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Ebrei in Argentina: insediamento e integrazione della comunità

Si prese il 1889 come data simbolica dell’inizio dell’immigrazione di massa degli ebrei in Argentina e si poté verificare che l’integrazione argentina e l’affermazione dell’identità ebraica rappresentavano due strade parallele attraverso le quali questa comunità riuscì a svilupparsi.

Chaim Bloch, attraverso una serie di aneddoti, sosteneva che esistevano quattro tipologie di ebrei. La prima era rappresentata da coloro che si recavano tutti i giorni in sinagoga. La seconda da coloro che la frequentavano il sabato e per le festività. La terza da coloro che vi si recavano in occasione del giorno del Kippur. La quarta da coloro che erano già deceduti e sepolti nel cimitero ebraico1.

Gli ebrei argentini avevano introdotto una quinta tipologia: quella degli ebrei che non andavano mai al tempio, che non seguivano i precetti religiosi, che erano agnostici, che non facevano circoncidere i propri figli, che accettavano i matrimoni misti ma che promuovevano il mantenimento dell’identità ebraica.

Durante l’ultimo secolo, gli ebrei argentini utilizzarono due aspetti contemporaneamente per definire la loro identità: uno in relazione con la loro storia, con le generazioni di immigrati e i nativi; il secondo in relazione all’antisemitismo.

L’Argentina aveva sempre avuto un grande tradizione immigratoria. Tra il 1850 e il 1930 soltanto a Buenos Aires arrivarono 6 milioni di immigrati, la metà dei quali si stabilì nel paese. Ironicamente Jorge Luis Borges definì gli argentini come «italianos que hablaban español, educados por los ingleses y que querían ser franceses».

Dentro questa ricerca dell’identità, gli ebrei argentini appartenevano a una minoranza chiaramente identificabile, non solo per il numero esiguo, ma soprattutto per caratteristiche proprie: la religione diversa da quella del gruppo prevalente e la fobia antiebraica persistente e organizzata in importanti strati della popolazione. In questo senso gli ebrei venivano visti inizialmente come «hijos bastardos»2 della società, che li accettava, così come accettava tutte le altre minoranze, ma non in pieno: per la società argentina sono considerati cittadini di seconda classe, marginali.

1 C. Bloch, El pueblo judío a través de la anécdota, Buenos Aires, Ediciones Anaconda, 1950. 2 R. Feierstein, Historia de los judíos argentino, Buenos Aires, Ameghino, 1999, p.368.

L’esigenza di colmare questo divario trovava in Alberto Gerchunoff il suo promotore. Il suo intento era quello di creare una congiunzione armonica tra l’immigrazione ebraica e la nuova terra, la cui figura emblematica era il «gaucho judío»3: il gaucho era un uomo che a cavallo si spostava solitario per le immense terre argentine; i coloni ebrei lavoravano nelle colonie agricole formando delle vere e proprie cooperative. Questa emblematica figura, di forte valore idilliaco rimpiazzava quella dell’ortodosso come stereotipo dell’ebreo argentino.

Il movimento migratorio argentino cercò di concedere alla nuova lingua uno speciale dinamismo, plasmando una cultura e una lingua sovraccarichi di energia evolutiva. L’ebreo argentino dunque attraversò diverse tappe nel corso degli anni. Il primo periodo era quello della sopravvivenza: scappare dai pogrom europei, arrivare in una nuova terra,essere accettato al pari degli altri. Il secondo periodo era quello dell’integrazione nella vita politica e sociale, interrotta dal golpe militare del 1930 che aboliva la legalità istituzionale che era necessaria agli ebrei come sostegno spirituale.

L’ultimo periodo infine era rappresentato dall’isolamento in cui si chiudevano le nuove generazioni; era questo il periodo in cui si svilupparono le strutture comunitarie centrali. Fu con la creazione dello Stato d’Israele nel 1948 che si riconobbe agli ebrei l’appartenenza alla società argentina. L’ebraismo del secondo dopoguerra contribuì a creare un’identità più complessa e ricca in pieno accordo con il nuovo paese di residenza.

