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UNIFICANTE CITTADI- CITTADI-NANZA CANAVESANA

Nel documento Tra Serra d'Ivrea, Orco e Po (pagine 43-50)

PER POLICROMI BORGHI

In testata:

I I , i ; fig. i

Moneta di re Arduino di Ivrea, coniata nel 1002 in Pavia (III, i).

Chiese cimiteriali inutilizzate ed ossa regie insonni alla ricerca di mausolei. II, i

Il versante italiano delle Alpi Occidentali rappresentava tra i secoli vili e xi un piccolo luogo entro il grandioso panorama europeo della civilizzazione. Era scaduto d'importanza; era di-ventato, al confronto con il ruolo avuto tra le età repubblicana ed imperiale di Roma, una piccolezza che andava via via perdendo di significato: non più una importante frontiera e non più la principale strada maestra per il Settentrione.

L'occlusione ai traffici europei della Cristianità, costituita dagli Islamici nella loro offen-siva lungo i valichi montani cozii graji e pennini, dimostrava il vero motivo dell'invasione africana ch'era di colpire le strutture territoriali di supporto dei monasteri di Cluny, di Nova-lesa, di San Gallo e di Bobbio. Non tanto i Saraceni erano contro le popolazioni alpine ber-sagliate, quanto contro l'idea religiosa coltivata entro quelle centrali di fondazione carolingia.

I re franchi nella lotta purgatrice antisaracena s'avvalsero molto del sostegno offerto dalla nobiltà provenzale, borgognona ed italiana; ma dopo quegli eroici eventi ben poco fecero perché la regione alpina occidentale e la pianura subalpina connessa non si trasformassero in siti di ristagno. Entro quelle morte regioni la gente destinata ad operare quasi s'imprigionò, sminuendosi fino ad estinguersi oppure ad asservirsi. S'intende dunque anticipare un'anno-tazione che diverrà inevitabile: il Canavese ed il Monferrato divennero poco alla volta, dopo l'abile gioco diplomatico tra Piemonte e Liguria del Glabro marchese di Torino ed Auriate, una trappola per Arduinici ed Aleramici.

Migliore fu l'avvenire offertosi ai discendenti del germanico Ottone, il quale ebbe il grande merito di insabbiare l'alluvione orientale degli Ungari.

Strano spettacolo fu quello offerto da Arduinici ed Aleramici in così angusto spazio lungo uno strascico lunghissimo di tempo. Inseguendo i miraggi delle ghibelline e guelfe partitocrazie di meno realistica convenienza, si intrufolarono in piccole guerre che si spensero nel Trecento e delle quali si posseggono cronache poetiche che quasi le pongono in luce di ridicole zuffe in famiglia, anacronistiche come la battaglia del Gamerario del '45 presso Chieri

(A. M. d. Ch. ; III, 2) e la espugnazione di Caluso del '62 di cui si riparlerà in questo libro (II, 9).

I Savoia, in paragone più fortunati e più tenaci, ne facilitarono la lenta agonia politica. Come sia finito a Fruttuaria quel celeberrimo Arduino che fu marchese di Ivrea e re d'Italia, tutti sanno. Rinunciando alle corone feudali, vi si fece monaco e vi morì. La sfortuna lo perseguitò ancora dopo secoli; perfino le sue ossa, sfattosi il greggio saio e la bara, vennero gettate fuori dalla chiesa abbaziale fondata dal parente Guglielmo da Volpiano (II, 5 e VII, 4). Il suo infelice destino non volle che Arduino d'Ivrea avesse per sé un aulico mausoleo in pietra come tant'altri monarchi meno rinomati. Sola, una piccola cassetta fu vettore pietoso per la sosta in due residenze patrizie, case private ed inaccessibili, sedi davvero incongeniali (VII, 3 e Vili, 1).

In fabbricati inadatti le ossa regie furono due volte onorate per farne romanticamente pretesto o insegna di rivendicazioni araldico-nobiliari e risorgimentali.

Pensano a siffatte vicende strane di predestinazione sfor-tunata gli storici che s'interessano della sede prestigiosa d'una signoria d'ascendenza arduinica, in Settimo Vittone.

