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Per il minore e per la famiglia d'origine

Il buon affido

4.1 La progettazione 1 Per i serviz

4.1.3 Per il minore e per la famiglia d'origine

L'affidamento, se da una parte richiede un grande impegno sia a livello economico sia a livello di risorse umane e di idee, dall'altra evita (o almeno tenta di farlo) che i bambini trascurati di oggi diventino i cittadini assistiti di domani, con il marchio di emarginazione che si tramanda di generazione in generazione. Per evitare il riprodursi della sofferenza e dell'emarginazione si deve abbandonare l'idea di tamponare le situazioni d'emergenza investendo di più sulla prevenzione e su una maggior organizzazione dei servizi.66

L'istituto giuridico dell'affidamento non si limita all'inserimento del minore in un'altra famiglia nella speranza che gli affidatari “curino” il minore e che la famiglia d'origine risolvi autonomamente i propri problemi.

Un buon progetto di affidamento deve prevedere un intervento pensato e condiviso verso il minore e verso la famiglia naturale.

Quest'ultima deve essere seguita e supportata dall'inizio alla fine del progetto, qualunque esso sia.

In caso di affidamento sine die i servizi lavoreranno per un passaggio graduale e

66 Pisticchi Paolina, Galli Jolanda, Un viaggio chiamato affido. Un percorso verso la conoscenza dei

progressivo (fisico e psicologico) del minore dai suoi genitori naturali, che non sono stati capaci di riconoscere la gravità delle loro azioni né, tanto meno, di modificare comportamenti dannosi, alla famiglia affidataria, con la quale esso vivrà fino alla maggiore età.

In caso di affidamento a termine, invece, i servizi progetteranno degli interventi efficaci per rimuovere la situazione di inadeguatezza genitoriale. Se l'obiettivo condiviso col Tribunale è quello del recupero delle competenze genitoriali i servizi devono essere presenti, accompagnare la famiglia in questo percorso di cambiamento, mantenendo i rapporti tra essa ed il minore.

Il minore, d'altro canto, deve avere la possibilità di crescere in un ambiente familiare idoneo, capace di fornire cura e protezione: due elementi di cui il minore non poteva disporre nella sua famiglia naturale.

La cura cioè l'igiene, le cure alimentari e sanitarie, la regolarità del sonno e la protezione, cioè il legame di natura affettiva che dà al minore un senso di sicurezza, sono sperimentate, forse per la prima volta, in maniera continua.

E' importante sottolineare che quando i servizi progettano un affidamento a termine, esso deve partire dopo che la famiglia d'origine è stata considerata recuperabile; se non viene considerata tale, per il minore si devono “aprire le porte” dell'adozione, perché si è consapevoli fin dall'inizio che il nucleo naturale non modificherà i propri comportamenti e le proprie abitudini dannose.

La condivisione delle responsabilità serve proprio in queste situazioni: per evitare che un affidamento a termine si trasformi in sine die è necessario valutare il grado di recuperabilità del nucleo familiare: se esso è valutato in maniera negativa è

necessario progettare fin dall'inizio un intervento di adozione, in quanto si è consapevoli che il minore non potrà più far rientro nella sua famiglia d'origine e perciò un affidamento sarebbe inutile.

Perciò, solo dopo che la famiglia d'origine è stata considerata recuperabile, si pensa ad un progetto di affidamento, condiviso da tutti gli operatori che prevede un doppio intervento volto sia alla recuperabilità della famiglia naturale che alla tutela del minore.

Tuttavia, come i dati ci confermano, la durata degli affidamenti in Italia supera, in media, i due anni previsti dalla legge. La riflessione che ne scaturisce è che la maggioranza dei minori in affido non torna in famiglia entro i due anni e, allo stesso tempo, non rescinde i legami con la propria famiglia. La maggioranza di questi minori si colloca in una zona grigia che il modello valutativo della diagnosi/prognosi (negativa e positiva) non sa cogliere.67

Il concetto di recupero e gli strumenti utilizzati per portare i genitori a riconoscere la propria inadeguatezza si sono rivelati poco efficaci e hanno portato al risultato di rinforzare le resistenze della famiglia.

Il compito più difficile è quello di allearsi terapeuticamente con la famiglia perché l'allontanamento del figlio è visto come una punizione, un dispetto, una cattiveria. Le famiglie conflittuali e non collaborative sono difficili da “agganciare” perciò è necessario che i servizi si pongano in una posizione di ascolto mettendo sempre al centro la salute del minore. Vanno spiegati alla famiglia i rischi che corre il minore in un determinato stato psico-fisico: l'allontanamento è un periodo in cui si cerca di ripristinare un ambiente adeguato.

L'affidamento non deve essere vissuto come una punizione ma come un aiuto che si offre alla famiglia e al minore in difficoltà.