Si vennero a creare due gruppi distinti di ebrei: quelli che vivevano nei centri urbani, «los judíos del centro»4, e «los judíos de barrio»5 che vivevano in ghetti insieme a italiani e spagnoli. I primi si integrarono facilmente, accettando i matrimoni misti, rompendo con la tradizione ebraica. Gli altri mantennero vivi i legami con la tradizione e la cultura ebraica ma si chiusero in piccolo gruppo isolato rispetto al resto della collettività.

Un importante fenomeno caratteristico del giudaismo argentino era quello di possedere un’ideologia sionista che prevedeva la concentrazione del popolo in Israele e una prassi assimilazioni sta, che prendeva il posto dell’identità non struttura delle comunità ebraiche.

Ciò che accomunava i due gruppi era rappresentato dall’educazione: entrambi preferivano far crescere i propri figli in collegi o congregazioni ebraiche organizzate.

3 A. Gerchunoff, Los gauchos judíos, La Plata, Editorial Universitaria de Buenos Aires, 1910, p. 15. 4 R. Feierstein, Historia de los judíos argentino, Buenos Aires, Ameghino, 1999, p.373.

Oltre lo status sociale, presupposto dell’appartenenza a una classe sociale in ascesa, l’educazione privata assicurava ai giovani una formazione completa sulla storia, la cultura e la tradizione ebraica.

Fino all’età di 18 anni, i giovani ebrei trascorrevano le giornate dividendosi tra la scuola ebraica e il centro sociale della comunità, quindi non entravano mai in contatto con la popolazione locale. Questa chiusura spirituale aveva come obiettivo di garantire la sicurezza di un piccolo gruppo minoritario, il cui passato era rappresentato da persecuzioni e discriminazioni.

Quando i ragazzi venivano a contatto con la realtà che li circondava subivano un vero e proprio shock culturale. Non erano rari i casi di volontario isolamento dagli altri ebrei. A volte riuscivano persino a giustificare l’antisemitismo nei loro confronti. Disprezzavano a tal punto se stessi e la loro identità come ebrei da arrivare ad odiarsi. L’appartenenza alla comunità ebraica era considerata di impedimento per arrivare alla propria realizzazione personale6.

1. Integrazione e discriminazione

La prima tappa della immigrazione ebraica, tra il 1890 e il 1920, si caratterizzò per l’associazionismo volontario, dal quale nacquero le associazioni sindacali, politiche, di mutuo soccorso e culturali, così come le sinagoghe, le biblioteche e le scuole. A dispetto del ridotto numero, gli ebrei furono estremamente prolifici nella creazione di queste associazioni. Già nel 1923 il numero delle istituzioni ebraiche era pari o addirittura superiore a quello delle istituzioni delle numeroso comunità italiana, spagnola o francese7.

In questa prima fase si gettarono le basi per la centralizzazione delle istituzioni che avrebbero caratterizzato la vita della comunità ebraica nel periodo successivo.

In questo periodo l’originaria comunità ebraica composta da ebrei provenienti da Germani e Francia, iniziò a essere sostituita da un’immigrazione sempre più organizzata, formata da immigrati provenienti dall’Europa Orientale. Il loro arrivò contribuì a cambiare la composizione sociale della comunità ebraica argentina, nella quale iniziarono a predominare gli artigiani, gli operai e i venditori ambulanti.

6 A. Genis, Psicología del judío, Montevideo, Comunidad del Sur, 1968, p. 122. 7 R. Feierstein, op.cit.

Sebbene gli ebrei fossero protetti dalle leggi argentine, che garantivano loro libertà di culto e uguaglianza davanti la legge, i pregiudizi antiebraici erano ben visibili, soprattutto nei settori dirigenziali.

