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Tra le due guerre mondiali 1 Il primo conflitto mondiale

La Primo guerra mondiale coinvolse aree geografiche in cui erano presenti numerose comunità ebraiche: nell’Europa orientale vivevano circa nove milioni di ebrei, quasi due terzi del popoli ebraico, insediati nella zona di residenza dell’impero russo, nei territori orientali dell’impero austro-ungarico e nelle regioni del dominio ottomano. Questi, insieme agli ebrei dell’Europa occidentale, dei domini britannici e degli Stati Uniti, vennero direttamente coinvolti nel conflitto.

La comunità ebraica dell’Argentina fu una delle poche a restare ai margini della guerra. Nel 1916 venne eletto presidente Hipólito Yrigoyen, esponente del partito radicale e portatore di istanza democratiche con inclinazioni populiste. Durante il suo primo mandato non furono avviate innovazioni significative nella politica estera argentina e nell’organizzazione economica: quest’ultima, fortemente dipendente dal commercio con l’estero per l’importazione di numerosi prodotti industriali, attraversò una fase di recessione. Una delle prime conseguenze della guerra fu la creazione e lo sviluppo di un’industria locale per la produzione di articoli precedentemente importati che tuttavia non riuscì a compensare la disoccupazione diffusasi nelle campagne e nelle città. Anche la comunità ebraica si trovò coinvolta in questa critica situazione, come dimostrato dall’aumento delle richieste di aiuto agli organismi comunitari, anche se nei settori dell’industria, dell’artigianato e del commercio la sua posizione si consolidò a tal punto da rendere possibile l’attuazione di iniziative benefiche e la promozione di una colletta per le vittime della guerra in Europa. Nel 1916 venne indetto un importante Congresso ebraico, al quale parteciparono numerose organizzazioni comunitarie. Lo scopo fu quello di «incorporar la voz del judaísmo argentino a las exigencias para la posguerra que en nombre del pueblo judío ya se hacían escuchar en los Estados Unidos»1. Si trattava della richiesta di uguaglianza di diritti in tutte le nazioni di cui gli ebrei erano cittadini, unita alla rivendicazione della propria identità e della legittimazione delle aspirazioni a uno stato indipendente in Palestina.

Nello stesso periodo si moltiplicarono le associazioni e iniziarono a diffondersi i primo quotidiani ebraici, per seguire gli avvenimenti europei e, allo stesso tempo, per dare

1 H. Avvni, Argentina y las migraciones judías. De la Inquisicíon al Holocausto y después. Amia

voce alle istanze della comunità ebraica, all’interno della quale ebbero grande risonanza gli eventi del 1917: la Rivoluzione di Ottobre e la Dichiarazione Balfour.

Mentre l’ebraismo argentino attraversava una fase di notevole sviluppo, nella società affiorava una certa ostilità alla questione dell’immigrazione ebraica. I dirigenti della Congregazione dovettero mobilitarsi con l’immagine calunniosa dell’immigrato ebreo diffusa su alcuni testi scolastici, nei quali l’ebreo, dopo essersi camuffato nei panni del contadino per un breve periodo, si era rivelato per quello che era sempre stato: un mercante e un usuraio.

Nel 1918 il Museo Social Argentino promosse un’inchiesta tra politici, intellettuali e professori universitari sulla questione immigratoria, che rivelò il persistere di opinioni ormai consolidate nell’élite del paese: da una parte, la necessità di accogliere gli immigrati, che avrebbero dovuto dedicarsi all’agricoltura e provenire dall’Europa settentrionale. Il criterio discriminante era sempre lo stesso: privilegiare le razze che avrebbero contribuito maggiormente al progresso economico e che avrebbero incontrato minori difficoltà nell’assimilarsi. L’obiettivo era quello di raggiungere un’omogeneità il più possibile compatta della nazione, ritenuta condizione desiderabile sia dai nazionalisti conservatori sia dallo schieramento liberale e socialista. Era quindi necessario modificare in modo significativo la legge sull’immigrazione allora vigente. Secondo quanto emerso dall’inchiesta, le prospettive per i potenziali immigrati ebrei non erano rosee: innanzitutto persistevano i dubbi sulla loro capacità di assimilazione. Inoltre, malgrado i risultati raggiunti nella colonizzazione agricola, l’immagine dell’ebreo era sempre quella del mercante. Infine, la maggior parte degli ebrei interessati a emigrare risiedeva nell’Europa orientale o nell’impero ottomano, quindi non rientrava nei criteri delle razze favorite per il popolamento del paese.