La famiglia collaborativa con la quale è possibile lavorare in un contesto consensuale o spontaneo è la famiglia che ha capito questo messaggio, che riconosce le proprie difficoltà e che si rivolge ai servizi per accettare l'aiuto offertogli.

4.2 La co-genitorialità

Il tetraedro dell'affido prevede che tutti i poli vengano coinvolti in un progetto comune e finalizzato al ripristino delle capacità genitoriali. Non sempre però gli attori coinvolti remano tutti dalla stessa parte, sopratutto tra i due nuclei familiari possono nascere delle tensioni.

Possono svilupparsi relazioni distorte in cui due membri si coalizzano a discapito del terzo (per esempio il bambino e la famiglia affidataria contro la famiglia d'origine oppure il bambino e la famiglia d'origine contro la famiglia affidataria). Si capisce, quindi, come un progetto non condiviso o l'assenza di una comunità di intenti possa portare al fallimento dell'affidamento.

Progettare un affido significa […] preventivare un percorso di crescita per un bambino in un contesto di condivisione della genitorialità. La relazione che il bambino manterrà sia con gli affidatari sia con i genitori di origine si dovrà collocare in una linea di continuità in cui si potrà verificare che in un certo momento il bambino è più vicino a uno dei due poli e in un diverso momento al polo opposto, ma sempre con la garanzia di mantenere una molteplicità di

riferimenti genitoriali.68

Perciò è importante che le due famiglie interagiscano in maniera positiva tra loro e con il minore, inserito in una situazione di doppia appartenenza e doppi legami. Nella realtà, pero, può succedere che il nucleo naturale abdichi alle responsabilità o si disimpegni dal ruolo di caregiver delegando la famiglia affidataria, oppure che entrambi i nuclei partecipino all'accudimento e alla cura del minore senza, però, appoggiare il lavoro dell'altro.

Queste dinamiche possono creare giochi familiari dannosi per il minore oltre che elevati conflitti di lealtà.

Pertanto l'idea che si deve seguire è un'idea di co-genitorialità69: un accordo di rispetto reciproco e di condivisione di obiettivi. Entrambe le famiglie devono rispettare il ruolo e la funzione dell'altra lavorando insieme nell'interesse esclusivo del minore. Si può comprendere come tale idea sia perseguibile solo nell'ambito degli affidamenti consensuali.

I servizi dovrebbero cercare di avere un comportamento trasparente con entrambi i nuclei e farli incontrare perché, a volte, i contrasti nascono semplicemente da pregiudizi o da idee sbagliate sull'altra famiglia che spariscono una volta conosciuta. L'idea che deve passare è che non esiste una famiglia buona e una famiglia cattiva ma una famiglia in difficoltà e una famiglia che si offre di aiutarla nel percorso di recupero delle proprie competenze genitoriali. Le famiglie devono sostenersi reciprocamente e i servizi devono coordinare questa alleanza.

68 Vadilonga Francesco in Cam (a cura di), op. cit., p. 50. 69 Ivi

Come ampiamente illustrato da Greco Ondina e Iafrate Raffaella70 il buon andamento dell'affido e il benessere dei minori dipendono dalla buona qualità delle relazioni familiari e dal rispetto che gli affidatari hanno nei confronti della famiglia naturale del minore.

In particolare il benessere del minore in affido sembra essere direttamente collegato alla qualità della relazione con il padre affidatario e alla posizione che la madre affidataria ha nei confronti della famiglia naturale. Un buon rapporto col padre affidatario e una posizione di non esclusione e non ostilità della madre affidataria nei confronti della famiglia d'origine aumentano il benessere del figlio in affido.

Ciò dimostra che una situazione di co-genitorialità aumenta l'efficacia e l'utilità dell'affidamento in quanto pone il minore al centro di un unico progetto condiviso e sicuro.

Ma nella situazione di affidamento sine die?

Come già detto precedentemente in questi casi, per costruire un legame di appartenenza forte e stabile e per fornire al minore quella “base sicura” di cui ha bisogno per crescere in maniera sana, è necessario che i servizi lavorino per una progressiva presa di distanza dalla famiglia di origine.

In un affidamento sine die il minore non farà rientro nella propria famiglia d'origine pertanto l'idea di co-genitorialità apparirebbe piuttosto bizzarra: un'alleanza reciproca che si basa su un progetto che prevede l'allontanamento fino alla maggiore età del minore presso la famiglia affidataria e la progressiva presa di distanza con la famiglia d'origine. E' difficile trovare una famiglia disposta a collaborare coi servizi e con gli affidatari in questi termini. Probabilmente solo alcune tipologie di famiglie

disimpegnate. Sono da escludere le alleanze e gli accordi con le famiglie conflittuali e non collaborative.

4.3 I cinque elementi per una buona prassi dell'affidamento