Con la crisi del liberalismo nel 1929 e il colpo di stai nel 1930, in Argentina si ritornò al modello economico e politico proposto dai proprietari terrieri, vincolato alle esportazioni di materie prime. La fine delle politiche liberali portò inoltre a una chiusura dell’economia, con l’adozione di politiche protezionistiche che riducevano fortemente l’ingresso di prodotti importati.

Nel 1930 il presidente Uriburu inoltre firmò un decreto che imponeva severe limitazioni all’immigrazione, esigeva il pagamento di una tassa per ottenere il visto d’ingresso e il possesso dei certificati di buona salute, buona condotta e non accattonaggio. Nel 1932 si impedì totalmente l’ingresso di immigrati, salvo per i parenti di europei già insediati stabilmente nel paese e i lavoratori in possesso di un regolare contratto.

Fu proprio a seguito di tali restrizioni che la comunità ebraica sviluppò le sue istituzioni centrali, sia politiche sia ricreative ed educative.

Nel 1933, con l’arrivo di Hitler al potere, venne creato a Buenos Aires il Comitato contro le persecuzioni degli ebrei in Germania, che cambiò nome l’anno successivo diventando il Comitato contro l’antisemitismo. Il suo obiettivo era quello di divulgare informazioni sul nazismo e sulle pratiche repressive che adottava. Inoltre si fece promotore del boicottaggio dei prodotti tedeschi e organizzò delle raccolte fondi per aiutare i perseguitati.

Nel 1935 le istituzioni ebraiche quella che sarebbe diventata l’erede del Comitato, la

Delegación de Asociaciones Israelitas Argentina, DAIA. Sebbene la DAIA si

presentava come rappresentante politica della comunità ebraica, le sue rivendicazioni sociali e politiche erano le stesse della società argentina. Non difendeva diritti speciali per i cittadini argentini di origine ebraica.

Inoltre, fu in questo periodo che nacquero i primi grandi centri sportivi ebraici. Nel 1926 si unirono diverse istituzioni ebraiche e crearono la Sociedad Hebraica Argentina. Si trattava di un’istituzione sportiva, sociale e culturale.

Nel 1935 venne fondato il Club Naúico Hacoaj, in risposta agli ostacoli che altri club nautici ponevano per l’ingresso dei soci ebrei.

Negli anni sessanta, i club sportivi iniziarono ad ampliare sempre di più le loro attività, fino a trasformarsi in centri comunitari, sociali, sportivi e culturali8.

Il motivo per cui si imposero limiti all’immigrazione nel 1932 era quello di difendere il lavoro della mano d’opera nazionale. Dal 1934, l’obbligo di aver il certificato di buona condotta rilasciato dalla polizia europea praticamente escludeva ogni possibilità per gli immigrati ebrei, soprattutto se provenienti dalla Germania.

Il rilancio dell’economia argentina nel 1935 consentì il ritorno a un politica di apertura verso l’immigrazione, anche se si trattò di una politica di selezione razionale e liberale. Mentre poi la Unión Industrial Argentina cercava di far arrivare migliaia di immigrati ogni anno, lo Stato, privilegiando un modello agrario, non si mostrava interessato a far crescere l’industria nazionale. I processi migratori procedevano limitatamente, con la scusante di voler tutelare la salute fisica e morale del popolo e prevenire alterazioni nella sua composizione etnica e razziale. In particolare, si cercava di impedire che arrivassero in Argentina i repubblicani spagnoli e gli ebrei9.

La politica espansionistica di Hitler nel 1938, così come lo scoppio della guerra l’anno successivo, aumentarono l’esodo di migliaia di rifugiati. Il governo argentino sosteneva che si trattava di flussi che non erano naturali e spontanei, per cui bisognava non consentirgli l’ingresso. Nonostante le conferenze internazionali cercassero di trovare una soluzione al problema dei rifugiati europei, soprattutto degli ebrei, il governo persisteva nella difesa del lavoro nazionale.

