del figlio siano temporanee, e definire i tempi necessari per questo cambiamento oltre che per il conseguente rientro a casa del figlio. Ciò rappresenta la premessa, dunque, e non l'obiettivo.7

1.5 La temporaneità

L'intervento sulla famiglia d'origine si ha quando la situazione di rischio è ritenuta temporanea. Questo presupposto indica che una determinata situazione non era presente precedentemente ma si è formata nel tempo. Nel corso della vita e

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all'interno di una famiglia possono nascere delle difficoltà che prendono il sopravvento e che rendono difficile la crescita del minore: un genitore che perde il lavoro o la casa, una morte improvvisa, uno scompenso psicologico, ecc.

La famiglia si può trovare di fronte a situazioni pesanti e altamente stressanti che possono mettere in secondo piano, anche inconsciamente, il minore. L'obiettivo diventa, perciò, quello di eliminare tutti gli elementi che hanno portato il minore ad una “temporanea privazione di un ambiente familiare idoneo”. I servizi sociali intervengono per rimuovere gli ostacoli che negano il regolare sviluppo del minore all'interno della sua famiglia, contribuiscono economicamente laddove ce n'è bisogno e sostengono il nucleo ad affrontare scelte difficili.

La temporaneità è un principio essenziale che caratterizza l'affidamento familiare e lo distingue dall'adozione.8 Il termine “temporaneo” viene usato come “non definitivo” e indica, appunto, una situazione molto sfumata e legata agli incerti avvenimenti di una storia familiare che si spera possa svilupparsi positivamente.

Temporanea è, di conseguenza, la durata dell'affidamento. Infatti l'articolo 4, comma 4, della L. 149/2001 precisa che il periodo di presumibile durata dell'affidamento deve essere rapportabile al complesso di interventi volti al recupero della famiglia d'origine.

Tale periodo non può superare la durata di ventiquattro mesi ed è prorogabile, dal tribunale per i minorenni, qualora la sospensione dell’affidamento rechi pregiudizio al minore.

8 Ichino Francesca, Zevola Mario, Affidamento familiare e adozione. Minori in difficoltà. Famiglia di

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L'affidamento familiare è un intervento che ha un inizio ed una fine: in due anni (prorogabili) i servizi devono progettare un doppio intervento che abbia delle scadenze e che rispetti la doppia mission di cui si è parlato prima.

1.6 Alcuni dati

Secondo i dati emersi dall'ultimo rapporto sull'affidamento familiare e i collocamenti in comunità, realizzato dall'Istituto degli Innocenti di Firenze su incarico del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, al 31 dicembre 2012 i minorenni fuori dalla famiglia di origine e accolti nelle famiglie affidatarie o nelle comunità residenziali sono stimabili in 28.449.9

Valutando il dato in maniera più approfondita è possibile calcolare il numero dei minori in affidamento familiare (14.194) e dei minori collocati in comunità residenziale (14.255).

Le fascia di età prevalenti, dei minori in affidamento familiare, sono quelle che vanno dai 6 ai 10 anni e dagli 11 ai 14 anni. I minori in queste fasce di età rappresentano poco più del 60% degli affidamenti familiari in Italia.

Per quanto riguarda la durata dell’affidamento, si è visto precedentemente che la legge 149/2001 indica in ventiquattro mesi il periodo massimo di permanenza di un minore nella famiglia affidataria (prorogabile da parte del Tribunale dei Minorenni laddove se ne riscontri l’esigenza). I bambini e gli adolescenti in affidamento familiare da oltre due anni costituiscono, però, la maggior parte degli affidamenti con

9 Quaderni della ricerca sociale 31, Affidamenti familiari e collocamenti in comunità al 31.12.2012.

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una percentuale pari a poco meno del 60% del totale.

Questo dato ci fa capire, quindi, come il tipo di affidamento ad oggi più diffuso sia l'affido sine die che, in realtà, non è previsto dalla legge 149/2001.

Ci troviamo, perciò, di fronte ad una discontinuità tra l'ordinamento e la messa in atto delle disposizioni previste dalla legge.

Il minore è costretto ad una separazione dalla famiglia d'origine ben più lunga dei 24 mesi stabiliti dalla legge e si trova, cosi, a crescere per anni tra due famiglie, al confine tra due ambienti familiari diversi, senza una reale identità e una reale famiglia.

2

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Che cos'è l'affidamento familiare sine die e come si sviluppa? Qual è la metodologia dei servizi e le cause del sine die? Sono tante le domande a cui si cercherà di rispondere in questo capitolo.

Martina Lucia Lanza10 dice apertamente e senza giri di parole che l'affidamento sine die non esiste e, addirittura, le linee guida per l'affido familiare del Veneto sostengono che il sine die è da considerarsi “un fallimento prognostico di ricuperabilità della famiglia biologica”.

I motivi di un affidamento sine die sono molteplici cosi come sono molteplici i pareri e i giudizi intorno ad esso.

E' importante però parlarne in quanto l'affidamento sine die, nonostante non sia riconosciuto dalla legge, rappresenta la maggioranza degli affidi realizzati in Italia ed inoltre pone il minore in una situazione indefinita al confine tra due famiglie senza una reale identità ed appartenenza.