Nel frattempo, in Europa orientale, le popolazioni ebraiche subirono nuovi pogrom, come quello del 1918 avvenuto nella regione polacca della Galizia, a Lemberg. Gli scontri tra l’esercito sovietico e quello polacco si tradussero in violenti massacri, fino alla distruzione di intere comunità ebraiche. Anche in Romania e Ungheria gli ebrei subirono le conseguenze di un odio che assumeva in questi anni i tratti dell’antisemitismo moderno. In Ungheria il ruolo svolto da alcune personalità ebraiche all’interno del governo comunista del 1919 fornì l’occasione per nuovi attacchi contro gli ebrei, non appena cadde il governo. Anche nei territori dell’impero ottomano alcune circostanze produssero nuove persecuzioni: il conflitto tra greci e turchi coinvolse numerose comunità ebraiche come quella di Smirne.

Negli anni del dopoguerra si venne a creare un’evidente contraddizione: da una parte c’erano le conquiste che gli ebrei avevano ottenuto sul piano legislativo e politico, quali il riconoscimento dell’uguaglianza dei diritti e dell’identità religiosa e culturale, nonché la legittimazione dell’aspirazione ebraica a uno stato; dall’altra, le reali condizioni di vita negli anni successivi alla prima guerra mondiale. Difficile era la situazione dei rifugiati ebrei che, con la fine dell’Impero austro-ungarico e la formazione degli stai nazionali, si trovarono nella condizione di stranieri che avrebbero dovuto tornare nella loro patria: è il caso degli ebrei della Galizia e della Bucovina, rispettivamente divenute parte della Polonia e della Romania, entrambi ostili al rientro dei loro cittadini ebrei, mentre i paesi ospitanti, come Ungheria e Austria, stabilirono un termine entro il quale gli ebrei stranieri avrebbero dovuto lasciare il paese, sotto l’intimidazione di internarli nei campi di concentramento. Le guerre locali scoppiate dopo la guerra, il regime sovietico e i pogrom in Ucraina resero l’emigrazione molto urgente.

Nello stesso periodo gli Stati Uniti misero un freno ai flussi migratori sotto la pressione dei sindacati, preoccupati della competizione nel mercato del lavoro, e per la diffidenza delle classi dirigenti verso l’arrivo di elementi rivoluzionari. Nel 1921 venne introdotta una nuova legge sull’immigrazione, che introduceva il principio delle quote e costituiva una svolta nella politica immigratoria statunitense.

Anche in Argentina l’ostilità verso l’immigrazione trovava nella minaccia sovversiva la sua argomentazione principale.

Nel 1919, durante la Semana Trágica, gruppi paramilitari di cittadini riuniti nella Liga

Patriótica, costituita allo scopo di collaborare con l’esercito e la polizia, oltre ad

attaccare manifestanti, stranieri, sedi sindacali e associazioni socialiste e anarchiche, scatenarono una vera e propria caccia ai russi: fu il primo e vero pogrom della storia argentina. Fecero irruzione nei quartieri ebraici, distrussero negozi, biblioteche e sinagoghe, assalirono indistintamente uomini, donne, bambini e anziani. Un annuncio diffuse la notizia di un complotto bolscevico con lo scopo di fondare una repubblica sovietica. Tra i presunti fautori c’era il giornalista Pinie Wald, membro del Bund, partito socialista ebraico, che venne arrestato e torturato dalla polizia per fargli confessare di essere il presunto presidente del futuro soviet argentino. In realtà la

Semana Trágica ebbe poco a che fare con gli ebrei: la causa principale fu un lungo

sciopero degli operai dell’industria metallurgica, che ebbe come conseguenza la morte di decine di persone e migliaia di feriti nel corso della repressione ad opera della polizia. Pochi giorni dopo la fine della Semana Trágica, rassicurati dalla condanna delle

persecuzioni antisemite da parte del presidente Yrigoyen, gli ebrei continuarono a considerare l’Argentina come meta per riuscire a ricrearsi una vita tranquilla. Resta comunque il fatto che il pogrom del 1919 segnò l’inizio di una intenda campagna denigratoria contro la comunità ebraica.

