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La “dottrina delle corti” ed il giudice soggetto soltanto alla legge.

2. L’influenza della Corte di Giustizia sui giudici nazionali.

2.2. La “dottrina delle corti” ed il giudice soggetto soltanto alla legge.

Pare, a questo punto, opportuno soffermarsi sulla qualificazione del ruolo svolto sempre più spesso dagli organi giurisdizionali, nazionali ed internazionali.

Infatti, alcuni autori hanno notato come il formante giurisprudenziale abbia assunto tante volte il ruolo non soltanto e non semplicemente decisorio, bensì anche un ruolo dottrinale85.

Tenuto conto delle considerazioni che precedono, si deve rispondere alla questione sollevata dichiarando che l’articolo 1, paragrafo 3, della direttiva 89/665 deve essere interpretato nel senso che se, in un procedimento di ricorso, l’aggiudicatario che ha ottenuto l’appalto e proposto ricorso incidentale solleva un’eccezione di inammissibilità fondata sul difetto di legittimazione a ricorrere dell’offerente che ha proposto il ricorso, con la motivazione che l’offerta da questi presentata avrebbe dovuto essere esclusa dall’autorità aggiudicatrice per non conformità alle specifiche tecniche indicate nel piano di fabbisogni, tale disposizione osta al fatto che il suddetto ricorso sia dichiarato inammissibile in conseguenza dell’esame preliminare di tale eccezione di inammissibilità senza pronunciarsi sulla compatibilità con le suddette specifiche tecniche sia dell’offerta dell’aggiudicatario che ha ottenuto l’appalto, sia di quella dell’offerente che ha proposto il ricorso principale”.

Si veda sul punto anche FANTINI, Ricorso principale e incidentale: alla ricerca dell’interesse strumentale, in Urb. e app., 2014, p. 1078.

84 FANTINI, Ricorso principale e incidentale: alla ricerca dell’interesse strumentale, cit., p.

1078.

85 L’osservazione è di BERRUTTI, La dottrina delle corti, in AA.VV., La giurisprudenza tra

autorità e autorevolezza: la dottrina delle corti, in Foro it., 2013, V, c. 181-182. L’Autore, peraltro, affronta la questione ricostruendo brevemente l’iter storico del rapporto tra dottrina e giurisprudenza, notando come “Fino alla metà del XIX secolo non si era ancora affermato nel linguaggio degli specialisti l’uso della parola «dottrina» come nome collettivo, inteso a significare, cioè, l’attività dei dottori, ovvero l’insieme delle loro opere. (…) Poi, appunto, l’assunzione del carattere di nome collettivo che significò la conclusione di una evoluzione e la formalizzazione consapevole del trinomio fondamentale dei fattori del diritto: legislazione, giurisprudenza, dottrina.

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Nello specifico, questa opinione si fonda sul fatto che il giudice non sia soltanto un applicatore di norme altri, una mera bouche de la loi, bensì un creatore di principi vincolanti, soprattutto nel suo ruolo nomofilattico86. Un aspetto fondamentale, tuttavia, del problema riguarda la libertà di pensiero della letteratura scientifica87, che, per parte della dottrina, non sarebbe riconoscibile nella pronuncia giurisdizionale. In altre parole, per sua natura la sentenza è autoritativa e diviene difficile inquadrarla anche come una trattazione scientifica di un tema piuttosto che semplicemente una soluzione professionale ad un problema giuridico88. D’altronde, è la stessa dottrina, consapevole dei rischi, a porre freni alla giurisprudenza nomofilattica, affermando che proprio la nomofilachia, per essere effettivamente un valore e non una «gabbia della ragione», deve essere sorretta non da logiche autoreferenziali e dal principio di autorità, ma affidata alle proprie buone ragioni89.

Bisogna chiedersi se detta critica possa investire anche le pronunce della Corte di Giustizia.

A parere di chi scrive è utile operare delle distinzioni.

Come detto, infatti, le sentenze della Corte vengono trasfuse nelle leggi europee. A quel punto, esse diventano norme interne, trasformando del tutto la loro natura e non appartenendo più al formante giurisprudenziale. Pertanto, appare logico che non possano essere interessate dal problema della dottrina delle corti.

Tuttavia, molto spesso la Corte espone interpretazioni evolutive di principi oppure, partendo dalle norme dei Trattati, ne elabora di nuovi.

È vero che contemporaneamente l’espressione «giurisprudenza» veniva usata in quanto comprensiva dell’ambito concettuale di tutte tre le predette espressioni formanti il trinomio, e quindi a significare, in modo sintetico, il diritto vivente”. L’Autore sottolinea anche che successivamente la legge scritta assunse sempre maggior valore, ponendo il giudice come applicatore di “legge fatta da altri”.