2.1 Che cos'è l'affidamento sine die e come si sviluppa

L'affidamento sine die è un affido che si prolunga nel tempo, oltre i due anni stabiliti dalla legge, in cui non è prevista una conclusione del progetto di allontanamento. Il minore vive, perciò, con la famiglia affidataria, di solito fino al raggiungimento della maggiore età, mantenendo sempre un rapporto con la famiglia biologica.

10 Lanza Martina Lucia, Quando l'affidamento familiare è sine die: opinioni e rappresentazioni del

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E' chiaro come la prima cosa ad essere negata al minore è il suo stato giuridico personale11: egli cresce senza una reale condizione civile, con il cognome della famiglia biologica ma a tutti gli effetti “figlio” della famiglia affidataria.

L'affido sine die prevede, infatti, che il minore non interrompa i rapporti con la famiglia d'origine ma allo stesso tempo che cresca lontano da essa in quanto incapace di assicurargli il mantenimento, l'istruzione, l'educazione e l'affetto di cui ha bisogno. “L'incapacità genitoriale, quando è temporanea, porta ad un allontanamento del minore in modo da sviluppare gli interventi necessari per il ripristino delle competenze genitoriali. L'allontanamento temporaneo è la conseguenza della temporaneità delle difficoltà della famiglia d'origine. Una volta ristabilito un ambiente familiare idoneo il minore potrà rientrare in famiglia.” Lo scopo dell'affidamento familiare si potrebbe riassumere in queste poche righe.

La realtà, però, è ben diversa e le cause che portano ad un affidamento sine die sono molteplici.

2.1.1 L'affido sine die come progetto

L'affidamento sine die può essere un progetto studiato e mirato per un determinato minore. In questo caso i servizi non ritengono opportuno né interrompere i legami con la famiglia d'origine né iniziare il processo di adottabilità del minore e perciò optano per un affidamento prolungato.

11 Luzzatto Leonardo, L’affidamento imperfetto. Tre eventualità di mancata centralità del bambino, Minorigiustizia, n. 4-2010.

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Questo progetto può sembrare strano dato che va ad incocciare i principi stabiliti dalla legge che prevedono, o un progetto temporaneo di allontanamento oppure l'istituto giuridico dell'adozione: l'affidamento sine die non dovrebbe esistere proprio perché non contemplato dalla legge.

Nel già citato articolo di Martina Lucia Lanza12 è riportata, però, l'intervista di un operatore del privato sociale locale che considera l'affidamento sine die uno strumento che da piena attuazione ai principi stabiliti dalla legge. Più precisamente egli dice:

“ I valori che la legge esprime sono anche sovrapponibili a situazioni di sine die, no? […] Ci sono dei percorsi dove proprio per rispettare quei valori enunciati dalla legge tu hai bisogno di crearti delle alternative insomma, proprio per rispondere a quei, a quel mandato normativo insomma, no? Che dice devi il più possibile cercare che il bambino stia con la sua famiglia di origine, no? Lo stare può essere a livelli di unificazione che non sempre prevedono la convivenza”

Cirillo13 sostiene che in caso di prognosi di irrecuperabilità dei genitori esistono delle alternative all'adozione in casi particolari: per esempio quando il minore è nella fase dell'adolescenza. A questa età è più difficile trovare una famiglia disposta all'adozione in quanto una coppia, generalmente, cerca di adottare un neonato o comunque un minore in tenera età. Gli elementi caratteristici dell'adolescenza, come i

12 Lanza Martina Lucia, op. cit.

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grandi tumulti, la tendenza alla ribellione e la ricerca della propria identità, metterebbero a dura prova i genitori adottivi, che tendono, così, a preferire minori in età infantile, forse per sentirli più “figli propri” oppure per avere più margini di successo nel recupero del minore.

Perciò trovare una coppia aperta all'adozione è più difficile se il minore attraversa l'età dell'adolescenza.

Cirillo descrive, inoltre, la situazione in cui il minore presenta degli handicap o delle malattie: anche in questo caso il reperimento di una famiglia adottiva è molto complicato.

Esistono perciò delle situazioni in cui è possibile pensare all'affidamento sine die come ad una risorsa che può dare ottimi risultati come alternativa all'adozione.

I minori che non riescono a trovare una coppia adottiva hanno, prima di tutto, il diritto a una famiglia: è per questo che in certi casi il sine die può essere una risorsa e quindi far parte di un progetto più ampio.

Un'alternativa all'adozione è possibile pensarla quando un procedimento di adozione rischia di diventare una battaglia legale dannosa per il minore, il quale viene trascinato in un iter molto lungo e dall'esito incerto.

Possono esistere casi in cui un affidamento non consensuale si trasforma in sine die: si può prendere il caso in cui la famiglia d'origine nega il proprio consenso all'affidamento del figlio ma questi viene allontanato ugualmente dal Tribunale dei Minorenni perché il giudice lo ritiene opportuno.

In questo caso, se la famiglia d'origine “mette in campo” gli avvocati, è molto facile che i tempi si dilatino e che un semplice affidamento si trasformi in un affidamento

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sine die. Sono i casi in cui le famiglie possono essere definite “conflittuali”: questa conflittualità avrà conseguenze soprattutto sul minore che continuerà a vivere con la famiglia affidataria in una situazione giuridica burrascosa e poco chiara.

