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Nel documento Tra Serra d'Ivrea, Orco e Po (pagine 80-90)

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Si-Maestro del Sacramen-tario di W a r m o n d o : Lettera alfabetica ornata a l l u s i v a m e n t e , a n n o 1002, da confrontare coi motivi decorativi dei capitelli coevi di Di-gione ed Eporedia (cod. 31, L X X X V I , Biblio-teca Capitolare, Ivrea).

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-Scultori ispirati da Gu-glielmo da Volpiano : Due capitelli della cripta eporediese ed un capi-tello della cripta digion-nese da confrontare con i coevi ornati dei minia-turisti warmondiani (II, 5; fig-

Sif-fatto ammantamento vegetale. J o h n Ruskin invi-tava a usare l'edera sui cottages costruiti in mattoni di fresca data; non certo avrebbe consentito l'oc-cultamento delle decorazioni e la loro condanna al degradamento. Purtroppo ciò accade a Sessano. La chiesa romanica con campanile in fac-ciata più convincente, e più clamorosamente in-tonata con la topografia, era quella di Lugnacco. Ha una dimensione discreta, ingigantita dall'ef-fetto scenografico del rilievo collinare sul quale sorge. Il campanile sporge completamente dalla superficie di facciata, con un disegno degli

scomparti di ripiano in progressivo allargamento denunciante la progressiva svuotatura del prisma, come nelle torri. Purtroppo anche qui il fornice che fa da portale è stato malamente trattato. Viceversa conforta scoprire sul fianco sinistro della chiesa l'originale decorazione a coppie d'archetti intervallati da lesene (oggi sette, II, 6 ; fig. 4). Una infelicissima scelta di tinte ora isola la torre campanaria dalla facciata, con la quale invece dovrebbe impastarsi, togliendo il desiderio di fotografare. È pertanto necessario ricorrere ad antiche documentazioni pitto-riche e fotografiche.

Rivedremo più avanti (II, 6; figg. 18 e 19) i campanili di Sessano e Lugnacco, tutt'e due dell'xi secolo, isolandoli dal contesto del monumento cui appartengono ed aggruppandoli sistematicamente in una classificazione conformativa d'insieme per tutta la produzione della zona. Qui solo interessa significare l'ammirato stupore per l'emozionante caratterizzazione della immagine architettonica che anima la scena paesistica, proprio in virtù dell'invenzione che modifica alquanto i canoni stilistici per accentare imprevedibilmente ritmi e cantilene monotone.

Le riprese modificative dei disegni non vanno intese come pentimenti e correzioni; bensì quali sostituzioni d'immagini fruite tanto da scadere di prestigio. Le riprese rimodellative, cioè, debbono intendersi come continua invenzione di scena surrogativa, rinnovativa, nello svolgimento d'un continuo cinematografico divenire del gusto.

In tale accezione va inteso il più volte rimodellato insieme monumentale della cattedrale episcopale e del chiostro capitolare dei canonici di Ivrea. La spavalderia scenografica dei rin-novamenti adeguativi alle preferenze stilistiche dei decenni e dei mezzi secoli a cavallo tra il Mille si acquisisce a scapito della buona regola del mestiere di lapicida. Il muratore prende il posto del marmorino. Il riquadratore da intonaco sostituisce il muratore, con un cipiglio inu-sitato che verrà rinnovato nell'epoca barocca dagli stuccatori tanto vituperati dai neoclassici (VII, 9).

Spiacerebbe che venisse male tollerata l'annotazione di questa fase d'estrosità comandata certamente dalla fretta e dalla insicurezza politica. Tutto un settore degli studi sulla diffusione dell'architettura commacina è abituato da tempo a considerare le maestranze lombarde che

II. 5;figg- i 3 . u , 16,17.

Scultori della sfera di Guglielmo daVolpiano: Capitelli del chiostro ca-pitolare d'Ivrea.

sciamavano in tutto il mondo quali preziosi operatori proprio in virtù della economicità della loro produzione di lavoro. Una smaliziata larga tolleranza sull'esattezza ed una facilità stupe-facente nell'accogliere la proposta d'utilizzazione di qualsiasi materiale da costruzione ren-devano ricercatissimi i nostri uomini in tutte le parti dell'Europa e delle isole. I vescovi e gli abbati li utilizzavano con entusiasmo, perché in quattro e quattr'otto realizzavano programmi edilizi che altrimenti sarebbero divenuti secolari; ed, invece, così restavano alla portata della gestione d'una od al massimo di due generazioni.