2. Cambiamenti nella politica migratoria argentina

Negli anni ’20 non esisteva in Argentina una politica governativa antiebraica; dal confronto con i regolamenti di altri paesi risultava che le norme presenti in Argentina non erano altrettanto restrittiva. Tuttavia si era sviluppata in quegli anni una tendenza a limitare l’immigrazione che ebbe conseguenza anche in Argentina: nel 1923, durante la presidenza di Marcelo Torcuato de Alvear, venne introdotta una normativa che subordinava l’accesso di potenziali immigrati al riconoscimento della loro utilità per la nazione ospitante. Insieme alle direttive del Dipartimento dell’immigrazione alle autorità consolari all’estero, una serie di restrizioni avevano con obiettivo quello di condizionare il flusso migratorio per far fronte alle esigenze nazionali, in primo luogo la necessità di poter contare su futuri agricoltori. Maggiori ostacoli trovarono le domande di ricongiunzione familiare. Gli effetti di tali disposizioni non tardarono a manifestarsi. Tra il 1920 e il 1930 il numero di immigrati diminuì sensibilmente rispetto al decennio precedente, ma nonostante le limitazioni non vi fu una sistematica discriminazione contro gli ebrei. La percentuale di ebrei aumentò persino e l’Argentina rimase il paese preferito, dopo gli Stati Uniti, per la diaspora ebraica. Nonostante il bilancio apparentemente positivo dopo il primo conflitto mondiale, era evidente che la necessità di emigrare per la popolazione ebraica dell’Europa orientale e del Vicino Oriente non fu soddisfatta pienamente. Diversi furono i fattori che influirono negativamente: tra questi l’immagine dell’Argentina e delle sue condizioni socio-economiche. Le difficoltà occupazionali, i bassi salari, il problema dell’alloggio, i conflitti tra la JCA e i coloni condizionarono le scelte di molti ebrei, solo in parte sostenuti dalle organizzazioni ebraiche. Sembrava che il riconoscimento dei diritti ottenuto nel dopoguerra animasse un nuovo slancio integrazionista in Europa e rendesse la migrazione meno impellente2.

2 H. Avvni, Argentina y las migraciones judías. De la Inquisicíon al Holocausto y después. Amia

Per queste motivazioni, mentre la JCA decise di fare un passo indietro, limitandosi a orientare, consigliare e prestare aiuto a chi, di sua iniziativa, decideva di abbandonare il suo paese d’origine, molte associazioni europee cercarono di migliorare le condizioni di vita degli ebrei nei paesi di appartenenza. Inoltre, l’interesse della comunità ebraica argentina era rivolto alla formazione di una comunità ebraica in Palestina. Il caso più significativo di immigrazione affidata unicamente all’iniziativa individuale fu quella sefardita che, tra il 1920 e il 1929, portò in Argentina un numero gruppo di ebrei proveniente da Turchia, Siria, paesi balcanici e Italia.

Il nuovo indirizzo della politica immigratoria introdotto nel 1923 rese necessari accordi tra le autorità argentine e le organizzazioni ebraiche che, negli anni precedenti, avevano goduto di agevolazioni per superare le difficoltà legate alla certificazione dei documenti. Pretendere passaporti in regola e certificati di buona condotta rilasciati dai paesi d’origine è stata definita da Avni «una burla cruel»3. La JCA in particolar modo fece presente alle autorità competenti dei successi ottenuti nella colonizzazione agricola e l’impegno a proseguire in questa direzione, facendosi garante della vocazione al lavoro agricolo dei futuri immigrati. Anche se con varie restrizioni, nel 1924 venne raggiunto un accordo tra autorità argentina e JCA. Accordo che permise di organizzare l’emigrazione ebraica nello stesso periodo in cui gli Stati Uniti limitavano le possibilità di accesso: l’Argentina continuava ad essere un paese disposto ad accogliere gli ebrei. Questi furono anni difficili per le associazioni ebraiche europee e statunitensi, che dovettero far fronte non solo all’aiuto per le comunità dell’Europa orientale, ma anche alla ricostruzione della loro rete organizzativa, distrutta dalla guerra: processo reso ancor più difficile per la presenza di dissidi interni, che pesarono negativamente nella gestione dell’immigrazione. In Argentina, nello stesso periodo, continuavano le iniziative delle istituzioni ebraiche locali dirette ad aiutare gli ebrei europei e, in particolare, a sostegno degli immigrati, in stretta collaborazione con la JCA. Già nel 1919, quest’ultima aveva introdotto nella sua strategia dei criteri più restrittivi per selezionare i futuri coloni: oltre a inserire una tappa intermedia per permette ai coloni di acquisire le competenze e l’esperienza necessarie, consideravano auspicabile che questi avessero già esperienza nel lavoro agricolo; le spese di viaggio non erano più a carico dell’associazione e veniva richiesto ai coloni un piccolo capitale iniziale che gli consentisse di far fronte alle prime necessità. Era previsto un periodo di prova, che se