La famiglia conflittuale può essere anche una famiglia semplicemente arrabbiata coi servizi e perciò con la tendenza ad opporsi o a rifiutare qualsiasi progetto degli operatori che seguono il caso. La famiglia che non è d'accordo con la misura dell'affidamento si “metterà di traverso” a qualsiasi decisione i servizi vorranno prendere e tenderà ad incolpare gli altri delle proprie deficienze e delle proprie mancanze nei confronti del figlio. In questo modo le responsabilità sono degli altri mentre i genitori naturali sono semplicemente la vittima del sistema ai quali è stato sottratto il figlio ingiustamente, perciò è inutile collaborare con i servizi definiti cattivi e pieni di pregiudizi.

Oltre alla famiglia conflittuale è possibile individuare anche la “famiglia non collaborativa”: quei genitori, cioè, che si oppongono attivamente alle decisioni dei servizi e mettono in campo delle dinamiche che aumentano la durata dell'affido e che hanno ripercussioni negative sul minore.

Per esempio, la famiglia non collaborativa può influenzare il minore e “metterlo contro” la famiglia affidataria. In questo modo i genitori naturali cercano di impedire il buon andamento dell'affido e un nuovo attaccamento del minore con gli affidatari. Questo non facilita il rientro del minore nella sua famiglia d'origine: una famiglia che, cosi facendo, dimostra di non aver compreso gli errori commessi e, anziché modificare i propri aspetti caratteriali e genitoriali, rompe il delicato equilibrio triadico che sta alla base di un buon affidamento: cioè la condivisione di un progetto

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da parte della famiglia d'origine, della famiglia affidataria e dei servizi.

Piercarlo Pazè, direttore della rivista “Minori Giustizia”, ha scritto un importante contributo su alcune questioni che riguardano l'affidamento, in particolare sull'affido a lungo termine.14

Egli parla del cosiddetto “affidamento a rischio” per indicare un progetto di affidamento che prevede la promessa esplicita agli affidatari di essere scelti in caso di adottabilità del minore. Il “rischio” esiste dal momento che non c'è la certezza che il minore possa essere dichiarato adottabile perciò continuerebbe la sua permanenza all'interno della nuova famiglia in stato di affidamento sine die. Questa prassi di affidamento risponde ad alcuni assunti della teoria dell'attaccamento in quanto si tratta di una soluzione che tende ad evitare al minore in stato di adottabilità un nuovo allontanamento dalla famiglia affidataria presso una famiglia adottiva e quindi un nuovo passaggio frustrante e vissuto come un ulteriore abbandono dal minore.

2.1.2 L'affido sine die come conseguenza di un progetto errato

In precedenza si era parlato della doppia mission dell'affidamento familiare, cioè la tutela del minore e la recuperabilità della famiglia d'origine, e di come questi due elementi costituissero il fulcro e il senso dell'istituto giuridico dell'affidamento. Il minore, dopo due anni, deve rientrare all'interno della sua famiglia d'origine la

14 Pazè Piercarlo, Dove va l’affido, l’affido a lungo termine e altre questioni, Minorigiustizia n. 2-2007.

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quale, nello stesso periodo di tempo, deve aver recuperato le proprie competenze genitoriali. Il rientro del minore ed il recupero della genitorialità rappresentano il presupposto dell'affidamento.

I servizi, quando progettano un affidamento familiare, devono pensare ad un percorso di recuperabilità di due anni e, di conseguenza, ci deve essere una valutazione precisa ed efficiente della famiglia biologica e del livello di rischio del minore. L'affidamento che si protrae dopo i due anni è un progetto che ha visto una valutazione errata o superficiale del rischio familiare e, di conseguenza, di recuperabilità. Questo è uno dei molteplici motivi che portano l'affidamento a sforare la temporaneità prevista dalla legge.

L'affido sine die può, perciò, essere il risultato di una cattiva programmazione e, riprendendo le parole delle linee guida per l'affido familiare del Veneto, di “un fallimento prognostico di ricuperabilità della famiglia biologica”.

Ci può essere un errore di valutazione nel recupero delle competenze familiari, oppure, sopratutto all'inizio, ci possono essere dei segnali della famiglia che possono far ben sperare ma che poi tendono a scomparire.

Il minore viene mandato in affidamento quando i servizi valutano in maniera positiva il recupero delle competenze genitoriali. Ma passati i due anni ci si rende conto che non è possibile far rientrare il minore in famiglia perché la situazione iniziale, che ha portato all'allontanamento, persiste ancora. Di conseguenza la durata dell'affidamento si dilata sempre di più fino a diventare sine die.

E' il caso della “famiglia disimpegnata”: una famiglia che col passare del tempo diminuisce il proprio impegno per favorire il rientro del minore perché è rassegnata

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all'idea di un cambiamento: il genitore tossicodipendente o alcolista trova sempre maggiori difficoltà nel modificare certi comportamenti e perciò può succedere che talvolta “getti la spugna” o che ricada nelle vecchie dinamiche tossicomaniche e, sapendo che il minore si trova in una situazione protetta, goda dell'affidamento sine die per prendere tempo, per impegnarsi di nuovo a “scalare la montagna” o per far credere ciò ai servizi.