Quante successioni e sostituzioni di gestioni non vide l'arco di tempo che va dall'epi-scopato gloriosissimo di quel vescovo eporediese che l'imperatore Lotario autorizzava nel-U825 a tenere in Eporedia università ecclesiastica, con pari autonomia e dignità di Pavia e di Torino, sino all'altrettanto prestigioso Warmondo, reggente la sede vescovile intorno al Mille, cioè negli anni nei quali Ivrea fungeva da capitale del regno arduinico d'Italia! M a sempre la celerità veniva ad imporsi tra un'ondata e l'altra degli avvenimenti politici e militari.

L'insieme monumentale del D u o m o e del Capitolo era più vasto di quanto o g g i non ap-paia. Si stendeva dalla zona baricentrica del castello sabaudo (III, 1 ; figg. 14 e 29) all'attuale pronao in piazza ( V i l i , 3). Occupava l'area sacrale delle due successive città originaria e deri-vata, salassa e romana (I, 4). Veniva, forse, a sostituire un tempio votivo ad Apollo. Ignoriamo

II, 5; figg. 13 e 18. Relitti del porticato in-torno al chiostro capi-tolare, ora incorporati nel muro di cinta d'un orto.

quanto vi costrussero gli architetti del primo vescovo mandatovi da San Gaudenzio, fatto ve-scovo di Vercelli ma nativo di Ivrea (VII, 7). L'insieme d'architetture cristiane, bizantine, pre-romaniche e pre-romaniche si dispiega in piano, però si stratifica quale struttura simile ad o g g e t t o g e o l o g i c o .

Reperti lapidei, quali colonnine riusate nel campanile (II, 6; fig. 35), sono bizantini. Cauta-mente si ipotizza che l'attuale cripta del d u o m o fosse in forma di rotonda, u n alto cilindro di cui si dirà. La successiva rimodellata cripta sottostante al coro ed al presbiterio della w a r m o n -diana cattedrale, invece, dev'essere stata allestita contemporaneamente al chiostro del Capitolo dei Canonici. Si ritiene che questa sotterranea architettura tonda sia stata rimaneggiata e ri-dotta per potere costruire i due campanili laterali.

Comunque, anche accettando che sia di getto la conformazione della cripta semianulare attualmente visitabile, è provato che questa è contemporanea al chiostro dei Canonici, locale anche visitabile ma ridotto a qualche residuo frammento murario, recingente un orto, sito tra la cattedrale e il castello (II, 5 ; figg. 2 e 15 4- 20).

L'epoca di efficienza del Capitolo quale strumento istituzionale a fianco del vescovo è indi-cata generalmente tra il secolo i x ed il x n . Più esattamente la datazione del rifacimento del chiostro e del sotterraneo eporediese è deducibile dai caratteri stilistici dei capitelli e delle

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i L : «V K . V VX « v WQ - U a t W J - v t » . L e v . \ i - * | ( . IL — . rwf , (. " v.- i/ . o r . . , , ' , i 1 «—- — Pagina a fronte: II, 5; fig. 21. Veduta nella cripta della cattedrale d'Ivrea. v. . . « .. . , « • • *»v« <», j'rv» ir*. 4 ««-OV4, * A. 1 « . . . a , II, 5 ; figg. 19 e 20. A. d'Andrade: Schizzi ed annotazioni autogra-fe nel chiostro capito-lare eporediese. Altri rilievi, pubblicati da F. Carandini, furono con-dotti da C. Bertea (Mu-seo Civico, Torino).

