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Nel documento Tra Serra d'Ivrea, Orco e Po (pagine 58-80)

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A questo punto vale ricordare che, prescindendo dall'essere mezzi di comunicazione visiva, le miniature dei codici membranacei cessarono dopo un secolo o due d'essere veicoli primari di cultura, soppiantati dalle pitture da cavalletto (oppure icone e pale d'altare) ; si deve tuttavia notare che in quest'epoca di trapasso dall'affresco e dal mosaico all'icona, la miniatura ebbe due periodi caratterizzanti: un periodo d'ispirazione monumentale, derivando gli schemi com-positivi dagli affreschi e dai mosaici, ed un periodo di fantasticheria raffinata e minuziosa sino al dettaglio, fornendo essa ai cicli murali una schematizzazione tendente all'aneddotico ed al preziosismo illustrativo.

Il sacramentario di Warmondo s'inserisce in siffatto trapasso di preferenze figurative ap-portando un apprezzabile contributo proprio per lo speciale stadio nel quale fu lasciato in tronco dall'autore delle miniature, anonimo e misteriosamente eclissatosi prima dell'acquerel-latura. È come un affresco non portato a termine e rimasto nella condizione di sinopia; ed a volte solo la sinopia sa dare tutta l'espressione che si lega all'estro creativo, talora smorzandosi tale vivacità con la frenante responsabilità della tecnica esecutiva finale.

Purtroppo l'alluminatore diede malamente le tinte (verdoline e rosate nelle pagine della prima parte e azzurrine e rosse nella seconda parte) ; ed il disegno a penna è fortemente distur-bato e talora anche occultato da malaccorte coperture di pigmenti inespertamente distribuiti. Se si congettura mentalmente l'attenuazione delle tinte e si legge la miniatura quale un bianco e nero, ovverossia come un mosaico non policromo, si sta attoniti a contemplarne la spigliata bravura.

L'architettura della pagina è un « tutto » unitario che sinteticamente fonde gli elementi architettonici propriamente detti con le lettere calligrafiche e con le figure umane del racconto ; il dettaglio ornamentale e anatomico risuona con pari concinnità l'essenza estetica di quel « tutto ». Vedasi, per esemplificare, il foglio 5 2 v° del Sacramentario warmondiano, dedicato alla « Benedictio crismatis principalis », che viene personalmente impartita dal grande liturgista

II, 2; figg. 16-^23. Maestro del Sacramen-tario di Warmondo: Al-cune miniature del « Sa-cramentario » scelte per mettere in evidenza la geometria latente delle composizioni fondata su una prospettiva do-tata di punti di conver-genza collocati su un alto orizzonte (Biblio-teca Capitolare, Ivrea).

cui s'intitola il Codice stesso (II, 2; fig. 4) e si osservi il valore di legamento di quell'armilla architettonica e di quella sottostante grande lettera iniziale.

Al monogramma simbolico, Luigi Magnani dà il significato di « Vere Dignum » con intrec-ciata la croce : ove il V significherebbe l'umanità di Cristo ed il D la divinità. Il monogramma del « Vere Dignum » è costante nella miniatura romanica, cioè dei sacramenti e messali, sino alla trasformazione gotica delle iniziali.

Come tasselli d'una equilibrata tarsia l'officiante, il diacono e l'altare occupano il loro posto nel giusto equilibrio d'insieme ; inoltre ognuno di questi inserti, coinvolti nella generale euritmia, forma una singolare particolarità compiuta. Si osservi, a tal uopo, la viva espres-sione del volto del personaggio principale (II, 2; fig. 5), resa con pochi tratti d'una penna esercitata a tradurre in cifra compendiaria il dato essenziale dell'immagine figurativa perse-guita: chierica, frangetta, fronte, glabelle, sopracciglia, globo oculare e pupilla persino con brillo puntiforme, rigonfiamenti delle palpebre, naso, labbra, mento e sottomento, collo inguai-nato da un colletto amitto alto che subisce una elegante torsione per il suo speciale taglio e per il vincolo impostovi dalla stola. Non si perde nulla della sua gustosità neppure sforzandone l'ingrandimento fotografico. E quanta spiritosità nel taglio sghimbesciante della canonica aureola quadra per viventi, autentica perla d'innesco nello splendore della vivacità realistica! Warmondo, forse della casata degli Arborio (« Warmundus de Arborei »?), fu scrittore e poeta com'egli stesso ricorda nei versi invocatori chiedendo protezione divina su «

Warmun-dum vatem ». Lo si è voluto ricordare per indicare il particolare clima culturale di rinascenza

umanistica di cui si dirà.