Non sono rare le situazioni in cui gli operatori hanno paura di attuare un allontanamento e mettono in campo diversi interventi di sostegno che hanno scarsa utilità e che non fanno altro che procrastinare decisioni che sarebbero state necessarie fin dall'inizio.16

Oltre all'errore di valutazione, le cause di questo fallimento si possono cercare anche negli strumenti utilizzati che, evidentemente, sono risultati inefficaci per quella famiglia biologica. La mancanza di un lavoro di rete e di equipe facilita il fallimento di un qualsiasi intervento riparatore. E' bene sottolineare come l'attuale mancanza di risorse nei servizi possa portare gli operatori carichi di lavoro ad intervenire in maniera superficiale e sbrigativa su quella determinata famiglia.

Può capitare, inoltre, che l'eccessivo carico di lavoro, la mancanza di una rete e di supervisione provochi o faciliti l'insorgere di una situazione di “born out” in cui i servizi non riescono a progettare nessun intervento idoneo al futuro del bambino e rimangono in attesa che la situazione evolva, in qualche modo, da sola (in positivo o in negativo).

Laura Seveso15, giudice presso il Tribunale per i Minorenni di Ancona, sottolinea

16 Lanza Martina Lucia, op. cit.

15 Seveso Laura, L’affido familiare come strumento di buon trattamento, Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol. 12, n. 3, novembre 2010.

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come l'affido intervenga in situazioni gravi dove, molte volte, vi è l'esigenza di porre in tutela il minore senza che venga progettato un percorso di recupero per la famiglia biologica. Questa situazione familiare può durare anni senza che nessuno prenda una decisione in merito. Anche un eventuale intervento del Tribunale può risultare tardivo in quanto la situazione è già compromessa.

2.1.3 L'affido sine die quando non è consigliabile il rientro

L' articolo 4 delle legge 149/2001 recita al comma 4 che “la durata di ventiquattro mesi è prorogabile, dal tribunale per i minorenni, qualora la sospensione dell'affidamento rechi pregiudizio al minore”.

Si entra qui nei casi in cui l'affidamento diventa sine die perché il rientro nella famiglia naturale (o presso un'altra famiglia) diventa dannoso per il minore e quindi si cerca di non modificare la situazione che si è venuta a creare.

Nel caso della famiglia disimpegnata, già individuata precedentemente, l'affido non si interrompe in quanto col tempo si è creato un certo equilibrio tra il minore e le due famiglie: il minore cresce sereno in un ambiente adeguato, i servizi sono molto soddisfatti dei risultati raggiunti dal minore, la famiglia affidataria continua ad occuparsi di lui in maniera continua e non si pone il problema della temporaneità dell'affidamento ed, infine, la famiglia biologica continua il lavoro di recupero delle competenze genitoriali con più o meno successo. In questa situazione risulta difficile la scelta di far rientrare il minore all'interno della propria famiglia, rompendo una situazione che magari si è creata con fatica, in quanto non è garantito un pieno

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recupero delle competenze dei genitori e perciò il minore si troverebbe a rientrare in un ambiente non adatto per la sua crescita, rischiando, cosi, di subire un ulteriore allontanamento.

La famiglia d'origine del minore è spesso una famiglia segnata dalla marginalità sociale: povertà, disoccupazione, breve scolarizzazione.17 Sono spesso famiglie multiproblematiche in cui il minore si trova costretto ad agire all'interno di giochi familiari18. L'assenza di cure e l'inadeguatezza genitoriale sono sintomi di una patologia familiare che ha le sue radici nella disfunzione accuditiva sviluppata in ottica trigenerazionale.

Si capisce, perciò, com'è difficile ottenere dei risultati da nuclei familiari multiproblematici in cui, a volte, la marginalità sociale si accompagna a problemi di tossicodipendenza o a problemi mentali.

Il giudice può prescrivere al genitore tossicodipendente di seguire un programma di recupero presso un Ser.t., ma il percorso può presentare ostacoli insormontabili e fallimenti che rendono invariata la situazione familiare e di conseguenza rendono impossibile il rientro del minore in famiglia.

Il rientro, perciò, non è possibile quando il genitore non rispetta le prescrizioni del giudice e, per esempio in caso di problemi mentali, non si presenta con regolarità al servizio territoriale di salute mentale, o più semplicemente non è interessato a seguire i corsi di genitorialità organizzati da un determinato centro affidi.

Visto lo scarso successo di recupero delle competenze genitoriali nelle famiglie disimpegnate, conflittuali e non collaborative, si può pensare ad un'adozione per il

17 Quaderni della ricerca sociale 19, Bambine e bambini temporaneamente fuori dalla famiglia

d'origine. Affidamenti familiari e collocamenti in comunità al 31.12.2010. Sintesi delle prime risultanze, Istituto degli Innocenti, Firenze 2012.

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minore ma le varianti di cui è necessario tener conto sono molteplici a partire dall'età del minore: si è detto in precedenza che un adolescente ha più difficoltà a trovare una famiglia adottiva rispetto ad un minore in età infantile. Inoltre è necessario valutare quanto possa essere utile e funzionale per il minore il passaggio verso una nuova famiglia in quanto esso può aver sviluppato un rapporto positivo e sicuro con la famiglia affidataria e allontanarlo da essa potrebbe procurargli un ulteriore trauma ed un' ulteriore esperienza di abbandono.

L'adolescente che si trova in affido e che non può rientrare nella sua famiglia d'origine, a causa del mancato recupero delle competenze genitoriali, è probabile che rimanga nella famiglia affidataria almeno fino al raggiungimento della maggiore età. Esistono, poi, casi in cui il minore non può rientrare perché subentrano nuovi elementi che rendono impossibile la conclusione dell'affidamento.