Nel 1940 si consentì l’ingresso in Argentina a lavoratori provenienti da Svizzera, Olanda, Polonia e Ungheria. Nello stesso periodo si denunciava l’ingresso illegale di migliaia di ebrei.

Durante i primi anni Quaranta, la Direzione dell’Immigrazione continuò a rifiutare gli immigrati perseguitati in Europa per motivi razziali, politici e ideologici. La politca di ammissione degli immigrati seguiva precisi criteri etnici10.

A partire dal 1946 i pani di industrializzazione del presidente Perón richiedeva l’ingresso di nuova mano d’opera, in un momento in cui in Europa queste era in eccedenza per le distruzioni provocate dalla guerra.

8 Iaacov Rubel, “Las escuelas judías argetinas (1985-1995). Procesos de evolucíon y de involucíon”,

Buenos Aires, Lumiere, 1998, p. 155.

9 Leonardo Senkman, “La politica migratoria argentina durante la década del treinta. La selección

étnica”, Buenos Aires, 1995, pp. 114-118.

10 Leonardo Senkman, “Etnicida e inmigración durante el primer peronismo”, Estudio interdisciplinarios

Fino al 1947 a capo della Direzione dell’Immigrazione c’era Santiago Peralta, noto per la simpatia nei confronti del fascismo e dichiaratamente antiebraico. Secondo la sua politica, l’accettazione degli immigrati doveva basarsi su criteri di sangue, non si nazionalità o economici, e si doveva evitare che entrassero nel paese popoli di razza inferiore. Al contrario doveva privilegiarsi l’ingresso dei latini e si concessero permessi d’ingresso ai croati, ungheresi, polacchi, tedeschi e austriaci, anche se si trattava di rifugiati che avevano collaborato con i nazisti.

La DAIA denunciò le discriminazioni a cui furono soggetti gli ebrei nella selezione degli immigrati ammessi e Perón si impegnò per risolvere il problema. Nel 1947 Peralta venne rimosso dal suo incarico. Ma degli oltre 400.000 immigrati ammessi solo un migliaio erano ebrei.

Nel 1949 venne concessa l’amnistia agli immigrati illegali. Di questa beneficiarono i fuggitivi nazisti ma anche gli ebrei che erano arrivati clandestinamente. Inoltre nella riforma costituzionale effettuato in quell’anno, un articolo condannava esplicitamente la discriminazione per motivi razziali.

2. La comunità ebraica e il peronismo

Nei mesi successivi al golpe del 1943 alcuni fatti causarono preoccupazioni nella comunità ebraica. In primo luogo venne nominato ministro della Giustizia e della Pubblica Istruzione Martínez Zuviría, noto per atti antisemiti sotto lo pseudonimo di Hugo Wast. Inoltre, si imposero strette limitazioni alle attività professionali degli ebrei. Il proibire l’utilizzo di lingue straniere portò alla chiusura dei giornali stampati in lingua yiddish.

Tra ottobre e novembre del 1945, quando iniziò la lotta che portò al potere Juan Domingo Perón, si manifestarono diversi atti antiebraici. Sebbene tra i sostenitori di Perón vi fossero diversi gruppi antiebraici, tuttavia il partito condannò esplicitamente tali attacchi, arrivando a chiedere alle delegazioni cittadine di difendere con la propria vita gli ebrei dalle aggressioni nazi-fasciste11.

Nonostante Perón abbia condannato l’antisemitismo esercitato a nome suo, tuttavia non agì nei confronti del principale gruppo nazionalista xenofobo peronista, la Alianza

11 Raanan Rein, “Argentina, Israel y los judíos. Encuentros y desencuentros, mitos y realidades”, Buenos

Nacionalista. Tuttavia, con l’arrivo al governo, i suoi membri furono esclusi dai posti di

potere. Quando nel 1947 scoppiò una bomba nella sinagoga, la polizia mise a soqquadro i locali dell’Alianza e chiuse il suo giornale.