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26 cipali strutture architettoniche voltate, che si trovano ad essere comuni con quelle della cripta

rotonda dell'abbazia di San Benigno di Digione, nella vicina B o r g o g n a , ch'è forse l'opera più sicura delle maestranze commacine di G u g l i e l m o da Volpiano. Forse analoghe architetture esistettero nel canavesano l u o g o di San Benigno, quali sede dell'abbazia di Fruttuaria; m a vennero demolite e spazzate via da un'opera sostitutiva inconsulta con responsabilità g r a v i di Bernardo Vittone e del cardinale abate delle Lanze (L. S. d. L. ; VII, 4).

L'importanza del quesito giustificherebbe anche qualche esplorazione con la tecnica archeo-logica dello scavo in quel di San Benigno di Fruttuaria. Per ora ci si deve accontentare di esplo-rare la benissimo restaurata zona sotterranea della rotonda b o r g o g n o n a , estendendo eventual-mente la ricerca ad altre testimonianze d'attività architettoniche e plastiche oltre l'Alpi ed oltre i Pirenei.

La rotonda di D i g i o n e è costituita da due anelli abbraccianti u n cerchio centrale: il p r i m o anello ha u n diametro massimo di 36 metri e quello intermedio di 23 metri; il cerchio interno misura una decina di metri. La circonferenza avente la curvatura dell'abside meno che semi-circolare di Ivrea ha dimensioni pressoché equivalenti. C o m u n q u e curvatura del coro e cur-vatura dell'abside si innestano tanto scorrettamente con le murature di base dei due campanili fiancheggianti in simmetria, da aver costretto barocchi e neoclassici ad effettuare un guscio absidale interno raccordato alla meno p e g g i o (II, 5 ; figg. 2 B e 2 D).

Siffatta ipotesi di riutilizzazione intorno al Mille di precedenti strutture murarie contra-sterebbe con l'affermazione categorica d'una lapide m a r m o r e a : « * CONOIDIT HOC DOMINO PRAESUL WARMUNDUS AB IMO ». M a sappiamo quale conto riconoscere ai dettati letterari degli antichi; ed invece sarebbe da auspicarsi anche ad Ivrea una indagine con le tecniche purtroppo diruttive degli archeologi, a base di martelli, piccozze e zappe.

Per ora si sa solo che l'apparecchio esterno dell'abside porta a notevole altezza dal suolo quattro terne d'arcatelle che ne illuminavano l'interno e poi acciecate con tamponature gros-solane. E, per quanto si p u ò giudicare dallo stato attuale del tiburio ottagonale, tuttora esi-stente ma coperto da intonacature, questo m o t i v o delle trifore n o n coincide affatto con lo stile delle arcatelle del deambulatorio del detto tiburio ottagonale. Possiede u n g u s t o romanico ancora arcaico; una fattura approssimativa e frugale, eppure fortemente logica e fortemente espressiva (II, 5 ; figg. 2 C e 7). D ' A n d r a d e n o n aveva registrato il fatto (II, 5 ; fig. 6).

E . 5; figg- 22-^29-Scultori della sfera vol-pianese: Capitelli del chiostro capitolare di Ivrea.

II, 51 figg- 25H-31. Scultore della scuola di Guglielmo da Volpiano : Diverse vedute d'un ca-pitello con olivo, girali, vitigni e mostri animali da confrontare con gli ornati alluminati nei co-dici liturgici (II, 5 ; fig. 9), Ivrea.

La terna di fornici ha sempre eguali le spallette esterne fatte con materiali lapidei e laterizi messi in piedi, di coltello, ed invece le pilette interne costituite da due masselli di pietra, ornati da una croce di Sant'Andrea incisa, con interposti tre corsi di mattoni (cosicché il pilastrino sembra avere zoccolo e capitello). Le arcatelle della trifora sono laterizie con armilla falcata (cioè a massimo spessore in chiave alla maniera moresca).