Si è già detto di come nell'arco della vita possono accadere degli imprevisti che causano al minore la mancanza di un ambiente familiare idoneo.

Alla scadenza del termine di affidamento i genitori possono aver ristabilito un equilibrio tale da consentire il rientro del minore ma possono subentrare altri elementi, come la perdita del lavoro oppure la separazione dei genitori stessi, che rendono impensabile il rientro del minore in una famiglia dove permangono disfunzioni e mancanze affettive e materiali.

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Stando ad uno studio19 che ha consentito di raccogliere i dati di 22 Tribunali dei Minorenni riguardo questioni inerenti gli istituti giuridici dell'adozione e dall'affidamento, appare interessante, ai fini di questo lavoro, la parte in cui si approfondiscono le cause che portano ad una proroga dell'affidamento.

I dati raccolti indicano una significativa adesione dei Tribunali alle proposte di proroga formulate dal servizio sociale cui è attribuita la responsabilità del programma di assistenza rivolto al minore ed alla sua famiglia: infatti l'81% delle richieste viene prorogata.

I motivi principali che determinano la proroga oltre i 24 mesi sono:

– la persistenza del disagio nella famiglia d'origine, cioè il mancato superamento delle difficoltà che hanno portato all'allontanamento del minore; – una valutazione più complessiva nell'interesse del minore;

– il buon andamento del progetto di affidamento;

– la scarsità di risorse degli uffici preposti che inficia il lavoro del programma di assistenza.

In tutti questi casi, in cui il minore permane nella famiglia affidataria in quanto non è possibile un suo rientro presso la propria famiglia, il Tribunale dei Minorenni di Bari, presieduto da Franco Occhiogrosso, ha sperimentato l'adozione “mite”, al fine di risolvere il problema dei cosiddetti “bambini del limbo”, vale a dire dei minori in

19 Bellotti V. (a cura di), Accogliere bambini, biografie, storie e famiglie, Quaderni del centro nazionale di documentazione e analisi per l'infanzia e l'adolescenza, n. 48, Istituto degli Innocenti, Firenze 2009.

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affidamento familiare oltre il limite massimo consentito dalla legge.20

L’adozione mite è stata avviata nel giugno 2003 ed ha costituito un’applicazione estensiva della disciplina normativa dell’adozione. Essa fa riferimento all’adozione in casi particolari di cui all’art. 44 lettera d) della legge 184/1983, in quanto può essere effettuata sia da coniugi che da una persona singola in seguito al consenso del minore ultraquattordicenne e dei genitori esercenti la potestà (o del tutore nei casi sia decaduta).

Il termine “mite” serve a contrapporre questo tipo di adozione da quella legittima che interrompe definitivamente ogni rapporto con la famiglia biologica. L'adozione mite tende a salvaguardare la continuità degli affetti non interrompendo il rapporto di filiazione con la famiglia d'origine e aggiungendo il rapporto con la famiglia affidataria. Questo tipo di adozione interviene in tutte quelle zone grigie dell'affidamento in cui non è previsto il rientro del minore in quanto la famiglia d'origine non ha recuperato le proprie competenze genitoriali e non ci sono i presupposti per un'adozione perché il minore continua ad avere un legame, anche se debole, con la propria famiglia. Inoltre, lo sviluppo di un attaccamento sicuro e stabile verso la nuova famiglia, rende molto difficile l'idea di un nuovo allontanamento del minore dalla famiglia affidataria per inserirlo in una famiglia adottiva, perché è molto alto il rischio di progettare un percorso dannoso e infruttuoso per il minore.

Perciò egli viene dichiarato in stato di “semi abbandono”, cioè un abbandono permanente ma non totale della famiglia d'origine che, nonostante l’esistenza di evidenti problematiche e la perdurante insufficienza di mezzi atti a supplirvi,

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continua ad avere un ruolo positivo col minore, che non è opportuno venga eliminato.21

Piercarlo Pazè22 sostiene che il concetto di “semi abbandono permanente” può essere da una parte un ostacolo per l'adozione e dall'altra una condizione che impedisce la fine dell'affidamento e il rientro del minore in famiglia in quanto non esistono le circostanze necessarie.

Il minore aggiunge al suo cognome quello della famiglia affidataria e continua a vivere con essa in un rapporto giuridico più strutturato.

Riprendendo le parole di Greco Ondina23 sull'adozione mite:

“...è come se la storia venisse legittimata a livello giuridico, assegnando un significato compiuto e socialmente visibile a quanto è successo sul piano della realtà: il progressivo radicamento del minore nella famiglia affidataria, senza che sia stato cancellato il suo riferimento alla famiglia naturale”.

2.3 La famiglia affidataria

La famiglia affidataria, nell'affidamento sine die, perde un po' la sua vocazione di luogo temporaneamente preposto all'accoglienza del minore allontanato dalla sua

21 Caffarena Silva, op. cit. 22 Pazè Piercarlo, op. cit.

23 Faccio riferimento ad un seminario dal titolo “Terra di confine tra affido e adozione: questioni aperte”, svoltosi all'Università Cattolica del Sacro Cuore il 15 Marzo 2013, in occasione del quale Greco Ondina è intervenuta con un contributo dal titolo “Appartenenza, appartenenze nella terra di mezzo”.