3 Ibidem, p.247.

non veniva superato avrebbe comportato l’esclusione dalla colonia4. Inevitabilmente questo comportò una riduzione del numero di coloro che aspiravano a insediarsi in Argentina. A ciò si aggiunse il disinteresse dell’associazione per l’impiego degli immigrati in altre attività lavorative. «La JCA manejaba su empresa colonizadora ajustándose inflexiblemente a una concepción previa de lo que era deseable para la agricoltura judía»5. In questa congiuntura storica, quando altri sbocchi migratori per gli ebrei apparivano preclusi, si avvertì la necessità di ampliare le potenzialità offerte dall’Argentina. Il Congresso dell’Immigrazione avrebbe dovuto dare un contributo decisivo a tale necessità, non limitandosi a sostenere il flusso migratorio, ma diversificando le possibilità occupazionali per gli immigrati.

Mentre la JCA continuava ad operare con cautela e le organizzazioni ebraiche affrontavano vari difficoltà, si intravedevano nuovi mutamenti nella politica immigratoria argentina. Nel 1930, subito dopo la crisi finanziare del ’29, l’esercito si ribellò, diventando protagonista della vita politica del paese con il governo del generale José Félix Uriburu. Si inaugurava una nuova stagione nella politica immigratoria, quella dell’immigrazione limitata, condizionata sia dalla crisi economica, sia da istanze nazionaliste e xenofobe.

Nel 1933 entrò in vigore una rigida regolamentazione dei flussi migratori che sancì l’inizio di un periodo difficoltoso per l’emigrazione in Argentina. Nello stesso anno Hitler divenne primo ministro in Germania. La fuga per gli ebrei divenne l’unica di via di salvezza, non solo per i cittadini residenti in Germania, ma anche per quello che vivevano nelle altre nazioni dove i partiti nazionalisti e di estrema destra vedevano nel nazionalsocialismo tedesco un punto di riferimento. Il caso più violento fu quello manifestatosi in Polonia dove viveva la comunità ebraica più numerosa d’Europa: le aggressioni fisiche che tra il 1935 e il 1936 provocarono centinaia di morti si sommavano al boicottaggio delle attività commerciali e artigianali gestite da ebrei. La Sociedad de Protección a los Inmigrantes Israelitas (Soprotimis), fondata nel 1922, cercò di ottenere dei permessi d’ingresso per i rifugiati ebrei tedeschi: richiesta in pieno contrasto con la linea politica assunta dal governo.

Nel 1933 nacque un’associazione finalizzata al sostegno degli ebrei tedeschi, la Hilfsverein deutschsprechender Juden. Nello stesso anno la migrazione ebraica proveniente dalla Germania fu esigua. Le organizzazione ebraiche internazionali, tra cui

4 H. Avvni, Argentina y las migraciones judías. De la Inquisicíon al Holocausto y después. Amia

Comunidad Judia Secretaria de Cultura, 2005, p. 275.

l’Agenzia Ebraica per la Palestina, non approvarono l’emigrazione di massa degli ebrei tedeschi: essa rappresentava una rinuncia ai diritti conquistati nel corso del XIX secolo. Rispetto ai provvedimenti discriminatori del 1933, negli anni successivi la politica anti- ebraica nazista sembrò rallentare; gli ebrei tedeschi in fuga erano sempre meno. Per alcuni di essi si cercò di ottenere permessi d’ingresso in Argentina, ma i risultati furono scarsi: influì negativamente un contesto ostile all’immigrazione, in particolare a quella ebraica, alimentato dalla stampa antisemita e nazionalista. Durante la presidenza di Agustín Pedro Justo si introdussero nuovi provvedimenti restrittivi a carico degli immigrati. Dopo lo scoppio della guerra civile spagnola nel 1936 si verificò un ulteriore irrigidimento, con alcuni accordi specifici tra le autorità argentine e il governo di paesi come Gran Bretagna, Olanda e Danimarca.

Nel frattempo un crescente numero di ebrei europei, in particolar modo polacchi e tedeschi, era alla ricerca di una via di salvezza. Nel settembre del 1935 vengono promulgate le leggi razziali di Norimberga. Né gli Stati Uniti né gli insediamenti ebraici in Palestina erano disponibili ad accogliere gli ebrei in fuga dall’Europa. In Argentina era accettata favorevolmente la ricongiunzione familiare, sia per un più solido insediamento degli immigrati, sia come mezzo per limitare la quantità di valuta inviata all’estero: tuttavia rimanevano esclusi gli ebrei tedeschi, che rappresentavano una comunità numericamente molto limitata. Da parte sua la JCA decise di fondare una nuova colonia nella zona settentrionale della provincia di Entre Ríos. L’iniziativa non ebbe grande successo, vista la difficoltà di avviare al lavoro agricolo gli ebrei tedeschi, che provenivano da condizioni di vita agiate.