Altre volte, oltre che in questa benedizione del Crisma, il grande episcopo eporediese è ritrattato nel Sacramentario. Al principio del canone è orante. Nella scena della crocefissione è in adorazione.

C'è da sperare che il nome dell'artista esca dagli anfratti dell'archivio o da qualche lontana

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citazione di rimbalzo in altri siti. Per ora facciamo onore al « Maestro del Sacramentario di Warmondo », il principale autore delle figure del codice.

Per onorarlo bisogna continuare a leggerne i caratteri artistici. Il foglio 66 v° ci pone sotto gli occhi la scena di quella notte del sabato che prelude al primo dì della settimana, allorché Maria Maddalena e l'altra Maria vennero a visitare il sepolcro provvisorio (II, 2; fig. 6). Matteo ( X X V I I I , 2-7) dice: « E d ecco un gran terremoto, ed un angelo del Signore scendere dal cielo e appressatosi, rovesciare la pietra e sedervisi sopra, aveva l'aspetto della folgore e come neve il vestimento. Vedendolo le guardie si spaventarono e rimasero mezze morte. Ma l'angelo prese a dire alle donne: " N o n temete voi, perché so che cercate Gesù, che è stato crocefisso. Egli non è qui; è risorto come aveva detto; venite a vedere il luogo dove il Signore era riposto. Poi tosto andate a dire ai discepoli ch'egli è risuscitato da morte e vi precede in Galilea ; là voi lo vedrete. Ecco, io ve l'ho detto " ».

Tutto il «pictor » sa rievocare, con pari misurata arte recitatoria e con pari essenzialità di figurazione, come quel massimo artista che fu l'evangelista Matteo. Il disegno non fosse stato tinteggiato, sarebbe stato fedele anche il vestimento, scosso da un fremito miracoloso, come dopo un autentico catastrofico terremoto.

Ma la malaugurata tinteggiatura declassa gli attori epici a banali comparse di burocratica sacra rappresentazione. Non più un modello d'affresco o di mosaico; solamente una squallida xilografia per le fiere paesane.

La necessità di leggere queste pagine (la loro dimensione è di mm 340 per 240, meno del doppio dell'allegata riproduzione a colori) filtrando le quattro tinte (rosso, giallo, verde e azzurro) emerge subito da un confronto della scena del Sacramentario con la corrispondente scena evangelica dell' « Evangeliarium» che Francois attribuirebbe al secolo XII (II, 2; fig. 7).

Lo schema iconografico sembra lo stesso, ma in verità ciò non è vero. Si segue la consue-tudine iconografica instaurata dai « pictores » d'altro ceppo del mestiere e si è indifferenti alla versione che il dettato del codice vorrebbe dare, ch'è quello dell'evangelista Luca ( X X I V , 2-10), il quale mobilitava due esseri sfolgoranti, e non uno, e parecchie donne venute dalla Galilea con Gesù, tra le quali le tre famose Maria di Magdala, Giovanna e Maria di Giacomo. Qui sono effigiati non tre, sì bene sette soldati, anatomie e panneggiamenti sono più diretta-mente collegati alle convenzionalità grafiche e coloristiche dei romanici dell'xi secolo (com-preso quel modo standardizzato di fare le gote arrossate con un punto di carmino). Mentre il « Maestro del Sacramentario di Warmondo » ne era totalmente indipendente, avendo certa-mente guardato chissà dove ed appreso dai mosaici della tarda latinità e financo ellenistici. G ò fa parte di quel movimento rinascimentale ch'è già stato individuato in Francia nel Mona-stero di S. Benedetto presso Fleury. Colà l'attenzione umanistica sembra venisse spinta sino ad attirare artisti italiani: « Venìt ab Italia quidam qui scripserat illum». Nivardo da Milano, per esempio; del quale si disse fosse una specie di anticipato Primaticcio e la scuola di Fleury di-venne la metaforica capentingia scuola di Fontainebleau.