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famiglia d'origine. Il progetto, che doveva terminare entro due anni, diventa sine die con una conseguente riorganizzazione della famiglia affidataria.

Ma anche qui ci sono delle particolarità che è bene approfondire.

Innanzitutto chi sono le famiglie affidatarie e quali sono le motivazioni che spingono una coppia ad accogliere un minore privo di un ambiente famigliare adeguato?

Fabio Sbattella24, rifacendosi ai dati emersi dal “decimo rapporto sulla famiglia italiana”, delinea quattro target di adulti e coppie che possono essere più propensi, rispetto ad altri, all'apertura verso l'esperienza dell'affido:

– adulti con una matura cultura di volontariato;

– adulti per i quali le relazioni comunitarie a misura d'uomo rappresentano ancora un valore;

– coppie alla ricerca di un completamento in senso genitoriale dell'esperienza di coppia o desiderosi di continuare l'esperienza genitoriale dopo l'uscita dei figli;

– adulti che abbiano superato eventi critici e siano alla ricerca di relazioni significative su cui investire.

Una divisione simile è stata fatta anche da Marco Chistolini25, il quale divide due grandi categorie di famiglie disponibili: nella prima rientrano tutte le famiglie che intendono svolgere un'azione di servizio e solidarietà verso un minore in difficoltà e

24 Cam (a cura di), op. cit. Fabio Sbattella, a p. 96, cita la pubblicazione da cui prende spunto: Pierpaolo Donati (a cura di), Ri-conoscere la famiglia: quale valore aggiunto per la persona e la

società? Decimo rapporto Cisf sulla famiglia in Italia, San Paolo, Cinisello Balsamo, 2007.

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nella seconda quelle mosse dal desiderio di svolgere il ruolo genitoriale.

Nella prima categoria si trovano coloro che hanno una forte motivazione, spesso di natura religiosa, oppure chi si impegna nel mondo del volontariato per aiutare tutti quelli che hanno bisogno del loro aiuto.

Nel secondo si trovano individui che, a causa di diversi accadimenti ed esperienze personali, hanno una spiccata motivazione a svolgere il ruolo genitoriale.

I valori che spingono un adulto a sperimentare l'affidamento si possono ricercare, quindi, nella responsabilità sociale, nel senso di partecipazione e di servizio civile e nell'importanza del valore umano e sociale di un'azione di aiuto.

La voglia di una maggiore unità familiare, di sperimentare o continuare un'esperienza genitoriale, possono spingere tante coppie a proporsi per un progetto di affidamento. Infine, tra gli adulti che si candidano ad accogliere un minore in difficoltà, ci sono persone che nella loro infanzia hanno avuto esperienze più o meno gravi di abbandono e di sofferenza. Questi affidatari si identificano col minore in difficoltà e tendono, perciò, ad occuparsi di lui ed a prendersene cura.26

Per quanto riguarda le funzioni, fino a non molti anni fa gli affidatari erano visti come dei custodi o dei parcheggiatori che dovevano avere un rapporto piuttosto distaccato col minore in modo da non disturbare il suo rientro nella famiglia d'origine oppure per rendere più semplice il suo ingresso nella nuova famiglia adottiva.27 Con la promulgazione della legge 149/2001, gli affidatari sono responsabili del mantenimento, dell'educazione, dell'istruzione del minore e anche di una relazione basata sull'affetto e la stabilità. Secondo l'articolo 5 della legge 149/2001,

26 Ivi.

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l’affidatario deve essere sentito nei procedimenti in materia di potestà, affidamento, adottabilità relativi al minore; non ha la rappresentanza legale del minore e non esercita la potestà, ma cura gli ordinari rapporti con la scuola e con l’autorità sanitaria.

Il distacco e l'accompagnamento del minore verso la sua famiglia naturale è, forse, il momento più difficile che gli affidatari devono affrontare in quanto l'affidamento, a differenza dell'adozione, prevede una fine. Ma che succede se un affidamento che doveva durare un paio d'anni si trasforma in sine die? Come possono reagire gli affidatari che hanno dato la disponibilità per un progetto temporaneo e si trovano a dover gestire un affidamento di cui non si conosce la fine?

Se i servizi progettano un affido sine die, per i diversi motivi già evidenziati, gli operatori si dovranno prodigare per cercare una famiglia affidataria che abbia dato la disponibilità ad un affidamento lungo o indeterminato. In questo caso gli affidatari non andranno incontro ad una riorganizzazione della vita e dei progetti familiari in quanto è chiaro fin dall'inizio che il minore starà con loro almeno fino al raggiungimento della maggiore età.

Diverso è il discorso nei casi in cui l'affido diventa sine die a causa di una mancata progettazione, di una valutazione della genitorialità errata oppure a causa di eventi che non si possono prevedere: in questi casi la famiglia affidataria si trova costretta a gestire una situazione che non era prevista e che la costringe, perciò, a ricalibrare progetti di vita e, più semplicemente, riorganizzare la quotidianità. A tal proposito è emblematica la testimonianza di un figlio biologico di una famiglia affidataria, riportata nello studio di Martina Lucia Lanza28:

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Man mano che passava il tempo cioè si vedeva che continuava questa cosa e ci si è comunque interrogati su quant'è che durerà, resterà con noi per sempre eccetera, comprare la camera nuova per me e lui mentre prima era un letto provvisorio, insomma alcuni cambiamenti che fanno capire che la cosa continua.