Andando verso il confine del Canavese, collocato dai Romani verso la Gallia a Carema (Vili, 2) e rinnovato nel-l'Alto Medioevo quale zona di contatto tra il regno di Bor-gogna ed il regno d'Italia, s'incontra quel castello dei Signori di Settimo Vittone ch'è appollaiato su un bricco stagliato contro la montagna di Andrate (I, 6; fig. 2). Stupenda è la giacitura del bricco, che fa da centro focale d'una conca gra-donata di topie vitifere, la quale appare quasi un entusia-smante anfiteatro la cui cavea circondi un palcoscenico degno di venire arredato quale altare; ed invero oltre i fabbricati del fortilizio sono presenti due edifici religiosi. Una lapide, classificata quale apocrifa, annuncia che quivi sarebbe sepolta Ansgarda, la sorella di Anscario, conte di Torino e di Ivrea dopo essere stato conte d'Ouche, la quale andò sposa ad un

re dei Franchi, ma che ne fu ripudiata. Ansgarda morì nell'anno 889 ed Anscario si spense nel successivo '98. Si ricordi che Anscario era padre di Arduino.

Agli studiosi del secolo X V I I venne il sospetto che Anscario fosse sepolto a Settimo

Vit-tone. In conseguenza di ciò, il conte Filippo di San Martino Agliè (V, 4 e V, 6) fatta la ricogni-zione, confermata con atto rogato dal notaio Torriani il 30 ottobre 1657, portò quelle ossa nel castello di Agliè accostandole a quelle del primo re d'Italia che tanto lustro dava tuttora alla propria famiglia; quelle ossa ch'egli aveva recuperato negli orti dell'Abbazia di Fruttuaria con analoghe notarili precauzioni per la storicità documentabile. Storiografia ed agiografia non conoscevano ancora la tecnicità filologica di prova, fondata ferreamente solo nel secolo successivo. In aggiunta si deve annotare che Filippo neppure possedeva tanta fibra morale per potere riscattare l'azione culturalmente superficiale con il crisma d'una valida dimensione d'arte. Il mausoleo regale ideato per il castello d'Agliè restò sul piano del gusto sdolcinato della coreografia, di cui era peraltro maestro, e della scenografia ornamentale, che poteva fare eseguire non in salda pietra ma illusoriamente dipinto dai luganesi mercenari in Piemonte. Le « delizie » della Sabauda Madama Reale erano il metro etico di una esercitazione a vuoto

II, 1 ; fig. 2.

Schema della presunta organizzazione plani-metrica della cappella cimiteriale e del batti-stero ottagonale presso il castello di Settimo Vittone : in nero, le parti più antiche, in bianco, le trasformazioni suc-cessive.

II, 1 ; fig. 3.

L'interno a volta della cappella cimiteriale di Settimo Vittone entro la quale s'innestano i tre nicchioni voltati de-stinati ad accogliere sar-cofagi (sec. vili).

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II, i ; fig. 4.

L'esterno della cappella cimiteriale di Settimo Vittone e di due nic-chioni (sec. v m ) .

di prestigio solamente cortigiano e furono canonizzate in un opuscoletto a stampa dello stesso nobiluomo di sangue arduinico (V, 4; V i l i , 1).

La cassetta delle ossa di Arduino d'Ivrea fu trasportata poi nel castello dei Valperga di Masino, l'altro ramo dell'illustre prosapia vantante origini nobiliari anteriori a quelle dei sabaudi (VI, 4 e VI, 5). Colà, sulla collina che ha ai piedi Vestignè e Caravino, s'affisa-rono gli sguardi dei romantici vati del risorgimento italico, ai quali evidentemente interes-sava l'aggancio mnemonico sentimentale del Piemonte facitore d'Italia a quella prima corona d'Italia.

Ma tornando a Settimo Vittone, sembra che financo Napoleone Bonaparte abbia desi-derato di mettere le mani sulle presunte ossa della regina franca Ansgarda, per trasferirle a Parigi. Modesto gesto, ma che si sommava alle notizie che facevano cronaca sulle gazzette politiche parigine.

Tuttavia questa faccenda del sepolcro d'Ansgarda lungo la Dora Canavesana non ha retto alla critica dei fasti politici. E neppure gli storici dell'arte rimasero convinti dell'identificazione funzionale con l'epoca stilistica del monumento sacro.

Questo è oggi uno stranissimo edificio, costituito da una chiesetta rettangolare e da un battistero ottagonale congiunti innaturalmente da un vano intermedio (II, 1 ; fig. 2).

Alcuni scrittori notano che l'edificio, il quale per tanto tempo ha servito da parrocchia extramurana del borgo sottostante, fu dipinto a parecchie riprese e che gli affreschi vanno dal x al xv secolo; ma siffatto suggerimento serve a poco. La datazione va stabilita seguendo altre strade d'indagine di carattere stilistico sulle stesse strutture architettoniche.