Ma ad Ivrea non si annotò già — in proposito di quella rinascenza retoricamente classi-cista — la prima poesia «amorosa»? È stata inserita in epoca lievemente posteriore all'epi-scopo Warmondo proprio in un codice di quelli detti warmondiani.

Dicono gli storici letterari che sia del tempo del vescovo Oggerio, che governò la diocesi tra il 1074 ed il 1095.

II, 2; figg. 24-^28. Maestro del Sacramen-tario di Warmondo: Al-cuni dettagli di minia-ture con anatomie deri-vanti dallo studio del vero e di modelli clas-sici tardoantichi (Biblio-teca Capitolare, Ivrea).

Tali ormai famosi « Versus eporedienses » sono costituiti da centocinquanta distici elegiaci, compromissione tra poesia metrica e poesia ritmico-accentuativa (pubblicati da Gabotto e da Pericoli Ridolfìni).

Il poeta incontra una Ninfa alla quale, oltre che paganeggianti elogi per la splendida bel-lezza, egli offre l'immortalità per mezzo della poesia.

Per farla breve: dall'esordio

« Cum secus ora vadi pIaceat mihi ludere Padi, fors et velie dedit,flumine Ninpba redit, ...»

Alle pagine seguenti: II, 2; figg. 29 + 31. Maestro del Sacramen-tario di Warmondo : Al-tri tipi anatomici, in dettaglio (Biblioteca Ca-pitolare, Ivrea). II, 2; fig. 32. Affreschista romanico : San Nicola da Bari, sec. X, nella cappella cimiteriale di San Lo-renzo a Settimo Vit-tone.

l}> t; fig. 33.

Affreschista romanico : San Gaudenzio, sec. xi (?) (Cripta del Duo-mo, Ivrea). 21 figg- 34^36 -Affreschi nell'abside di San Secondo di Scs-sano. si perviene all'epilogo:

« ... ut semper dures mihi te subponere cures, quod, si par iteris, Carmine perpes eris».

Ad Oggerio, vescovo politico e letterato, si attribuiscono parecchi inni sacri e profani, alcuni dei quali già editi da E. Diimmler. Egli fu episcopo eporediense e contemporaneamente prevosto della canonica di San Salvatore di Torino e cancelliere di Enrico I V ; succedendo in tale carica al vescovo Gregorio di Vercelli. Creatura dell'imperatore, non seguì papa Gre-gorio VII, ma l'antipapa Clemente III. In lui dovrebbe riconoscersi « Ogerius Gramaticus », di cui ci parla Promis.

Nei tempi di grande prestanza civile di un paese — ed il secolo xi fu l'aureo secolo d'Epo-redia — si assiste sempre al tumultuoso incontro di tante personalità fuori della normalità.

Anche il « Maestro del Sacramentario di Warmondo » dovette essere, come si suol dire, fuori ordinanza. La sventagliata di particolari delle sue miniature qui proposte al giudizio di chi non ha facili entrature nei preziosi tesoretti ecclesiali (II, 2; figg. 124-31) vuole compiere opera di testimonianza. Specialmente interessa annotare la regola compositiva di alcune mi-niature (II, 2; figg. 164-23) basata su un orizzonte prospettico sul quale stanno i punti di con-vergenza proiettivi, come userà poi nella prospettiva rinascimentale.

Già un raffronto si istituì tra « Sacramentarium » ed « Evangeliarium », potrebbe prose-guirsi l'indagine di differenzazione con altri Maestri operosi in Ivrea. Al Sacramentario si accosti ora il Salterio (cod. 30; L X X X V ) , già citato, ma qui introdotto con due riproduzioni a colori scelte tra le meno devastate da antichi e recenti restauri (II, 2 ; figg. 84- n ) , proprio per dimostrare la differenza di mano del nuovo col più vecchio maestro.