La famiglia si deve, in qualche modo, riorganizzare in quanto le aspettative sul progetto di affido non sono state rispettate.

In certi casi, purtroppo, gli affidatari rinunciano al progetto e il minore si trova, cosi, costretto a dover riaffrontare un nuovo ingresso in un'altra famiglia.

Il più delle volte la famiglia resiste, grazie a quella motivazione che l'ha spinta a candidarsi all'affido, ma, di contro, possono nascere delle difficoltà relative alla percezione del rapporto e del legame col minore.

La famiglia affidataria continua a prendersi cura di un minore che appartiene ad altri genitori in un rapporto indefinito e senza fine.

Ci possono essere casi in cui la famiglia affidataria confligge coi servizi perché non è d'accordo sulle modalità e sulle scadenze con cui il minore deve vedere la sua famiglia d'origine: i servizi sono percepiti come lontani e insensibili nel riflettere su degli incontri che possono avere effetti patogeni sul minore.

Luzzatto parla di equilibrio da funamboli29: gli affidatari non devono sostituire i genitori biologici - il cui ruolo va, invece, preservato - e neppure instaurare un legame transitorio di sostegno, nell'attesa di una separazione.

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Essi rischiano, cosi, di restare bloccati in una affettività sospesa che non si può esprimere liberamente e che non può rimanere delimitata alla temporaneità dell'affidamento familiare.

La famiglia affidataria deve essere in grado, perciò, di accettare un bambino proveniente da un contesto familiare diverso dal proprio e che possiede differenti abitudini e differenti valori. L'accettazione e la cura incondizionata di un bambino sofferente sono la base di un buon affido. Inoltre gli affidatari devono mantenere un rapporto corretto e leale con la famiglia d'origine con il fine di costruire un'“alleanza genitoriale”30 che possa far sentire il minore protetto e sicuro durante il periodo di affidamento.

3

30 Cam (a cura di), op. cit.

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Questioni psicologiche nell'affidamento sine die

Il minore in affido sine die cresce in una situazione precaria, al confine tra due famiglie e tra due appartenenze familiari: esso continua ad avere legami con la famiglia d'origine, che si è dimostrata incapace di provvedere ai suoi bisogni, ma vive e cresce all'interno della famiglia affidataria. A chi appartiene in realtà? Il minore si sentirà inserito in una doppia famiglia o si sentirà escluso da entrambe perché figlio di nessuno?

L'affidamento familiare, inoltre, è un'esperienza altamente stressante31 dove sono in gioco le dinamiche della separazione e dell'attaccamento: il minore può avere dei “conflitti di lealtà” che gli impediscono di aprirsi alla nuova esperienza di attaccamento. E' perciò utile mantenere una doppia famiglia e doppi legami o, nel caso dell'affidamento sine die dove non è previsto il rientro del minore presso la sua famiglia d'origine, è meglio favorire e agevolare la relazione con gli affidatari?

Bowlby sarà utile per capire l'importanza dei nuovi legami di attaccamento per l'evoluzione di una personalità non invischiata e non a rischio psicopatologico nella particolarità della affidamento sine die, dove il minore vive una perdita della famiglia d'origine che in realtà non avviene mai. La precarietà delle relazioni nell'affidamento sine die possono contribuire alla costruzione di un sé insicuro?

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3.1 I confini familiari

La posizione di confine è una posizione critica: può essere una condizione di privilegio o può essere una posizione di margine, segno di una incerta doppia appartenenza.32

Il minore in affidamento sine die cresce in una situazione di perenne doppia appartenenza in quanto sullo sfondo, da una parte, ci sono i suoi genitori naturali, che sono più o meno presenti nella sua vita, e dall'altra c'è la famiglia affidataria che, col passare del tempo, ha instaurato un rapporto stabile col minore.

La presenza di questo duplice legame e la percezione di una doppia appartenenza familiare pongono il minore in una “posizione di confine” rispetto ad entrambi i poli familiari.33

Il minore vive con la nuova famiglia che si prende cura di lui e gli garantisce l'affetto di cui ha bisogno, ma il legame con la famiglia d'origine non viene mai interrotto. E' come se il minore si avvicinasse sempre di più al polo degli affidatari ma il legame col nucleo d'origine lo spingesse dall'altra parte, riportandolo al confine tra i due nuclei. La vicinanza con entrambi i nuclei varia continuamente ed il minore deve essere in grado di trovare un equilibrio tra i due.

La separazione con la famiglia d'origine e la doppia appartenenza possono, perciò, far nascere nel minore un “conflitto di lealtà”: può succedere che i minori che

32 Prefazione di Eugenia Scabini in Greco Ondina, Iafrate R., Figli al confine. Una ricerca

multimetodologica sull'affidamento familiare, Franco Angeli, Milano 2001.

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entrano in una nuova famiglia mantengano un sentimento di appartenenza verso la famiglia d'origine. Se il minore sente in pericolo il legame originario, egli si rende impermeabile alla nuova relazione o in maniera passiva oppure in maniera apertamente oppositiva.34

Le modalità che il minore trova per affrontare tale conflitto sono profondamente influenzate dal modo in cui gli adulti si rappresentano, a loro volta, lo stesso conflitto: l'incapacità di una integrazione tra le famiglie rende più difficile il superamento di questo conflitto.35

Nel caso dell'affido sine die questo sentimento tende a scomparire col tempo dato che il periodo di appartenenza con famiglia affidataria è molto lungo e il minore ha la possibilità di confrontarsi numerose volte, anche in età avanzata visto che l'affido sine die arriva la maggior parte delle volte fino alla maggiore età, con la questione della doppia appartenenza e dei confini. Il minore in affido sine die sperimenta l'affievolirsi dei contatti e dei legami psicologici con la famiglia d'origine.