Se i due volumi edilizi iniziali non sono coevi, l'edificio rettangolare dovrebbe essere più vecchio (ed anche meno rimaneggiato successivamente tranne l'apertura di finestrelle). Un serio accostamento di stile e dimensionale viene fatto con San Simpliciano milanese ch'è da collocarsi tra il vii ed il v secolo. Tale ipotesi di P. Verzone si rafforza anche per la similitu-dine nascente dal fatto che tanto a Milano, quanto a Settimo Vittone, un'aula rettangolare

allungata di piccole dimensioni (là circa 13 X 4,5 m e qui circa 10 x 4,5) coperta da volta a

botte che accoglie tre nicchioni con volte cilindriche sottostanti alla quota d'imposta della botte del vano principale. I tre nicchioni sono inseriti due lateralmente ed uno in zona assiale absidale. Quindi solamente il pavimento autorizza l'impropria dizione di a croce latina, mentre l'uso dei nicchioni non era per liturgico collocamento d'altari bensì per mortuaria esigenza di spazio di tre sarcofaghi giganteschi destinati a personaggi altolocati. In tale prospettiva interpretativa si è parlato di « chiese cimiteriali cristiane » ; cioè di mausolei.

Ma il mausoleo di Settimo Vittone quali defunti personaggi anteriori ad Anscario avrebbe ospitato? Nel secolo V I I ?

Vista dall'interno e dall'esterno (II, 1 ; figg. 5 e 6), cotanta semplicità plastico-spaziale e la costitutiva proporzionalità intima inducono ad individuarvi una purezza ancora me-more dell'estetica tardo-antica la quale si protrasse sino all'altomedioevale stile carolingio dell'vin e del ix secolo, non insensibile ad influssi bizantini pervenuti in Francia per via marittima e che risalivano il Rodano per tracimare nelle opposte valli discendenti dagli spar-tiacque alpini.

Non si deve dimenticare che tale proporzionalità aurea di membra grandi e piccole unite in sintesi totale si troverà ancora un secolo dopo, come mostrano le piccole cap-pelle ad abside quadra sotto voltone a botte di Novalesa e di Forno di Lemie (L. S. d. L. ;

I, 4;

3)-L ' V I I I ed il ix secolo potrebbero avere visto nascere l'iniziale edificio ottagonale? Certo è che questo subì le riplasmazioni dell'xi secolo facilmente leggibili ad occhio, riplasmazioni grossolane quali il campaniletto che gli è stato posto in cima, quasi fosse una guglia, l'apertura della porta e di quattro finestrelle a sguancio sulle otto facciate, la sporgenza creata all'esterno d'una specie di absidiola con una sola finestrella laterale, l'innesto di quel vano congiungente il nicchione sinistro della

chie-suola, il rifacimento della volta per reggere il lanternino-campanile e la sopraelevazione del pavimento (II, 1; fig- 7).

Non è difficile immaginare l'ar-chitettura iniziale, tutta costruita con ciottoli e scapoli di gneis. Gli archivolti dei nicchioni (non a con-ca ma di base rettangolare) origi-nari erano fatti con rustici conci cu-neiformi ; detti nicchioni non spor-gevano all'esterno, perché conte-nuti negli spessissimi muri risvol-tati continuamente per formare il prisma ottagonale retto ch'è la più evidente caratteristica del tem-pietto. Il piccolo battistero inseri-sce nella inseri-scena un elemento archi-tettonico inusitato. Non assomiglia a nessuno dei battisteri delle vici-nanze ; non a quello di Biella (qua-drilobo e di datazione tra romanica e preromanica) né a quello di San Ponso (con otto nicchie sporgenti, metà tonde e metà quadre, e di di-mensioni pressoché comparabili); non quelli prismatici ed ottagonali milanesi di San Gregorio e di San Giovanni e di Ventimiglia (pure di diametri, circoscritto ed inscritto,

II, 1 ; fig-

5-Altra veduta esterna della cappella cimite-riale altomedioevale con il nicchione prolungato a congiungimento del battistero.

Nella pagina a fronte:

i l , 1 ; fig- 6.

Raffronto tra gli interni dei battisteri di Settimo Vittone {alto, a sinistra) e di San Ponso {basso), integrato dalla sovrap-posizione dei rilievi alti-metrici e planialti-metrici delle due architetture

{alto, a destra) forniti,

insieme ad altre prezio-se informazioni, da Ca-millo B o g g i o ed Euge-nio Olivero.

i l , i ; fig-

7-L'esterno del battistero altomedioevale di Setti-mo Vittone sorSetti-montato da campaniletto del se-colo XI.

II, i ; fig.

A l f r e d o d ' A n d r a d e : Schizzi e annotazioni autografe a proposito del battistero di San Ponso (Museo Civico di Torino).

II, i ; fig. 9.