Frizzante inventiva, segno nervoso e continuamente rotto, compendiario, ricerca di ritmi lineari di spirito nordico e preludenti alla grafia gotica. L'acquerellatura di tale Salterio è pur-troppo inesperta, impaziente ; tuttavia una certa qual delicatezza di velature con pigmenti vinosi ed azzurrini misti a delle ocre gialline fa sì che si tolleri quasi come congruente commento pittorico d'un bianco e nero di ottima qualità.

Forse l'autore dei disegni per il Salterio ripassò parte dei fogli guasti del Sacramentario, conferendogli quel carattere deformativo e drammatico (perché spiritato) che ha ricevuto re-centemente inopportuni elogi, credendolo originario.

Tra i caratteri di ieraticità del Sacramentario e la compendiosità dinamica del Salterio, sta la staticità della « Preparatio ad Missam » citata da Magnani, codice 9 (IV) che è classificata da Professione e Vignono quale 1'« Orationarium prò Missa Episcopi Warmundi », certamente ese-guita nel secolo xi da un discepolo del « Maestro del Sacramentario » (II, 2 ; figg. 10 e 11). Lo stesso

modo di comporre, la stessa maniera di tratteggiare i lineamenti, ma l'anatomia è riflessa, non direttamente ispirata alla anatomia. Pittura di seconda mano. Basta porre i vescovi illustrati, che intendono es-sere Warmondo, a confronto col vivo sapido ritratto col quale s'in-trodusse il discorso. Quello (II, 2; fig. 5) era un ritratto dal vero; ovvero lo schizzo riassuntivo di tante annotazioni fatte durante au-tentiche pose.

Per finire, si citerà ancora un codice : il Benedizionario («

Bene-dictiones Pontificum per totius anni circulum », codice 10-XX). Al foglio

8 sta la dedica dell'episcopo stesso alla Madonna « Sume Dei Genitrix

Warmundi dona fide/is praesulis ecce tui». Interessa molto agli storici

per-ché contiene il famoso sermone di Warmondo « contra Ardoinum et

Amedeum fratres rebelles ecclesie et contra milites tenentes terram Sancte Marie Yporegie».

Tuttavia la scrittura del sermone sarebbe, secondo Francois, d'altra mano e databile alla metà del secolo xi.

Qui dunque si legge il testo d'una scomunica ai potenti con le armi in pugno, impedenti ai vescovi di sottrarsi all'investitura laica. La pagina scritta a caratteri fiammeggianti in Eporedia fa degna sim-metria a quell'altro storico modo di gettarsi nella mischia delle lotte per le promozioni sociali in difesa di comunità municipali, che si vide per esempio a Legnano.

Dunque non potevano essere assenti da un'antologia monumen-tale fra le due Dorè e Po questi fogli pergamenacei del tesoretto epo-rediese. Certamente, allo stato attuale di cancellazione e distruzione dei paralleli coevi mosaici ed affreschi, contano di più per lo storico dell'arte questi indugi contemplativi sulle minuscole miniature.

A pochi metri di distanza da esse, invero, sta un molto conosciuto mosaico dell'epoca aurea warmondiana. Faceva parte della pavimen-tazione della zona presbiteriale della cattedrale edificata da Warmondo (II, 5). Fu rimosso, e trasportato nel portico del Seminario, quando verso la fine del Settecento, il vescovo Ottavio Pochettini fece ripla-smare il duomo dall'architetto Martinez (VII, 4). Occupava il luogo nell'altare barocco, ma non esattamente se si deve giudicare dalla asimmetria incongeniale che il frammento musivo presenta, essendovi presenti solo parte delle « Arti del Trivio e del Quadrivio » canoni-che, rappresentate quali donne assise.

Cominciando ad elencare tali arti dalla destra alla sinistra, si no-tano l'Aritmetica, la Geografia, la Dialettica e la Filosofia, la quale è coronata segnando l'asse di mezzaria. Oltre è rimasta solo la didascalia della prima delle raffigurazioni simboliche di sinistra: la Grammatica. Manca tutto il Quadrivio, essendo a destra indicato che le tre figure costituiscono il Trivio: « T R V » (II, 2; fig. 37 e 41).