Nel dicembre del 1943 un decreto presentato da Zuviría prevedeva che l’educazione cattolica fosse inserita come parte integrante del programma obbligatorio di studio nelle scuole. Se i genitori si opponevano, gli alunni non cattolici potevano sostituirla con altre materie, sottoposte comunque alla supervisione e selezione della Chiesa. Ebrei e protestanti iniziarono dunque a preoccuparsi per l’identificazione che il regime realizzava tra argentinidad y catolicismo12 .

La Chiesa appoggiò la candidatura di Perón alle elezioni del 1946 e qualche mese dopo il decreto fu convertito in legge dal Congresso.

Sebbene all’interno del partito peronista esistessero settori vincolati alla Chiesa cattolica intollerante e al nazionalismo xenofobo, fu durante il governo di Perón che gli ebrei ricoprirono carica molti prestigiose. Per esempio Abraham Krislavin fu viceministro dell’Interno, la più alta carica alla quale aveva avuto accesso un ebreo fino ad allora. Inoltre venne nominato il primo giudice federale ebreo, Liberto Rabovich. Molti ebrei beneficiarono dello sviluppo dell’industria nazionale orientata al mercato interno, soprattutto nel settore tessile, del pellame e dei mobili. Tra questi José Ber Gelbard, una delle figure principali della Confederación General Económica, organizzazione industriale peronista.

Lo stesso Perón cercò di avvicinarsi alla comunità ebraica. Nel 1947 Natalio Cortés, figlio di coloni ebrei, fondò la Organización Israelita Argentina (OIA), che doveva essere una specie di DAIA peronista. Sebbene la OIA entrasse in competizione con la DAIA per la rappresentanza della comunità ebraica, quest’ultima mantenne comunque, per il suo carattere apartitico, buone relazioni con il governo di Perón. D’altra parte la OIA non arrivò mai a essere rappresentativa della maggioranza ebraica.

Tanto Perón come sua moglie, Eva Duarte, ripudiarono esplicitamente l’antigiudaismo. Gli sforzi del rabbino Blum, tra il 1947 e il 1950, con il presidente Perón, portarono alla inaugurazione del Dipartimento di Studi Ebraici presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Buenos Aires13.

A partire dalla seconda presidenza, Perón iniziò a prendere le distanza dalla Chiesa cattolica fino a diventarne ferro avversario. Dunque i gruppi nazionalisti accusarono gli ebrei e i massoni di allontanare Perón dalla Chiesa. A Cordoba la popolazione scese in

12 Boleslao Lewin, “Como fue la inmigración judías en la Argentina”, Buenos Aires, Plus Ultra, 1983. 13 Raanan Rein, op.cit.

piazza per manifestare con lo slogan “Fuera Perón y sus amigos judíos”14 . Le accuse ricaddero soprattutto sul ministro dell’Interno Borlenghi, la cui moglie era ebrea.

Dopo la caduta di Perón a seguito del colpo di Stato del 1955, al Governo, con a capo Lonardi, si contavano numerose presenze legate al nazionalismo antisemita. Ma nel novembre, la nomina del generale Aramburu alla presidenza portò all’allontanamento di tutti questi elementi, incluso Lonardi.

Inoltre la DAIA chiedeva che venisse reintrodotta la legge del 1420 che prevedeva l’insegnamento laico. La stessa posizione venne mantenuta dalla dirigenza ebraica durante il governo di Frondizi, quando iniziò il dibattito sulla educazione laica o libera. Quest’ultima avrebbe permesso l’apertura delle università private, che potevano essere finanziate dalla Chiesa. Sebbene l’educazione libera permettesse di fatto l’esistenza di istituzioni educative ebraiche, la DAIA sosteneva che la scuola era un luogo ugualitario per tutti i cittadini, indipendentemente dalla proprio fede, per cui era necessario mantenere l’insegnamento laico. Dall’altro lato, la legge del 1420 impediva la differenziazione tra gli alunni ed evitava l’eccessiva ingerenza dei settori più tradizionalisti della Chiesa nell’educazione.