A parte la situazione degli ebrei provenienti dalla Germania, i problemi legati all’immigrazione verso i territori argentini non suscitava grandi interessi nella comunità argentina, preoccupata delle manifestazioni locali antisemite e incline a vedere la comunità ebraica da formare in Palestina la soluzione alle sofferenze degli ebrei europei. Anche le organizzazioni ebraiche europee non vedevano nell’Argentina un rifugio per i perseguitati dal nazismo.

Tra il 1934 e il 1937 arrivarono in Argentina circa 17.000 ebrei, la maggior parte proveniente dalla Polonia, dove avevano subito la forte ostilità delle autorità locali e della società.

I terribili eventi degli anni successivi, l’Anschluss, la notte dei cristalli e l’invasione della Polonia, resero evidente che ciò che avrebbe potuto mettere in salvo gli ebrei oggetto di violenza, discriminazioni e persecuzioni naziste era un vero e proprio esodo.

In Argentina il miglioramento delle condizioni economiche, lo sviluppo industriale e la politica liberale del presidente Roberto Marcelino Ortiz sembravano aprire nuove e incoraggianti prospettive per i flussi migratori. Nel 1938 ebbe luogo la Conferenza di Evian, con lo scopo di occuparsi del problema dei rifugiati: l’Argentina vi presentò nuove regole in materia di immigrazione il cui scopo era quello di distinguere tra immigrati desiderosi di inserirsi nel tessuto economico e sociale e colo che fuggivano dalle persecuzioni, al fine di evitare che questi ultimi arrivassero in massa in Argentina6. Anche il progetto della JCA trovò ostacoli imprevisti.

Negli anni della Seconda guerra mondiale, l’Argentina attraversava una fase di progresso economico: venne incrementato il processo di industrializzazione del paese, che necessitava di manodopera qualificata e offriva uno sbocco occupazionale aggiuntivo per gli immigrati ebrei, oltre alla classica colonizzazione agricola.

Proprio durante la guerra la JCA si trovò ad affrontare una situazione estremamente difficile: restrizioni del Tesoro britannico agli investimenti dell’organizzazione in Argentina; misure sempre più restrittive imposte dalle autorità argentine; la terribile decisione di obbligare la JCA a rimpatriare in Germania coloro che avevano abbandonato le colonie. Nei primi due anni della guerra, quando era possibile salvare un gran numero di ebrei, l’Argentina diventava impenetrabile per l’immigrazione ebraica legale7.

Ciononostante, negli anni della seconda guerra mondiale, la popolazione ebraica argentina aumentò. Gli ebrei provenienti dalla Germania diedero un significativo contributo all’ebraismo argentino, dove fino a quel momento aveva prevalso la componente dell’Europa orientale.

Nemmeno con la fine della guerra le sofferenze degli ebrei sopravvissuti allo sterminio erano terminate. In particolare, gli ex-deportati provenienti dall’Europa orientale dovettero affrontare l’odio dei loro concittadini: è il caso della Polonia dove gli ebrei tornati alle loro case furono oggetto di violenti attacchi e nuovi pogrom, come quello di Kielce nel 1946.

Le speranze si rivolgevano verso la Palestina dove la Gran Bretagna, in qualità di potenza mandataria, aveva impedito l’arrivo degli ebrei perseguitati dai nazisti con il Libro Bianco del 1939, e continuava ad opporsi all’immigrazione ebraica. Di

66 H. Avvni, Argentina y las migraciones judías. De la Inquisicíon al Holocausto y después. Amia

Comunidad Judia Secretaria de Cultura, 2005, p. 328-329.

conseguenza si rese necessario l’intervento di quei paesi mete consolidate di immigrazione, come la stessa Argentina.

Con l’ufficiale dichiarazione di guerra alla Germania nel marzo del 1945, l’Argentina dovette far fronte al problema di evitare l’ingresso di immigrati provenienti dalla Germania, divieto che coinvolse anche gli ebrei tedeschi.

La questione dell’immigrazione fu oggetto di dibattito pubblico fin dal 1945: alcuni quotidiani si espressero a favore della ripresa dei flussi migratori, altri vicini al regime