La Filosofia, dovendo costituire la figura centrale non solo dello schieramento delle « Arti » bensì anche della zona sacrale del tempio cristiano, ha tutta la forza figurativa per svolgere il ruolo simbolico che allora si attribuiva all'elemento costitutivo della chiesa rappresen-tato dal pavimento, base di sostegno concettuale della distribuzione dell'edificio, anche più fondamentale che le reali, fisiche, fondazioni. Ammoniva didatticamente un anonimo del secolo x n nel suo Mi-trale (Patr. Lat. CXIII) : « pavimentum quod pedibus calcatur, vulgus est

cuius laboribus Ecclesia sostentatur ».

È stata prospettata un'affinità stilistica di tale frammento epore-diese con quelli della vercellese cattedrale di Santa Maria Maggiore, comunque segnalando che contro la delicatezza di colorazione di questi, classificabili come in bianco e nero benché l'insieme composi-tivo sia variegato da parche intromissioni di sparse tessere policrome, quello d'Ivrea avrebbe una sua speciale intonazione rosata ammorbi-dente il risalto dei neri sui bianchi: «Le immagini sono riassunte a tratti larghi ed irregolari che ne segnano le ombre di contorno, l'av-vallarsi delle pieghe; qua e là le tessere si raggruppano in macchie più dense o colorano tutt'una zona, un lembo, un bordo di veste,

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r a v v i v a n d o l'effetto d'insieme; le forme risaltano, cosi, evidenti sul fondo, ma an-che vi si compenetrano senza rigidezza di s t a m p o » ( A . M . Brizio). M a appunto per siffatta peculiarità, apprezzato dalla critica purovisibilista, istituisce un utile confron-to dei valori pitconfron-torici delle composizioni musive vercellesi ed eporediesi, ma non per compiacersene, bensì per condividere una presunta contemporaneità registrata in varie fonti nella letteratura artistica (A. K. Porter). I citati mosaici di Santa

Maria M a g g i o r e da alcuni v e n g o n o datati 1040 e da altri 1140 e financo 1218; quello di Santa Maria Assunta di Y p o r e g i a dal 990 al n o 5 ed anche x 145 4 - 1 1 4 8 . Allo stato attuale delle conoscenze esisterebbe una tendenza a riportare il mosaico di Ivrea nell'epoca aurea sinora considerata in vari aspetti interdisciplinari. In quel felicissimo m o m e n t o , tra W a r m o n d o ed O g -gerio, l'invenzione trovò la massima libertà esecutiva ed inventiva. N o n sembra basilare per una datazione tarda la presenza di tessere rossine conferenti quel colore rosato dianzi detto. L'autolimitazione al genere artistico del bianco e nero significa assai. È la conferma che l'autore aveva coscienza di essere capace di controbilanciare la povertà dei mezzi materiali con la ricchezza del proprio genio. A n a l o g h e considerazioni si fecero in questa stessa parte (II, 2) a proposito delle miniature del « Maestro del Sacramentario di W a r m o n d o », gustate appunto perché la critica s'indirizzò a separare il Maestro dal tinteggiatore ed a considerare le pergamene quali splendidi capolavori del tipo delle più spontanee ed entusiasmanti sinopie d'affreschi.

L'autore dei cartoni per l'opera musiva di cui si parla potrebbe ricercarsi tra i discepoli del m a g g i o r e pittore. Infatti se c'è un mestiere di resa anatomica caratteristico nell'ambiente ed una geometria latente cadenzante la composizione, manca totalmente l'afflato spaziale e prospettico.

Dei rapporti intercorsi tra gli artisti dello scrittorio eporediese, quelli addetti alle minia-ture, e gli autori dei cartoni per mosaici ed affreschi, per ora, nulla si sa.

La dotazione dei beni culturali canavesani in proposito d'affreschi è attualmente poveris-sima. Per questo m o t i v o se ne dà u n solo cenno di scorcio. Si ha debito sino dalla citazione l u n g o la Stura di L a n z o dell'abside affrescata di San Ferriolo presso Grosso Canavese.