Archeggiatura binaria a decorazione esterna del-le absidiodel-le prismatiche rette e curve del batti-stero di San Ponso (sec. x).

Pagina a fronte : II, 1 ; fig. 10. Veduta esterna del bat-tistero romanico di San Ponso sormontato dalla secentesca torre cam-panaria.

più ampi); ed infine non quello di Brescia (all'in-terno simile ai milanesi, ma all'es(all'in-terno in forma di prisma a base quadrata e massiccia).

Come il tempietto che lo fiancheggia, pos-siede una austerità ch'è frutto d'acerbità e d'ine-sperienza costruttiva. Con i materiali grezzi e poco arrendevoli di provenienza dalle cave di gneis e di ciottolame alpestre non si possono eseguire acrobazie statiche altro che dopo evo-luzione e sperimentazione; ma anche i gotici ed i barocchi in montagna si mantennero sempre aderenti al gusto dei primitivi e dei cautelosi. Si assiste qui ad un curioso tentativo di associazione di conformazioni elementari. Come nell'architettura armena, si sperimenta la inedita unione sintetica del prisma retto ottago-nale, rigorosamente cristalliforme quale la Torre dei Venti ad Atene, con il cono del tetto a spio-venti ripidi, altrettanto rigoroso nella stereome-tria che intende suggerire. Ciò per l'esterno. E nell'interno, al prospettico lucido fuso, modellato dalle otto pareti e dalle otto unghie che dovevano raccordarsi in chiave, s'innesta il motivo delle otto non brevi scannellature costituite dai nicchioni quadri e coperti da volto. È una combinazione sintetica la quale in negativo esperimenta nell'in-terno ciò che nello spazio esnell'in-terno architettonica-mente realizza il fusto delle composite colonne barocche con fasciatura d'astragali sotto il limite di rastremazione, più aderentemente al concetto indagato che non i fusti scannellati.

Quei nicchioni (che ora si vedono alti due metri e che presumonsi di almeno tre o quattro metri, per giungere al- pavimento originario) van-no ipotizzati mentalmente snelli, in fuga prospet-tica allo zenit come nell'interno del battistero di San Ponso, ch'è il battistero dimensionalmente più affine di quello di Settimo Vittone. L'ipotesi permette ulteriori confronti, positivi e negativi, tra le due edicole (II, i ; fig. 6).

Sovrapponendone le piante e gli spac-cati verticali disegnati su carte trasparenti, San Ponso mostra una maggiore elaborazione fun-zionale e costruttiva e compositiva: a) le nic-chie sono differenziate in quadre ed a conca, per rituali e destinazioni non ancora studiati ma di-versi; b) i muri vengono assottigliati molto cor-rugandone il perimetro, nelle due finalità statiche di introdurre una rigidezza alle inflessioni laterali della zona basamentale e di ridurre la massa mu-raria, recuperando le indicazioni di modelli ro-mani ed anticipandone altri roro-manici e gotici in tema di simmetrie accentrate; c) la sola ornamen-tazione a lesene intervallate da coppie di archetti pensili, commentante e gerarchizzante le varie membra edilizie, costituisce già una trama com-positiva evidenziata in un'ardita sintesi formale di valore artistico nel quale spazio, linea e colore s'equilibrano come nel canto gregoriano e come si vedrà in apposito prossimo capitolo (II, 6).

Il materiale lapideo e la somma di manova-lanza risparmiati, e che vengono denunciati cla-45

morosamente dai confronti degli spaccati orizzontali e verticali sopra detti, permettono di suggerire una data d'esecuzione a Settimo Vittone molto anteriore che a San Ponso, già gravitante nella sfera delle prestazioni lombardo-commacine più diffuse in Europa.

Anche a San Ponso s'assiste alla curiosa sopraelevazione con una cella campanaria in luogo di lanterna (II, i ; figg. 6 e 8 -p io), d'interesse locale se s'aderisce alla volontà di consi-derare la terra canavesana come luogo fin troppo facile allo spirito d'adattabilità funzionale dell'architettura romanica

Una bifora collocata nell'interno della moderna parrocchiale di San Ponso denuncerebbe che il battistero dovette essere subito accoppiato ad una basilichetta affiancatagli. Altrettanto accadde a Settimo Vittone, perché l'accoppiamento delle due edicolette riprende l'antichissima usanza di aggruppare edifici sacri (come a Pavia ed a Torino) due basiliche ed interposto batti-stero. Era d'usanza nelle sedi episcopali in ricordo delle tre persone della Trinità.

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Nel documento Tra Serra d'Ivrea, Orco e Po (pagine 43-50)