2.1 I movimenti antiebraici.

Uno dei principali movimenti antiebraici degli anni Cinquanta e Sessanta fu il

Movimento Nacionalista Tacuara, istituito nel 1957. Si trattava di un’organizzazione

paramilitare formata da giovani che provenivano da famiglie ricche spesso vincolate a organizzazioni studentesche cattoliche. A capo del movimento c’era Alberto Ezcurra Uriburu, discendente di Juan Manuel de Rosas. Egli considerava la migrazione degli ebrei e la democrazia come un sistema falso contro il quale era necessario lottare per portare il paese ad essere libero da politici, demagoghi ed ebrei. Uno dei mentori del movimento era padre Julio Meinvielle, per il quale bisognava prendere la società cristiana del Medioevo come modello da seguire, e secondo cui il liberalismo e il socialismo erano ideologie pericolose che gli ebrei avevano contribuito a creare e diffondere. Sempre secondo Meinvielle, gli ebrei erano a capo della diplomazia e comandavano l’economia internazionale e i tutti i mezzi di comunicazione del mondo,

diffondevano il comunismo e si insinuavano nell’anima cristiana avvelenandola. Gli ebrei dunque dovevano vivere separati dai cristiani e doveva essere eliminata la parità di diritti.

Fin dal 1960 all’interno di Tacuara si contarono diverse scissioni, che diedero luogo alla

Guardia Restauradora Nacionalista e al Movimiento Nueva Argentina, che si

accusavano a vicenda di avere al loro interno infiltrati comunisti ed ebrei15.

Questi movimenti attaccavano le istituzioni ebraiche e picchiavano gli alunni delle scuole della comunità. All’interno delle istituzioni ebraiche gruppi di giovani cominciarono a organizzarsi per difendersi e replicare agli attacchi.

Nel 1960, durante il confronto tra studenti difensori dell’educazione laica e libera, e coloro che promuovevano l’educazione cattolica e nazionalista, si produssero nei collegi nazionali diverse manifestazioni antiebraiche. Alcuni ebrei furono addirittura attaccati con armi da fuoco da esponenti di Tacuara16.

Nel 1962, venne sequestrata, picchiata e torturata la studentessa Graciela Sirota. Sebben si conobbe l’identità dei sequestratori, tuttavia il capo della polizia sostenne che tutto l’episodio poteva essere stato organizzato da ebrei di sinistra.

Inoltre gli ebrei erano accusati di promuovere il divorzio, la pornografia e la distruzione di tutta la tradizione cattolica. Da queste accuse di passò ai fatti con attacchi alle sinagoghe e alle scuole, e alle aggressioni individuali.

Dal 1964, in un clima di scioperi e occupazioni delle fabbriche e di aperto conflitto nelle fila peroniste tra ala destra e ala sinistra, si manifestò un’altra ondata di antigiudaismo. L’assassinio di Raúl Álterman, militante comunista, e le minacce ricevute dalla sua famiglia, rappresentarono l’episodio più grave dell’antisemitismo argentino di questo periodo.

A metà degli anni sessanta le organizzazione antiebraiche identificavano gli ebrei con gli interessi e i conflitti dello Stato di Israele, così si organizzarono e attuarono una propaganda anti israelita, confondendo a gli ebrei argentini con gli israeliti.

Tra la fine degli sessanta e i primi anni settanta aumentarono le tensioni sociali in Argentina. In questo contesto, alcuni gruppi utilizzarono l’antigiudaismo come una sorta di capo espiatorio dei mali nazionali e la condizione ebraica fu vista come aliena alla argentinità.

In sintesi, nel periodo delle presidenze costituzionali di Frondizi e Illia, l’antigiudaismo