Si affacciò l'ipotesi che l'ispirazione fosse rivolta ai modelli di Reichenau, la scuola otto-mana più potente in Europa (A. S. d. L. ; I, 6 ; figg. 1 4- 7).

Gli affreschi dell'abside di San Secondo a Sessano (II, 2; figg. 344- 36), l a chiesetta con cam-panile anteriore (II, 4 ; fig. 10) sono in troppo cattivo stato per orientare u n serio giudizio.

L'affreschetto che si è parzialmente salvato in San Lorenzo di Settimo Vittone (II, 1), e di cui si riproduce la figura di San Nicola da Bari (II, 2; fig. 32), n o n p u ò indicare nulla di sufficiente ad u n giudizio. E neppure b u o n contributo può venire fornito dal San Gaudenzio della Cattedrale di Ivrea (II, 2; fig. 33) per i notevoli evidenti ritocchi subiti.

L'affresco nel sottarco di San Michele in Clivolo, pubblicato da altri, n o n è più rintraccia-bile. E gli affreschi dell'absidiola (II, 2; fig. 38) nel ricetto di Oglianico, che ora f u n g e da cantina i n g o m b r a , potrebbero avere breve vita, sembrano tardi (II, 2; figg. 39 e 40). Sono stati segnalati da L u i g i G r i v a ; ma nessuna protezione all'incolumità dell'opera è subentrata alla notizia.

i l , 2 ; figg- 37 e 41 -Mosaicista warmondia-110: Insieme e dettaglio delle « Arti del Trivio e del Quadrivio » (Se-m i n a r i o V e s c o v i l e , Ivrea).

II, 2 ; fig. 3 8 .

Absidiola sotterranea nel ricetto di Oglianico. II, 21 figg- 39 e 40. Affreschi nell'abside di Oglianico. r i i l i iWlf t x T + » ì w ^ É b a T / i S WBmEB& A w&mirLEf /' < V J > H 7 A <J L a ^ à i BÈI T y ¥ a, i l •» '

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Sottofondo iconografico esotico dell'araldica belluina: avori e ricami. II, 3 Quale significato si può dare all'aggettivazione di « aurea » per l'epoca warmondiana in Ivrea?

« Aetas aurea », cui allude il coevo episcopo albese Benzone, imperialista, in una famosa epistola all'imperatore tedesco della Casa di Sassonia (« Liber ad Heinrìcum»), certamente inten-deva avere u n primario riferimento all'ardimento politico dei due vescovi eporediesi che pri-m e g g i a n o nel secolo xi, eroicapri-mente ipri-mpegnati contro il fin troppo deciso capo di fazione opposta, Arduino marchese e finanche re nella stessa Ivrea. Tuttavia il suono dell'aggettivo usato è più complesso. Tale aggettivo significava anche l'allusione ad un'atmosfera eclettica e rinascimentale, d'una cultura puntualmente allineata alle più alte vette dell'intelligenza e dell'espressione, quale si verifica allorché i lieviti del pensiero e dell'arte attingono alle più varie scaturigini dell'intera umanità.

Le interpretazioni dei segni linguistici consolidati nella figuratività possono denunciare più rapidamente d'altre indagini storiche e filologiche i legami con le sorgenti più lungi collo-cate. Per esempio — ed è un esempio che viene suggerito da oggetti rimasti per molto tempo in sito canavesano — dai punti cardinali sembra provenire la captazione più ricca del sottofondo iconografico di moda nell'arte entro quell'epicentro dell'agitazione generale politica. I segni delle lingue più impensate si radunano nel crogiolo artistico. Fugati i terrori per l'esoticheria vista turbinare in Europa nei periodi dell'invasione islamica, rifluiscono le fiduciose attenzioni a ciò ch'è inedito e può costituire innesco all'invenzione ed alla comunicazione visiva. Persino l'arte del Medio Oriente, portata qui chissà come dopo la conquista araba della Persia

Nel documento Tra Serra d'Ivrea, Orco e Po (pagine 58-80)