I servizi e le famiglie affidatarie devono essere consapevoli dell'esistenza di questi sentimenti e di queste dinamiche per poter progettare al meglio, come verrà esposto in maniera più approfondita in seguito, una separazione graduale dal nucleo d'origine.

Ondina Greco e Raffaella Iafrate hanno fatto un importante studio36 relativo alle tematiche dell'affidamento familiare come la relazione genitori – figli in affido, i confini familiari e il benessere dei minori in affido. Ne è venuto fuori un quadro molto interessante di cui verrà riportata, per i fini di questo lavoro, la parte relativa ai

34 Greco Ondina, Iafrate R., op. cit.

35 Greco Ondina, La doppia luna. Test dei confini e delle appartenenze familiari, Vita e pensiero, Milano 1999.

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confini familiari.

La ricerca ha previsto l'utilizzo di metodi quantitativi e metodi qualitativi e sono stati raccolti, per la ricerca quantitativa, dati relativi a 117 famiglie affidatarie e, per la ricerca qualitativa, i dati di 27 famiglie affidatarie.

Nella ricerca quantitativa sono stati predisposti dei questionari in cui, oltre alle relazioni genitori – figli in affido e al benessere degli stessi minori, si misurava la concezione dei confini familiari sia per i minori che per i genitori affidatari. Si è andato a misurare i seguenti costrutti:

1. Desiderio di inglobamento da parte dei genitori affidatari nei confronti del minore in affido;

2. Desiderio di inclusione nella famiglia affidataria da parte del minore in affido.

Per misurare la percezione dei confini rispetto alle famiglie naturali è stata costruita un' altra scala da somministrare ai genitori affidatari relativa agli indicatori di esclusione ostile, vicinanza solidale e distanza oggettiva della famiglia naturale nella percezione degli affidatari.

La ricerca qualitativa era rivolta alla comprensione delle dinamiche individuali ed intersoggettive in gioco nell'affidamento familiare, che è caratterizzato dalla presenza di due famiglie accanto al minore, presenza che è sempre causa di complessità perché pone il problema di gestire una doppia appartenenza.37

Sono stati utilizzati interviste e il test molto interessante de “La doppia luna”.

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La doppia luna è un test dei confini e delle appartenenze familiari ed è stato somministrato in tre momenti: prima solo al minore, poi solo agli affidatari ed infine a tutti insieme riuniti. Essendo molto breve e di facile comprensione si andrà a descrivere brevemente il suo funzionamento.38

Si disegna un rettangolo su un foglio in modo tale da avere due rettangoli (il rettangolo più ampio è rappresentato dal bordo stesso del foglio) a questo punto l'operatore inizia a presentare le consegne. Egli dice: “questo rettangolo rappresenta il tuo mondo, cioè quello che a lei interessa, le persone per lei importanti. Lo spazio esterno al rettangolo è tutto ciò che c'è al di fuori di questo mondo”.

Le consegne successive sono cinque:

1. Disegni con un simbolo (per esempio un cerchietto) se stesso e si collochi dove vuole;

2. Ora disegni, sempre mediante un simbolo, le persone per lei importanti e le collochi dove vuole. Le persone importanti possono essere in questo momento vicine o lontane, ma sono comunque importanti per lei;

3. Ora racchiuda con uno stesso cerchio le persone che, secondo lei, fanno parte della stessa famiglia. Può disegnare uno o più cerchi, come ritiene più vero per sé;

4. Secondo lei, dove potrebbe essere collocato ... ?

(l'elemento mancante, in questo caso la famiglia affidataria o la famiglia naturale);

5. Se avesse una bacchetta magica, cosa cambierebbe di questo disegno?

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(C'è qualche persona che non ha segnato e vorrebbe aggiungere? C'è qualche persona che le piacerebbe fosse in un'altra posizione? Chi? Dove vorrebbe collocarla?).

Una volta concluso il test si apre la fase della valutazione che prevede una prima valutazione generale sul disegno e sull'interazione tra il soggetto e l'operatore (aspetti comportamentali ed emotivi, stile prevalente, attribuzione di ruolo...).

Successivamente si passa ad una fase più approfondita che prevede la valutazione di diversi elementi:

a) Tipologia dei simboli;

b) Grandezza dei simboli utilizzati (omogenea/disomogenea per chi); c) Utilizzo di simboli convenzionali o non convenzionali;

d) Disposizione degli elementi nel foglio (utilizzo del rettangolo, utilizzo del confine, utilizzo dello spazio esterno al rettangolo);

e) Disposizione degli elementi nel rettangolo (utilizzo del centro, utilizzo del confine, utilizzo dei quadranti);

f) Gli elementi disegnati (dentro, fuori, al confine);

g) Rappresentazione dei confini familiari: quali famiglie? Quali componenti di ciascuna famiglia?;

h) Sono presenti nella fase di disegno spontaneo i poli del conflitto? (Quali assenze?);

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