86 Si tratta, invero, di una questione dapprima interna (si pensi alle c.d. sentenze trattato,

come Cass. civ., n. 500/1999, oppure all’art. 374, 3à comma c.p.c. o all’art. 99, comma 3 c.p.a., che impongono entrambi la rimessione alle Sezioni Unite nella giurisdizione civile o all’Adunanza plenaria nella giurisdizione amministrativa qualora il giudice non condivida il principio di diritto esposto dai massimi collegi nomofilattici sul punto controverso), poi internazionale, con l’avvento della funzione nomofilattica della Corte EDU. Cfr. sul punto BERRUTTI, La dottrina delle corti, cit., c. 182; CALÒ, Il giudice nazionale dinanzi alla giurisprudenza Cedu. La metafora dei «tre cappelli», cit., c. 815.

87 BERRUTTI, La dottrina delle corti, cit., c. 182.

88PARDOLESI GRANIERI, Dottrina delle corti e disimpegno dei giuristi, in AA.VV., La

giurisprudenza tra autorità e autorevolezza: la dottrina delle corti, cit., c. 188. Gli Autori fanno notare come esitano almeno tre rischi nella giurisprudenza che ambisca ad essere dottrina: a) il rischio che la motivazione della sentenza finisca per offuscare il principio di diritto; b) il rischio è la possibile assenza di critica dell’ordinamento, espletata spesso dalla letteratura scientifica; c) il rischio dell’autoreferenzialità.

89 EVANGELISTA, La professionalità dei magistrati della Corte Suprema di Cassazione,

Foro it., 1999, V, c. 167, che riporta una citazione di TARUFFO, La Corte di Cassazione e la legge, in Il vertice ambiguo, Bologna, 1991.

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Ci si può chiedere, quindi, se si tratti di elaborazione di vere e proprie norme o di precedenti giurisprudenziali, che è pacifico considerare vincolanti. Nel caso in cui si accogliesse quest’ultima interpretazione, parte della dottrina vede problematico il rapporto tra la vincolatività delle sentenze e l’art. 101, comma 2 Cost., il quale assoggetta il giudice soltanto alla legge90. In realtà, una soluzione all’apparente corto circuito del sistema parte della dottrina la vede nel meccanismo di interpretazione adeguatrice, già in capo alla Corte Costituzionale91. Più precisamente, l’adeguamento delle norme costituzionali alla società, mediante interpretazione, è un momento imprescindibile del giudizio di legittimità92 e lo stesso meccanismo opererebbe anche nell’attività della Corte di giustizia. Per questo motivo, detta dottrina arriva a ritenere che se sul piano formale il giudice è soggetto soltanto alla legge, sul piano sostanziale egli è soggetto al diritto93.

Non bisogna, tuttavia, dimenticare, che le sentenze costituzionali operano un mutamento, anche mediante interpretazione, della norma, ma è quest’ultima a rimanere la fonte della situazione giuridica. Al contrario, la sentenza dalla Corte europea è il mutamento, essendo immediatamente dispositiva e vincolante per gli Stati membri.

Vi è, inoltre, il sentore, a volte, che la Corte di giustizia non operi in forza di una interpretazione, seppur creativa, ma come fonte autonoma del diritto, creando norme nuove, non solo mediante il prelievo dalla norma comunitaria di qualcosa di già esistente, così come Michelangelo faceva con le sue sculture “tolte fuori” dal marmo, ma con vera forza innovatrice.

90 BERRUTTI, La dottrina delle corti, cit., c. 183, il quale osserva che si tratti di una “norma

terribile, per la sua caratura utopistica e per la sua modernità. È certamente utopistico promettere ai cittadini che i giudici che si occuperanno della loro libertà o dei loro beni, saranno sempre tanto «altro da sè» da risultare in ogni caso interpreti, anche creativi, ma tuttavia della legge, cioè di una volontà politica più alta della decisione giudiziaria. Ma è assai moderno promettere che la dipendenza dalla legge funzioni come antidoto all’arbitrio del giudice e mantenga la sovranità del legislatore”.

91 SCODITTI, Il diritto fra fonte ed interpretazione, in AA.VV., La giurisprudenza tra

autorità e autorevolezza: la dottrina delle corti, cit., c.189, il quale avvicina i due meccanismi e li assimila anche al giudizio di conformità delle norme nazionali alla Carta dei Diritto Fondamentali dell’Uomo, svolto dalla CEDU. Peraltro, per una lettura ragionata del giudizio svolto dalla Corte Costituzionale, si vedano, oltre all’istituzionale RUGGERI – SPADARO, Lineamenti di giustizia costituzionale, Torino, 2004, MENGONI, Ermeneutica e dogmatica giuridica, Milano, 1996, p. 125 e ss.; BIN, Diritti e argomenti. Il bilanciamento degli interessi nella giurisprudenza costituzionale, Milano, 1992, p. 41.

92 Resta, com’è ovvio, il limite dell’interpretazione contra legem. 93 SCODITTI, Il diritto fra fonte ed interpretazione, cit., c. 190.

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2.3. Dottrina delle corti (e della Corte di Giustizia) vs.