Se si fa l'ipotesi già affacciata che le trifore illuminassero dall'alto un intero t a m b u r o a pianta circolare, il tempio che questo veniva a costituire doveva possedere u n carattere inusi-tato che non è ardito dire altomedioevale. Tale carattere dovette considerarsi antiquato al tempo dei due episcopi eporediesi W a r m o n d o ed Enrico che intrapresero la ricostruzione

ab imo della cattedrale senza tuttavia osar gettarne alle discariche tutta le massa muraria.

Sviluppando su u n tamburo di diciassette metri di diametro il m o t i v o delle trifore, di queste se ne d o v e v a n o contare dodici, ossia trentasei sorgenti luminose.

L'inserzione violenta e costrittiva delle due basi di torri campanarie l u n g o u n diametro trasversale portò i costruttori di d o p o il Mille a dimenticare il loro motivo compositivo del tempio originario ed a creare il n u o v o ritmo dell'ornamentazione guidandolo con le arcatelle cieche del tiburio ottagonale notevolmente spostato da quello (II, 5; fig. z D e fig. 5).

La n u o v a fisionomia poteva quindi spiegare che i contemporanei di W a r m o n d o si sentis-sero nel v e r o affermando asciuttamente ossia tacitianamente che fu il loro vescovo a fondare la cattedrale dalle fondamenta. Quantunque, poi, il Breviario w a r m o n d i a n o (II, 2) rettifichi e completi le informazioni della notissima lapide, ricordando l'origine su preesistenze ael m o n u -mento : « Vetustam aedem Deiparae sacram novis operibus auxit ».

Ritornando ai motivi scultorei dei quali si fece cenno per riconoscerne la paternità c o m m a -cina nel clima architettonico di G u g l i e l m o da Volpiano — e che molti si distanziano dagli spunti decorativi delle croci di Sant'Andrea dei blocchetti delle finestrelle otturate or ora de-scritti molto elementari — ed anche per suggerirne l'appartenenza ad una concezione unitaria globale tra cripta e chiostro capitolare, devesi concludere che i capitelli che li accolgono sono tali da accendere l'immaginativa richiesta dalla buona critica d'arte.

L a maniera plastica esplicatavi è tra le più tipiche della cerchia benedettina che si presume d o v u t a all'ispirazione di G u g l i e l m o da Volpiano. V i prevale la vegetazione anziché il regno animale. Quest'ultimo fa rare apparizioni tra elementi lussureggianti del regno vegetale.

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sceva una statuaria d'animazione coerente con la coeva figuratività messa in atto da mosaicisti e da miniaturisti (II, 5; figg. 9-1-36).

Vien fatto di tuffarsi nel clima di beatitudine che San Pietro Damiani rievocava scrivendo a S a n t ' U g o abbate di C l u n y ; la Cluny non avente eguali, perché, come si l e g g e v a nell'elogio tessutone da papa G r e g o r i o VII, non vi è stato « un solo abbate di quel monastero che n o n sia stato un santo ».

Il Servo di Dio testualmente scriveva: « J ' a i v u le paradis arrossé par les fleuves des quatre Évangelis : je l'ai vu fécondé par les rivières des vertus spirituelles ; j'ai vu le jardin des délices où g e r m e n t les gràces des diverses essences de roses et de lis ; suavement il e m b a u m e des fra-grances melliflues d'aromates et de parfums de fleurs. C'est de lui, vraiment, que le Dieu Tout-Puissant pourrait dire : l'odeur de m o n Fils est comme celle d'un c h a m p fécond que le Seigneur bénit ». Ed il Santo si chiedeva conseguentemente se è altra cosa il convento cluniacense che il campo fecondo d i v i n o ; e se il cuore dei monaci viventi nella carità non è simile al covone di messi celesti. Egli riteneva che al monastero venissero radunate le mietiture spirituali per essere poi ammassate nei granai del cielo.

Pertanto non si cercheranno in tale vasto territorio della figuratività ecclesiale di pertinenza monastica le efferate i m m a g i n i puzzolenti di zolfo che certa poesia carducciana volle vedere anticipando l'atea prurigine neorealistica e marcusiana.

Qui trionfano, soppiantando nei capitelli gli acanti greco-romani, arbusti ed alberi aromatici da giardini di serenità e di catarsi: ma soprattutto trionfano i vitigni e le palme della terra santa, i quali uniscono al significato allegorico il simmetrizzante costrutto architettonico ed orna-mentale.

Il calice del capitello p u ò pertanto essere alto e snello.

Altezza e snellezza sono le stesse, ad Ivrea ed a Digione. In a m b e d u e le manifestazioni stilistiche, sembra fare più snello che in altri coevi capitelli romanici l'accorgimento di trafo-rature del m a r m o ai quattro angoli sotto le v o l u t e : contornata dalle ombre si vede la luce. A loro volta, le volute portano all'estremità libera teste animalesche, tanto perché sia presente, con moderazione, anche in tanto trionfo di bene, il terrore del peccato; così come Gisleberto,

n» 5i figg- 32 e 33-A l t r i c a p i t e l l i della scuola guglielmina nella cripta della cattedrale di Ivrea.

II, 51 figg- 34A36. Ancora altri capitelli della cripta d'Ivrea (II, 5i fig- 32

i l , 5; figg- 37-3-39-Capitelli alto medioevali di schema modenese ap-partenenti alla preesi-stente costruzione ple-bana, nella cappella di Santo Stefano a Candia (il, 6;

figg-12-3-14)-pedagogicamente, incideva ad A u t u n : « TERREAT HIC TERROR QUOS TERRUS ALLIGAT ERROR NAM FORE SIC VERUM MOTAT HIC HORROR SPECIERUM ».

Il modellato dei capitelli eporediesi e digionnesi, il quale ama gli effetti del traforo piuttosto che le morbidezze del polpastrello, è inconfondibile, giacché è m e m o r e del calligrafismo bizan-tino ed arabo, più che giustificato dall'epoca in cui G u g l i e l m o da Volpiano orchestrava l'im-mensa sua provincia pastorale ed architettonica a cavallo tra i regni d'Italia e di B o r g o g n a , confinanti qui all'imboccatura della Valle d'Aosta in quel di Carema (II, 8). Con la luce ra-dente nell'oscurità della cripta, talora, quelle sculture appaiono come dei bassorilievi e delle incisioni, tutti proiettati sulla epidermide dei v o l u m i solidi ( l i , 5; figg. 9 -f- 12).

Nella incertezza delle conoscenze sull'architetto, nato nell'Isola d'Orta da stirpe nobilis-sima e regale transalpina, questi due collegati g r u p p i di capitelli sono già una acquisizione importante e sicura per la storiografia, purtroppo frequentemente sbizzarritasi a fantasticare su caratteri veramente ancora nascosti.

M a potè l'abate di Digione prestare per Ivrea collaborazione di idee all'episcopo W a r m o n d o od ai suoi immediati successori? Forse sì: per interposta persona, mediante i collaboratori; giacché anche per la propria organizzazione egli « dettava », non faceva. O g g i si direbbe ch'era « u n regista » del rituale liturgico e dell'architettura stessa. Una regìa abbastanza libera, adat-tabile alle molte varietà delle circostanze di l u o g o e di tempo, non sarebbe difforme da quella ideologia per cui potè operare la tanto vasta riforma monastica che da lui prende n o m e ; ed è stata recentemente definita da Bulst come caratterizzata da autonomia dei singoli centri, preservando l'indipendenza dei singoli centri. Era in contrasto con la tradizione accentratrice e fortemente gerarchica della condotta del coevo abate Oddone di Cluny.

Per questi motivi tanta diffusione ebbero le riforme ispirate a Digione, qui in Piemonte ed oltre la B o r g o g n a , nella restante Francia, nella N o r m a n d i a e nella Lotaringia.

Forse Guglielmo aveva capito, proprio nel Canavese e nel Vercellese, che nella grande strategia postcarolingia della condotta dei popoli, la perfezione protocollare del potere uni-versale n o n poteva non corrispondere alla perdita della centralità, ossia del centro, il cui cer-vello avrebbe inevitabilmente cessato d'agire, restando una mera finzione ideologica, inat-tuabile.

N o n appare più casuale la varietà conformativa di quella spicciola minore edilizia i cui caratteri architettonici abbiamo finora individuati criticamente quali consolidazioni di com-portamenti carenti di regola, perché ad essa opponendosi in relazione alle istanze statiche, funzionali e compositive che si intendevano ascoltare.

Inoltre si spiega come teoreticamente autorizzata anche la cangianza nei tempi dell'imma-gine architettonica. D o v e v a cambiare rapidamente secondo le m o d e . Volutamente incrostate di paramenti ed intonaci, frettolosamente sovrapponentisi l ' u n o all'altro.

G u a r d a n d o dalle torri del castello in g i ù verso la residua massa della cattedrale, si p u ò congetturare sul carattere splendido della complessa scena (II, 5 ; figg. 6 e 8) : di quell'alto ti-burio duplicemente diademato dalle loggette pensili; di quella coppia di campanili che sem-brano voler ricordare alle abbazie di Santo Stefano e di Fruttuaria che l'Episcopato, spalleggiato dal Capitolo dei Canonici, stava su r a n g o superiore nella gerarchia cattolica; di quell'alta abside; di quella sventagliata in orizzontale del coro che n o n conosciamo; di quel chiostro, che pun-zonava la g r i g i a superficie dei tetti del Capitolo dei Canonici. Fra la concretizzazione del

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tere nel trapasso dalla gestione carolingia accettata da tutti a quella ottomana conte-statissima. All'epoca di W a r m o n d o e dei suoi immediati successori, guai a toccare quella centrale di g o v e r n o ; se ne accorse e ne fece irreparabili spese il povero re Arduino, folgorato mortalmente dall'ana-tema episcopale!

Ebbene, di quella scena architettonica possiamo seguire sino ad un certo tempo, un secolo o due più tardi, la progressiva vestizione con paramenti intonati alle mu-tate esigenze estetiche, ma sostanzialmente abborracciati, grossolani e fasulli. Le ri-manipolazioni furono certamente dei de-classamenti formali, ammesso che l'epoca aurea fosse quella intorno al Mille. Ciono-nostante, le riedizioni d'immagini, puntual-mente fresche nell'evolversi o involversi

della maniera lombardo-commacina, non possono sottovalutarsi come fanno i burocratici maldestri restauratori d'oggidì, capaci di ridurre tutto a ossatura muraria g r e g g i a non ricostrui-bile oppure a composizione scolastica, libresca, in stile neomedioevale.

Anche il paramento alla brava (con raccordi improvvisati dai soli operai presenti sui pon-teggi) ha un proprio sapore ; quel sapore che la « Carta del Restauro » d'Atene intendeva di-fendere, ma inutilmente.

Scendendo dal castello e rientrando nell'orto ov'era il claustrum, e guardando in su, verso la cattedrale, si può controllare come l'archeggiatura rimaneggiata grossolanamente (ma con-servatasi sino ad o g g i ) sia indicativa della volontà di ritmare l'ornamento epidermico dei vo-lumi in equilibrio di volta in volta turbato da qualche nuova intromissione o mutilazione di dettaglio.

Le documentazioni fotografiche (II, 5 ; figg. 6, 7 e 8) intendono costituire un contributo a cinematografare nel tempo quello che si dice il respiro esistenziale della storia d'una forma.

n , 5; fig.

4°-Fregio incorporato nel-la pavimentazione delnel-la cripta eporediese.

II, 5; fig. 41.

Dettaglio del foglio 84 v° del Troparium Epore-diense warmondiano, ini-zio sec. xi, con annota-zioni musicali (cod. 91, L X ; Biblioteca Capito-lare, Ivrea). w u t n l > t r - n à y u & u r 4 * n m m f t n t w // 4

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Nel documento Tra Serra d'Ivrea, Orco e Po (pagine 80-90)